101 poesie di poeti armeni di fine Ottocento e del Novecento. Un’epoca per niente serena, a dir poco (Korazym 12.01.24)

È appena uscito RINASCITA. 101 poesie armene 1890-1989, a cura e traduzione di Mariam Eremian, con la Prefazione di Marco Bais (Fuorilinea 2023, 160 pagine [QUI]). Il libro vuole offrire una finestra sul variopinto mondo letterario armeno, nello specifico sulle poesie di Hovhannes Tumanian, Vahan Terian, Yeghishe Charents [QUI e QUI], Hamo Sahyan, Hovhannes Shiraz, Gevorg Emin, Paruyr Sevak, Metakse, Razmik Davoyan. Tutti loro hanno dato il meglio di sé sia come intellettuali che come combattenti, hanno alzato con forza la propria voce per proclamare la verità, per difendere e sostenere i propri connazionali e, soprattutto, per ispirare la pace e l’amicizia tra i popoli.

«L’armeno è una lingua ricca
e ripagherebbe ampiamente
a chiunque il problema d’impararlo»
(George Gordon Byron).

Le 101 poesie raccolte nel volume si differenziano per stile, linguaggio, periodo, ma convergono per alcuni temi. Il protagonista è l’amore nostalgico, non mancano, però, riflessioni su misteri dell’universo, fragilità e grandezza dell’uomo, odi alla natura, alla madre e alla patria. Completano il volume brevi note sulle vite dei poeti che si snodano tra la fine dell’Ottocento e il Novecento. Un’epoca per niente serena, a dir poco, che inizia col genocidio armeno perpetrato dall’Impero ottomano e attraversa il periodo sovietico e staliniano, di illusioni e nuove sfide. Infine si arriva all’indipendenza dell’Armenia dall’URSS in cui gli Armeni, finalmente liberi, avrebbero fatto i conti con il devastante terremoto del 1988 e la guerra del Nagorno-Karabakh.

«La mia rabbia è colma d’amore, la mia notte colma di stelle»
«In un mondo diviso in bianco e nero, in cui “contano due poli soltanto” e dove le parole importanti sembrano essere solo “sì” e “no”, il poeta opta per l’astensione, ma la sua non è indifferenza né disimpegno, bensì una posizione terza, che si oppone a una visione conformistica delle cose e invita a cogliere le miriadi di sfumature esistenti tra il bianco e il nero e tra il sì e il no. È una riflessione, questa, che trascende le circostanze personali o storiche che l’hanno provocata per acquisire una valenza universale ed eterna. In un certo senso il poeta sfiora qui l’essenza della poesia, che è una forma peculiare di confronto dialettico tra l’uomo e il mondo ed è un tipo particolare di dialogo tra gli uomini, dove a entrare in contatto sono i mondi interiori e il linguaggio non può essere quello formalizzato, univoco, tecnico che solo sembra avere cittadinanza nel nostro mondo moderno, tecnologico e aspirante alla globalizzazione. La lingua del mondo interiore è ambigua, equivoca, evocativa. E dunque la poesia è una forma di resistenza rispetto a un mondo che predilige la semplificazione, la generalizzazione, la riduzione della complessità a sistema binario, l’affermazione del presente come metro su cui misurare non solo il futuro, ma addirittura il passato, da leggersi secondo i principi che regolano, o che si pretende regolino, la nostra vita attuale, secondo una prassi che abolisce qualsiasi sforzo di comprensione, consentendo solo di esprimere giudizi, ma impedendo di comprendere le ragioni» (Marco Bais).

«Figliolo se vuoi che sia
Lieve su di me la terra
Non lasciar incompleta la casa mia»
(Hovhannes Shiraz).

«Chiudo i miei occhi,
Chiudo le mie labbra,
E dentro me chiudo me stesso
Per tenere dentro sospiri e tristezza.
Tu mi sfiori
E tutte le mie chiusure tremano
Davanti al potere della tua carezza»
(Razmik Davoyan).

«Eravamo il mare, la notte, io e te
Solo noi quattro e nessun altro,
Se solo sapesse ciò che ci toglie
Anche l’alba non sorgerebbe di sicuro.
L’uno nell’altra ci cercavamo,
Tessevamo intesa le nostre anime,
Sospesi alle stelle ci cullavamo,
Eravamo il mare, la notte, io e te»
(Hamo Sahyan).

«Quei lumi che un tempo
io dentro m’accesi
per tenere lontano il terrore,
oggi ancora mi danno
un minuscolo raggio di speme
una piccola luce d’orgoglio»
(Yeghishe Charents).

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Un genocidio culturale dei nostri giorni (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.01.24)

Presentazione presso la Camera dei Deputati del volume curato da A. Arslan e A Ferrari, Un genocidio culturale dei nostri giorni. Nakhichevan: la distruzione della cultura e della storia armena, edito da Guerini e Associati, Milano 2023.

