Chi era Missak Manouchian: immigrato, clandestino e pattugliano eroe antinazista (L’Unità 11.02.24)

e spoglie di Missak Manouchian, resistente comunista d’origine armena in Francia, e della sua compagna Mélinée, a giorni troveranno posto nel Panthéon di Parigi. La cerimonia, da intuire solenne, avrà luogo il prossimo 21 febbraio, ottanta anni dopo la sua esecuzione da parte dei nazisti occupanti l’Esagono. L’annuncio ufficiale è dello scorso 18 giugno dal presidente Emmanuel Macron. Lo stesso onore era stato accordato in tempi recenti solo a Josephine Baker.

Missak Manouchian, dopo l’arresto avvenuto nel novembre 1943, viene fucilato il 21 febbraio 1944, insieme ad altri ventidue compagni di lotta: al Mont-Valérien, nell’Hauts-de-Seine. Con lui, tra gli altri, tutti appartenenti al cosiddetto omonimo “Groupe Monouchian”, trovano la morte anche quattro italiani, a loro volta militanti dei Ftp-Moi (Francs-tireurs et partisans–Main-d’œuvre immigrée): Spartaco Fontanot, Amedeo Usseglio, Cesare Luccarini e Rino Della Negra.

Missak e Mélinée, operanti nei giorni dell’occupazione tedesca, riassumono la memoria di alcune tra le azioni più coraggiose e insieme esemplari del “maquis” francese. Una strada, nel 20° arrondissement parigino, ne segna da molti decenni il ricordo perenne “civile”. La Francia vuol bene ai martiri anti-nazisti.

Charles Aznavour, nella sua amabile autobiografia, consegna parole toccanti e colme di sentimento nel ricordo della famiglia Manouchian, amici, vicini di casa, militanti comunisti, armeni tra gli armeni della diaspora condotti tra mille affanni, stenti e difficoltà materiali in Francia.

Sarà addirittura Mélinée Manouchian a guidare il bambino Aznavour nel suo primo debutto radiofonico vinto con sua sorella Aïda. Anche i genitori di Charles saranno coinvolti nella resistenza accogliendo ebrei ricercati dalla Gestapo e soldati russi e armeni arruolati con la forza nell’esercito tedesco. Sarà Charles personalmente ad occuparsi di sbarazzarsi delle loro uniformi.

Missak Manouchian, nato in Turchia nel 1906, orfano, sfuggito al genocidio degli Armeni operato proprio dai Turchi, giunge da immigrato clandestino a Marsiglia nel 1935. Appassionato di letteratura francese, operaio, aderisce presto, in fabbrica, al Partito comunista francese.

Nel 1940 la sua attività politica gli impone l’obbligo della clandestinità, verrà tratto in arresto l’anno successivo dalla milizia del maresciallo Pétain, quindi consegnato alla Gestapo. L’acronimo Moi corrisponde a Manodopera Immigrata, l’intento politico è consentire l’integrazione degli stranieri attraverso organismi associativi, sportivi e culturali.

Durante l’occupazione nazista della Francia, proprio il Moi diverrà un nucleo di resistenti. Nell’estate del 1943, forte dei suoi 65 attivisti divisi in tre distaccamenti, stranieri o di origine straniera, il Gruppo Monouchian è tra le principali formazioni di resistenza operative a Parigi.

Tra le sue azioni più ardite, l’esecuzione, il 28 settembre 1943, del generale delle SS Julius Ritter, responsabile delle deportazioni per il lavoro coatto di mezzo milione di francesi in Germania. Torturati e sottoposti a un processo privo di garanzie, Manouchian e altri 22 uomini del Ftp-Moi, verranno infine messi a morte.

La propaganda nazista per l’occasione farà affiggere a Parigi, e in molte altre città del paese, un manifesto minaccioso che diverrà noto come “l’Affiche Rouge”, stampato in quasi ventimila copie. L’intento della propaganda dell’occupante è mostrare i “terroristi” da poco trucidati come “ingrati”, “stranieri”, “comunisti”, “rossi”, tra di essi ebrei ed ex combattenti dell’Esercito popolare e volontari della Spagna repubblicana del 1936-1939; i partigiani stigmatizzati come protagonisti della “congiura internazionale comunista e giudea che vuole imporre il terrore”.

Molti di quei manifesti con i volti di dieci tra i fucilati al Mont-Valérien compariranno invece fiori e messaggi pronti a dichiararli “Morti per la Francia” e “Martiri”. Una campagna concepita per screditare la Resistenza, cui si deve la partecipazione attiva del governo collaborazionista di Vichy. Nell’Affiche Rouge c’era modo di leggere: “DEI LIBERATORI? LA LIBERAZIONE! A OPERA DELL’ESERCITO DEL CRIMINE” e ancora figuravano le foto, i nomi e le azioni di 10 partigiani accuratamente scelti (5 ebrei polacchi, 2 ebrei ungheresi, 1 comunista italiano, 1 “rosso” spagnolo, 1 “capo-banda” armeno)”.

Il Panthéon di Parigi accoglie i “grandi uomini che hanno meritato la riconoscenza nazionale”, lì a incarnare “i valori e le virtù repubblicani”Victor Hugo, Émile Zola, Voltaire, Rousseau, e ancora Jean Moulin, protagonista della Resistenza al fianco di De Gaulle, fra i molti altri.

