Svolta sui prigionieri. Ecco il banco di prova per la pace tra Azerbaigian e Armenia (Formiche 11.12.23)

Le parti hanno concordato di cogliere “un’occasione storica per raggiungere la pace tanto attesa nella regione”. Punto di partenza la sentenza con cui lo scorso 17 novembre la Corte Internazionale di Giustizia ha riconfermato l’integrità territoriale dell’Azerbaigian sul Garabagh. Mentre il tradizionale mediatore dell’area, la Russia, ha visto sfarinarsi la sua influenza in loco, Bruxelles e Washington hanno chiesto disponibilità e impegno

Potrebbe rappresentare una svolta la decisione di Azerbaigian e Armenia di accettare uno scambio di prigionieri di guerra, tra cui militari detenuti e condannati, nell’ambito di un processo diplomatico che metta fine alle tensioni nel Garabagh. Mentre il tradizionale mediatore dell’area, la Russia, ha visto sfarinarsi la sua influenza in loco, Bruxelles e Washington hanno chiesto disponibilità e impegno, Baku e Yerevan provano a rispondere in maniera costruttiva. Cosa può cambiare dopo la conversazione telefonica del segretario di stato americano, Antony Blinken, con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e dopo la sentenza con cui lo scorso 17 novembre la Corte Internazionale di Giustizia ha riconfermato l’integrità territoriale dell’Azerbaigian sul Garabagh?

Primo passo

Da settimane entrambi i Paesi spiegano che un accordo di pace potrebbe essere firmato entro la fine dell’anno, ma i colloqui fino ad oggi avevano registrato non molti progressi, dal momento che secondo Baku il fatto che l’Armenia abbia impiegato circa 2 mesi e mezzo per rispondere alle proposte dell’Azerbaigian riguardo al progetto di accordo di pace poneva dei ritardi oggettivi sull’intero processo. Le commissioni per la determinazione dei confini di Armenia e Azerbaigian si sono incontrate nella regione di confine tra i due paesi il 30 novembre scorso.

Così in base all’accordo, l’Azerbaigian si impegna a liberare 32 militari armeni, mentre Yerevan ne rilascerà due, al contempo i due paesi promettono di proseguire “le discussioni sull’attuazione di ulteriori misure di rafforzamento della fiducia, efficaci nel prossimo futuro e chiederanno alla comunità internazionale di sostenere i loro sforzi”.

L’accordo sullo scambio, che il presidente del Consiglio Ue Charles Michel ha definito un “passo chiave”, è il frutto di una serie di incontri e colloqui mediati da Usa e Ue. Pollice in su anche dal ministero degli Esteri armeno secondo cui Yerevan “ha risposto positivamente all’offerta del segretario di Stato americano Antony Blinken di organizzare l’incontro dei ministri degli Esteri di Armenia e Azerbaigian a Washington”.

Le posizioni

Secondo Aliyev il punto di partenza va individuato in “cinque principi fondamentali” che rappresentano la cosiddetta base di un accordo di pace con l’Armenia. Spiccano tra i punti salienti il “reciproco riconoscimento dell’integrità territoriale dell’altro” e “nessun uso della forza, nessuna rivendicazione territoriale reciproca”.

Di contro Pashinyan ha osservato che la dissoluzione del Nagorno-Karabakh era inevitabile dopo una serie di cambiamenti sostanziali nel processo di negoziazione datato agosto 2016. “L’impossibilità emotiva di avviare una conversazione del genere era che ciò avrebbe significato dire alla Repubblica di Armenia e al suo popolo che per 30 anni abbiamo semplicemente perso tempo, spendendo tempo e risorse su un problema che era insolubile in primo luogo”, ha aggiunto.

Nel mezzo lo sfarinamento dell’influenza russa in loco, e l’ulteriore passo dei due paesi, come spiegato su queste colonne dal viceministro italiani degli esteri, Edmondo Cirielli. L’Armenia sosterrà la candidatura azera ad ospitare la 29esima Sessione della Cop29 ritirando la propria candidatura e l’Azerbaigian sosterrà la candidatura armena per l’adesione all’Ufficio Cop del Gruppo dell’Europa dell’Est.

Qui Roma

Di nuova fase nelle relazioni tra Armenia e Azerbaigian ha parlato il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, secondo cui con questa intesa due paesi da anni in contrasto “imboccano con decisione una strada che auspichiamo li porti presto a una pacificazione, che noi vogliamo totale e definitiva, una nuova fase che li avvicinerà sempre più all’Europa, che permetterà a tutti noi europei di allargare gli spazi di cooperazione e di collaborazione pacifica”.

Inoltre la notizia dell’accordo cade in un giorno significativo per Baku, dal momento che ricorre il 100esimo anniversario della nascita del leader nazionale dell’Azerbaigian, Heydar Aliye, festeggiato a Roma con un concerto nel Palazzo della Cancelleria, alla presenza dei diplomatici azerbaigiani, Ilgar Mukhtarov per la Santa Sede e Rashad Aslanov per l’Italia. Tra l’altro proprio quest’anno è stata aperta l’ambasciata azerbaigiana presso la Santa Sede.

