Gelsi in cucina La prima izakaya armeno-giapponese si trova a Yerevan (L’Inkiesta 17.01.24)

Donna, imprenditrice, pr ed esperta di comunicazione, Kristina Nechitaylenko è a tutti gli effetti uno dei tanti immigrati russi (in realtà è nata e cresciuta in Ucraina e successivamente trasferitasi per gli studi) che dalla capitale Mosca, piuttosto che altri centri minori, hanno avuto la possibilità di cambiare vita e trasferirsi in Armenia. «A Mosca ho ancora una collega del mio vecchio ufficio, una piccola porzione di business anche se in qualche modo “sonnolente”, e il mio cane. Prima o poi porterò anche lui qui».

Per tredici anni alla guida di una delle agenzie più di successo di Mosca per la gestione di relazioni e comunicazione dei migliori ristoranti della città: White Rabbit, Twins Garden, Olluco, Bjorn, Coffemania. Tutti nomi che gli addetti ai lavori conoscono bene e che le hanno permesso negli anni di tessere una rete variegata e ampia di collaborazioni e conoscenze in tutto il mondo. Lavorando a stretto contatto con gli uffici del turismo è entrata in connessione con decine di organizzazioni e persone chiave del settore fino ad arrivare a lanciare il progetto Guida Michelin in Russia nel 2021.

Con la guerra degli ultimi mesi e il blocco massivo del turismo europeo e statunitense, il lavoro ha iniziato a faticare così come la possibilità di sviluppare progetti, viaggiare, invitare chef e giornalisti stranieri a conoscere la scena gastronomica russa.

«Yerevan è una città a misura d’uomo, dove le persone sono estremamente patriottiche e interessate a creare valore e ricchezza per la città. La capitale sta vivendo un momento di boom economico, c’è un forte sentore di ripresa, una speranza verso nuovi investitori e verso la giovane imprenditoria tanto che il governo sta stanziando aiuti importanti per chi vuole avviare attività in proprio […] I collegamenti con la Russia sono facili e frequenti, si tratta per il momento di una situazione temporanea che non sappiamo quanto potrà durare ma che per ora ci piace, ci da stabilità e speriamo ci porti fortuna» ci spiega.

Kristina si trasferisce nell’inverno del 2022 con il suo compagno, Nikita Poderiagin, chef vincitore del premio Best Young Chef Award per la Guida Michelin russa nell’anno della sua uscita. Insieme hanno fondato KUWA, una accogliente e moderna izakaya nel cuore della capitale armena. Il termine significa mulberry ovvero gelso. Così come in Armenia si tratta di frutti raccolti e lavorati in tanti modi diversi e presenti in abbondanza, nella cultura giapponese la carta da scrittura più antica è proprio quella di gelso. Sin dal nome è forte l’interesse a creare un costante parallelismo tra le due culture, trovando un modo curioso e divertente per avvicinare l’ospite a questi due mondi.

Il pensiero non è stato solo quello di ridarsi una base operativa e un luogo di creatività, ma avere un’attività propria con cui farsi conoscere alle persone del posto, interfacciarsi allo stesso livello ed entrare in contatto con il sistema locale, riprendere le normali routine del settore per poterne capire meglio tutti gli aspetti. Se per noi il termine izakaya è ormai piuttosto frequente e sdoganato, si tratta di unicum per quel che riguarda Yerevan e l’Armenia in generale. Il locale è impostato con un bancone a vista, suddiviso in uno spazio di lavoro per un bartender e una zona di impiattamento e preparazione vivande con una griglia per affumicare e cuocere alla brace.

La cucina di Nikita Poderiagin guarda alle tecniche giapponesi, ai sapori asiatici e orientali cercando di attingere da ingredienti locali, lavorando sulla creazione di gusti nuovi ma non del tutto estranei per i cittadini del posto. «Nei nostri primi mesi in città abbiamo capito quanto la popolazione quasi evitasse i prodotti locali. Preferiscono in media attingere da referenze importate e straniere questo perché è mancata negli anni una cultura di valorizzazione e promozione del patrimonio locale a partire da quello gastronomico. Con la nostra cucina e la realtà di KUWA lavoriamo quasi al cento per cento con verdure locali, acquistiamo di stagione, usiamo le moltissime erbe spontanee, i germogli, le spezie, tuberi e funghi perché in molti casi sono prodotti per nulla o scarsamente conosciuti.

Ci piace pensare che il nostro menu possa raccontare la bio diversità del Paese in cui viviamo e il suo potenziale gastronomico» ci racconta Nikita. Grazie alla sua esperienza in chimica e microbiologia, lo chef è continuamente impegnato in laboratorio. Qui sono già nate in soli cinque mesi due birre, un sake fatto in casa, uno fermentato di riso che ricorda in parte il cognac ma con una gradazione meno intensa e una nota zuccherina più marcata, cordiali di melograno e altra frutta fresca. Queste preparazioni arricchiscono la proposta cocktail – curata da Pavel Barkov – che vale la pena testare sia nelle referenze di cocktail singoli, quanto in accompagnamento alla cucina. Tante ricette richiamano alcuni ingredienti dei piatti così da creare un ponte di dialogo e comprensione costante tra cucina e bar, tra cibo solido e liquidi.