Intervengono:

Antonia Arslan, scrittrice, saggista e curatrice del libro

Giulio Centemero, Presidente Gruppo Parlamentare di Amicizia Italia Armenia

Aldo Ferrari, professore presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e curatore del libro

Marco Pizzo, Direttore del Museo Centrale del Risorgimento di Roma

Posti limitati
RSVP – ufficiostampa@guerini.it

https://webtv.camera.it/conferenze_stampa

Erevan conta sull’Unione europea nel negoziato con Baku (Asianews 12.01.24)

Erevan (AsiaNews) – Secondo quanto dichiarato durante un briefing dal ministro degli esteri armeno Ararat Mirzoyan, la missione civile degli osservatori dell’Unione europea in Armenia ha una “importanza vitale” per la sicurezza di tutto il Paese, e soprattutto sulle frontiere con l’Azerbaigian. Egli ha espresso la soddisfazione del governo di Erevan per la decisione della Ue di ampliare la missione, aumentando il numero dei suoi membri e allungando il periodo del suo mandato.

La missione Euma era iniziata il 20 febbraio 2023 di fronte all’acuirsi delle tensioni tra Armenia e Azerbaigian, che hanno portato poi all’occupazione del Nagorno Karabakh, reintegrato nella repubblica azera dopo una guerra durata trent’anni, e riaccesasi in parallelo con i conflitti della Russia con Georgia e Ucraina. Proprio la passività delle forze di pace di Mosca sulle frontiere ha spinto gli armeni a cercare maggiore sostegno da parte dell’Europa, che ha deciso di rispondere secondo i principi di Politica comune di difesa e sicurezza (Csdp) con un gruppo di 138 osservatori per una missione di due anni, che lo scorso 11 dicembre sono stati integrati con altri membri fino a 209 persone, aggiungendo altri due anni di attività sul campo.

Il centro operativo della missione europea si trova a Ekhegnadzor, nella regione armena di Bajots-Dzorsk, ed è attiva anche un’altra base a Idževan nella regione di Tavuš. Lo scopo dell’iniziativa è l’aiuto alla stabilizzazione della situazione nelle zone di frontiera dell’Armenia, il rafforzamento della fiducia e della sicurezza delle persone rimaste vittime in vario modo del conflitto, ora soprattutto dei profughi armeni che hanno abbandonato il Nagorno Karabakh, e anche la ricerca di condizioni che favoriscano la normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Azerbaigian con il sostegno della Ue.

Baku ha più volte contestato il sostegno europeo all’Armenia, ritenendo sufficiente la presenza dei militari russi, che secondo gli azeri dovrebbero occuparsi della de-militarizzazione della zona. La presenza di forze armate armene, secondo l’Azerbaigian, è il fattore che impedisce di arrivare rapidamente a un accordo di pace, permettendo di giungere a una demarcazione condivisa delle frontiere. I russi vogliono mostrarsi neutrali tra i due contendenti, fungendo di fatto da copertura delle azioni militari dell’Azerbaigian, ma senza esercitare eccessive pressioni a loro volta sull’Armenia, non volendo considerarla “in uscita” dalle storiche alleanze post-sovietiche, concedendola all’influenza europea.

Mirzoyan ha invece insistito proprio sugli sviluppi della collaborazione di Erevan con la Ue, che prevedono la realizzazione di diversi altri progetti. A suo parere, “le relazioni tra l’Armenia e l’Unione europea sono in una fase di apertura di nuovi processi a lungo termine, e gli argomenti di cui discutere si stanno accumulando sui tavoli delle trattative”. Alcuni progetti dipendono dall’Accordo di partenariato “onnicomprensivo e ampliato” già esistente, altri si aggiungono anche al di fuori del documento approvato. Il ministro ha concluso assicurando che “nonostante tutte le sfide che stiamo affrontando, l’Armenia continua sulla strada di ampie riforme democratiche, che ci avvicinano sempre di più all’Europa”.

Alle affermazioni di Mirzoyan fanno eco le parole del suo omologo della Grecia, Yorgos Gerapetritis, presente a Erevan in rappresentanza della Ue, secondo il quale questi progetti sono molto importanti non soltanto per l’Armenia, ma per tutta l’Unione europea, che considera il Paese caucasico “una parte importante dell’Europa”, e garantendo il pieno sostegno al cammino intrapreso. Un’azione comune messa a punto di recente è quella del cosiddetto “Incrocio della pace”, un piano funzionale allo sblocco delle comunicazioni e degli itinerari di trasporto in tutte le zone sensibili. Il ministro armeno garantisce che l’Armenia “è decisa in modo inequivocabile sulla questione del ristabilimento della pace, nonostante gli ostacoli, i rallentamenti e gli atteggiamenti distruttivi, e raggiungeremo l’obiettivo il più rapidamente possibile”.