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Armenia-Azerbaigian verso la normalizzazione delle relazioni. (Rassegna Stampa 10.12.23)

Armenia-Azerbaigian verso la normalizzazione delle relazioni. Dietro la mossa il difficile avvicinamento di Yerevan a Ue e Usa (Il Fatto Quotidiano 10.12.23)

LA PACE NEL CAUCASO È ANCORA MOLTO LONTANA? (Notizie Geopolitiche 10.12.23)

Il Consiglio di sicurezza armeno: “Pronti a firmare il trattato di pace con l’Azerbaigian a dicembre” (AgenziaNova 10.12.23)

Papa Francesco: “Guardo con speranza a segni di pace Armenia-Azerbaigian” (Streeam24 10.12.23)

Papa Francesco: “Guardo con speranza a segni di pace Armenia-Azerbaigian” (La Presse)

Papa Francesco, nuovo appello ad Hamas per la liberazione degli ostaggi e a Israele chiede di rispettare i civili a Gaza (Il messaggero)

Diritti umani: Papa, un impegno mai finito (Toscanaoggi)

L’Armenian Philarmonic Orchestra in esclusiva nazionale: un ponte tra Alpi e Ararat (Pordenone today 10.12.23)

Con un evento d’eccezione nel segno della grande musica sinfonica, il Teatro Verdi di Pordenone celebra lunedì 11 dicembre la Giornata Internazionale della Montagna con un programma che crea un “ponte musicale” tra le Alpi e il monte Ararat, simbolo dell’identità culturale armena.

In programma alle 20.30 il concerto in esclusiva assoluta per l’Italia, ”Dall’Ararat alle Alpi”, con l’Armenian Philharmonic Orchestra diretta da Eduard Topchjan: oltre 100 musicisti sul palco per l’esecuzione della monumentale Eine Alpensinfonie di Richard Strauss, il brano sinfonico che meglio di ogni altro racconta l’identità della montagna. Nei suoi 50 minuti di estensione, la Alpensinfonie mette in musica il grande amore del suo autore per la montagna, e si dipana attraverso 22 brevi movimenti, che narrano una scalata verso la vetta.

“Dall’Ararat alle Alpi” è il motto di questo concerto che celebra anche una nuova conoscenza, un nuovo ponte culturale tra Italia e Armenia, a cui sono dedicati anche gli altri due brani in programma, che fanno da corollario al capolavoro di Strauss. Si tratta del Concerto per violino del compositore di origine armena Aram Khatchaturian, con la violinista Anush Nikogosyan come solista, e il breve affresco sinfonico Armenia composto da Gian Francesco Malipiero ad Asolo nel 1917, in omaggio ad un amico armeno, a due anni dal Genocidio Armeno del 1915.

La presenza della celebrata Orchestra di Stato dell’Armenia con l’esecuzione della monumentale opera di Strauss, eseguita per la prima volta sul palco del teatro di Pordenone, è frutto dell’intenso lavoro del Presidente del Verdi Giovanni Lessio e del consulente musicale Roberto Prosseda che hanno attivato numerose partnership artistiche e istituzionali, dove spicca la collaborazione del Ministero del Turismo e del Club Alpino Italiano. Molto rilevante anche il sostegno dell’Armenia a partire dal Ministero della Cultura della Repubblica d’Armenia, del patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia e della collaborazione con il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena C.S.D.C.A. di Venezia. Attesa ospite del Teatro Verdi per l’occasione L’Ambasciatrice della Repubblica di Armenia in Italia SE Tsovinar Hambardzumyan.

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TEATRO VERDI PORDENONE: LUNEDÌ 11 DICEMBRE “DALL’ARARAT ALLE ALPI”, SUL PALCO GLI OLTRE 100 MUSICISTI DELL’ARMENIAN PHILHARMONIC ORCHESTRA, DIRETTA DAL SUO DIRETTORE PRINCIPALE EDUARD TOPCHJAN

Sì di Baku e Yerevan alla pace, a due mesi dall’invasione del Nagorno-Karabakh (Rassegna Stampa 9.12.23)

I tentativi di pace fra Armenia e Azerbaigian dimostrano che ha vinto la guerra(Haffington Post)

La Segretaria generale in visita ufficiale in Azerbaigian (Consiglio d’Europa  08.12.23)

Armenia Azerbaigian: partiti i colloqui di pace, ma non è detto che abbiano successo (Scenarieconomici)

Baku in pole per la prossima conferenza sul clima nonostante l’invasione del Nagorno-Karabakh. Sarebbe la terza città produttrice di petrolio a ospitare la Cop (Repubblica)

Cop28, accordo sull’Azerbaijan come sede della prossima Cop (Quotidiano Nazionale)

Soddisfazione del Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, On. Antonio Tajani, per l’intesa raggiunta tra Armenia e Azerbaigian (Esteri)

Passi avanti tra Azerbaigian e Armenia (Osservatore Romano)

DICHIARAZIONE CONGIUNTA DELL’AMMINISTRAZIONE PRESIDENZIALE DELLA REPUBBLICA DELL’AZERBAIGIAN E DELL’UFFICIO DEL PRIMO MINISTRO DELLA REPUBBLICA D’ARMENIA (Notizie Geopolitiche)