Il menu prevede opzioni vegetariane e un’organizzazione in sezioni: sott’oli e sott’aceto / affumicati e alla griglia / speziati e stagionali / dolci e frutta. Nelle bevande si segue uno schema analogo: sour e dolci / corti e forti / lunghi e a bassa gradazione / frizzanti e vini / classici e gourmet. Gli ingredienti esaltano al massimo il territorio: albicocche, melograni, fichi, mandorle, brandy, patchouli, vaniglia, sake, aghi di pino, erbe spontanee, coriandolo, basilico locale, kimchi, caffè, vino di riso. Il servizio del drink è su ghiaccio cristallino in bicchieri Rona o affini, le ceramiche di servizio della cucina invece provengono da artigiani locali così come le pietre utilizzate a decoro e arredo della parte bar sono state scelte con cura da riserve del territorio.

Una vera e propria fucina di idee e di prodotti e un calendario intenso di eventi e collaborazioni non solo a livello bar – con guest shift in promozione di specifici prodotti o colleghi – ma anche in cucina. Due volte al mese la tipologia di menu cambia per una sola sera soltanto, sposando una regione diversa. Le chiamano Chef’s Table e il tema del menu si ispira all’India, alla Francia, all’Italia, al Messico, alla Cina proponendo un percorso degustazione drink e cubo completo e disponibile solo per una giorno. Un must have se andrete a Yerevan, dove respirare l’incredibile fermento del settore gastronomico e venire circondati da un’alta concentrazione di idee.

Tutte le foto courtesy Stefano Borghesi

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Israele Schiaffeggia Erdogan con il Genocidio Armeno. Che però non Riconosce Ufficialmente… (Stilum Curiae 16.01.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, offriamo alla vostra attenzione qualche elemento di riflessione e di giudizio su un caso legato a quanto sta accadendo a Gaza. Nei giorni scorsi Erdogan ha dichiarato il suo appoggio alla causa per genocidio intentato dal Sudafrica nei confronti di Israele presso la Corte Penale Internazionale dell’Aja. Come potete vedere qui sotto, il Ministro degli Esteri israeliano ha risposto a Erdogan rinfacciandogli il genocidio armeno, il Metz Yeghérn, il Grande Male, di cui erano responsabili i turchi dell’epoca, una responsabilità pervicacemente – e attivamente – negato dai governi turchi di sempre. Il problema però è che Israele, ufficialmente, non ha mai voluto riconoscere il genocidio armeno, e ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con la Turchia e l’Azerbaijan. Se gli azeri sono riusciti a compiere l’attuale pulizia etnica degli armeni nell’Artsakh-Nagorno Karabagh è stato anche grazie alle armi vendute dagli israeliani. Ma c’è di più: come potete vedere in questo collegamento, che vi invitiamo caldamente a leggere, il rapporto fra il genocidio armeno e la Shoah è diretto. Buona lettura e condivisione.

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Aspra polemica fra Israele e Turchia dopo che il presidente Recep Tayyp Erdogan si è schierato con le tesi avanzate dal Sudafrica all’Aja.

“Il presidente della Turchia, lo Stato responsabile del genocidio degli armeni, che pensava che il mondo avrebbe assistito in silenzio – ha replicato su X il ministro degli esteri israeliano, Israel Katz – si ‘vanta’ di aver inoltrato all’Aja documenti che accusano Israele di genocidio”.”Ti conosciamo bene – ha proseguito Katz rivolgendosi ad Erdogan.- Non dimentichiamo il genocidio degli armeni nè le stragi contro i curdi.

 

 

Avete distrutto un popolo. Noi ci difendiamo dai vostri barbari amici”.

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Gerusalemme, 12 gen. (EFE).- Il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha criticato venerdì la storia della Turchia, affermando che “ricordiamo gli armeni”, dopo che il suo presidente, Recep Tayyip Erdogan, ha annunciato che il suo Paese invierà alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia documenti che sostengono l’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica contro Israele.

“Il presidente della Turchia Erdogan, da un Paese che ha nel suo passato il genocidio armeno, ora si vanta di colpire Israele con affermazioni infondate. Ricordiamo gli armeni e i curdi. La vostra storia parla da sola. Israele si batte per la difesa, non per la distruzione, contro i vostri alleati barbari”, ha dichiarato Katz in un messaggio diretto al leader turco sul social network X (ex Twitter).

Il genocidio armeno si riferisce allo sterminio sistematico del popolo armeno nell’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale attraverso massacri, marce della morte e deportazioni.

Il governo turco sostiene che la deportazione degli armeni fu un’azione legittima che non può essere definita genocidio, e molti Paesi che cercano buone relazioni diplomatiche con la Turchia hanno evitato di riconoscere gli eventi come genocidio.

Israele non riconosce gli eventi come genocidio e questa è la prima volta che un alto funzionario israeliano li descrive come tali.

Israele è stato accusato di genocidio dal Sudafrica davanti alla Corte Suprema delle Nazioni Unite, che ha tenuto la sua prima udienza all’Aia giovedì e venerdì, con il team legale israeliano che ha accusato il Sudafrica di “ipocrisia”.

Katz ha detto che il Sudafrica sta violando la Convenzione sul genocidio sostenendo “l’organizzazione terroristica Hamas, che chiede l’eliminazione dello Stato di Israele”.

La Turchia ha espresso “soddisfazione” per la denuncia del Sudafrica fin dall’inizio e una delegazione parlamentare turca è all’Aia per seguire il processo.

“Credo che Israele sarà condannato in quella sede. Crediamo nella giustizia della Corte internazionale di giustizia”, ha dichiarato il presidente turco.

