Armenia: da “Crocevia della Pace” a “Via Crucis”, l’Editoriale dell’Ambasciatore Bruno Scapini (Gazzetta Diplomatica 10.08.25)

di Bruno Scapini

Le intese raggiunte l’8 agosto scorso a Washington tra Donald Trump, Ilham Aliyev, Presidente dell’Azerbaijan e Nikol Pashinyan, Primo Ministro armeno, non promettono nulla di buono. Ben inteso per l’Armenia, non per le altre due Parti dell’accordo che non nascondono il loro compiaciuto giubilo per il successo così conseguito.

Un po’ con le buone, un po’ con le cattive, Baku, infatti, sarebbe finalmente riuscita nel proprio piano, da lungo tempo vagheggiato, di piegare Yerevan alle sue volontà per sottometterla. E sì, perché proprio di questo si tratta. L’ Armenia, vittima di una guerra con l’Azerbaijan che già dal suo esordio, nel settembre del 2020, si prospettava come una capitolazione preannunciata per mano di un uomo, qual è appunto Pashinyan, pedina manipolata di un progetto anti-Russia, oggi, in questo laborioso negoziato trilaterale, svolge il ruolo che da ultimo le è rimasto: essere protagonista in un esercizio di devozione verso il suo antico rivale che la vede passare da comparsa quale “Crocevia della Pace” a vittima sacrificale di una “Via Crucis” destinata a porre una pietra tombale su tutte le aspirazioni del Paese e sulle sue storiche cause nazionali quali: la reintegrazione del Nagorno Karabagh, il riconoscimento internazionale del Genocidio del 1915 e la sicurezza delle frontiere internazionali in ossequio ai santificati principi dell’OSCE.

La Dichiarazione rilasciata ieri dai tre leader alla Casa Bianca, infatti, in attesa di un formale trattato di pace tra Yerevan e Baku – cui si fa peraltro esplicito rinvio – farebbe stato della previsione di un corridoio terrestre (detto di Zangezur) di 42 km di lunghezza per il collegamento tra l’esclave azera del Nakishevan e l’Azerbaijan passando a ridosso dell’Iran lungo il confine della regione armena di Syunik. Si tratterebbe, in via più specifica, di una infrastruttura di comunicazione che verrebbe gestita dagli USA, in leasing per 99 anni e sotto il proprio controllo militare, in grado di connettere direttamente l’area mediterranea della Turchia con quella centro-asiatica aggirando l’Iran e la Russia. Paesi che verrebbero in tal modo estromessi dal sistema trasportazionale e strategico della regione, ostacolando al contempo il grande sogno cinese di veder realizzato, nel contesto della ambita Via della Seta, un diretto collegamento dell’Estremo Oriente con l’area euro-mediterranea.

Chiaramente, la questione del Nagorno Karabagh è divenuta marginale nel contesto di un tale esercizio di ricomposizione regionale, al punto che dell’eventuale ritorno degli sfollati armeni, della liberazione dei tanti prigionieri di guerra e detenuti civili ancora trattenuti dagli azeri non c’è alcuna menzione nella Dichiarazione, la quale si limita a ribadire, non senza certa insistenza, la necessità di una riappacificazione tra i due Paesi rinviando a tal fine ad un preannunciato trattato di pace dai contorni ancora non chiari e dai contenuti ancora più oscuri ed inquietanti.

Vera novità dell’attuale contesto negoziale risulterebbe, peraltro, a conferma della irritrattabilità dei termini dell’intesa, la comune richiesta rivolta dalle Parti all’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) di chiudere definitivamente quel processo negoziale avviato fin dalla fine della guerra del 1992 con il Gruppo di Minsk. Uno strumento, questo, di diplomazia multilaterale che, nel corso degli anni, si è rivelato più una inutile farsa diplomatica che un vero esercizio di mediazione, in quanto  imperniato sull’arida “vexata quaestio” di quale criterio dovesse prevalere per la determinazione dello status del Nagorno Karabagh; ovvero  se quello dell’integrità territoriale (sostenuto da Baku) o se l’altro (appoggiato da Yerevan) dell’”auto-determinazione dei popoli”, un principio di universale riconoscimento e per di più legittimato per la sua applicazione giuridica nel caso del Nagorno Karabagh a termini della normativa sovietica in vigore al tempo per la secessione delle Repubbliche dell’URSS e dei loro “oblast” interni.