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Consiglio d’Europa: Mijatovic, diritti umani siano al centro dei colloqui di pace tra autorità armene e azere (AgenSir 12.01.24)

La tutela dei diritti umani sia al centro dei colloqui di pace tra autorità armene e azere e vi siano forti garanzie per tutte le persone colpite dal conflitto: questo chiede la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Dunja Mijatović, che oggi ha pubblicato le sue Osservazioni relative alla visita compiuta lo scorso ottobre 2023 nella regione. “Era la prima volta dopo decenni che una missione per i diritti umani di questo tipo ha potuto visitare il Karabakh”, segnala una nota del Consiglio. Al centro del viaggio la preoccupazione per gli oltre 101.000 armeni del Karabakh sfollati in Armenia, in seguito all’azione militare dell’Azerbaigian e al prolungato blocco della strada lungo il corridoio di Lachin. La Commissaria ha incontrato gli sfollati e ha chiesto alle autorità armene di garantire loro “accesso a tutto il supporto necessario nell’immediato, nel medio e nel lungo termine”. Agli Stati membri del Consiglio d’Europa invece chiede di non far mancare il sostegno finanziario. Secondo Mijatović a tutti gli armeni sfollati, dentro e oltre la regione del Karabakh, “dovrebbe essere data la possibilità di ritornare in sicurezza e dignità, anche se al momento sembra ipotetico per la maggior parte”. C’è poi il tema delle violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani: da indagare e, quando necessario, giudicare in modo efficace e tempestivo. Da risolvere ci sono anche la questione delle mine e dei residuati bellici esplosivi, delle persone detenute in relazione al conflitto, delle persone scomparse, dell’incitamento all’odio.

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Gaza, il ministro degli Esteri israeliano a Erdogan: “Siete voi i veri autori di un genocidio” (Agenzia Nova 12.01.24)

Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato oggi che è la Turchia il “vero autore di un genocidio”. In un post su X (ex Twitter), Katz ha affermato che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, “proveniente da un Paese che ha compiuto il genocidio armeno e che pensava che il mondo avrebbe taciuto, oggi è orgoglioso di aver consegnato al tribunale dell’Aia materiali che accusano Israele di genocidio”.

“Non abbiamo dimenticato l’olocausto armeno e i massacri dei curdi da parte della Turchia. Siete voi i veri autori del genocidio. Noi ci stiamo difendendo dai vostri amici barbari”, ha aggiunto il capo della diplomazia israeliana, facendo riferimento al movimento islamista palestinese Hamas. Le dichiarazioni di Katz arrivano dopo che Erdogan, nel corso di un evento del Partito giustizia e sviluppo (Akp), ha citato l’udienza per accuse di genocidio contro Israele svolta ieri e oggi presso la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, affermando: “I documenti (di prove di genocidio) che abbiamo presentato sono utili per l’Aia”. Il primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, “non ha un posto dove nascondersi e non c’è difesa” per l’operazione lanciata nella Striscia di Gaza contro Hamas, ha dichiarato il presidente turco.


Israele a Erdogan: Turchia responsabile genocidio armeni (Ansa 12.01.24)


 

Il Natale della comunità armena di Tbilisi (Osservatorio Balcani e Caucaso 12.01.24)

Quasi due settimane dopo che il Natale era stato celebrato in altre parti del mondo, e un giorno prima che la Georgia celebrasse il Natale ortodosso, la comunità etnica armena di Tbilisi ha celebrato il proprio Natale il 6 gennaio di quest’anno.

Secondo il censimento del 2014, circa 53.000 armeni risiedono nella capitale georgiana, mentre circa 168.000 armeni costituiscono la seconda minoranza etnica più grande della Georgia, esclusi quelli che risiedono nella regione separatista dell’Abkhazia.

Icone culturali di origine armena come il poeta e musicista del XVIII secolo Sayat Nova, vero nome Harutyun Sayatyan, o il regista di fama internazionale Sergei Parajanaov, sono nati a Tbilisi, così come il compositore classico e direttore d’orchestra di epoca sovietica Aram Khachaturyan.

Il primo ministro georgiano Irakli Garibashvili si è congratulato con i cittadini di etnia armena e con i cittadini dell’Armenia, il vicino più meridionale del paese, definendo entrambi come “popolo armeno fraterno”.

Anche la presidente georgiana Salome Zourabichvili ha augurato alla Chiesa apostolica armena e alla sua congregazione “Pace, salute e benessere”. Altri funzionari di Tbilisi hanno fatto lo stesso.

Le immagini ritraggono gli armeni che celebrano il Natale il 6 gennaio 2024 in una delle chiese apostoliche, Sant’Etchmiadzin, a Tbilisi.