La Turchia è un alleato storico di Israele, ma dopo l’attacco del 7 ottobre da parte del gruppo islamista palestinese Hamas, Erdogan ha denunciato la risposta di Israele, che ha bombardato massicciamente Gaza, come un “crimine di guerra”, e Israele ha ritirato il suo ambasciatore da Ankara alla fine di ottobre.

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Il prossimo aprile segnerà il 109° anniversario del genocidio armeno da parte dei turchi, di cui l’attuale presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdoğan, rifiuta di assumersi la responsabilità. Questa data segnerà quasi contemporaneamente anche i 76 anni degli imbarazzanti sforzi di Israele per eludere il riconoscimento formale di questo genocidio. In questo momento stiamo commemorando un altro importante episodio della storia moderna: 100 giorni dal massacro del 7 ottobre, oltre alla diffamazione di sangue di cui il presidente turco ha accusato Israele, che secondo lui è “come i nazisti”, poiché ha affermato che Israele sta commettendo un genocidio nella Striscia di Gaza. Questo frangente – proprio mentre all’Aia è iniziata l’udienza di un tribunale che sostiene che “Israele ha violato la Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio” – dovrebbe aprire la strada, per quanto tardiva, a un discorso e a una riflessione profondi sul riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte di Israele, dopo tutto questo tempo.

Lo Stato del popolo ebraico, che ha vissuto in prima persona l’Olocausto, un evento storico molto più grave sia per dimensioni che per ferocia, si è astenuto per anni dal riconoscere ufficialmente il genocidio che i turchi hanno perpetrato contro gli armeni, a causa di quelli che il Ministero degli Affari Esteri ha definito informalmente “interessi vitali di sicurezza” e “la profonda relazione economica tra i due Stati”. Il risultato di questa definizione è che anche ora che per l’ennesima volta Erdogan si è identificato e ha sostenuto l’Amalek moderno, il palestinese Hamas, e anche quando ha ribadito l’assurdo paragone tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e Hitler – Israele si rifiuta ancora di riconoscere il genocidio armeno. Questo genocidio ha assunto la forma di marce della morte, massacri di massa e l’espulsione forzata su larga scala della popolazione armena da parte dei turchi durante la Prima guerra mondiale. Il governo ottomano istituì 25 campi di concentramento per gli armeni sopravvissuti all’espulsione. A quel tempo, Dayr az-Zawr, nel nord-est della Siria, era il capolinea della strada verso l’inferno per gli armeni. Molte marce della morte furono organizzate per raggiungere Dayr az-Zawr ed è qui che gli armeni furono massacrati selvaggiamente. Coloro che riuscirono a sopravvivere a queste marce furono costretti a nutrirsi di carne animale e dei cadaveri dei bambini morti.

Alcuni armeni si trasformarono in una documentazione vivente degli orrori, incidendo sulla loro pelle gli incidenti a cui erano sopravvissuti durante il viaggio e i crimini perpetrati dai turchi. Una volta catturati, i loro inseguitori versavano acqua su di loro per cancellare le testimonianze incise sui loro corpi. La domanda di Hitler “Il modo più rapido per sbarazzarsi delle donne e dei bambini raccolti nei campi di concentramento era bruciarli”, scrissero in seguito diversi testimoni delle atrocità nelle loro testimonianze. I consoli statunitense e italiano descrissero come decine di migliaia di armeni, compresi donne e bambini, furono annegati nel Mar Nero. Due medici della città di Trabzon, sulla costa del Mar Nero, testimoniarono che i bambini armeni erano stati uccisi con il gas velenoso. Eitan Belkind, membro chiave della rete di spie ebraiche anti-ottomane nota come NILI, che si infiltrò nell’esercito turco durante la Prima Guerra Mondiale, fu testimone dell’orribile assassinio di circa 5.000 armeni che furono legati insieme e poi dati alle fiamme usando un anello di arbusti spinosi posto intorno a loro.

“Avsholom Feinberg, uno dei fondatori di NILI, che viaggiava molto durante la guerra, ha fornito una testimonianza degli armeni uccisi: “I loro membri nei battaglioni di lavoro vengono uccisi in massa mediante fucilazione. Li fanno morire di fame. Li maltrattano. Mi sono chiesto se posso piangere solo perché ‘il mio popolo è distrutto’, e Geremia non ha forse versato lacrime di sangue anche per gli armeni?”.

L’ex ministro Yair Tsaban: La rivendicazione degli “interessi” ha accompagnato il popolo ebraico durante le ore più buie dell’era nazista, quando abbiamo chiesto disperatamente aiuto, ma le nazioni del mondo ci hanno spiegato che a causa di vari “interessi” – non è possibile rispondere alle nostre grida di aiuto”: Israele e il genocidio armeno, il professor Yair Auron ha rivelato che alla vigilia dell’Olocausto ebraico, nell’agosto del 1939, Hitler chiese con arroganza ai suoi ufficiali delle SS: “Chi si ricorda oggi cosa hanno fatto agli armeni?”. Ora, quando Erdogan diffama e vitupera costantemente lo Stato di Israele ogni volta che ne ha l’occasione, Israele non ha più alcun motivo logico e formale per continuare a fare affidamento sulla misera scusa su cui aveva buone ragioni per fare affidamento in primo luogo – quella degli “interessi”. In questo periodo attuale, in cui Erdogan sostiene spudoratamente i nuovi nazisti della nostra generazione, a Israele è stata presentata un’altra opportunità per modificare questa situazione. Lo Stato ebraico avrebbe dovuto chiedersi molto tempo fa: avrebbe accettato il rifiuto di riconoscere l’Olocausto ebraico da parte di qualsiasi Stato a causa di interessi economici o di sicurezza, come ha fatto per anni con la decisione di astenersi da qualsiasi riconoscimento ufficiale dell’Olocausto del popolo armeno.