La decisione di Macron di traslare le spoglie di Missak e Mélinée Manouchian serve a ribadire il valore universale dei principi di lotta per la libertà, al di là della nazionalità di appartenenza: si può cioè essere pienamente “citoyennes” per scelta, indipendentemente dal luogo o dalla cultura di nascita. Dall’altra, l’elevazione della Francia a patria universale, luogo delle identità più ampie.

Tra i martiri del Gruppo Manouchian, Spartaco Fontanot, nato a Monfalcone nel 1922, unico italiano a comparire sull’Affiche Rouge, indicato come “Fontanot, comunista italiano, 12 attentati”. Va ancora ricordato Rino Della Negra, ventenne, nato in Francia da genitori originari di Udine, già calciatore dei Red Star di Saint-Ouen-sur-Seine: i tifosi hanno collocato una lapide commemorativa nella tribuna che porta il suo nome nello stadio del sobborgo parigino; infine Amedeo Usseglio; Cesare Luccarini, nato nel 1922 a Castiglione dei Pepoli, Bologna.

Ispirandosi alla lettera che Missak Manoukian invia alla sua compagna di vita Mélinée prima dell’esecuzione, nel 1955, in occasione dell’inaugurazione proprio della via dedicata al “Groupe Manouchian” a Parigi, Louis Aragon, scrive alcuni versi che verranno poi cantati da Léo Ferré. Sempre alla vicenda dell’Ftp-Moi e dell’Affiche Rouge il regista marsigliese di origine armena Robert Guédiguian ha dedicato il film, L’Armée du crime.

Nella lettera d’addio di Missak Manouchian inviata alla moglie leggiamo: “Mia cara Mélinée, amata orfanella, fra qualche ora non sarò più di questo mondo. Verremo fucilati questo pomeriggio alle 15. È una disgrazia, non riesco a crederci ma so che non ti vedrò mai più. Cosa posso scriverti? Tutto in me è confuso e chiarissimo allo stesso tempo. Mi ero arruolato nell’Esercito di Liberazione come soldato volontario e muoio ad un passo dalla Vittoria e dall’obiettivo.  Felicità a coloro che ci sopravviveranno, gusteranno la dolcezza della Libertà e della Pace di domani. Sono certo che il popolo francese e tutti i combattenti per la Libertà sapranno onorare degnamente la nostra memoria.  Nell’ora della morte dichiaro di non avere alcun odio per il popolo tedesco o contro chicchessia, ognuno avrà ciò che merita come castigo e come ricompensa. Ho un profondo rimpianto per non averti resa felice, avrei davvero voluto avere un bambino da te, come hai sempre voluto. Ti prego quindi di sposarti dopo la guerra, sul serio, e di avere un figlio, ne sarei contento ed è questa la mia ultima volontà, sposati con qualcuno che possa renderti felice.  Tutti i miei beni e tutte le mie cose sono per te, per tua sorella e per i miei nipoti. Dopo la guerra potrai far valere il tuo diritto ad una pensione di guerra in quanto mia moglie, perché muoio come soldato regolare dell’esercito francese di liberazione. Con l’aiuto degli amici che mi vorranno onorare farai pubblicare le mie poesie ed i miei scritti che valgono la pena di essere letti.  Mi ricorderai per quanto possibile ai miei parenti in Armenia. Morirò assieme ai miei 23 compagni con il coraggio e la serenità di un uomo che ha la coscienza tranquilla, perché personalmente non ho fatto del male a nessuno e se l’ho fatto l’ho fatto senza odio. Oggi è una giornata di sole. È con lo sguardo sul sole e sulla natura che ho così amato che dirò addio alla vita e tutti voi, carissima moglie mia e carissimi amici. Perdono a tutti coloro che mi hanno fatto del male o me ne hanno voluto fare, a parte a coloro che ci hanno traditi per salvarsi la pelle e a coloro che ci hanno venduto. Ti abbraccio fortissimo, abbraccio anche tua sorella e tutti gli amici vicini o lontani, vi tengo tutti nel mio cuore. Addio. Il tuo amico, il tuo compagno, tuo marito. P.S. Ho quindicimila franchi nella valigia in rue de Plaisance. Se puoi prenderli salda i miei debiti e dai il resto all’Armenia”.

Nel dopoguerra, Mélinée Manouchian ha ipotizzato che nel sospetto che, in quanto stranieri, il suo compagno e gli altri uomini del gruppo potessero essere ritenuti vicini al trotskismo, il Partito comunista francese non abbia messo in atto ogni possibile azione per salvarli.

Sulle facciate d’ogni scuola primaria di Francia una targa ricorda i crimini dei nazisti occupanti, le deportazioni degli ebrei e dei combattenti della Resistenza, precisando ancora che tutto ciò è stato reso possibile “con la complicità del governo collaborazionista di Vichy”.

Qui da noi, figure apicali dell’attuale governo, rifiutano di pronunciare ogni parola che possa mettere in discussione il ricordo dell’infamia fascista o intimamente tacciono quasi infastiditi, anche davanti al chiaro pronunciamento del presidente della Repubblica, forse così nell’attesa di poter finalmente rivendicare con orgoglio la propria storica appartenenza, l’equiparazione tra antifascismo e fascismo.

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