Testo e foto di Onnik James Krikorian

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La pulizia etnica in Artsakh: La sfida nel definire un crimine internazionale (Motorblog 12.01.24)

In pochi giorni, le case sono state abbandonate, i negozi chiusi e le chiese hanno sentito le ultime preghiere. Il governo dell’Azerbaigian ha portato a termine la pulizia etnica degli armeni dalle loro terre ancestrali. Il 19 settembre 2023, l’Azerbaigian ha lanciato attacchi militari su larga scala contro Nagorno-Karabakh (“Artsakh”), un’enclave etnica che in precedenza ospitava 120.000 armeni. Da un giorno all’altro, sono riusciti a prendere possesso della regione con la forza, mettendo fine a secoli di presenza armena in quelle terre e a una contesa trentennale per la regione. Mentre molte organizzazioni internazionali si sono sorprese dalla rapidità con cui è stata condotta questa pulizia etnica in modo metodico, i membri della diaspora armena, come me, che avevamo attirato l’attenzione sulla situazione nella regione, non lo eravamo. Siamo dispiaciuti del fatto che la nostra richiesta di aiuto umanitario per la popolazione armena in Artsakh per un intero anno sia caduta nel vuoto, senza risposta da parte della comunità internazionale. Ancora più allarmante è stata l’aggressione del governo dell’Azerbaigian, che è stata condotta senza controllo a causa della mancanza di azione delle istituzioni internazionali nel affrontare adeguatamente la pulizia etnica.

Domande frequenti sulla pulizia etnica

Qual è la definizione di pulizia etnica?
La pulizia etnica si riferisce all’eliminazione intenzionale di un gruppo etnico specifico da un territorio determinato, mediante l’uso della forza.

La pulizia etnica è un crimine riconosciuto dal diritto internazionale?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la pulizia etnica non è stata riconosciuta come un crimine indipendente e non ha una definizione formale nel diritto internazionale. Ciò consente un’interpretazione e un abuso eccessivi quando si tratta di atti di pulizia etnica.

Cosa differenzia la pulizia etnica da altri crimini di guerra?
Ciò che differenzia la pulizia etnica da altri crimini di guerra è l’intenzione di eliminare un gruppo etnico specifico da un territorio determinato mediante l’uso della forza.

Quali implicazioni ha l’adesione dell’Armenia alla Corte Penale Internazionale (CPI)?
Dopo aver ratificato lo Statuto di Roma e essere entrata a far parte della CPI, l’Armenia cerca di rafforzare la propria sovranità e prevenire future intrusioni. Ciò potrebbe anche consentirgli di presentare un caso legale contro l’Azerbaigian, poiché quest’ultimo non è membro della CPI. Tuttavia, questa decisione potrebbe generare tensioni nel rapporto tra l’Armenia e la Russia, poiché i membri della CPI sono impegnati nell’ordine di arresto del presidente russo, Vladimir Putin, per il rapimento di bambini ucraini.

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Giovani donneAspirazione fine dining sperduti sulle montagne armene (L’inkiesta 12.01.24)

Siamo stati a Tsaghkunk, a un’ora dalla capitale Yerevan, per conoscere cucina e volti di un progetto gastronomico ambizioso e indipendente

Pochi giorni fa abbiamo scritto di come per la prima volta ci sia capitato di vedere una nazione dove il livello della miscelazione contemporanea supera quello della gastronomia locale. Stiamo parlando dell’Armenia e quello che non vogliamo che sembri è una gara tra chi è migliore o peggiore dell’altro. È evidente come a partire dalla capitale, e scendendo a pioggia verso i centri minori, vi sia un sottobosco di locali che propongono un’idea di cocktail bar e quindi di mixability che si avvicina molto ai contesti più di successo a livello internazionale. Come struttura dei singoli esercizi, come architetture, come modalità di servizio, ricerca, varietà di prodotto, attenzione alla stagionalità, partecipazione a momenti di scambio e confronto internazionali (vedi i famosi Bar Show di cui abbiamo spesso raccontato). Abbiamo scritto di come la Yerevan Cocktail Week abbiamo portato per la prima volta in Armenia un pool di professionisti internazionali – diversi gli italiani presenti – per creare un evento di racconto culturale sul Paese ma allo stesso tempo di formazione e ispirazione per le nuove generazioni che si approcciano a questo mestiere.

Questo non toglie che di riflesso, anche l’imprenditoria della ristorazione inizi a guardare a queste attività con interesse, investendo in progetti che coinvolgano giovani chef e lavorino nell’ottica di creare sinergie e connessioni con il resto di professionisti. La maggior parte dei ristoranti propongono ancora cibo semplice, tradizionale, ispirato alle ricette arrivate dalle influenze dei territori confinanti e molto legate a ciò che terra e suolo offrono. Tuttavia, iniziano ad esserci format verticali agili e particolarmente giovani nella proposta e nel decoro, ristoranti glamour, all day bar con cucina internazionale e miscelazione, ristoranti italiani, izakaya con banco bar e proposta food di tapas, griglia e main courses.