Dopo tutto, la bussola morale dovrebbe essere la stessa in entrambi i casi, e il rifiuto del governo israeliano di riconoscere il genocidio armeno è un chiaro caso di palese bancarotta morale. Sebbene l’olocausto armeno fosse diverso da quello ebraico – meno organizzato ed efficace dal punto di vista industriale e molto più limitato in termini di scala – nonostante queste differenze significative, il popolo armeno ha subito una vera e propria forma di genocidio. Molti storici e più di 30 Stati hanno riconosciuto il genocidio di questo popolo, in cui furono annientate da un milione a un milione e mezzo di persone. Con nostra grande vergogna, tra tutte le nazioni, Israele si è astenuto dal riconoscerlo e, nel chiaro conflitto tra morale e interessi, sono stati gli interessi a prevalere.Questioni che vanno oltre la politicaIn passato, il Ministero dell’Istruzione ha accantonato un programma di studi che prevedeva l’insegnamento del genocidio armeno. La TV israeliana si è astenuta dal trasmettere il film documentario di Theodore Bogosian, An Armenian Journey, che trattava di questo genocidio. In un’altra occasione, è stato censurato un testo ritenuto troppo diretto che Noemie Nalbandian aveva preparato per essere letto durante la cerimonia annuale di accensione della fiaccola del Giorno dell’Indipendenza sul Monte Herzl, in quanto menzionava l’olocausto armeno.

Quando Shimon Peres era ministro degli Esteri israeliano, si rivolse all’Anti-Defamation League, implorando l’organizzazione di attenuare la sua risoluzione che stabiliva categoricamente che il massacro degli armeni era un genocidio.

Quando la Turchia ha annullato una serie di contratti di armamento con la Francia, dopo che i francesi avevano riconosciuto il genocidio armeno, è stato Israele, in modo piuttosto imbarazzante, a ricevere questi contratti, poiché Gerusalemme aveva deciso di evitare qualsiasi riconoscimento della condizione degli armeni.

Le continue contorsioni politiche di Israele di fronte al genocidio del popolo armeno, anche ora che l’amministrazione erede degli autori di quell’atto orribile si schiera con il peggiore dei nostri nemici, dovrebbero indurre a una conversazione, per quanto breve, con Yair Tsaban, originariamente membro del Mapam (Partito unito dei lavoratori) di sinistra e uno dei fondatori del Kibbutz Tzora. Tsaban, che per molti anni è stato in prima linea nella lotta per il riconoscimento israeliano del genocidio armeno, è stato il primo ministro di un governo israeliano a “ribellarsi” alla politica ufficiale e già 28 anni fa ha partecipato alle cerimonie per la Giornata della Memoria della comunità armena in Israele. Ancora oggi, alla veneranda età di 93 anni, Tsaban è inorridito dall’uso della parola “interessi” in relazione al mancato riconoscimento ufficiale del genocidio armeno da parte di Israele. La rivendicazione degli “interessi””, ricorda, “ha accompagnato il popolo ebraico durante le ore più buie dell’era nazista, quando gli ebrei hanno chiesto disperatamente aiuto, ma le nazioni del mondo ci hanno spiegato che a causa di vari “interessi” – non è possibile rispondere alle loro grida di aiuto”. “Come può Israele continuare a guardare negli occhi i Giusti tra le Nazioni e i loro discendenti – dato che anche loro avevano letteralmente ‘interessi esistenziali’ nel non nascondere gli ebrei o nel salvarli, ma hanno preferito vivere secondo i dettami della loro coscienza piuttosto che secondo i loro interessi esistenziali?”, chiede Tsaban.

“Come popolo che ha subito il peggiore di tutti i genocidi – non abbiamo né dovremmo fare eccezioni quando si tratta del genocidio di un altro popolo. Al contrario – abbiamo l’obbligo morale di adottare un approccio molto più rigoroso e meno tollerante nei confronti dei casi di genocidio subiti da altri”. Tsaban ribadisce le parole di uno dei più famosi poeti israeliani, Nathan Alterman, che in una delle sue poesie ha invitato i “Campioni del sano realismo” a smettere di “adorare gli idoli chiamati interessi”. “Ci sono questioni che vanno al di là della politica e della diplomazia”, ha detto Benjamin Netanyahu nel 1989, all’epoca in carica come vice ministro degli Esteri, e ha sottolineato: “I genocidi sono un chiaro caso di questa particolare categoria”. Non è ancora troppo tardi.

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Artsakh – Sparito dalle cartine geografiche ma Baku non si ferma (Assadakah 16.01.24)

Letizia Leonardi – Il 2024 ha cancellato l’autoproclamata Repubblica d’Artsakh dalla geografia mondiale. La piccola enclave, ancestralmente abitata e governata da armeni, ora è proprietà dell’Azerbaijan. Baku se l’è presa nella totale indifferenza del mondo. E grazie a tutto questo silenzio il presidente azero Aliyev non intende fermarsi. Adesso passa al territorio sovrano della Repubblica d’Armenia. A fine gennaio si svolgerà infatti un incontro per definire la delimitazione del confine armeno-azero. Il dittatore di Baku, pur affermando di non avere rivendicazioni territoriali nei confronti del territorio armeno, ha tuttavia dichiarato che Yerevan, il Lago Sevan e la provincia di Syunik sono “storicamente” territori azeri.

