http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2023/11/cover.png27171890adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-23 20:47:362023-11-23 20:48:07Nuovo numero (2) di "Armeniaca. International journal of Armenian Studies".
(9Colonne) Roma, 23 nov – “Le tensioni politiche che sono scoppiate nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, territorialmente appartenente allo Stato dell’Azerbaijan ma storicamente popolata in prevalenza da armeni, sono sfociate in un conflitto che ha generato sangue e violenze ai danni dei civili. Oltre 120mila armeni sono stati costretti ad abbandonare la loro terra ancestrale, rifugiandosi nella vicina Repubblica d’Armenia, temendo azioni di pulizia etnica. I diritti democratici e civili di questa popolazione sono evidentemente in pericolo. Per questo motivo abbiamo presentato un’interrogazione al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, al fine di sapere quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire il rispetto, la tutela e la protezione degli armeni fuggiti dal territorio del Nagorno-Karabakh”.
Lo dichiarano i deputati della Lega Erik Pretto, Dimitri Coin, Paolo Formentini e Simone Billi, firmatari dell’interrogazione, e Giulio Centemero, presidente dell’Intergruppo parlamentare di amicizia Italia-Armenia. (PO – redm)
231115 NOV 23
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-23 20:44:002023-11-23 20:44:00NAGORNO-KARABAKH, LEGA: INTERROGAZIONE SU RISPETTO DIRITTI CIVILI ARMENI IN FUGA (9 colonne 23.11.23)
Korazym.org/Blog dell’Editore, 23.11.2023 – Vik van Brantegem] – Come abbiamo annunciato, oggi una serata a Breganzona nella Svizzera italiana punta i riflettori sul dramma degli Armeni sfollati con la forza dall’Artsakh/Nagorno-Karabakh e dimenticati da quasi tutti – dimenticato l’Ucraine, distratti con Gaza e con gli occhi puntati sull’omicidio di Giulia – che le forze armate azere hanno soggiogato completamente il 19-20 settembre scorso, prendendo il controllo di un territorio che sulla carta, per diritto internazionale, dovrebbe stare nei confini azeri, alla faccia del diritto all’ autodeterminazione della popolazione di etnia armena che dall’inizio degli anni ‘90 si era autogovernata in quella regione, sfollata oggi con la forza da quella che per gli Armeni è il cuore della loro ultra millenaria civiltà.
NAGORNO-KARABAKH, LEGA: INTERROGAZIONE SU RISPETTO DIRITTI CIVILI ARMENI IN FUGA
(9Colonne) Roma, 23 nov – “Le tensioni politiche che sono scoppiate nella regione contesa del Nagorno-Karabakh, territorialmente appartenente allo Stato dell’Azerbajgian ma storicamente popolata in prevalenza da Armeni, sono sfociate in un conflitto che ha generato sangue e violenze ai danni dei civili. Oltre 120mila Armeni sono stati costretti ad abbandonare la loro terra ancestrale, rifugiandosi nella vicina Repubblica di Armenia, temendo azioni di pulizia etnica. I diritti democratici e civili di questa popolazione sono evidentemente in pericolo. Per questo motivo abbiamo presentato un’interrogazione al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, al fine di sapere quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per garantire il rispetto, la tutela e la protezione degli Armeni fuggiti dal territorio del Nagorno-Karabakh”.
Lo dichiarano i deputati della Lega, Erik Pretto, Dimitri Coin, Paolo Formentini e Simone Billi, firmatari dell’interrogazione, e Giulio Centemero, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare di Amicizia Italia-Armenia.
Del dramma degli Armeni dell’Artsakh si parlerà stasera a Breganzona in Svizzera e per chi non potrà partecipare è stata predisposta una trasmissione in diretta su YouTube, dove il video resterà disponibile anche successivamente [QUI].
Cos’è la pace vera, in mezzo a tutte queste guerre? Cosa vogliono dire i 2500 anni di storia armena dell’Artsakh per tutti noi? “L’Artsakh fu crocifisso come Cristo. Nulla succede per caso. Artsakh risorgerà come Cristo”.
Ricordiamo le informazioni aggiornate in riferimento alla conferenza organizzata dall’associazione “Germoglio”, dedicata all’Artsakh/Nagorno-Karabakh con video-testimonianze di persone sfollate, che si svolge stasera, giovedì 23 novembre 2023 alle ore 20.15 nell’Aula Magna del Liceo diocesano in via Lucino 79 a Breganzona, Lugano, Svizzera.
Interverranno:
– Padre Derenik, l’ultimo uomo a lasciare l’Artsakh
– Renato Farina, giornalista ed ex-parlamentare
– Teresa Mkhitaryan, Presidente dell’Associazione “Il germoglio”.
Modera la Dott.ssa Ilda Soldini, Istituto di studi italiani dell’Università della Svizzera italiana
I posti sono limitati. Per la partecipazione inviare un messaggio a Teresa Mkhitaryan via email [QUI] o via SMS o WhatsApp al numero +41792007110.
È stata predisposta anche una trasmissione in diretta su YouTube, dove il video resterà disponibile successivamente [QUI].
«Credo fermamente che al mondo ci sono persone per le quali la giustizia è un valore intangibile; credo ci siano Cristiani che credono che con la grazia di Dio, ci sarà la vittoria. Perché il nostro Dio è un Dio vittorioso. La nostra unica speranza è nell’unità, quando siamo uniti, siamo invincibili. Quelle terre sono armene e devono tornare di nuovo ad essere armene. Cristo è Dio vittorioso e ha donato Amore al mondo e quindi amiamoci l’un l’altro. L’Amore vincerà il mondo. E noi Cristiani abbiamo avuto la grazia di ricevere l’Amore in questo mondo. Amiamoci, rispettiamoci e il mondo sarà più bello. E a quel punto noi non piangeremo più di dolore, avremo lacrime di gioia» (Padre Derenik).
Non c’è libertà senza giustizia. Non c’è giustizia senza libertà(Padre Derenik – Korazym.org, 6 novembre 2023 [QUI]).
Nel contempo, tra oggi e domani, il governo dell’Azerbajgian organizza nell’exclave Nakhichivan – nell’ambito dell’attenzione dichiarata dal Presidente dell’Azerbajgian, Ilham Aliyev, al territorio armeno dopo la pulizia etnica dell’Artsakh – un festival Il ritorno all’Azerbajgian occidentale e un congresso La via per il ritorno all’Azerbajgian occidentale“, con musica, arte, cucina “Iravan” e mappe che affermare che tutta Armenia è Azerbajgian.
«Per la prima volta in Azerbajgian si terrà in Nakhchivan il festival-congresso “La via per il ritorno all’Azerbajgian occidentale”.
Il 23 e 24 novembre 2023, nella città di Nakhchivan, per sostenere la politica del Presidente del Paese, Ilham Aliyev, che mira a ripristinare i diritti storici dei Turchi Azeri, che sono stati sfollati dalla loro patria, per motivi scientifici e per ottenere copertura a livello locale, regionale e internazionale, si terranno un festival “Il ritorno all’Azerbajgian occidentale” e un congresso su “La via per il ritorno all’Azerbajgian occidentale”. Il festival e il congresso dedicati all’Azerbajgian occidentale si svolgerà nella Repubblica Autonoma di Nakhchivan con l’organizzazione congiunta dell’Alta Rappresentanza del Presidente della Repubblica di Azerbajgian, del Ministero della Scienza e dell’Istruzione della Repubblica di Azerbajgian, dell’Università Statale di Nakhchivan, della Comunità dell’Azerbajgian occidentale e i nostri intellettuali dell’Azerbajgian occidentale».«Congresso “La via per il ritorno all’Azerbajgian occidentale” – Festival “Il ritorno all’Azerbajgian occidentale” – Città di Nakhchivan, 23-24 novembre 2023».Nella cartina le regioni dell’Azerbajgian occidentale (=Armenia) con le regioni armene indicate secondo la toponomastica azera.