Insomma, Yerevan sta vivendo in questi anni – da dopo la pandemia e grazie anche all’arrivo di diversi russi e immigrati balcanici – una rinascita economica, culturale e gastronomica. Conosciuta in tutto il mondo per la sua produzione vitivinicola, non esistono ancora ristoranti propriamente detti fine dining e non ancora personaggi di rilievo a livello culinario pronti a confrontarsi con i grandi attori della cucina contemporanea. Uno degli esempi più interessanti in questo senso, è il progetto di Tsaghkunk Restaurant & Glkhatun nell’omonima cittadina di Tsaghkunk, a un’ora dalla capitale e situato a nord del lago Sevan. Arevik Martirosyan è la giovane cheffa a capo di questo progetto, che a trentuno anni, appena sposata, guida un team di otto persone dall’orario pranzo fino al dopo cena.

Arevik è una ragazza particolarmente timida che, dietro un’apparente figura schiva e poco propensa al racconto, cela un carattere determinato e professionale. Due anni e mezzo fa ha lasciato la capitale per trasferirsi in questa cittadina minore, dove dopo un anno è entrata a far parte di questo progetto facendone la sua seconda (alle volte anche prima) casa. Il menu cerca di abbracciare la tradizione armena ma presentando ogni cosa con grande garbo, gusto femminile e freschezza di mise en place, colori, dettagli.

Persino un semplice tagliere di salumi e formaggi acquista una dignità diversa perché presentato al pari di altri piatti e dando il giusto peso a ogni ingrediente, pane in primis. Tuberi, cavoli, patate e vegetali in senso ampio sono molto presenti e per la prima volta vediamo quanto l’attitudine ad attingere da erbe e germogli locali – il wild foraging è estremamente diffuso in Armenia – abbia qui un riscontro effettivo nei piatti. Per la prima volta mangiamo un filetto di pesce, in questo caso si tratta della trota del lago Sevan, prima marinata e poi affumicata.

fish dolma sempre di trota di prossimità sono squisiti, così come gli sfilacci di formaggio chechil fritti con panatura al latticello sono un perfetto accompagnamento di insalate, secondi, piatti freddi o aperitivi. Non mancano i piatti di carne, agnello e maiale, dove il primo viene proposto in portate abbondanti e celebrative, tra cui anche un caldo e confortevole spezzatino. Il ristorante si sviluppa su due piani, dove quello rialzato si presta per occasioni di incontro, convivialità, confronti, volendo anche discussioni e tavole rotonde. Gli interni sono stati pensati in legno, con grandi finestre illuminanti, tavoli ampi, rotondi, aree relax più conviviali e nel complesso un calore avvolgente e rilassante.

A pochi metri dall’ingresso è stato rimesso a nuovo, preservandone l’originale struttura, il vecchio forno interrato del paese (tandoor). Ancora oggi qui si produce quotidianamente il lavash, il pane sottilissimo e croccante tipico armeno, che viene distribuito agli abitanti locali oltre che chiaramente essere servito in più portate al ristorante. In contro-tendenza rispetto alla sua posizione decentrata, lontana dalla capitale e con un lavoro che risente di una stagionalità significativa tra estate e inverno, Tsaghkunk Restaurant sin dall’inizio ha avviato un programma di eventi che ha coinvolto chef da più parti del mondo, invitando giornalisti locali, opinion leaders internazionali a conoscere la realtà, il territorio, le nuove forme di imprenditoria gastronomica e i movimenti del settore fuori dalla capitale.

«Nel 2021 abbiamo avuto la fortuna di riuscire a organizzare una cena di cucina contemporanea armena, ideata con Mads Refslund uno dei co-founder del primo Noma. Nel 2022 abbiamo ospitato lo spagnolo Dmitry Dudin e quest’anno stiamo organizzando un evento con Diego Munoz dal Perù, auspicabilmente in primavera, e Tekuna Gachechiladze dalla Georgia. Credo che queste collaborazioni siano tutte importanti in modo diverso tanto per la nostra piccola realtà quanto per tutto il team perché sono una full immersion di conoscenze, esperienze, confronto e motivazione» mi racconta la Cheffa Arevik. «Spero nel tempo di poter formare una squadra ancora più indipendente sul lavoro per poter tornare presto a viaggiare anche io, lavorare e formarmi in giro per il mondo».

Nonostante si tratti di un centro minore, questi sono contesti particolarmente fertili dove molto è ancora da costruire ma il terreno è vergine, la presa sulla gente del posto è massima e l’impatto del turismo decisivo. Questo è solo l’inizio!

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Artsakh, Chiese e Monasteri Armeni senza Natale. Prima Volta in 1700 Anni. (Stilum Curiae 11.01.24)

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, abbiamo ricevuto da un’amica armena, Teresa Mkhytarian, questo messaggio che ben volentieri portiamo alla vostra attenzione. Non abbandoniamo all’oblio i nostri fratelli armeni, in particolare quelli d’Artsakh/Nagorno Karabagh che la pulizia etnica azera ha forzato via dalle loro case. Buona lettura e diffusione.

§§§

Carissimi,

oggi è il Natale armeno.

  • Cristo è nato e si è rivelato.
  • Sia benedetta la rivelazione di Cristo.
  • Per me, per te è una grande notizia.