Aliyev ha inoltre affermato che l’Azerbaijan rifiuterà di riconoscere l’integrità territoriale dell’Armenia a meno che Yerevan non firmi un accordo di pace bilaterale in linea con le proposte di Baku. I soliti ricatti che non fanno ben sperare sul raggiungimento di un accordo di pace definitivo. L’Azerbaijan usa i periodi di pausa, tra un conflitto e l’altro, per organizzarsi e ricominciare con nuovi attacchi. D’altra parte le richieste di armi da parte di Baku continuano incessantemente, anche dirette all’Italia. A tal proposito l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha rifiutato una donazione in beneficenza da parte di Leonardo, ex Finmeccanica, azienda fornitrice di velivoli da guerra all’Azerbaijan. Un milione e mezzo di euro, che doveva essere destinato all’acquisto di macchinari per curare malattie rare. L’ospedale, di proprietà del Vaticano, ha accolto evidentemente il pensiero del Pontefice che si è sempre detto contrario ai conflitti e all’uso delle armi per risolvere le controversie.

L’idea dell’Azerbaijan di rivendicare il possesso di territori perché storicamente appartenenti agli azeri cozza con la realtà: degli azeri infatti non c’è traccia negli antichi testi, che invece parlano di possedimenti armeni, supportati da antichissimi siti e patrimonio storico-artistico che testimonia l’ancestrale presenza armena che Baku tenta sistematicamente di vandalizzare e distruggere, ovunque arrivi.

E intanto non inizia bene quella convivenza pacifica che Aliyev aveva assicurato agli armeni dell’Artsakh che avrebbero deciso di restare nelle proprie case. Il tribunale di Baku ha infatti respinto l’appello di Vagif Khachatryan, un residente armeno del Nagorno Karabakh, rapito dagli azeri ad agosto e poi condannato a 15 anni di prigione con accuse inventate.

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Il 24 gennaio presentazione del libro “Giustificare il genocidio La Germania, gli Armeni e gli Ebrei” (mosaico-cem 15.01.24)

L’associazione Amici di Israele (ADI) in collaborazione con AMPI (Associazione Milanese Pro Israele) organizza per mercoledì 24 gennaio, alle 18.30, presso il Centro Brera di via Formentini 10 – Milano, la presentazione del libro Giustificare il genocidio.  La Germania, gli Armeni e gli Ebrei, da Bismarck a Hitler, di Stefan Ihrig (Guerini).

Parteciperà in collegamento audio-video la grande scrittrice di origine armena ANTONIA ARSLAN, autrice di “La Masseria delle allodole” e curatrice del saggio.

La recensione

“Il genocidio armeno è l’inizio degli orrori del Novecento, e la sua connessione con la Shoah è ormai indiscutibile”. Così la filosofa americana Siobhan Nash-Marshall introduce “Giustificare il genocidio”, un libro di grande rilievo storiografico, che meriterebbe di essere studiato in tutte le università del mondo. L’autore, Stepan Ihrig, è uno storico tedesco, attualmente direttore del Centro di studi germanici ed europei di Haifa, Israele. Pubblicato nel 2016 dall’Università di Harvard, il corposo volume (quasi 500 pagine) esce ora in Italia edito da Guerini, con il sottotitolo “La Germania, gli Armeni e gli Ebrei da Bismarck a Hitler”.

Solo se si approfondiscono le lontane origini del nazionalismo tedesco, della sua malintesa “realpolitik”, del suo disprezzo razziale che accomuna armeni ed ebrei, si riesce a rintracciare il filo rosso che conduce dai massacri ottomani di fine Ottocento ai forni di Aushwitz.

Già nella Germania guglielmina, infatti, Bismarck è il grande protettore del Sultano, difende a ogni costo il suo operato, tutela l’impero in disfacimento dagli appetiti delle potenze europee. Quando nel “biennio rosso” 94/96 Abdul Hamid dà il via ai massacri su larga scala degli armeni, la stampa nazionalista tedesca tende a occultare e minimizzare, parla di fatti di lieve entità, scarica le responsabilità sui “predoni curdi”. I morti sono fra i cento e duecentomila, e proprio l’impunità garantita al sanguinario Sultano indurrà i suoi successori all’ideazione del progetto genocidario.

Secondo la propaganda nazionalista e filo-turca, gli armeni sono gli “ebrei d’Oriente”, anzi “super-ebrei”: gente falsa, infida, mercanti dediti a loschi traffici, allo sfruttamento e all’usura. Come gli ebrei, anche gli armeni sono gente senza patria, pronta a tradire. I massacri rappresentano dunque una risposta necessaria, e pertanto giustificabile, al rischio reale di disfacimento dell’impero.

Allo scoppio della guerra, il regime dei Giovani Turchi avvia processo di sterminio e di nuovo la Germania sostiene l’alleato, allineandosi al negazionismo ufficiale. I massacri avvengono sotto gli occhi dei militari e dei diplomatici tedeschi. Le “deportazioni” sono lo strumento preordinato, intenzionale e sistematico per la completa cancellazione del popolo armeno.