I media statali dell’Azerbajgian affermano che la comunità internazionale si è schierata con gli Armeni che “hanno scelto volontariamente” di lasciare il Nagorno-Karabakh e poi si è scagliata contro il Commissario per i Diritti Umani dell’Unione Europea, Dunja Mijatovic, che si è incontrato con la “Comunità dell’Azerbajgian occidentale” ma non ne ha sostenuto la causa (che tutta l’Armenia è Azerbajgian).
Nel frattempo all’Università statale di Nakhchivan verranno insegnate “materie speciali relative all’Azerbajgian occidentale”: Toponomastica dell’Azerbajgian occidentale, Monumenti materiali e culturali dell’Azerbajgian occidentale, Storia politica ed etnoculturale dell’Azerbajgian occidentale.
Un intervista con Renato Farina, uno dei relatori stasera a Breganzona, pubblicato ieri 22 novembre 2023 dal sito svizzero Il Federalista
Renato Farina da due decenni si preoccupa della sorte di quell’angolo del Caucaso meridionale dimenticato da tutti, tanto che recentemente per il suo impegno è stato insignito dalla Repubblica di Armenia della “Medaglia della Gratitudine”.
Renato Farina, qual è oggi la situazione nella regione del Nagorno-Karabakh, vi abitano ancora persone di etnia armena e come vivono? A me risulta siano ormai rimaste meno di dieci persone dei 120mila presenti prima dell’ultima avanzata azera! Vivere nella regione è divenuto impossibile. L’insistenza con cui, sia da parte del Presidente azero Aliyev sia del suo alleato Erdoğan, si ripetevano proclami minacciosi nei loro confronti non potevano lasciarli tranquilli. Anche durante l’esodo sono stati sottoposti ad angherie di ogni genere. Vi sono documenti e filmati che raccontano le violenze subite dagli Armeni del Nagorno-Karabakh negli scorsi mesi: durante l’incontro pubblico cercheremo di mostrarne alcuni.
Non vi erano proprio le condizioni per una loro permanenza all’interno dello Stato azero? La condizione è quella di chi ha memoria dello sterminio subito da nonni e padri per mano ottomana e si trova di fronte a chi nega che tale genocidio sia mai avvenuto. Questa, da sola, è una motivazione sufficiente per non voler rimanere in quelle mani. Nel caso odierno non sarà sterminio, ma il diritto internazionale e la storiografia codificano come genocidio anche l’occasione in cui un popolo è estirpato dalla sua terra. Un fatto che io ritengo ampiamente documentato, da diplomatici indipendenti e dalle testimonianze credibili di chi ha perso tutto e si è dovuto portar via anche le ossa dei propri cari. Non bisogna dimenticare infatti che vi è il precedente dell’exclave azera di Naxçıvan (che si trova tra l’Armenia, l’Iran e la Turchia) dove la presenza della plurimillenaria civiltà armena fu cancellata completamente, persino distruggendo i cimiteri. Purtroppo è un tipo di cancellazione della memoria che potrebbe ripetersi anche ora in Artsakh. Gli armeni non potevano pensare di restare, vi sono testimonianze che riportano di spari sui bambini, decapitazioni di soldati dopo la resa, arresti delle persone legate allo “Stato terrorista” del Artsakh (come lo chiamano gli Azeri).
Un conflitto figlio di una situazione creata nell’era sovietica, vero? Tra il ’21 e il ’23 Stalin fu delegato dai leader dell’Unione Sovietica a disegnare i confini politici di quelle zone. E, temo per odio verso gli Armeni, incluse nell’Azerbajgian la regione che da millenni apparteneva loro ed era il cuore della civiltà armena. Credo che vi fosse anche l’intenzione di creare dinamiche di conflitto, in una logica del divide et impera. Questa situazione si è rivelata naturalmente un problema al disfacimento dell’Unione Sovietica, quando le rivendicazioni nazionaliste da parte azera hanno portato a stermini di Armeni nelle zone controllate dagli Azeri, cui hanno risposto con altrettante crudeltà e stermini gli Armeni. La regione dell’Artsakh, per più del 90% armena, ha cercato di seguire le strade consentite dalla legislazione sovietica per dichiararsi repubblica autonoma e poi indipendente. Attorno a ciò si è consumata una guerra crudelissima. Spinta da uno spirito irredentista e di difesa dell’identità, l’Armenia ha inizialmente prevalso sugli Azeri.
A quel punto, giunti alla tregua nel 1994, l’Armenia non ha provato a risolvere diplomaticamente la questione? Sì, per trent’anni si è discusso a Minsk, senza esito. Di fatto l’Armenia ha occupato anche una parte di territorio storicamente azero, il Corridoio di Lachin, per garantire una fascia di sicurezza e di rifornimenti all’Artsakh. Repubblica che peraltro non è mai stata riconosciuta dalla stessa Armenia, proprio in considerazione di questa conferenza di Minsk che avrebbe dovuto porre termine alla contesa.
Dunque la situazione è rimasta sospesa finché, negli ultimi anni, con l’Azerbajgian arricchitosi grazie agli idrocarburi, le cose si sono ribaltate? Sì, decisiva è stata la guerra del 2020, dove la Russia che pure aveva un contratto di “difesa obbligatoria” con l’Armenia, non è intervenuta, salvo dopo dopo 44 giorni a massacri già avvenuti, dando un segnale al governo armeno di Pashinyan ritenuto da Mosca troppo vicino all’Occidente. Dopo di che, nonostante un accordo tra Putin, Pashinyan e Aliyev, le cose sono precipitate con l’Azerbajgian che nell’indifferenza delle truppe russe ha stretto un laccio intorno al collo della popolazione della Artsakh bloccando l’afflusso di merci, medicinali e dell’assistenza medica.
Adesso è ancora aperto il capitolo a sud dove l’Armenia taglia in due l’Azerbajgian (exclave di Naxçıvan, un unico minuscolo lembo di terra cristiana che si frappone al sogno imperialista del rais turco Erdogan di collegare tutte le popolazioni di etnia turca in Asia)?
La disputa è aperta. Il governo armeno, ha rinunciato all’Artsakh, riconoscendo la sovranità azera, sperando in cambio in una definizione certa dei confini attuali a sud. Il problema è che per ora Baku, a parte mezze promesse, sta temporeggiando e continua a condurre piccole provocazioni e occupazioni in villaggi in territorio armeno.
Una parola sulle responsabilità dei Paesi dell’Occidente: cosa non hanno fatto, cosa avrebbero potuto fare? I Paesi occidentali hanno adottato un doppio standard. Hanno stabilito che la Russia è “cattiva” – con buone ragioni –, ma poi chiudono più di un occhio sull’Azerbajgian. Si pensi che il mio Paese, l’Italia, nel gennaio di quest’anno, in pieno assedio disumano di Stepanakert (capitale dell’Artsakh), ha sottoscritto un accordo militare anche per la fornitura di armi all’Azerbajgian (per altro, credo, in violazione alla legge italiana). Ci sono stati pronunciamenti delle corti internazionali, di ONU e Unione Europea, che condannavano gli atteggiamenti azeri, ma nessuno ha mosso un dito.