È la prima volta in 1700 anni che non si festeggerà il Natale nelle chiese e monasteri dell’Artsakh…

Ma come ha detto il Vescovo dell’Artsakh Vrtanes Srbazan: “L’Artsakh è il Paradiso armeno, e per i cristiani il ritorno al Paradiso è possibile solo attraverso Gesù Cristo. Quindi, cari fratelli e sorelle credenti, inginocchiati davanti all’umile mangiatoia di Gesù Bambino, auguriamo a tutti noi il ritorno con Cristo al Paradiso, all’Artsakh.Cristo è nato ed apparso, Grande Notizia per tutti voi e noi…”

Anche io sono sicura, che il ritorno in Artsakh è possibile solo con Gesù Cristo.

Sono stata invitata in Californa ,sono appena tornata. Ho partecipato a varie conferenze in diverse città californiane, ho dato due interviste sulla televisione sempre sul tema dell’Artsakh. In California vivono circa 2 milioni di armeni.  La mia proposta durante queste conferenze era l’unione del popolo di Cristo. Nel mondo materiale non è possibile vincere il nemico, perché i padroni del mondo insieme ai turchi dispongono di interminabili mezzi materiali e corrompono le persone che prendono decisioni, l’élite agoverno. Anche il governo armeno collabora con i nemici.

Quindi per ritornare in Artsakh, bisogna percorrere un cammino spirituale, dove al capo del cammino sarà Gesù Cristo, l’Invincibile.

Perciò ho chiamato questo cammino ‘’La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh’’.

A uno degli incontri a Los Angeles, c’erano il vescovo dell’Artsakh, quello della Chiesa Armena Apostolica e il vescovo armeno della Chiesa cattolica, poi uomini d’affari, giornalisti, medici… erano tutti molto diversi, ma entusiasti della mia proposta.

‘’Dobbiamo cercare degli amici che ci aiuteranno a ritornare in Artsakh. Non devono essere solo armeni, ma Cristiani che amano Cristo e che non sono corruttibili. Diventando Amici dell’Artsakh, uno dei luoghi con più tracce del Cristianesimo Antico, con uno dei popoli cristiani più antichi, queste personpotrebbero così anche ritrovare le loro stesse radici cristiane, e quindi ritrovare sé stessi.

E poi il popolo di Cristo non ha nazionalità. Non importa se sono americani, russi, italiani, svizzeri o finlandesi, l’amore di Gesù li unisce tutti. Di per sé neanche le persone che hanno scelto di vendere l’anima per la materia, neanche loro conoscono confini geografici, sono dentro un progetto cattivo che è internazionale.

Non sono soltanto gli armeni ad avere bisogno un rifugio in Cristo in questi tempi difficili.

Il Male perseguita tutti in vari modi e il mondo intero è sempre più colpito, confuso, disturbato.

Non è che se in America non ci sono i turchi, la gente è lasciata a vivere in pace. La lotta contro l’uomo che appartiene a Dio c’è dappertutto. In California ci sono bagni pubblici, incluso nelle università, dove hanno cominciato a fare dei bagni specifici per gli uomini che si sentono gatti. Mi raccontavano degli studenti universitari che dei loro compagni si fanno chiamare ‘’It’’ e dicono di sentirsi dei gatti e nella conversazione fanno anche ‘miao’.

O ai neonati non scrivono più il sesso, con ragioni del tipo ‘deciderà quando sarà grande’.

 

Quindi la confusione c’è dappertutto e l’unico modo per rimanere uomini è seguire la strada di Gesù, non ci sono confusioni, è tutto chiaro e semplice.

Durante il giorno avevo tanti incontri con la gente e di notte non riuscivo dormire per il cambiamento dell’orario. Allora lavoravo e poi facevo con i miei amici in Armenia dei pacchi alimentari per tre mesi per la gente dell’Artsakh, facevo le ordinazione del cibo dai vari villaggi in Armenia etc. È un po’ stancante, ma per alcuni giorni si può fare.

Gli ex governanti dell’Artsakh mi hanno chiesto di sostenere  i casi più difficili degli sfollati – le famiglie dove sono morte più persone in una famiglia.  Parlo al telefono con loro varie volte per capire di cosa hanno bisogno per poter sopravvivere. Gli stiamo regalando vestiti, cibo, paghiamo l’affitto e vari cose che mi chiedono …

Dopo aver aiutato con le cose materiali, li dico sempre:

  • Guardate, le cose materiali vi aiuteranno a sopravvivere fisicamente, ma la nostra anima appartiene a Dio, quindi solo Lui può curarla. Sembra quasi impossibile vivere quando il marito e tre figli sono stati uccisi, è un peso troppo grande, nessun uomo può togliere questo peso, solo il Signore può. Quindi andate da Colui che vi aiuterà guarire la vostra anima, andate in Chiesa, partecipate alle messe e condividete con Lui il vostro grande insopportabile dolore ….. ‘’.

Mi promettono che lo faranno.