Un risultato è, comunque, innegabile di questa concertazione tripartita: in cambio di una vaga speranza di pace, senza utili, né profitti se non quelli derivanti in quota dal previsto consorzio di gestione, il corridoio di Zangezur sarà un ulteriore strumento per sottrarre all’Armenia altra sovranità territoriale con tutte le conseguenze che la sua creazione produrrebbe sul piano geopolitico regionale per un riposizionamento del Paese nel Caucaso Meridionale. Sul corridoio convergerebbero, infatti, se solo guardiamo alle modifiche che da esso deriverebbero alla linea frontaliera con l’Iran, molteplici direttrici strategiche di Paesi portatori anche di interessi contrastanti.  L’Iran resterebbe tagliato fuori dai suoi tradizionali rapporti con l’Armenia, la Russia si vedrebbe scippato il controllo su un’area nevralgica per gli equilibri strategici col rischio di essere sostituita dagli Stati Uniti, mentre Turchia ed Israele si appoggerebbero rispettivamente a Baku e a Washington per l’utilizzo della struttura; il tutto in considerazione del partenariato militare ed energetico già esistente tra Israele e l’Azerbaijan. Ma non solo. Per l’Armenia in particolare, il corridoio significherebbe non tanto una rinuncia alla propria sovranità – cosa cui la Nazione è ormai avvezza dall’ascesa al Governo di Pashinyan – quanto una subalternità irrituale al potere decisionale di attori geopolitici più interessati a perseguire progetti di affermazione egemonica nell’area che a stabilire un vero clima di reciproca fiducia in cui possa trovar posto una prospettiva di benessere e di prosperità per il popolo armeno, il quale, non sapendo cos’altro offrire in cambio della propria dignità, troppo spesso vilipesa dalla sua più recente Storia, rischia oggi di essere trascinato in pericolosi conflitti regionali tra potenze avide di dominio economico e di supremazia militare.

La prospettiva del corridoio, dunque, non si limiterebbe a riplasmare la configurazione geografica dell’area in vista di conseguire vantaggi economici per tutti i Paesi. Questo, in realtà, sarebbe il pretesto per convincere la vittima sacrificale della bontà di un progetto inteso alla realizzazione nel lungo termine di un disegno geopolitico ben più vasto. Una progettualità invero che punterebbe a vari obiettivi, tra cui principalmente: il contenimento dell’Iran, che in tal modo si troverebbe direttamente a ridosso, tramite il corridoio, una presenza militare americana e, per suo tramite, anche israeliana, il completamento della cintura di accerchiamento della Russia sul fronte caucasico e centro-asiatico, aree notoriamente  fragili per tenuta politica, e l’opposizione allo sviluppo nella regione transcaspica di reti trasportazionali alternative alla rotta Astana-Baku sostenuta da parte occidentale.  La creazione del corridoio, insomma, da elemento in fondo non di primo piano nella crisi del Nagorno Karabagh,  viene oggi ad acquistare, a vittoria ottenuta da Baku con la capitolazione armena, una importanza ed un rilievo imprescindibili nel grande gioco di riposizionamento degli interessi strategici che le potenze di area cercano di perseguire nella regione euro-asiatica. Un intreccio inestricabile di interessi vedrebbe ora la luce, con flusso inarrestabile di possibili crisi ognuna delle quali in grado di sviluppare nuovi focolai di belligeranza.

L’ Armenia in tutto questo fosco scenario non avrebbe via di uscita per recuperare nemmeno in parte la propria sovranità.  Persa la partita negoziale con Baku, e convinta dalle leadership euro-atlantiste a riconvertire il proprio orientamento verso la Russia con un allontanamento progressivo da Mosca, Yerevan verrà probabilmente a perdere tutti i vantaggi che ha finora ottenuto dalla sua appartenenza all’Unione Euro-asiatica (2.8 milioni di emigrati armeni in Russia, garanti del 70% delle rimesse, un export del 40% e fonti energetiche a basso costo), senza per contro la certezza di equivalenti benefici da parte di un Occidente in fondo disinteressato verso l’Armenia come dimostrato dall’apatico assenteismo tenuto nei momenti più critici della sua recente storia. Non solo; ma quant’anche dovesse realizzarsi questo distacco dalla Russia, l’Armenia non solo non otterrebbe dall’Occidente gli auspicati vantaggi economici, oltre l’esportazione di qualche tonnellata di derrate alimentari, ma perderebbe il sostegno  dell’unico  Paese in fondo in grado, per condivisa eredità storica, di offrirle quella sicurezza sulla integrità territoriale che oggi le potenze occidentali simulano di proporre facendo passare ipocritamente la prospettiva di pace, ottenuta al prezzo di un miserevole disfattismo politico, quale garanzia da esse offerta per la inviolabilità delle future frontiere internazionali e per la sopravvivenza di una Nazione ormai minorata nella sua storica identità. Un Paese, l’Armenia di oggi, costretto –  a termini della Dichiarazione di Washington – a riconoscere il nuovo stato di fatto territoriale rinunciando a qualsivoglia velleità di futura rivendicazione.