Capitolo gas: l’Europa sta già limitando il ricorso ai giacimenti russi, può privarsi di quelli azeri? E invece sta emergendo, secondo ciò che testimoniano i dissidenti azeri, che buona parte del gas venduto da Baku all’Europa in questo momento viene dalla Russia. Perché lo fanno? Conservano il loro gas per il futuro e intanto lucrano su quello russo. L’Azerbajgian ha firmato un trattato di collaborazione stretta sulle materie prime con la Russia a pochi giorni dall’invasione dell’Ucraina. Si fa finta di non vedere. Perlomeno la Svizzera, al contrario dell’Italia, ha firmato con USA e Regno Unito (ma solo 33 Stati in tutto), un documento in sede ONU in cui si chiede vigilanza su ciò che avviene in Azerbajgian.
Un punticino a favore del nostro Paese dunque, anche se, come documentato dal Federalista in una passata edizione [QUI]https://ilfederalista.ch/nuova-fiscalita-solite-legnate-alle-famiglie-e-ai-cantoni, l’economia svizzera continua a intrattenere vistosi rapporti di convenienza con Baku (leggi SOCAR), senza che Berna batta ciglio.
Per capire le dimensioni…
«Non riesco ancora a capire perché il ponte aereo dell’Unione Europea possa volare verso Gaza o l’Afghanistan ma non poteva farlo verso il Nagorno-Karabakh per fornire aiuti umanitari agli Armeni affamati nel periodo luglio-settembre 2023. L’Unione Europea ha pensato che i Talebani, Hamas, il governo israeliano non l’avrebbero preso di mira, ma il governo dell’Azerbajgian lo avrebbe fatto?» (Sossi Tatikyan).
«Gli Azeri diffondono un video di Stepanakert e dicono che la città svuotata dei suoi abitanti è molto bella! Comunque lì vedo ancora lettere armene. Tuttavia non potrete amare quella città quanto faccio io» (Marut Vanyan).
«Celebrare il “ritorno” in una città in un video che non mostra una sola persona, con gli edifici vuoti sottoposti a pulizia etnica dei loro abitanti. Questo è davvero l’Azerbajgian» (Neil Hauer).
Sfida del ringraziamento. Simon Maghakyan & Scout Tufankjian for Displaced Artsakh Journalists raccolgono donazioni per i giornalisti freelance rifugiati che hanno perso tutto in seguito all’invasione dell’Artsakh da parte dell’Azerbajgian il 19-20 settembre 2023. Informazioni e link per la donazione [QUI].
«L’azero İCTİMAİ, a cui piace rubare i miei video e i miei servizi in esclusiva, ha pubblicato (3 settimane fa) un’altra esclusiva da Stepanakert. La ♰ è ancora lì, ma non riesco a vedere i piccioni. Se ne sono andati anche di loro “spontanea volontà”. Probabilmente non volevano essere strizzati» (Marut Vanyan).
«Piccioni sul sagrato della chiesa di Stepanakert» (Marut Vanyan).
«Onestamente, non riuscivo a capire perché gli Armeni della diaspora parlassero così tanto della loro casa perduta. Non potevo sentirlo, affinché non ho perso anche io la mia casa. “Sento il mal di denti”. “Due persone non possono sentire lo stesso dolore”. Vivere da qualche parte per secoli e perdere tutto in un giorno…» (Marut Vanyan).
Nel tentativo di mettere a tacere Abzas Media, un tribunale distrettuale di Baku ha deciso di detenere per 4 mesi il suo Caporedattore Sevinj Vagifggizi con l’accusa di trasferimento illegale di denaro. Rischia fino a 8 anni di carcere. Women In Journalism, dandone la notizia, condanna la detenzione ingiusta e chiede il suo rilascio immediato.
La polizia azera ha arrestato il Caporedattore di Abzas Media, Sevinj Vagifgizi nelle prime ore di martedì al suo ritorno in Azerbajgian da Brussel, mentre Mahammad Kekalov, attivista per i diritti dei disabili e stilista di moda adattiva che ha lavorato con Abzas Media, è stato arrestato lunedì.
L’arresto di Vagifgizi è avvenuto il giorno dopo che la polizia ha fatto irruzione negli uffici di Abzas Media e arrestato il loro direttore, Ulvi Hasanli.
Martedì sera, Hasanli e Vagifgizi sono stati condannati a quattro mesi di custodia cautelare da un tribunale di Baku con l’accusa di contrabbando di valuta estera in Azerbajgian. Se giudicati colpevoli rischiano fino a otto anni di carcere. Entrambi i giornalisti negano le accuse e sostengono che i loro arresti riguardano il loro lavoro giornalistico.
Islam Shikhali, un giornalista azerbajgiano, ha detto a OC Media che Vagifgizi è stata arrestata intorno alle ore 03:30 di martedì mattina a casa sua a Baku e che la polizia ha perquisito la sua casa.
Sia Hasanli che Vagifgizi sono stati accusati di contrabbando come parte di un gruppo organizzato, dopo che la polizia avrebbe trovato 44.000 dollari durante un’irruzione negli uffici di Abzas Media. Il quotidiano ha accusato le autorità di aver depositato il denaro per falsificare le accuse contro Hasanli.
Abzas Media è noto per i suoi rapporti investigativi, anche sugli affari della famiglia Aliyev, nonché sulla presunta corruzione nei programmi di ricostruzione intrapresi nel Nagorno-Karabakh dal 2020.
Secondo quanto riferito, Mahammad Kekalov è stato arrestato nella sua abitazione da agenti di polizia in borghese, che hanno confiscato i suoi effetti personali, compreso il computer. Il suo avvocato, Rovshana Rahimli, ha detto martedì a OC Media che non sapeva ancora perché e nemmeno dove fosse detenuto. “Ho presentato domanda a diverse agenzie statali, al capo del dipartimento della polizia della città di Baku, all’ufficio del Commissario per i diritti umani e ad altre istituzioni”, ha affermato. “L’ufficio del Commissario per i diritti umani ha detto che avrebbero svolto le opportune indagini e ci avrebbero ricontattato”.
La repressione di Abzas Media ha attirato critiche da parte di giornalisti e attivisti in Azerbajgian, alcuni dei quali l’hanno vista come uno “spettacolo teatrale” e un’estensione dell’attacco di Baku alla libertà di parola e di stampa. La giornalista investigativa Khadija Ismayil ha sostenuto che gli arresti erano una “assurdità legale” e una “manifestazione della debolezza della leadership del Paese”. “Il governo, come sempre, si è spalmato in faccia la propria bruttezza; non potevano fare nulla, né essere onesti né tollerare la verità quando la loro disonestà veniva smascherata”, ha detto. “Due giovani giornalisti hanno sconvolto l’esercito di funzionari corrotti, compreso il Presidente”.
Più tardi martedì, un gruppo di giornalisti e attivisti Azeri ha rilasciato una dichiarazione congiunta in cui condanna l’arresto del caporedattore e direttore di Abzas Media come parte della “repressione implacabile” della libertà di parola di Baku. «La repressione di Abzas Media […] è un’espressione dell’atteggiamento brutale del sistema politico nei confronti della stampa libera. Riteniamo che la responsabilità di tutte queste repressioni spetti al Presidente Ilham Aliyev, che ha affermato inequivocabilmente che “i media sono liberi” in Azerbajgian in occasione di eventi internazionali.
Anche diverse organizzazioni internazionali hanno condannato gli arresti e hanno chiesto il rilascio di Hasanli e dei suoi colleghi, tra cui Amnesty International, Reporter Senza Frontiere, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti e l’Istituto Internazionale della Stampa (Fonte: OC Media).