Armenia-Azerbaigian lavorano per un accordo di pace (Tag24 08.12.23)

Armenia e Azerbaigian: la pace è possibile (Askanews 07.12.23)

Sì di Baku e Yerevan alla pace, a due mesi dall’invasione del Nagorno-Karabakh (Euronews 07.12.23)

Armenia e Azerbaijan avvieranno colloqui di pace (Postbits 08.12.23)

Fermiamo il genocidio culturale (Merateonlie 08.12.23)

La cacciata degli armeni dal Nagorno Karabakh compiuta ad opera dell’esercito dell’Azerbaijan, il 19/20 Settembre scorso, pone con drammaticità la questione umanitaria di otre 120.000 persone che in pochi giorni hanno dovuto lasciare le loro case e beni ancestrali e rifugiarsi nella vicina Armenia.

Questa guerra nasce dal dissolvimento della vecchia Unione Sovietica e dall’odio nazionalista, ha già causato la distruzione di monumenti siti storici, memorie culturali armene nell’enclave del Nakhichevan, il rischio incombente è che tale modello venga adottato anche nel Nagorno Karabakh passato recentemente sotto il controllo dell’Azerbaijan.

Una chiara condanna è stata espressa dal Parlamento Europeo il 10 Marzo 2022, rispetto alla distruzione irreversibile del patrimonio religioso e culturale del Nakhichevan avvenuta ad opera del Governo Azero, dove sono state distrutte e frantumate dalle fondamenta 89 tra monasteri e chiese armene, 20.000 tombe ed oltre 5000 lapidi (Khachkar), allo scopo esplicito di cancellare la memoria e l’identità di un popolo.

E’ necessario quindi, che il mondo intero conosca questa sciagura compiuta dall’Azerbaijan distruggendo un patrimonio dell’umanità, nei giorni nostri e passata di fatto sotto silenzio dai grandi mezzi di comunicazione, che grazie alla guerra in Ucraina e le imponenti rendite petrolifere, sta conducendo un’offensiva per rafforzare la propria posizione internazionale.

L’esito vittorioso della guerra del Settembre 2020, ha indotto il dittatore amico Aliyev, a rivendicare ed imporre ogni loro pretesa ad acconsentire la realizzazione del collegamento tra l’Azerbaijan e l’enclave del Nakhichevan, appoggiato dalla Turchia, minacciando in questo obbiettivo l’Armenia che sul piano militare è fortemente penalizzata per il sostanziale disimpegno della Russia, tradizionale difensore dell’Armenia.

La situazione attuale, impone un’azione preventiva che allontani le mire espansioniste Azere e nel contempo fermi le volontà già poste in atto per estirpare ed annientare l’esistenza di un popolo cancellando il loro patrimonio storico culturale e religioso.

La nostra memoria ci ammonisce al genocidio subito dal popolo Armeno nel 1915 ad opera dei Giovani Turchi, morirono oltre 1.500.000 armeni e occuparono illegalmente le loro terre, oggi si sentono fortemente minacciati dal dittatore Aliyev, che non ha esitato a calpestare la bandiera dell’Artsakh appena entrato nel palazzo Presidenziale a Stefanakerk.

Il recente accordo per lo scambio di prigionieri di ambo le parti, apre uno spazio importante nel quale la diplomazia, il Governo italiano con l’Unione Europea, quali fruitori preferenziali di gas e petrolio, assumano ed impongano  con determinazione la fine del genocidio del patrimonio culturale e il diritto all’esistenza del popolo Armeno.

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In un libro la figura del cardinale Agagianian, una grande anima dell’Armenia (VaticaNews 07.12.23)

Anca Martinaș – Città del Vaticano

Il libro è stato pubblicato a distanza di un anno dalla cerimonia di apertura dell’inchiesta diocesana sulla causa di beatificazione e canonizzazione del Servo di Dio Gregorio Agagianian, svoltasi il 28 ottobre 2022, nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Firmato da Alessandra Scotto, il volume reca la prefazione del cardinale Fernando Filoni, e la postfazione di Raphaël Bedros XXI Minassian, patriarca di Cilicia della Chiesa armeno-cattolica. Pubblicato dalla casa editrice Velar, la revisione editoriale è stata curata da Feliciano Innocente.

Figura di spicco del Concilio Vaticano II, Agagianian (1895-1971) fu uno dei moderatori richiesti da Papa Paolo VI e, prima ancora, da Papa Giovanni XXIII per dare forma e preparare i lavori del Concilio Vaticano II, soprattutto per quanto riguarda l’attività missionaria, dato il suo ruolo di prefetto della Congregazione de Propaganda Fide tra il 1960 e il 1970. Anche nel periodo post-conciliare, il cardinale di origine armena si impegnò instancabilmente nell’attuazione delle decisioni prese durante i lavori.

Arricchito da fotografie, riflessioni e testimonianze relative all’attività missionaria di questo discepolo con una forte passione per Cristo, il libro presenta al lettore il modello di un pastore di anime che si è lasciato consumare dal fuoco del Vangelo e dell’amore per Cristo e per il prossimo.