Questa è una lettera che ho ricevuto da Zara 2 giorni fa. Ha perso 4 persone della sua famiglia …

‘’Cara Teresa, a dire il vero, siccome nella nostra famiglia c’erano persone scomparse a causa dell’esplosione in Artsakh, pregavo Dio ogni giorno che almeno uno tra i quattro scomparsi fosse vivo, e se nel caso in cui nessuno di loro fosse vivo, ho giurato che non sarei mai più entrata in chiesa.

E pensavo che non esistesse più Dio. E dopo, sei apparsa tu nella nostra famiglia, come se fossi stata mandata da Dio.

Mi hai detto più volte di andare in chiesa a messa. Ero indecisa, da una parte avevo giurato di non entrare più in chiesa, dall’altra parte le tue parole risuonavano continuamente alle mie orecchie. Due giorni fa leggevo quello che hai scritto sulla Felicità e allora ho deciso di andare di nuovo in chiesa.

Grazie di cuore per il tuo grande aiuto di tornare di nuovo nella casa di Dio e di ritrovare la Fede.

Dopo queste perdite, in me c’era una tempesta, passavo le mie giornate a piangere continuamente, ma gli ultimi giorni, pregando Dio, ho trovato pace dentro di me”.

 

La Pace, quella di Dio, sia con tutti noi.

  • Cristo è nato e si è rivelato.
  • Sia benedetta la rivelazione di Cristo.
  • Per me, per voi è una grande notizia.

Felice Anno Nuovo,

Un abbraccio

Teresa

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Terra sacra dell’Artsakh. Dimora eterna del Cristianesimo (Korazym 11.01.24)

A Parigi è stata aperto una mostra fotografica in place de la Bastille per aumentare la consapevolezza sul patrimonio armeno a rischio in Artsakh. Intitolata Nagorno-Karabakh: Patrimonio armeno a rischio, la mostra è stata organizzata dal Comune di Parigi e L’Œuvre d’Orient, un’associazione cattolica francese, e sarà aperta fino al 15 gennaio.

 

 

 

L’Ambasciatore armeno in Francia, Hasmik Tolmajian, ha partecipato alla cerimonia di apertura e ha ringraziato gli organizzatori – rappresentati dai Vicesindaci di Parigi, Carine Rolland e Arnaud Ngatcha, e il Presidente dell’Œuvre d’Orient, Jean-Yves Tolot – per il sostegno all’Armenia e al popolo armeno.
Nel suo intervento, l’Ambasciatore Tolmajian ha avvertito che, dopo aver perpetrato la pulizia etnica in Artsakh, l’Azerbajgian vuole ora cancellare le tracce della presenza armena nel Paese, che sono presenti 1700 anni e sono testimoniate dalle immagini esposte nella mostra. L’Ambasciatore armeno ha sottolineato l’importanza degli sforzi internazionali volti a preservare il patrimonio storico-culturale-religioso armeno a rischio nell’Artsakh.

Terra sacra dell’Artsakh. Dimora eterna del Cristianesimo.
6 gennaio 2024
La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh
di Teresa Mkhitaryan