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-23 19:16:552023-11-24 19:18:12Che ne è dell’Artsakh? Una serata a Breganzona sull’agonia dell’Artsakh, da cuore della civiltà armena, a terra desolata – Il link per la diretta (Korazym 23.11.23)
Non è facile parlare di terre perdute per i rivolgimenti della storia, ma ancora meno facile è parlare di una terra su cui hai viaggiato, hai portato amici alla scoperta di angoli nascosti e incontaminati che ti hanno regalato bellezza, arte, cultura, ma su cui hai visto con i tuoi occhi anche la distruzione lasciata da una guerra insensata; quasi impossibile parlare e scrivere quando le ferite sono aperte, perché oggi non si tratta di terre, si tratta di “persone”: più di centomila, anziani, donne, uomini, bambini, giovani, costretti all’esilio. Viviamo giorni che ci appaiono disumani e dominati dalla insensatezza e a volte sentiamo un livello di impotenza che potrebbe corrompere anche i nostri ideali. Fortunatamente non siamo soli e possiamo condividere lo sconforto con gli amici e le nostre comunità. Si ricava così nuova energia per continuare sulla strada intrapresa e rinsaldare la convinzione che al male si mescola sempre una possibilità di bene.
Luca Steinman, giornalista, scrittore e inviato di guerra, ha assistito in Armenia all’esodo sulla strada che collega il corridoio di Lachin con la città armena di Goris: “Migliaia di persone in fuga” -scrive – , “interminabili file di automobili sovraffollate sui cui tetti erano legati grossi bagagli o valigie contenenti gli ultimi averi impacchettati in fretta e furia prima di scappare…Dietro di loro si vedevano all’orizzonte le montagne del Nagorno Karabakh…”. Racconta anche delle tende della Croce Rossa posizionate ai lati della strada, dove si possono ricevere cure mediche, acqua e cibo, e dei gazebo colmi di vestiti e coperte che i fuggiaschi possono ritirare. “È troppo tardi, mormora uno sfollato…l’Artsakh non esiste più…solo ora ci rendiamo conto che non potremo mai più tornare nelle nostre case” (La Reubblica, 2 ottobre 2023). Case abbandonate che saranno ripopolate dagli azeri, che talvolta potranno trovare sulla soglia vasetti di frutta e verdura preparati per l’inverno. Li hanno lasciati gli armeni per quelli che verranno dopo di loro. Un bene possibile in atto, in un bene perduto per sempre.
Negli anni Novanta ho percorso sentieri, piste e tratturi. Ho attraversato paesi di pietre urlanti, ho apprezzato l’ospitalità dignitosa della gente, gustato i “lavash” di erbe aromatiche, visitato remoti villaggi, monasteri, chiese, scuole antiche di millenni. Il monastero di Amaras fu sede della prima scuola armena, fondata nel V secolo da Mesrob Mashtoz, il creatore dell’alfabeto, e luogo di sepoltura di Grigoris, il nipote di San Gregorio l’Illuminatore; Gandzasar, sede del patriarcato albano dipendente dalla Chiesa Armena; Dadivank, antichissimo complesso monastico nel cuore di ogni armeno; Tzitzernavank, sede dei primi cristiani apostolici; Sushi, la “Parigi d’Oriente”, capitale di arte e cultura; Vankasar, vicino a Tigranakert, e altre località note ed ignote che sono riuscito ad esplorare nel corso degli anni, muovendomi in motocicletta, mezzo adatto a raggiungere luoghi impervi, ma che soprattutto facilita il contatto con le persone. Un territorio su cui è profondamente impressa la cultura, l’arte, la fede del popolo armeno, ma anche una storia di sofferenza infinita.
La memoria mi riporta volti, sorrisi, accoglienza, narrazioni di ansia e paura, ma anche di resistenza e fiducia. Oggi, tutto sembra perduto e abbandonato nelle selve scure che ricoprono le montagne dell’Artsakh, antico nome armeno della regione ribattezzata Nagorno Karabakh, Giardino Nero. Un Eden di foreste incontaminate, greggi e pastori, campi di grano, prati fioriti, laghi, torrenti, fiumi, bufali, orsi, aquile. Sempre ben visibili nelle piccole città, paesi, villaggi, le ferite profonde delle guerre e della fuga precipitosa degli abitanti. Fa male l’immagine del presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, che calpesta la bandiera dell’Artsakh e innalza con grande orgoglio la bandiera azera dopo la presa di Stepanakert, capitale deserta, con la sua strada principale ribattezzata Enver Pasha, a ricordo di uno dei triumviri organizzatori del genocidio degli armeni del 1915.
L’antidoto a questo gesto la cui sostanza è violenza, esercizio di potere e tracotanza del vincitore, lo trovo se richiamo alla memoria le storie di alcuni Giusti azeri, che nel corso dei terribili pogrom di Sumagit, Baku, Kirovabad, commessi nel territorio dell’Azerbaijan alla fine degli anni Ottanta, hanno salvato, soccorso e aiutato gli armeni. Scriveva Elena Bonner, moglie di Sacharov, nella prefazione all’edizione francese del libro di Samuel Shahmuradian, La tragedia di Sumgait: “Forse non tocca a me, che sono metà ebrea e metà armena, scrivere questa prefazione. Forse non sarebbe meglio che la scrivesse quella donna azera che ha salvato una famiglia armena? Quella che ha detto: «Mio figlio vede tutto ciò, domani farà le stesse cose». È una messa in guardia per noi tutti in questo mondo. Se noi non arriviamo a far si che ogni stato sia al servizio degli uomini e non gli uomini al servizio dello stato, piccolo o grande che sia non importa, i nostri figli e i nostri nipoti si trasformeranno in una folla di bestie feroci. Come a Sumgait”.
Quale sarà il futuro del popolo armeno e della Repubblica Indipendente dell’Armenia, che oggi è capace di accogliere, sostenere e integrare più di centomila profughi delle terre perdute dell’Artsakh? Pochi giorni fa, il presidente dell’Armenia, Vahagn Khachaturyan, ha rilasciato un’intervista al quotidiano israelianoHaaretz, esprimendo un concetto di fondo: la violenza e la guerra non hanno mai contribuito alla pace e alla crescita di un paese. La questione del Nagorno Karabakh non è stata una rivendicazione territoriale, e ancor meno un conflitto per motivi religiosi. Ha riguardato la richiesta di una piccolissima regione, abitata da armeni e rivendicata dagli azeri, di vivere in pace, sicurezza e autonomia. L’uso della forza non ha mai contribuito alla pace. Il presidente ha sottolineato gli errori da una parte e dall’altra dei contendenti e, soprattutto, l’illusione che si potesse vivere, prosperare e consolidare la democrazia accontentandosi di un cessate il fuoco o di una tregua. L’Armenia non ha altre risorse che quelle umane e la precondizione per guardare al futuro è la libertà e la democrazia: “Un punto, questo”, ha aggiunto il presidente, “su cui ci troviamo in disaccordo con il nostro più importante alleato, la Russia”.