L’opera non è solo una raccolta di preziosi documenti che restituiscono alla memoria il ritratto umano, spirituale e missionario di un pastore che ha vissuto e servito in spirito di autentica santità, ma aiuta anche a comprendere l’intervento divino nel mondo, come diceva lo stesso cardinale Agagianian: “Dio sa controbilanciare la potenza del male con il peso del bene; la provocazione sfacciata del peccato col sorriso quasi senza apparenze della santità.”

Il futuro porporato conobbe da giovane l’orrore dello Metz Yeghern, il “Grande Male”, nome dato al genocidio contro gli armeni del 1915 e promise che non avrebbe mai abbandonato il suo popolo e che avrebbe cercato di fare il massimo bene. Una promessa che consola quando molti armeni hanno nuovamente assaporato il dramma e l’amarezza dell’esodo, con oltre 40 mila famiglie sfollate a causa del conflitto nella regione del Caucaso. Agagianian aveva intuito che per riunire nuovamente il popolo disperso dopo il Grande Male del 1915 occorreva costruire chiese e monasteri attorno ai quali raccogliere gli armeni sfollati. Nello stesso spirito, l’attuale Patriarca di Cilicia della Chiesa armena cattolica, Minassian, ha chiesto la protezione dei monasteri e dei luoghi di culto armeni nella regione del Caucaso mediriodnale, chiedendo che vengano rispettati e protetti.

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Carta d’Armenia: una finestra sulle tradizioni e profumi di un’antica cultura (Toscanaoggi 07.12.23)

La Carta d’Armenia, più di un semplice oggetto di uso quotidiano, è una porta aperta sulle tradizioni, i riti e le pratiche di un popolo antico. La Carta d’Armenia Papier D’Armenie è un prodotto che ha radici profonde nella storia e nella cultura armena. Si tratta di una carta sottile, impregnata di essenze naturali, principalmente di benzoino, che quando bruciata emana un profumo caratteristico e avvolgente. Questa tradizione risale a secoli fa, quando i monaci armeni utilizzavano la resina di benzoino per le sue proprietà aromatiche e purificanti. La Carta d’Armenia era usata nelle chiese come mezzo per creare un’atmosfera di sacralità e per purificare l’aria dagli odori. Il suo uso si è poi diffuso tra la popolazione, diventando parte integrante delle abitudini quotidiane e delle pratiche religiose.

Come si fa la Carta d’Armenia

La produzione della Carta d’Armenia è rimasta fedele alla sua ricetta originale, testimoniando un legame indissolubile con la tradizione. La carta viene immersa in una soluzione in cui il benzoino, estratto dagli alberi del genere Styrax, è il protagonista. Questa resina viene miscelata con altre essenze naturali, seguendo una procedura che è stata perfezionata e tramandata nel corso dei secoli. Il risultato è un prodotto che non solo possiede un aroma unico e riconoscibile, ma che è anche un pezzo di storia vivente, un legame tangibile con il passato.

Come si utilizza

L’uso della Carta d’Armenia non si limita alla sola profumazione degli ambienti. Nella cultura armena, questo prodotto aveva un ruolo centrale in vari aspetti della vita quotidiana e religiosa. Bruciare la Carta d’Armenia era considerato un atto di purificazione e protezione, in grado di allontanare le energie negative e di creare un ambiente sereno e sacro. Era utilizzata anche in occasioni speciali, come durante le festività e le celebrazioni, per invocare benedizioni e per onorare le tradizioni.

La Carta d’Armenia nel contesto moderno

Nell’epoca contemporanea, la Carta d’Armenia ha acquisito nuove valenze e significati. È diventata un elemento di design e un oggetto di culto per gli amanti delle fragranze naturali. Il suo utilizzo si è esteso ben oltre i confini dell’Armenia, raggiungendo un pubblico internazionale. La Carta d’Armenia rappresenta oggi un esempio di come un prodotto tradizionale possa trovare nuova vita e rilevanza in un contesto moderno, mantenendo intatta la sua autenticità e la sua storia.

Un simbolo di identità e memoria

La Carta d’Armenia oggi non è solo un prodotto di nicchia apprezzato per le sue qualità aromatiche, ma è diventata un simbolo culturale e di identità. Rappresenta una connessione vivida con un passato ricco e complesso, mantenendo vive le memorie e le tradizioni di un popolo. Attraverso la sua diffusione, la Carta d’Armenia contribuisce a raccontare la storia armena a un pubblico globale, fungendo da ambasciatrice culturale e promuovendo il dialogo e la comprensione tra diverse culture.

La storia e l’evoluzione della Carta d’Armenia offrono un esempio illuminante di come le tradizioni possano attraversare i secoli, adattandosi e rinnovandosi. Questo prodotto, nato da una necessità pratica e spirituale, è diventato un elemento di connessione tra generazioni, un simbolo di continuità culturale. La sua persistenza nel tempo ci ricorda l’importanza di preservare le nostre radici e tradizioni, valorizzandole come parte integrante del nostro patrimonio culturale. In un mondo in rapida evoluzione, la Carta d’Armenia ci insegna che il passato non è qualcosa da lasciare alle spalle, ma una fondamentale risorsa da cui attingere per costruire il nostro futuro.