Oggi è il Natale armeno. Cristo è nato e si è rivelato. Sia benedetta la rivelazione di Cristo. Per me, per te è una grande notizia. È la prima volta in 1700 anni che non si festeggerà il Natale nelle chiese e monasteri dell’Artsakh…
Ma come ha detto il Vescovo dell’Artsakh Vrtanes Srbazan: “L’Artsakh è il Paradiso armeno, e per i cristiani il ritorno al Paradiso è possibile solo attraverso Gesù Cristo. Quindi, cari fratelli e sorelle credenti, inginocchiati davanti all’umile mangiatoia di Gesù Bambino, auguriamo a tutti noi il ritorno con Cristo al Paradiso, all’Artsakh. Cristo è nato ed apparso, Grande Notizia per tutti voi e noi…”. Anche io sono sicura, che il ritorno in Artsakh è possibile solo con Gesù Cristo.
Sono stata invitata in California, sono appena tornata. Ho partecipato a varie conferenze in diverse città californiane, ho dato due interviste sulla televisione sempre sul tema dell’Artsakh. In California vivono circa 2 milioni di Armeni. La mia proposta durante queste conferenze era l’unione del popolo di Cristo. Nel mondo materiale non è possibile vincere il nemico, perché i padroni del mondo insieme ai Turchi dispongono di interminabili mezzi materiali e corrompono le persone che prendono decisioni, l’élite al governo. Anche il governo armeno collabora con i nemici.
Quindi per ritornare in Artsakh, bisogna percorrere un cammino spirituale, dove al capo del cammino sarà Gesù Cristo, l’Invincibile. Perciò ho chiamato questo cammino ‘’La nostra odissea spirituale per salvare Artsakh’’.
A uno degli incontri a Los Angeles, c’erano il vescovo dell’Artsakh, quello della Chiesa Armena Apostolica e il vescovo armeno della Chiesa Cattolica, poi uomini d’affari, giornalisti, medici… erano tutti molto diversi, ma entusiasti della mia proposta.
Dobbiamo cercare degli amici che ci aiuteranno a ritornare in Artsakh. Non devono essere solo Armeni, ma Cristiani che amano Cristo e che non sono corruttibili. Diventando Amici dell’Artsakh, uno dei luoghi con più tracce del Cristianesimo Antico, con uno dei popoli cristiani più antichi, queste persone potrebbero così anche ritrovare le loro stesse radici cristiane, e quindi ritrovare sé stessi.
E poi il popolo di Cristo non ha nazionalità. Non importa se sono Americani, Russi, Italiani, Svizzeri o Finlandesi, l’amore di Gesù li unisce tutti. Di per sé neanche le persone che hanno scelto di vendere l’anima per la materia, neanche loro conoscono confini geografici, sono dentro un progetto cattivo che è internazionale.
Non sono soltanto gli Armeni ad avere bisogno un rifugio in Cristo in questi tempi difficili.
Il Male perseguita tutti in vari modi e il mondo intero è sempre più colpito, confuso, disturbato.
Non è che se in America non ci sono i Turchi, la gente è lasciata a vivere in pace. La lotta contro l’uomo che appartiene a Dio c’è dappertutto. In California ci sono bagni pubblici, incluso nelle università, dove hanno cominciato a fare dei bagni specifici per gli uomini che si sentono gatti. Mi raccontavano degli studenti universitari che dei loro compagni si fanno chiamare ‘’It’’ e dicono di sentirsi dei gatti e nella conversazione fanno anche “miao”.
O ai neonati non scrivono più il sesso, con ragioni del tipo “deciderà quando sarà grande”.
Quindi la confusione c’è dappertutto e l’unico modo per rimanere uomini è seguire la strada di Gesù, non ci sono confusioni, è tutto chiaro e semplice.
Durante il giorno avevo tanti incontri con la gente e di notte non riuscivo dormire per il cambiamento dell’orario. Allora lavoravo e poi facevo con i miei amici in Armenia dei pacchi alimentari per tre mesi per la gente dell’Artsakh, facevo le ordinazioni del cibo dai vari villaggi in Armenia etc. È un po’ stancante, ma per alcuni giorni si può fare.
Gli ex governanti dell’Artsakh mi hanno chiesto di sostenere i casi più difficili degli sfollati – le famiglie dove sono morte più persone in una famiglia. Parlo al telefono con loro varie volte per capire di cosa hanno bisogno per poter sopravvivere. Gli stiamo regalando vestiti, cibo, paghiamo l’affitto e vari cose che mi chiedono…
Dopo aver aiutato con le cose materiali, li dico sempre: «Guardate, le cose materiali vi aiuteranno a sopravvivere fisicamente, ma la nostra anima appartiene a Dio, quindi solo Lui può curarla. Sembra quasi impossibile vivere quando il marito e tre figli sono stati uccisi, è un peso troppo grande, nessun uomo può togliere questo peso, solo il Signore può. Quindi andate da Colui che vi aiuterà guarire la vostra anima, andate in Chiesa, partecipate alle messe e condividete con Lui il vostro grande insopportabile dolore». Mi promettono che lo faranno.
Questa è una lettera che ho ricevuto da Zara 2 giorni fa. Ha perso 4 persone della sua famiglia: «Cara Teresa, a dire il vero, siccome nella nostra famiglia c’erano persone scomparse a causa dell’esplosione in Artsakh, pregavo Dio ogni giorno che almeno uno tra i quattro scomparsi fosse vivo, e se nel caso in cui nessuno di loro fosse vivo, ho giurato che non sarei mai più entrata in chiesa. E pensavo che non esistesse più Dio. E dopo, sei apparsa tu nella nostra famiglia, come se fossi stata mandata da Dio. Mi hai detto più volte di andare in chiesa a Messa. Ero indecisa, da una parte avevo giurato di non entrare più in chiesa, dall’altra parte le tue parole risuonavano continuamente alle mie orecchie. Due giorni fa leggevo quello che hai scritto sulla Felicità e allora ho deciso di andare di nuovo in chiesa. Grazie di cuore per il tuo grande aiuto di tornare di nuovo nella casa di Dio e di ritrovare la Fede. Dopo queste perdite, in me c’era una tempesta, passavo le mie giornate a piangere continuamente, ma gli ultimi giorni, pregando Dio, ho trovato pace dentro di me».
La Pace, quella di Dio, sia con tutti noi.
Cristo è nato e si è rivelato.
Sia benedetta la rivelazione di Cristo.
Per me, per voi è una grande notizia.
Felice Anno Nuovo,
Un abbraccio
Teresa Mkhitaryan

Foto di copertina: il khachkar (croce di pietra) scolpito vicino all’ingresso di Gtichavank, monastero nella regione di Hadrut dell’Artsakh, completato nel 1248.

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