La stampa tedesca – con poche eccezioni – giustifica l’operato dei turchi, accusa gli armeni di tradimento e di intelligenza con il nemico russo. Non esistono prove di una corresponsabilità diretta nella decisione di sterminare gli armeni, ma certo la Germania è “lo spettatore silenzioso, lo scudo protettivo, il facilitatore degi ottomani”.

Dopo la guerra, grazie soprattutto agli scritti di Johannes Lepsius e Armin Wegner, l’opinione pubblica tedesca viene messa al corrente dell’accaduto. Il libro ricostruisce minuziosamente il processo e l’assoluzione di Soghomon Tehlirian, l’armeno che ha giustiziato il triumviro Talat Pasha nelle strade di Berlino (1921). La Germania è scossa. Poiché il genocidio non può più essere negato, la propaganda nazionalista passa dal negazionismo al giustificazionismo. Agli armeni si imputa la famigerata “pugnalata alle spalle” – la stessa accusa che sarà poi rivolta agli ebrei. Di nuovo, si sottolineano le caratteristiche “razziali” degli armeni, accomunati ai loro “cugini semiti”. Il genocidio è apertamente riconosciuto come atto di “legittima difesa”, preparando il terreno per la Shoah.

Hitler detesta gli armeni quasi quanto gli ebrei, ammira svisceratamente Kemal Ataturk, afferma e scrive in varie circostanze – qui rigorosamente documentate – di ispirarsi alla “soluzione turca”. Il rapporto fra nazionalismo turco e nazismo tedesco è di centrale importanza, dal punto di vista ideologico, e questo collegamento viene analizzato in dettaglio nel corso del volume.

“Come questo libro ha dimostrato – scrive Ihrig nelle conclusioni – il genocidio armeno deve aver insegnato ai nazisti che crimini così incredibili potevano restare impuniti (…) Il fatto che si potesse ‘farla franca’ deve avere costituito un precedente di grande ispirazione (…) Il genocidio armeno aveva reso il genocidio pensabile e, a quanto pare, giustificabile”.

Franz Werfel termina il suo romanzo in tutta fretta, fra il ’32 e il ’33, nel tentativo di metter in guardia il popolo tedesco, ma ormai è troppo tardi: i nazisti sono al potere e il libro finisce al rogo. I quaranta giorni del Mussa Dagh sarà però di ispirazione per gli ebrei e per la loro disperata resistenza, nei ghetti di tutta Europa.

di Alessandro Litta Modignani

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Nagorno Karabakh. Il dolore di un popolo senza terra e sotto assedio di cui “nessuno più parla” (SIR 15.01.24)

Il Nagorno Karabakh appare sempre più come una “partita” giocata tra Russia, Stati Uniti, Europa e Turchia, sulla pelle delle 100mila persone costrette a lasciare la loro terra e a rifugiarsi in Armenia, senza casa e senza futuro. “Il mondo – dice padre Tirayr Hakobyan, archimandrita della Chiesa apostolica armena in Europa occidentale – non può chiudere la bocca di fronte a quanto sta accadendo e celare la verità. La giustizia non può rimanere ostaggio degli interessi. Questo silenzio renderà le guerre più prepotenti ma quel punto nessuno riuscirà più a fermarle”

(Foto ANSA/SIR)

100mila armeni in fuga dal Nagorno Karabakh, di cui 30mila bambini. Hanno lasciato tutto. Dopo mesi di assedio, senza acqua e cibo, sono stati obbligati a scappare nel giro di 24/48 ore senza poter prendere nulla. Chi in macchina, chi sui camion. “I soldati, sono entrati nelle loro case. Hanno svuotato e rubato tutto. Hanno distrutto anche il patrimonio ecclesiale, spirituale e culturale del popolo armeno. Hanno distrutto chiese, monumenti, cimiteri”. “Questo è odio, odio verso tutto quello che rappresenta l’Armenia. E nessuno ne parla”.“Il mondo deve fermare tutto questo. Non è possibile che gli interessi siano più importanti della giustizia. Non è giusto rimanere in silenzio”.

Padre Tirayr Hakobyan, archimandrita della Chiesa Apostolica Armena in Europa Occidentale (Foto Sir)

A dare voce alla sofferenza del popolo cristiano armeno e alla grave emergenza umanitaria che si è aperta con il conflitto in Nagorno Karabakh, è padre Tirayr Hakobyan, archimandrita della Chiesa Apostolica Armena in Europa Occidentale, in un incontro per giornalisti organizzato a Roma dall’Associazione Iscom della Pontificia Università della Santa Croce. Il Nagorno Karabakh appare sempre più come una “partita” giocata tra Stati Uniti, Russia, Europea e Turchia, sulla pelle però delle 100 mila persone, uomini, donne, bambini, anziani, costrette a lasciare la loro terra e a rifugiarsi in Armenia. “Lì – spiega l’archimandrita – ricevono un piccolo contributo dal governo armeno, ma può essere una situazione provvisoria. Questa gente deve trovare un lavoro, ricominciare una vita da zero. Nei loro occhi si legge la mancanza di speranza. Abbiamo perso tutto, dicono. Occorre quindi aiutarli non solo materialmente, ma anche sostenerli psicologicamente”.La preoccupazione è soprattutto per i bambini costretti a fuggire, strappati alle loro case, alla loro vita. Molte famiglie hanno deciso di non allontanarsi dal confine, con l’intenzione di poter un giorno tornare alle loro case.