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Cinque nuovi itinerari in Turchia per scoprire le origini della fede (Vaticannews 06.12.23)

Marina Tomarro – Città del Vaticano

Dalla splendida Istanbul, per conoscere le testimonianze dell’antica Costantinopoli, alle chiese rupestri, e le città sotterranee della Cappadocia. Da Myra, per ricordare il vescovo San Nicola, fino al Nordest della Turchia Anatolica, dove si trovano il Lago di Van, il Monte Ararat e le memorie della fede della chiesa armena. E infine Trebisonda per ricordare don Andrea Santoro, sacerdote della Diocesi di Roma. Sono cinque i percorsi proposti per scoprire la Turchia, nuovo itinerario di viaggio dell’Opera Romana Pellegrinaggi, presentato questa mattina presso il Seminario Romano Maggiore a Roma.

Una terra che ripercorre la storia della Chiesa

“La Turchia è un luogo molto ricco per la spiritualità cristiana – spiega monsignor Remo Chiavarini, amministratore delegato dell’Opera Romana Pellegrinaggi – è la terra dell’apostolo Paolo, li troviamo le lettere dell’Apocalisse di Giovanni che visse in quei luoghi con la Vergine Maria, ma anche  le comunità eremitiche in Cappadocia e i Padri della Chiesa come Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo, fino ai primi otto Concili ecumenici convocati tra Nicea, Efeso, Calcedonia e l’antica Costantinopoli. Abbiamo dovuto creare differenti itinerari perché questo Paese è molto grande e un solo viaggio non sarebbe stato sufficiente!”.

Ascolta l’intervista a monsignor Remo Chiavarini
I Camini delle Fate in Cappadocia
I Camini delle Fate in Cappadocia

Il culto di San Nicola

Itinerari creati non solo per scoprire la bellezza di un territorio antico ma anche per conoscere quelle memorie della fede custodite tra le rovine. Come nel caso dei recenti scavi e lavori di ripristino della chiesa bizantina di San Nicola a Myra, tornata finalmente ad accogliere i visitatori di tutto il mondo. “È stato riportato alla luce – sottolinea Ebru Fatma Findik, docente all’Università Mustafa Kemal di Hatay – parte del pavimento originale, un notevole affresco raffigurante Cristo benedicente e, soprattutto, un sarcofago vuoto collocato in una nicchia laterale recante delle iscrizioni in greco, che ha certamente custodito il corpo del Santo, prima della traslazione delle reliquie in Puglia, attualmente custodite nella basilica di San Nicola a Bari”.

Un viaggio per capire meglio la nostra fede

Questi percorsi nascono in collaborazione con l’Ufficio Cultura ed informazioni dell’Ambasciata di Turchia – Ufficio Cultura e Informazioni. “Nei nostri viaggi – continua monsignor Chiavarini – la figura tra pellegrino e viaggiatore diventa unica, perché possono essere tante le ragioni che spingono ad intraprendere un cammino. Noi cristiani poi siamo proprio invitati a metterci in movimento e ad andare per il mondo. Questi luoghi ci riportano poi anche alle storie della Bibbia, e quindi anche il più laico tra i viaggiatori alla fine si deve mettere a confronto con una dimensione religiosa. Non dimentichiamo che nei primi secoli era proprio li il cuore pulsante della vita e delle comunità cristiane, e i segni che sono stati lasciati interrogano le popolazioni di quei luoghi, e questo può aiutare anche il dialogo tra fedi differenti”.

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Cosa resta del Nagorno Karabakh (Osservatorio Balcani e Caucaso 06.12.23)

Dopo la guerra lampo di settembre, che ha decretato la fine del Nagorno Karabakh armeno e secessionista, l’amministrazione di uno stato che oggi non esiste si è spostata in massa in Armenia. Il futuro di questa struttura politica resta oggi senza prospettive certe

06/12/2023 –  Marilisa Lorusso

Un’istantanea del Nagorno Karabakh al momento dell’attacco del 19 settembre 2023: eroso territorialmente, con ancora poco più di 100mila residenti, sotto blocco da circa dieci mesi, con le truppe azere che andavano ammassandosi lungo i confini. Il 2 settembre si era celebrato l’anniversario dell’indipendenza da Baku, e in quella occasione il primo ministro armeno Nikol Pashinyan aveva mandato le sue congratulazioni, cosa che ora Baku ricorda sistematicamente a dimostrazione della mancata buona fede negoziale di Yerevan. Fra le cause dichiarate da Baku per giustificare l’intervento contro i secessionisti del Nagorno Karabakh vengono enumerate le numerose controversie politiche e territoriali, e il sostegno di Yerevan a Stepanakert affinché rimanessero irrisolte.

Il 9 settembre 22 deputati karabakhi avevano votato a favore di un nuovo presidente, Samvel Shahramanyan, con elezioni anticipate. Nel suo discorso inaugurale, Shahramanyan si era ripromesso di rinforzare la statualità del Karabakh, realizzare il diritto all’autodeterminazione, e cercare di far garantire un certo status alla regione secessionista, e che riteneva un imperativo preservare l’Artsakh armeno e passarlo alle future generazioni  . A Yerevan Pashinyan veniva criticato per non aver mandato le congratulazioni al nuovo presidente karabakho. In un’intervista a una settimana dall’attacco, Pashinyan aveva commentato  : “Penso che la situazione sia tale per cui non c’è molto da congratularsi. Su Shahramanyan grava una grande responsabilità”.