Il presidente Khachaturyan ha ricordato, inoltre, che dal 1991, data dell’Indipendenza della Repubblica di Armenia, al 2018, data della rivoluzione di velluto, c’è stata una progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni per una gestione politica del paese segnata dalla corruzione, dalla scarsa volontà di scrivere la pagina di una pace duratura e dalle derive nazionaliste, eredità pesante di relazioni conflittuali con i vicini. Nikol Pashinyan, primo ministro, ha cercato di avviare una nuova era di fiducia nella democratizzazione del paese combattendo la corruzione. Cammino difficile, ma senza relazioni di pace non si possono consolidare le istituzioni democratiche e guardare al futuro. E in riferimento alla domanda riguardante le relazioni tra Armenia e Israele, che assieme alla Turchia ha fornito armi all’aggressore azero, il presidente ricorda che l’Armenia non ha mai intrapreso passi contro gli interessi israeliani e che fornire armi ad un paese che le usa contro un paese amico è inaccettabile; tuttavia, egli è altresì convinto che un miglioramento delle relazioni con Israele sia auspicabile e anche possibile: “Siamo nazioni simili”- dichiara –“i nostri popoli sono sopravvissuti a un genocidio e entrambi sappiamo bene cosa significa. L’impatto psicologico si riverbera in tutto quello che si fa, nella musica, nella letteratura, nella pittura e questo, di fatto, non può che unire i nostri due popoli”.
In Karabakh c’è stata una pulizia etnica, gli armeni che vi abitavano da millenni hanno lasciato il loro paese. Vorrebbero ritornare? A condizioni di vita garantite, sottolinea il presidente. Il maggiore ostacolo è l’armenofobia. Un’intera generazione azera è cresciuta studiando su testi scolastici che descrivono gli armeni come barbari assassini. Ovunque, oggi, è prioritario combattere l’intolleranza, l’odio, il razzismo. La precondizione era (e resta) quella di sedersi al tavolo della pace.
Assieme all’immagine della donna armena che prima di unirsi alla lunga fila dei fuggiaschi lascia sulla porta della sua casa, abitata da centinaia di anni, le riserve di cibo per l’inverno, mi appare il volto dell’anziana ebrea prigioniera di Hamas, che nel momento della sua liberazione ha stretto la mano al suo carceriere dicendo: “Shalom”, Pace. I governi vanno e vengono, mutano colore e obiettivi, ma esiste sempre un essere umano che stringe la mano del nemico riconoscendo l’umano che è in lui. Un gesto, “il gesto”, che potrebbe ancora insegnare qualcosa ai potenti e dare voce agli organismi internazionali che voce non hanno.
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La storia
È necessario guardare la cartina geografica per avere un quadro storico essenziale e per individuare quanto rimasto dell’autoproclamata Repubblica Autonoma del Karabakh, una regione che per molti secoli ha goduto di autonomia sotto molte dominazioni straniere: persiani, romani, bizantini, arabi, turchi, tatari, russi, azerbaigiani.
Con la Rivoluzione russa del 1917, il Karabakh venne inglobato nella Federazione transcaucasica, divisa poi in Georgia, Armenia e Azerbaijan. L’Unione Sovietica ha esercitato un controllo ferreo sul Caucaso meridionale, creando l’Oblast, regione autonoma del Nagorno Karabakh inserita nella Repubblica Socialista Sovietica dell’Azerbaijan, pur essendo abitata al 97 % dagli armeni. Vennero sempre ignorate le richieste inviate a Mosca dagli armeni dell’Artsakh, con lo scopo di ottenere l’annessione alla RSS dell’Armenia. La perestrojka e la glasnost furono, per gli armeni del Karabakh, l’occasione per richiedere l’annessione all’Armenia e l’Indipendenza dall’Azerbaijan.
Pogrom e guerra furono conseguenze inevitabili, in un quadro in cui la costruzione del nemico era in atto. La prima guerra, avvenuta dal 1992 al 1994, fu vinta dagli armeni, che conquistarono parte dei distretti di confine dell’Azerbaijan abitato da azeri. Seguì un periodo di conflitto, congelato con una via aperta ai negoziati (Gruppo di Minsk e principi di Madrid), di fatto inconcludenti. E intanto cresceva il nazionalismo, mito fondante di entrambi i paesi e, cosa più grave, intere generazioni crescevano nell’odio reciproco, con un’accentuazione particolare dell’armenofobia, dovuta al regime autocratico di Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijian.
Un politico determinato – come abbiamo visto nel caso dello scrittore azero Akram Aylisli, onorato dalla Fondazione Gariwo tra i Giusti al Giardino di Milano – a spegnere ogni voce di dissenso e ogni aspirazione al dialogo. Intanto, Baku, grazie ai guadagni ricavati dalle sue risorse energetiche, era impegnata a costruire un esercito forte, dotato di armi moderne, con l’obiettivo dichiarato di risolvere una volta per tutte la questione armena. Stesso proposito era stato espresso dal governo dei Giovani Turchi, autori del genocidio del 1915 riproposto da Erdogan, desideroso di finire, appoggiando Aliyev, il lavoro di inizio secolo contro gli armeni. Quattro giorni di prove generali di attacco nel 2016 e poi, il 27 settembre del 2020, l’offensiva azera dei 44 giorni di guerra, che ha segnato la sconfitta delle forze armene del Karabakh e la perdita di molti distretti, compresa la città simbolo di Sushi.
Con la mediazione della Russia, peraltro indebolita dalla guerra sul fronte ucraino, la firma del cessate il fuoco del 9 novembre 2020 scrive la capitolazione del fronte armeno, il cambiamento degli equilibri di forza della regione e un rivolgimento delle alleanze. Il corridoio di Lachin, unico collegamento tra il Nagorno Karabakh e l’Armenia, diviene strumento di ricatto e arma per fiaccare definitivamente la resistenza dei 120.000 armeni dell’area di Stepanakert: blocco di forniture alimentari, di medicinali, del gas e dell’elettricità. Si sono levate alcune voci della comunità internazionale, ma non sufficienti per distogliere il governo azero dall’obiettivo di pulizia etnica della regione. Nell’agosto 2023, l’ex procuratore della Corte penale internazionale Moreno Ocampoha dichiarato che il blocco del corridoio di Lachin, allora al suo settimo mese, doveva essere considerato un genocidio ai sensi dell’articolo II della Convenzione ONU sul genocidio: “infliggere deliberatamente a un gruppo condizioni di vita tali da provocare la sua distruzione fisica”. Un genocidio per procurata carestia. Il Lemkin Instituteha sostenuto la stessa tesi, così come altri studiosi del genocidio.
Il piano di conquista non è ancora completato. Si arriva così all’attacco a sorpresa del 19 settembre del 2023 contro la capitale Stepanakert, probabilmente concordato con Mosca. Il Parlamento europeo ha definito l’attacco una grave violazione dei diritti umani e del diritto internazionale. Troppo tardi. È mancato alle istituzioni e agli organismi internazionali il criterio di “prevenzione del male”, la volontà e l’impegno di cogliere i segni premonitori delle catastrofi. L’Armenia non ha potuto aiutare l’enclave dell’Artsakh, data la forza militare azera preponderante. I duemila caschi blu russi sono rimasti in disparte, mentre gli azeri bombardavano obiettivi civili e militari. I dirigenti locali armeni hanno dovuto accettare la resa per evitare un vero e proprio “genocidio”. Ultimo atto al quale abbiamo assistito: l’esodo della totalità della popolazione armena dell’Artsakh. Dopo la sconfitta, il 21 settembre le autorità armene del Nagorno-Karabakh si sono incontrate con i rappresentanti dell’Azerbaijan e della Russia per discutere la loro resa. L’Azerbaijan ha chiesto il completo disarmo delle forze di autodifesa della regione; la consegna dei leader per un procedimento “penale”; lo scioglimento delle autorità dell’enclave.