L’archimandrita tiene subito a precisare che non si tratta di un “conflitto” di matrice religiosa ma territoriale perché l’obiettivo è quello di strappare al popolo la terra e cancellare una presenza storica. Per questo, hanno preso di mira e attaccato chiese e cimiteri, i monumenti storici. Hanno strappato ogni segno di scrittura e appartenenza alla cultura armena. Hanno addirittura colpito e distrutto la cattedrale di Cristo San Salvatore di Ghazanchetsots, nella citta di Shushi, luogo simbolo della cristianità armena sin dal XIX secolo. L’appello di padre Hakobyan è forte: “salvate il nostro patrimonio e le nostre Chiese. Fanno parte di tutto ciò che siamo”. La religione è da sempre una “componente fondamentale dell’identità armena”. Il paese è sempre stato una terra di passaggio e di confine ma è stata la Chiesa a mantenere forte e solda l’identità e la cultura armene. Colpirle oggi significa anche cancellare una storia e l’esistenza stessa di un popolo.“Il mondo ha giustamente condannato la Russia per l’invasione in un Paese indipendente. Ora che l’Azerbaigian lo sta facendo con gli armeni, il mondo sta zitto e dice che va bene”, osserva l’archimandrita. “Dov’è la verità? E quali sono gli interessi per sottacere la giustizia”.Il quadro è complesso. La Turchia e l’Iran sono impegnate con la guerra in Medio Oriente. La Russia è interessata a consolidare e proteggere la sua “geografia” dei passaggi di gas e petrolio verso l’Europa. “Cosa ha l’Armenia?”, chiede padre Hakobyan. “Niente, se non la sua identità e la sua storia”. “Siamo rimasti soli”. Solo Papa Francesco ha saputo pronunciare parole chiare. L’ultimo appello – molto apprezzato – lo ha lanciato parlando ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la santa sede l’8 gennaio scorso. “È urgente trovare una soluzione alla drammatica situazione umanitaria degli abitanti di quella regione”, ha detto il Papa, “favorire il ritorno degli sfollati alle proprie case in legalità e sicurezza e rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose ivi presenti. Tali passi potranno contribuire alla creazione di un clima di fiducia tra i due Paesi in vista della tanto desiderata pace”. Gli fa eco oggi l’archimandrita: “Il mondo – dice – non può chiudere la bocca di fronte a quanto sta accadendo e celare la verità. La giustizia non può rimanere ostaggio degli interessi. Questo silenzio renderà le guerre più prepotenti e a quel punto nessuno riuscirà più a fermarle”.

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Nessuna missione Ue per le elezioni in Azerbaigian (Ansa 15.01.24)

STRASBURGO – Il Parlamento europeo ha comunicato che non osserverà il processo elettorale per le presidenziali in Azerbaigian previste il prossimo 7 febbraio e di conseguenza non commenterà né il processo né i risultati che saranno annunciati successivamente. Nessun singolo membro del Parlamento europeo è stato autorizzato a osservare o commentare questo processo elettorale a suo nome. Pertanto, “se un membro del Parlamento europeo decidesse di commentare queste elezioni, lo farebbe di propria iniziativa e non dovrebbe, in nessun caso, rappresentare o impegnare il Parlamento europeo con dichiarazioni o azioni”, spiega l’Eurocamera in una nota.

VIDEO GERUSALEMME. A rischio lo storico quartiere armeno (Pagine Esteri 14.01.24)

Pagine Esteri, 14 gennaio 2023. Lo storico quartiere armeno di Gerusalemme è a rischio demolizione. Una società immobiliare israeliana, la Xana Gardens Ltd, afferma di aver ottenuto dal patriarca armeno un leasing di 99 anni che le permetterebbe di costruire un hotel di lusso su tutta l’area, cinque dei quali sono stati arrestati con l’accusa di aver provocato disordini.

Gli armeni hanno alzato una piccola recinsione per proteggere le loro case e gestiscono un presidio permanente per il timore di nuove incursioni da parte della società immobiliare e degli estremisti israeliani.

La contesa immobiliare non è finita in tribunale ma con le ruspe della società e con decine di coloni israeliani che hanno tentato di cacciare con la forza i membri della comunità armena. Servizio video di Eliana Riva

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IL GENOCIDIO DEGLI ARMENI Marcello Flores (Unlibrotiralaltro 14.01.24)

Ho saputo di quel che era successo agli Armeni durante la Grande Guerra, nel 1915, quando mi capitò di leggere con grande partecipazione, “I quaranta giorni del Moussa Dagh” di Franz Werfel. Si tratta di un romanzo, ricco però di riferimenti storici reali che narra di un fatto realmente avvenuto.

Quello che c’è di bello in questa epopea è che gli armeni che si erano rifugiati sul Mussa Dagh non solo riuscirono a evitare la deportazione e l’eliminazione fisica delle marce nel deserto ma addirittura tennero valorosamente testa ai Turchi e riuscirono infine a salvarsi in gran numero.

Quello toccato agli Armeni è un genocidio, che per varie ragioni viene ricollegato alla Shoah degli Ebrei. “Il genocidio degli Armeni” di Marcello Flores ricostruisce assai bene le due principali persecuzioni turche anti-armene: quella del 1894-96, quando al potere dell’Impero ottomano c’era un sultano e quella del 1915-16 a opera del governo dei Giovani Turchi. A suo avviso si può parlare di genocidio solo in riferimento a quest’ultima, avvenuta durante la prima guerra mondiale.