Il 20 settembre toccherà proprio a Shahramanyan accettare la resa, e di fatto decretare la scomparsa del Nagorno Karabakh come entità politico territoriale. I protagonisti politici di questi trenta anni di vita secessionista del paese avranno poi sorti differenti: qualcuno verrà intercettato ed arrestato durante la fuga dal Karabakh, altri, come Shahramanyan raggiungeranno Yerevan e si insedieranno con quanto rimasto dell’amministrazione pubblica karabakha nella capitale armena. È Yerevan a farsi carico dei bisogni di questi esuli, nella misura in cui riesce, incluso il pagamento delle pensioni.

Un governo non riconosciuto internazionalmente, e senza più un territorio, con i più di 100mila karabakhi in via di integrazione nel tessuto sociale, economico e previdenziale armeno: questa la nuova istantanea del Karabakh come entità politica post-settembre 2023.

Che fare?

Cosa fare quindi di questa struttura statuale, ora che oltre alla mancata legittimità internazionale si svuota sempre più anche di una legittimità amministrativa, funzionale, e certo territoriale? La questione del Karabakh politico, sopravvissuto a quello territoriale, rischia di diventare un grosso grattacapo per Yerevan, che lo ospita, senza incontrarlo né riconoscerlo, con la spada di Damocle dell’accusa di Baku di legittimare posizioni irredentiste.

A metà ottobre, una volta che praticamente l’intera popolazione karabakha si trovava già in Armenia, i rappresentanti eletti del Karabakh hanno cominciato a interrogarsi ed avanzare proposte sul futuro e sul loro ruolo. Il 28 settembre Shahramanyan ha firmato un decreto che prevede lo scioglimento di tutti gli organi di governo e le istituzioni del Nagorno Karabakh  , ma secondo alcuni deputati il provvedimento è anticostituzionale, poiché nessuno può sciogliere il parlamento, solo il parlamento può sciogliere se stesso, cosa che non è accaduta. Quindi sarebbe dovuta essere convocata un’assemblea straordinaria per stabilire come dare continuità alla Repubblica dell’Artsakh  .

È stata avanzata la proposta di dar vita a un governo provvisorio in esilio. La proposta è stata subito identificata da Yerevan e da alcuni deputati come altamente destabilizzante. Da parte karabakha è stato fatto notare che tale misura rischia di far saltare ogni accordo con Baku, mentre sarebbe necessario dare nuovo slancio ai negoziati, cercare di recuperare al tavolo diplomatico dei punti che si sono persi nel campo di battaglia.

Anche Yerevan ha alzato gli scudi contro l’ipotesi della nascita di un governo provvisorio. Il presidente dell’Assemblea Nazionale armena si è così espresso  : “Abbiamo un grosso problema con gli armeni dell’Artsakh. Non vedo quale potrebbe essere l’obiettivo […] nel preservare e sviluppare istituzioni statali qui: questo rappresenterebbe una minaccia diretta e un colpo alla sicurezza nazionale della Repubblica di Armenia.”

L’agonia

È una agonia turbolenta e sofferta quella dell’autoproclamata Repubblica del Nagorno Karabakh. Di fronte alle accuse di brogli e illeciti,  il 19 ottobre Shahramanyan ha sciolto anticipatamente tutta la pubblica amministrazione. Il giorno seguente decine di manifestanti si sono presentati davanti all’ex sede della rappresentanza del Nagorno Karabakh in Armenia, divenuta sede del governo in esilio in attesa di scioglimento. Ci sono stati scontri, e Shahramanyan ha incontrato i manifestanti che ha così apostrofato  : “Sono responsabile di tutti i miei passi e decisioni di fronte a tutti voi. Ma abbiamo un’altra patria, l’Armenia, il cui destino non abbiamo il diritto di mettere in pericolo. Ciò che sta accadendo qui rende la nostra situazione ancora peggiore. Ho molte cose da dirvi, ma ciò che devo dire è carico di una grande minaccia per il futuro destino sia dell’Armenia che dell’Artsakh.”

Ci sono stati degli arresti, e Shahramanyan si è impegnato a fare chiarezza. Ha quindi rilasciato una complessa intervista  , nella quale ha raccontato i retroscena dell’agonia del Karabakh: i negoziati con l’Azerbaijan il giorno dell’attacco sono durati dodici ore, con uno scambio di documenti che sono stati discussi in un gabinetto di sicurezza allargato, inclusi gli ex presidenti karabakhi, che peraltro ora si trovano nelle carceri di Baku.

Shahramanyan ha chiarito che il riferimento nel documento di resa alla presenza di forze armate dell’Armenia in Karabakh è stato inserito da Baku e non approvato da Stepanakert. La scelta di consegnare le armi, invece di cederle all’Armenia, era senza alternative, perché la creazione del checkpoint a Lachin avrebbe reso il trasferimento impossibile. L’accordo prevede che le armi consegnate ai russi vengano poi distrutte, mentre al personale militare secessionista è stato consentito di evacuare il Karabakh.