Ci sarà una trattativa per la salvaguardia dei monasteri, delle chiese, delle antiche scuole, delle fortezze, dei cimiteri, delle opere che rendono visibile la storia, la cultura, la fede, in una parola l’identità del popolo armeno? Si è alzata solo la voce di Papa Francesco, proprio in concomitanza con la presenza a Stepanakert del presidente Aliyev, che in divisa militare si inchinava alla bandiera azera prima di issarla sul pennone. Dopo l’Angelus in Piazza San Pietro, Papa Francesco ha ricordato la tragedia degli sfollati del Nagorno Karabakh e ha lanciato un appello accorato per la protezione dei monasteri e delle chiese della regione, invitando le nuove autorità e gli abitanti al “rispetto dei luoghi di culto è un’espressione di fede e segno di una fratellanza che ci permette di vivere insieme nelle nostre differenze”.
La storia ci insegna, purtroppo, che il genocidio è infinito. Travolge uomini e cose, cancella con cura e determinazione a volte interi Stati e ogni traccia della cultura dei vinti.
Giovedì 30 novembre alle ore 19.00 presso Agora – Casa Diocesana di Monaco l’incontro «Armenia – Popolo in pericolo di morte» proposta dal Servizio Comunicazione della Diocesi del Principato.
Dallo scorso settembre migliaia di armeni del Nagorno-Karabakh sono stati gettati sulle strade e costretti militarmente dall’Azerbaigian a lasciare il loro territorio.
Iniziato durante la dissoluzione dell’URSS, il conflitto del Nagorno-Karabakh è uno dei più antichi conflitti post-sovietici, con sfide etniche e territoriali, tra l’Armenia e l’Azerbaigian, indipendenti nel 1991, a proposito della regione dell’Alto-KarabakhKarabakh, abitata principalmente da armeni.
Per evocare questa tragedia, la diocesi riceve due relatori, intenditori di questa difficile questione:
• Élise Boghossian è la fondatrice dell’organizzazione non governativa EliseCare creata nel 2012 e riconosciuta di pubblica utilità nel 2015. Dopo una formazione in neuroscienze all’Università Pierre et Marie Curie (Parigi 6e ), segue un doppio Si forma alla medicina tradizionale cinese in Cina. Nel 2015 ha pubblicato un libro di Robert Laffont intitolato Nel regno della speranza, non c’è inverno, che racconta il suo impegno e la sua filosofia. Con EliseCare è presente direttamente sul campo nel Nagorno-Karabakh.
• Tigrane Yégavian si è laureato presso l’Istituto di Studi Politici (IEP) di Parigi e
l’Istituto delle Lingue e Civiltà Orientali (INALCO), titolare di un Master di ricerca in politica comparata specialità mondo musulmano e dottorando in storia contemporanea. Arabizzante, ha soggiornato a lungo in Siria, Libano e Turchia. Il suo percorso lo ha portato a specializzarsi sui cristiani orientali e le loro diaspore. È membro del comitato di redazione della rivista di geopolitica Conflitti e interviene in numerosi media.
L’ingresso è libero con prenotazione obbligatoria.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-23 18:20:362023-11-24 19:21:56All'Agora Casa Diocesana di Monaco il dibattito "Armenia, popolo in pericolo di morte" (Montecarlonews 23 11 23)
Da quando l’Artsakh (il nome armeno del Nagorno Karabakh) è passato con la decisione di Lenin sotto il controllo dell’Azerbaigian islamico, dagli Anni Venti del secolo scorso, gli studiosi hanno denunciato la distruzione sistematica non solo delle tipiche croci di pietra ma persino degli edifici religiosi di questa antica popolazione cristiana, un vero e proprio «genocidio culturale».
La Chiesa apostolica armena è una delle prime comunità cristiane della storia, fondata da due apostoli – San Taddeo e San Bartolomeo, ed è per questo motivo che si chiama «apostolica’’. Nel 301 l’Armenia fu il primo stato al mondo ad adottare il Cristianesimo come religione di Stato, precedendo così anche l’Impero romano. Gli armeni vivono in Artsakh da 3000 anni e ogni pietra parla della loro presenza.
Dopo la guerra del 2020 e la cosiddetta «operazione antiterrorismo» del settembre scorso del governo di Baku, l’Artsakh sta vivendo anche una tragedia umanitaria senza precedenti: centinaia di migliaia di armeni hanno lasciato le loro case e questo esodo li ha fatti sprofondare in una situazione di miseria, di malattia e di morte.
Per parlare di questa drammatica situazione, dimenticata dalla maggioranza dei media, l’Associazione Germoglio invita tutti gli interessati ad una serata, giovedì 23 novembre, ore 20.15, a Breganzona-Lucino, dal titolo «Cos’è la pace vera, in mezzo a tutte queste guerre?». Sarà presente padre Derenik, l’ultimo uomo a lasciare l’Artsakh, dopo che 120’000 persone sono state cacciate dalla loro Patria. Inoltre interverranno: Renato Farina, giornalista ed ex parlamentare italiano e Teresa Mkhitaryan, presidente dell’Associazione Germoglio. Durante la serata, moderata da Ida Soldini, si potranno vedere alcune video-testimonianze di persone sfollate.
Teresa Mkhitaryan, armena che vive in Svizzera, è la fondatrice di Germoglio, un’associazione con sede a Lugano, che promuove progetti umanitari in Armenia. In molti decenni di impegno ha realizzato 74 scuole domenicali in tutta l’Armenia e l’Artsakh, come risposta al dolore della guerra e per dare gioia e speranza ai bambini. Ha fondato anche il Banco Alimentare in Armenia che ha distribuito negli anni più di 250 tonnellate di cibo, tra cui alcuni beni primari, come ad esempio il latte in polvere per i neonati.
A Teresa, da poco rientrata in Ticino dall’Artsakh, abbiamo chiesto di raccontarci questo esodo drammatico del suo popolo. «Durante la mia vita – ci racconta Teresa – ho visto gli armeni attraversare molte difficoltà: guerre, continui attacchi dai turchi e dagli azeri e poi il terremoto del 1988. Ma questa volta ho la sensazione che il male sia troppo grande. Adesso ogni angolo dell’Armenia racconta della tragedia che sta vivendo tutto il suo popolo. Sento centinaia di racconti di persone sfollate. I racconti sono così tristi. Tanti, troppi, sono morti durante la fuga. I nostri preti dell’Artsakh raccontano di persone che sono morte tra le loro braccia. Diversi giorni di cammino, senza cibo e acqua. I bambini svenivano per strada. Ho saputo di una donna che ha partorito in un camion, pieno di gente».
Come possono essere perpetrate atrocità del genere verso uno dei popoli più antichi del mondo che desidera semplicemente vivere in pace nella sua terra? «L’Armenia è lasciata sola, troppi sono gli interessi politici ed economici in gioco», afferma Teresa. «Ma questo isolamento forse può servire affinché il popolo armeno capisca che l’unica salvezza viene dal Signore. Non dai russi, dagli americani, dai francesi, dagli iraniani, ma solo dal Signore. Quando cerco di consolare gli amici e i conoscenti, terrorizzati da tutto questo odio, dico loro che il male quando lo si vede così in faccia serve solo per essere ancora più convinti di scegliere il bene. Io non vedo un’altra spiegazione a tutto questo orrore crescente».
Adesso, Teresa Mkhitaryn si sta attivando per assistere i profughi che hanno lasciato l’Artsakh: «Tutto quello che facciamo per gli altri in difficoltà è una possibilità per la nostra anima di avvicinarci al Signore, per portare la luce e la speranza di Dio a chi ora è nel buio e nella paura. Se cambiamo noi, cambieranno anche chi sta facendo tutto questo male», conclude Teresa.
Per la conferenza è gradita l’iscrizione scrivendo a terezamkh@gmail.com o su whatsapp al numero +41792007110.