Le ragioni del “Grande Male” (così lo chiamano gli Armeni, che lo ricordano il 24 aprile di ogni anno), gli avvenimenti, gli schieramenti politici, le idee politiche e le relazioni internazionali del genocidio vengono ricostruiti e messi in rapporto alle diverse interpretazioni storiografiche. Queste ultime sono andate nel tempo evolvendosi e maturando sotto il profilo sia metodologico che epistemologico. A parte quella negazionista, le più varie interpretazioni convergono comunque sul fatto che di genocidio si sia trattato; per quanto differiscano fra loro in relazione alla datazione del suo inizio e all’individuazione delle motivazioni e delle intenzionalità dei responsabili.

Un’appendice fotografica, compresa di ricostruzione storica specifica, chiude il libro.

Recensione di Ettore Martinez

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Starlink in Armenia: una nuova era di connettività (Ultimometro 14.01.24)

L’Armenia, un paese montuoso situato nella regione del Caucaso, ha sempre avuto difficoltà ad avere una connessione internet affidabile e veloce. Tuttavia, grazie all’introduzione di Starlink, la situazione sta cambiando radicalmente.

Starlink è un servizio di internet satellitare fornito da SpaceX, l’azienda di Elon Musk. Il servizio utilizza una rete di satelliti in orbita bassa per fornire connessioni internet ad alta velocità e bassa latenza in tutto il mondo. Starlink è stato lanciato per la prima volta nel 2018 e, da allora, ha continuato a espandersi in tutto il mondo.

In Armenia, Starlink è stato introdotto per la prima volta nel 2021. Il servizio ha immediatamente attirato l’attenzione degli armeni che hanno sofferto per anni a causa della scarsa connettività internet. Con Starlink, gli armeni possono finalmente godere di una connessione internet veloce e affidabile, indipendentemente dalla loro posizione geografica.

Uno dei principali vantaggi di Starlink è la sua velocità. Il servizio promette velocità di download fino a 300 Mbps e velocità di upload fino a 30 Mbps. Questo è molto più veloce della maggior parte delle connessioni internet disponibili in Armenia. Inoltre, Starlink offre anche una bassa latenza, il che significa che la connessione è molto più reattiva e fluida rispetto ad altre opzioni.

Ma non è solo la velocità che rende Starlink così attraente per gli armeni. Il servizio è anche molto affidabile. A differenza delle connessioni internet tradizionali, che possono essere interrotte da problemi di rete o da eventi atmosferici, Starlink utilizza una rete di satelliti in orbita bassa che sono meno suscettibili a interruzioni. Ciò significa che gli utenti di Starlink possono godere di una connessione internet costante e affidabile, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche o di rete.

Inoltre, Starlink è anche molto conveniente. Il servizio richiede solo un’installazione iniziale e un abbonamento mensile. Non ci sono costi nascosti o sorprese. Questo lo rende un’opzione molto attraente per le famiglie e le piccole imprese che cercano di risparmiare sui costi di connettività internet.

Ma come funziona esattamente Starlink in Armenia? Gli utenti di Starlink ricevono un kit di installazione che include un’antenna satellitare, un modem e un cavo di alimentazione. L’antenna satellitare deve essere installata all’aperto, in modo che possa ricevere un segnale diretto dai satelliti Starlink in orbita bassa. Una volta installata, l’antenna satellitare si connette al modem, che a sua volta si connette al computer o al router.

Una volta che il kit di installazione è stato configurato correttamente, gli utenti di Starlink possono godere di una connessione internet veloce e affidabile. Il servizio è disponibile in tutto il paese, anche nelle zone rurali e montuose che in passato avevano difficoltà ad avere una connessione internet affidabile.

Inoltre, Starlink offre anche una serie di funzionalità avanzate che lo rendono ancora più attraente per gli utenti armeni. Ad esempio, il servizio supporta la videoconferenza ad alta definizione, il che lo rende ideale per le famiglie e le imprese che lavorano da remoto. Inoltre, Starlink offre anche una vasta gamma di opzioni di sicurezza, tra cui la crittografia end-to-end e la protezione contro gli attacchi informatici.

In sintesi, Starlink sta cambiando radicalmente la connettività internet in Armenia. Il servizio offre velocità di download e upload incredibilmente veloci, una bassa latenza e una connessione affidabile in qualsiasi condizione meteorologica. Inoltre, Starlink è anche molto conveniente e offre una serie di funzionalità avanzate che lo rendono ideale per le famiglie e le imprese che cercano di risparmiare sui costi di connettività internet. Con Starlink, l’Armenia sta entrando in una nuova era di connettività, che promette di migliorare la vita di milioni di persone in tutto il paese.

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Israele a Erdogan: Turchia responsabile genocidio armeni (Ilmionapoli 13.01.24)

Polemiche dopo il sostegno turco al Sudafrica all’Aja

Aspra polemica fra Israele e Turchia dopo che il presidente Recep Tayyp Erdogan si è schierato con le tesi avanzate dal Sudafrica all’Aja. “Il presidente della Turchia, lo Stato responsabile del genocidio degli armeni, che pensava che il mondo avrebbe assistito in silenzio – ha replicato su X il ministro degli esteri israeliano, Israel Katz – si ‘vanta’ di aver inoltrato all’Aja documenti che accusano Israele di genocidio”.”Ti conosciamo bene – ha proseguito Katz rivolgendosi ad Erdogan.- Non dimentichiamo il genocidio degli armeni nè le stragi contro i curdi. Avete distrutto un popolo. Noi ci difendiamo dai vostri barbari amici”.


Aja, tensioni intorno a Israele