Questo spiegherebbe l’approccio selettivo esercitato da Baku negli arresti a conflitto finito. Shahramanyan ha chiarito di aver abbandonato il Karabakh in elicottero con il ministro della Difesa e altro personale delle forze di sicurezza.

La priorità per questa amministrazione in esilio sarebbe comunque tenere aperto uno spiraglio negoziale per garantire i rientri, forte del fatto che anche la comunità internazionale non pare rassegnata a questa sinistra “alternanza etnica” nel territorio del Karabakh. Per trent’anni ci sono stati gli armeni ma non gli azeri, ora vice versa. I rientri e la coabitazione pacifica sarebbero la vera parola fine a una catena ad oggi infinita di sanguinosi contenziosi.

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Suggerimento per i regali di Natale e Capodanno. Una biografia di Yeghiste Charents e due antologie delle sue poesie, gioielli della cultura armena (Korazym 06.12.23)

Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.12.2023 – Vik van Brantegem] – I tre libri che vi suggeriamo di seguito, sono ideali non solo come un pensiero di Natale e Capodanno, ma anche come fattivo contributo al rafforzamento dei legami culturali e spirituali tra Armenia e Italia, oltre che per il personale arricchimento poetico. Il primo libro è un’esauriente biografia del grande poeta armeno Yeghishe Charents, la prima in lingua italiana, dal titolo Vita inquieta di un poeta. Gli altri due libri sono delle antologie di sue poesie in edizione bilingue (armeno e italiano), rispettivamente dal 1911 al 1922 e dal 1922 al 1937: il primo intitolato Io della mia dolce Armenia e il secondo E l’alba si tramutò in tramonto.

«Quei lumi che un tempo io dentro m’accesi
per tenere lontano il terrore, oggi ancora mi danno
un minuscolo raggio di speme
una piccola luce d’orgoglio
»
(Yeghishe Charents, Frammento, 1937).

Yeghishe Charents (Kars, 13 marzo 1897-Yrevan, 27 novembre 1937) è stato un uomo, un poeta, uno scrittore, un patriota e un attivista politico armeno che ha vissuto pienamente, in un periodo storico buio, le sue speranze e fragilità, le sue illusioni e delusioni.

Figura di primo piano del XX secolo, anche al di là dell’ambito nazionale armeno, la sua opera multiforme fu dedicata alle sue esperienze di combattente volontario durante gli anni del genocidio armeno, alla rivoluzione socialista, alla storia ed ai miti della tradizione armena.

Comunista della primissima ora, aderì al partito bolscevico, ma con l’instaurarsi del terrore staliniano negli anni trenta si allontanò progressivamente dalle posizioni staliniste. Divenuto bersaglio dello stalinismo, venne accusato di “attività controrivoluzionarie e nazionalistiche” ed imprigionato durante le Grandi Purghe staliniane del 1937. Morì nell’ospedale del carcere o forse fu giustiziato in un campo poco fuori Yerevan, all’età di soli 40 anni. Tutti i suoi libri furono proibiti. La giovane amica Regina Ghazarian seppellì e in questo modo mise in salvo molti dei suoi manoscritti. Dopo la morte di Stalin venne riabilitato nel 1954.

Anahit e Arpenik Charents con loro padre Yeghishe Charents, Yerevan, 1936.

La prima moglie di Yeghishe Charents si chiamò Arpenik Ter-Astvadzatryan, morta nel 1927. Nel 1931 sposò Isabella Kodabashyan, dalla quale ebbe due figlie Arpenik e Anahit.

A più di 80 anni dalla sua morte, le opere di Yeghishe Charents suscitano un interesse sempre crescente, anche oltre i confini nazionali, mantenendo tutta l’energia, e la forza del sentimento ma anche zone d’ombra sulla sua vita di uomo e di grande letterato dell’Armenia Sovietica.

In copertina: Vruir Galstian, Ritratto di Yeghishe Charents, 1964.

Yeghishe Charents. Vita inquieta di un poeta di Letizia Leonardi, con la Prefazione dell’attore regista Carlo Verdone (Le Lettere 2022, 220 pagine [QUI]).

Questo racconto della vita di Yeghishe Charents, che è stato pubblicato a 125 anni dalla sua nascita e a più di 80 dalla sua prematura morte, è la testimonianza diretta degli orrori che Charents ha vissuto in prima persona, e che la Prima Guerra Mondiale ha inferto a tutto il popolo armeno. Vittima delle repressioni staliniste, Charents è stato dapprima un rivoluzionario a fianco dei bolscevichi, e poi un anti-rivoluzionario, disilluso da quello stesso partito comunista che aveva inizialmente appoggiato.

La parabola della sua breve vita è ripercorsa, non solo attraverso i fatti della sua breve vita ma anche con le memorie della sua amica più cara Regina Ghazarian, le lettere che Charents scriveva ai suoi colleghi scrittori, i luoghi dove lui ha vissuto, curiosità ed episodi particolari che gli amici del poeta e lo stesso Charents raccontavano, che mostrano il temperamento di uno dei più grandi esponenti della letteratura armena di tutti i tempi.