E’ possibile sostenere l’attività dell’Associazione Germoglio con un versamento su questo conto bancario: IBAN CH29 0900 0000 6905 6959 0. Altre informazioni sul sito: germoglio.ch.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-22 20:38:162023-11-23 20:39:39Incontro a Breganzona-Lucino, il 23 novembre, sul tragico esodo armeno nel Nogorno Karabakh (Catt.ch 22.11.23)
A Gerusalemme Est, zona considerata dalla comunità internazionale come territorio palestinese sotto occupazione israeliana, i coloni israeliani stanno compiendo nuovi tentativi per impossessarsi di una significativa porzione di terra nel quartiere armeno, storicamente di proprietà del Patriarcato armeno.
La situazione si è aggravata negli ultimi giorni, con la sicurezza privata e i coloni che sono entrati nell’area accompagnati dai bulldozer.
Questa nuova situazione fa seguito ai tentativi all’inizio del mese da parte di coloni israeliani armati e di cani da attacco, respinti dalla comunità armena. Nonostante le continue sfide legali, Xana Capital, di proprietà di Danny Rubenstein, noto anche come Danny Rothman, sta rivendicando quasi un quarto del quartiere armeno.
Ciò avviene anche in un momento in cui il governo israeliano è sotto pressione internazionale per ridurre la violenza sui palestinesi e su Gaza. L’area contesa, conosciuta come il “Giardino delle mucche”, comprende un parcheggio, un seminario e cinque case residenziali.
La polizia israeliana ha chiesto agli armeni di sgomberare l’area, accusandoli di appropriazione indebita di proprietà.
La disputa è iniziata dopo che il patriarca armeno Nourhan Manougian ha firmato un accordo immobiliare diversi anni fa. I dettagli dell’accordo non sono completamente noti. Nonostante i recenti tentativi del Patriarcato armeno di annullare il controverso accordo immobiliare, gli sviluppatori associati a Xana Capital hanno avviato i lavori di demolizione senza i permessi adeguati, portando a una situazione di tensione nel quartiere armeno.
Il Patriarcato armeno di Gerusalemme si trova ad affrontare quella che descrive come la “più grande minaccia esistenziale” nella sua storia del XVI secolo.
“Invece di fornire una risposta legale alla cancellazione, gli sviluppatori che tentano di costruire sul Cows’ Garden hanno completamente ignorato la posizione legale del Patriarcato nei confronti di questo problema e hanno invece scelto la provocazione, l’aggressione e altre tattiche moleste e incendiarie, tra cui distruzione di proprietà, assoldamento di provocatori pesantemente armati e altre istigazioni”, si legge nel comunicato del Patriarcato apostolico armeno di Gerusalemme, diffuso il 16 novembre.
Gli armeni locali, in collaborazione con il Patriarcato armeno, stanno protestando contro la costruzione illegale formando scudi umani e barricando l’accesso. La polizia israeliana ha arrestato tre armeni, tra cui un minore. La situazione rimane instabile, con i coloni che mirano ad appropriarsi del “Giardino delle mucche”.
“Stiamo ricevendo sostegno da tutte le comunità cristiane, con molti patriarchi, vescovi e rappresentanti di quelle comunità in visita al Patriarcato armeno che esprimono solidarietà. I membri delle loro congregazioni stanno anche visitando il sito del Cows’ Garden in segno di sostegno, trasformando la nostra causa in una forza unificante per il patrimonio cristiano e la presenza a Gerusalemme”, ha detto Hagop Djernazian, un attivista locale e residente nel quartiere armeno di Gerusalemme.
Il 18 novembre, patriarchi e capi delle Chiese di Gerusalemme hanno rilasciato una dichiarazione sui recenti avvenimenti nel quartiere armeno:
“Questo conflitto non solo mette in pericolo il patrimonio culturale del quartiere armeno, ma mette anche in discussione lo status di patrimonio mondiale dell’UNESCO della Città Vecchia. Il quartiere armeno, abitato fin dal IV secolo, rappresenta una parte cruciale del patrimonio mondiale.
“Siamo preoccupati che questi eventi possano potenzialmente mettere in pericolo la presenza armena a Gerusalemme, poiché costituiscono un precedente per impegni simili. Le azioni illegali intraprese dal presunto costruttore contro il Patriarcato armeno e la comunità non favoriscono l’ordine sociale a cui aspira la comunità armena pacifica e rispettosa della legge, che è un membro della nostra famiglia cristiana in Terra Santa”, si legge nella dichiarazione.
Questo conflitto avrà gravi ripercussioni per una delle comunità più antiche della Terra Santa.”
Il vicepresidente dell’Azerbaigian Hikmat Hajiyev ha dichiarato che l’Armenia deve rendersi conto che le radici della pace non si trovano a Washington, Bruxelles e Parigi, bensì nella regione del Caucaso.
Hajiyev invitando il governo dell’Armenia a rivolgere la sua attenzione alla regione e a continuare i negoziati con l’Azerbaigian per portare la pace e ottenere un serio successo, ha dichiarato:
“L’Azerbaigian ha buone intenzioni. La sovranità del nostro Paese è stata riconquistata e nella regione è stato stabilito un nuovo e legittimo status quo basato sulla giustizia e sul diritto internazionale”.
Nel maggio 2022, il Ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha annunciato cinque criteri per la normalizzazione delle relazioni con l’Armenia.
I criteri in questione sono il riconoscimento della sovranità reciproca, la conferma dell’assenza di rivendicazioni territoriali reciproche, l’impegno dei due Stati a non costituire una minaccia per la sicurezza reciproca, la demarcazione dei confini statali, l’instaurazione di relazioni diplomatiche e l’apertura di canali di trasporto e comunicazione.
Mentre, il 21 novembre, il Ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha proposto all’Armenia di discutere il processo di pace sul confine comune dei due Paesi. I funzionari del Ministero hanno riferito che il governo di Erevan ha risposto alla richiesta di colloqui solo due mesi e mezzo dopo. “Una simile pausa nei colloqui di pace non contribuisce alla stabilità e alla prosperità della regione”, ha dichiarato il Ministero Esteri dell’Azerbaigian.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-22 20:35:102023-11-23 20:36:59Hikmet Hajiyev: "L'Armenia non deve cercare le radici della pace all'esterno" (TRT 22.11.23)
L’Azerbaigian continua a rifiutarsi di partecipare ai colloqui di pace con l’Armenia, citando quello che definisce l’approccio parziale dei paesi mediatori occidentali. Questa volta sono stati gli Stati Uniti a scontentare l’Azerbaigian.
Il 16 novembre il Ministero degli Esteri dell’Azerbaigian ha rilasciato una dichiarazione in cui annunciava la decisione del Paese di non partecipare all’incontro dei Ministri degli Esteri armeno e azero a Washington, previsto quattro giorni dopo.
L’affronto è stato in gran parte una risposta alla testimonianza del vice segretario di Stato americano James O’Brien il giorno precedente in un’audizione della commissione per gli affari esteri della Camera intitolata “Il futuro del Nagorno-Karabakh”. Ha detto al comitato che gli Stati Uniti stavano lavorando per stabilire un registro “completo, approfondito e trasparente” di ciò che è accaduto nell’ex enclave popolata da armeni prima e durante la presa del potere militare dell’Azerbaigian a settembre.
“Abbiamo incaricato investigatori indipendenti, abbiamo i nostri investigatori che lavorano sul campo. Ci sono informazioni disponibili da organizzazioni internazionali non governative e altri investigatori. E mentre sviluppiamo la documentazione di ciò che è accaduto, saremo completamente aperti su ciò che stiamo facendo.” “Non posso stabilire una cronologia di questa indagine, ma vi informeremo man mano che andremo avanti“, ha detto.