All’interno del testo alcune poesie tradotte dallo storico e critico letterario Prof. Mario Verdone e di altri studiosi, nonché immagini della Casa Museo Yeghishe Charents di Yerevan, foto che ritraggono il poeta e altre scattate dal marito dell’autrice, Paolo Volpini sui luoghi dove lo scrittore è vissuto.

L’autrice Letizia Leonardi è giornalista professionista, ha lavorato per testate come Il Tempo e Il Messaggero. Ha pubblicato e pubblica contributi sulla cultura armena su riviste e volumi. Ha tradotto dal francese Mayrig di Henri Verneuil e Nella notte di Inga Nalbandian. È coautrice del libro Destino Imperfetto, che racconta la storia di un figlio della diaspora. Ha ricevuto il Premio Internazionale Giornalistico e Letterario Marzani 2019 per il suo costante contributo all’affermazione dei valori di indipendenza e libertà dell’informazione.

«Un interessantissimo saggio biografico ben documentato e molto puntiglioso, con note bibliografiche e a piè pagine di grande interesse che grazie ad una scrittura scorrevole si legge quasi come un romanzo. La grande peculiarità di questo libro è che non si limita alla sola biografia del poeta Charents e la sua complessa personalità, ma descrive con dovizia e puntigliosità nelle pagine finali del libro, la disagiata vita e le insofferenze del poeta; in particolare verso la censura e le pesanti interferenze del regime sovietico con un’analisi del pensiero sofferto del poeta verso i fatti e tragici momenti vissuti dal popolo armeno durante la sua travagliata storia in generale, e durante il regime dittatoriale dell’ex Unione Sovietico e la devastante periodo staliniano nell’allora Armenia Sovietica in particolare. L’autrice Letizia Leonardi, in questo libro grazie ad una stesura che scorre fluida con chiarezza, semplicità assolutamente non didascalica e con testimonianze meticolosamente documentate, coinvolge il lettore e fa scoprire una cronologia storica culturale degli avvenimenti che hanno segnato la vita di Yeghishe Charents, la sua poesia e il suo pensiero letterario e politico fino alla sua prematura e tragica scomparsa avvenuta in circostanze misteriose. In conclusione il lavoro dell’autrice Leonardi, è una degna memoria del poeta Charents consigliata a tutti gli appassionati di storia e pensiero letterario (H.M.).

In copertina: Hatik Poghosyan, Ritratto di Yeghishe Charents, 1965, mosaico. Casa Museo di Yeghishe Charents, Yerevan.

Io della mia dolce Armenia. Antologia delle opere poetiche (1911–1922) di Yeghishe Charents a cura di Naira Ghazaryan, con la Nota introduttiva dell’Ambasciatore dell’Armenia in Italia Tsovinar Hambardzumyan, la Nota biografica della Dott.ssa Letizia Leonardi, la Prefazione del Prof. Stefano Garzonio e materiale fotografico concesso dalla Casa Museo di Yeghishe Charents di Yerevan (Leonida 2022, 384 pagine, edizione italiana con testo armeno a fronte [QUI]. Traduzioni a cura di Mariam Eremian, Grigor Ghazaryan, Alfonso Pompella, Anush Torunyan, Hasmik Vardanyan, Prof. Mario Verdone e Padre Boghos Levon Zekiyan.

Nel 30° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra Armenia e Italia, la Leonida Edizioni e l’Ambasciata della Repubblica Di Armenia in Italia rafforzano il ponte culturale tramite la figura del poeta Yeghishe Charents.

Con questa iniziativa, oltre che festeggiare il 125° anniversario della nascita del grande poeta armeno, si ha consegnato al pubblico italiano uno straordinario lavoro che permette di conoscere in modo approfondito la figura di un personaggio tempestoso.

In copertina: Hatik Poghosyan, Ritratto di Yeghishe Charents, 1965, mosaico. Casa Museo di Yeghishe Charents, Yerevan.

E l’alba si tramutò in tramonto. Antologia delle opere poetiche (1922–1937) di Yeghishe Charents a cura di Naira Ghazaryan, con la Nota biografica a cura di Anahit Charents, che presenta in prima persona gli ultimi anni della vita e dell’opera di suo padre (Leonida 2023, 488 pagine, edizione italiana con testo armeno a fronte [QUI]). Traduzioni a cura dei studiosi Mariam Eremian, Grigor Ghazaryan, Alfonso Pompella, Anush Torunyan e Prof. Mario Verdone.

In occasione del 30° anniversario dell’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra Armenia e Italia e del 125° anniversario della nascita del grande poeta armeno Yeghishe Charents, la Leonida Edizioni e l’Ambasciata della Repubblica d’Armenia in Italia continuano a rafforzare il ponte culturale attraverso un ampio progetto editoriale di traduzione in italiano delle opere del grande poeta. Questo secondo volume permette di conoscere in modo ancora più approfondito l’ineguagliabile figura di Charents.

Foto di copertina: Yeghishe Charents ritratto da Avo Gharibian.

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