O’Brien ha continuato esprimendo sostegno all’Armenia, che ha tentato di allontanarsi dalla Russia e si sta affrettando per accogliere le circa 100.000 persone sfollate dal Nagorno-Karabakh a settembre.
“Sono molto colpito dall’impegno del governo armeno nelle riforme e nella diversificazione delle relazioni che ha – economiche, politiche, energetiche e di sicurezza – in particolare nella comunità transatlantica“, ha affermato. “E penso che dobbiamo al popolo armeno aiutarlo a superare questa difficile situazione in modo che le scelte che hanno fatto con molto coraggio possano aiutarlo ad avere un futuro più sicuro, stabile e prospero“.
O’Brien ha anche affermato che gli Stati Uniti hanno annullato gli incontri bilaterali e gli impegni ad alto livello con l’Azerbaigian (senza specificare esattamente quando) e continueranno a sollecitare Baku a “facilitare il ritorno degli armeni del Nagorno-Karabakh che potrebbero voler tornare alle loro case o visitare i siti culturali della regione, nonché ripristinare il libero traffico commerciale, umanitario e pedonale nella regione.”
Nella sua dichiarazione, il Ministero degli Esteri azerbaigiano ha definito l’udienza “un duro colpo alle relazioni tra Azerbaigian e Stati Uniti nei formati bilaterali e multilaterali“.
“Le accuse infondate mosse contro l’Azerbaigian sono irrilevanti e minano la pace e la sicurezza nella regione“, si legge nella dichiarazione.
Il giorno dell’udienza, il Senato degli Stati Uniti ha anche adottato un disegno di legge intitolato “Armenian Protection Act of 2023“. Se diventerà legge, il disegno di legge sospenderà tutti gli aiuti militari all’Azerbaigian abrogando l’autorità di rinuncia dell’Amministrazione, sezione 907, del Freedom Support Act, sezione 907, per quanto riguarda l’assistenza all’Azerbaigian per gli anni 2024 e 2025.
Su questo fronte, il corpo diplomatico dell’Azerbaigian ha sostenuto che gli Stati Uniti stavano ripetendo “lo stesso errore” commesso nel 1992, quando l’Azerbaigian fu sancito con questo emendamento, “nonostante fosse uno Stato che ha dovuto affrontare l’aggressione e l’occupazione” per mano delle forze armene.
L’Azerbaigian ha gioco facile nel giocare con l’appoggio della Turchia, paese NATO, mentre l’Armenia ha ancora stretti legami economici con la Russia, nonostante il governo stia cercando di migliorare i rapporti con l’Occidente e si appoggi maggiormente agli USA. L’Azerbaigian sa benissimo che ormai la Russia, impegnata in Ucraina, non ha più nessun interesse in Armenia e gli USA difficilmente possono impegnarsi al 100% a favore dell’Armenia. In questa situazione l’Azerbaigian può agire a proprio piacere.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-22 20:17:242023-11-22 20:17:24L’Azerbaigian rifiuta i colloqui di pace con l’Armenia organizzati dagli USA (Scenarieconomici 22.11.23)
Dall’inizio dell’operazione speciale della Russia in Ucraina, dall’Armenia si è alimentato sempre più il rapporto con Kiev, visto anche come la mediazione possibile per rafforzare i legami con l’Occidente. Fino alla ratitica dei giorni scorsi dello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale e all’ormai evidente sospensione di ogni azione in favore della Russia.
Erevan (AsiaNews) – Si sta realizzando negli ultimi tempi un grande avvicinamento tra l’Ucraina e l’Armenia, nella ridefinizione dei ruoli di Mosca e di Erevan nell’alleanza eurasiatica, da cui gli armeni stanno prendendo le distanze per lo scarso sostegno nel conflitto con l’Azerbaigian. L’osservatore politico ucraino Aleksandr Kovalenko, esperto di questioni militari nel gruppo della “Contrapposizione informativa” e nel centro di ricerche sulle questioni di sicurezza di Kiev, ha commentato sul suo canale Telegram questa evoluzione delle relazioni nel contesto del conflitto globale.
Nello scorso settembre si era tenuto a Kiev il summit delle first lady e dei loro coniugi, a cui si era presentata anche la moglie del premier armeno Nikol Pašinyan, Anna Akopyan. In precedenza ella aveva declinato ogni invito a partecipare a incontri pubblici in Ucraina, ma questa volta aveva accompagnato un carico di aiuti umanitari per gli ucraini, nonostante gli armeni stessi abbiano in questa fase un grande bisogno di sostegno, soprattutto per i profughi dal Nagorno Karabakh.
Poco più tardi, al summit di Granada, vi era stato l’incontro diretto tra Zelenskyj e Pašinyan, e nell’incontro di Malta sulla Crimea era intervenuto il segretario del Consiglio di sicurezza di Erevan, Armen Grigoryan, con cui si era incontrato il capo dell’amministrazione presidenziale dell’Ucraina, Andrej Ermak. Kovalenko ricorda che “nella politica ucraina la lobby armena è sempre stata molto influente, più di quella azerbaigiana”, e questo si è visto nelle posizioni prese riguardo alla questione del Karabakh.
Il punto del resto non è neanche quello delle valutazioni sul conflitto caucasico, sul quale il governo di Erevan aveva posto una pietra tombale ben prima dell’esito finale, lasciando agli armeni dell’Artsakh tutta la responsabilità di mantenere alta la tensione fino all’ultimo. Il vero problema è il progressivo distacco dell’Armenia dalla Russia, e il nuovo orientamento verso l’Europa e l’Occidente, in cui Kiev trova una sintonia ben più profonda con gli armeni.
Questa tendenza armena filo-occidentale ha origine dalla guerra dei 44 giorni alla fine del 2020, ben prima dell’invasione russa dell’Ucraina, quando Erevan non riuscì a ottenere alcun vero sostegno da Mosca. Da quel momento Pašinyan ha criticato sistematicamente tutte le iniziative della Csto, l’alleanza eurasiatica controllata dai russi, che non aveva mosso un dito nel conflitto in Nagorno Karabakh.
Dall’inizio dell’operazione speciale della Russia in Ucraina, dall’Armenia si è alimentato sempre più il rapporto con Kiev, visto anche come la mediazione possibile per rafforzare i legami con l’Occidente; e gli stessi ucraini hanno insistito per staccare il più possibile gli armeni dai russi. Un vantaggio molto concreto, di cui anche negli ultimi giorni sono stati evidenziati molti dettagli, è la forte diminuzione del contrabbando dei microchip tramite l’Armenia in favore della Russia, con grandi ricadute sulle forniture e le tecnologie militari.
Dalla pubblicazione delle sanzioni contro la Russia, gli armeni inizialmente erano tra i più attivi nelle forniture di tecnologie acquistate all’estero, mentre dallo scorso 14 novembre, quando l’Armenia ha ufficialmente ratificato lo statuto di Roma del Tribunale penale internazionale, ogni azione in favore della Russia può considerarsi esaurita, fino al punto da confermare il possibile arresto di Vladimir Putin qualora attraversasse la frontiera russo-armena, e la definitiva uscita dell’Armenia dalla Csto, di cui ha rifiutato ogni tipo di iniziativa ed esercitazione.
http://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.png00adminwphttp://www.comunitaarmena.it/wp-content/uploads/2022/08/Logo_armenia-04-1-300x92.pngadminwp2023-11-22 19:17:392023-11-22 20:18:36La nuova alleanza tra Erevan e Kiev (Asianews 22.11.23)
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