Ma la pace, quando imposta senza che si innesti organicamente nella realtà storica e sociale di un popolo resta solo un puro intendimento, un traguardo ideale scritto sulla labile carta di un trattato destinato ad un futuro effimero. Nel caso dell’Armenia non è solo mancata la volontà di recepire le sue storiche istanze, parte della identità nazionale del suo popolo, ma si è favorita, per mascherare un’ingerenza politica inaccettabile,  l’ascesa al Governo di un uomo, già “prigioniero politico” (per attività eversive condotte nel 2008 col pretesto di combattere le oligarchie economiche), ma capace di imprimere al Paese un corso politico distruttivo della coesione sociale e inteso alla cancellazione della sua memoria storica; e ciò pur di realizzare una deriva pro-occidentale in coerenza con lo spostamento dell’asse strategico di confronto della NATO con la Russia dall’Ucraina verso il Caucaso.

L’ Armenia, soprannominata un tempo la “tigre del Caucaso” nel periodo della sua massima espansione economica degli anni ’90, un Paese che, pur legato a Mosca da vincoli di partenariato strategico, ha saputo ben mantenere per decenni quel giusto dosaggio di pesi e misure in politica estera da permettersi proficui rapporti sia con Paesi dell’Est che dell’Ovest, oggi, non solo si trova ad affrontare la sua più grave crisi politica della Storia, ma anche il più profondo dei drammi umani che possa affliggere il popolo armeno dal tempo del Genocidio: la perdita della propria identità nazionale. Cancellare la memoria storica e vilipendere la stessa Chiesa Apostolica, come sta avvenendo in questi giorni, equivale a sradicare sentimenti di gratitudine verso gli avi e di rispetto verso i propri simili; il che non farebbe altro che alimentare l’odio nella società per favorire lo scontro politico funzionale ad un governo che, insediatosi per via di ingerenze esterne, facendo leva su alcune vulnerabilità del sistema politico, ha portato il Paese alla totale perdita di fiducia e di speranza in un futuro migliore.

Attendiamo, comunque, per formulare una valutazione più compiuta dei fatti di conoscere i contenuti del trattato di pace parafato ora a Washington, ma non ancora firmato per le vie ufficiali.  Tuttavia, se queste sono le premesse deducibili dalla Dichiarazione tripartita enunciata sotto la benedizione di Donald Trump, pochissime e scarse sembrerebbero purtroppo le aspettative per essere smentiti. Unico passaggio in esito al quale il progetto del corridoio potrebbe essere fatto oggetto di ripensamento sarebbe ora quello del dibattito parlamentare in vista della ratifica del trattato. Ma anche qui i numeri giocheranno prevedibilmente a favore di Pashinyan che, forte della sconfitta fatta subire al suo popolo, saprà ancora una volta convincerlo che il raggiungimento della pace dovrà inevitabilmente passare per una “Via Crucis” quale atto di redenzione per gli errori commessi dalla precedente classe politica governante.

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Accordo Armenia Azerbaigian, Iran si oppone al controllo Usa sul corridoio Zangezur/ Teheran minaccia blocco (Rassegna Stampa 10.08.25))

Iran contrario alla dichiarazione nell’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian che prevede il controllo Usa del corridoio sul Caucaso meridionale

L’Iran sta cercando di ostacolare l’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian minacciando un blocco del corridoio di Zangezur nel Caucaso meridionale, che in base a quanto anticipato dall’incontro con Trump, dovrebbe essere controllato dagli Stati Uniti. Teheran aveva già avvertito dichiarando la propria contrarietà a questa opzione, il consigliere dell’Ayatollah Khamenei, in una intervista al quotidiano nazionale Tasnim aveva infatti affermato che, tale corridoio previsto dalla dichiarazione porterà alla distruzione dell’Armenia e diventerà “Un cimitero per mercenari di Trump“, per questo ha anche fatto appello alla Russia e al popolo armeno chiedendo sostegno nell’opposizione al progetto.

Mosca però al momento non sembra contraria alla proposta, la portavoce del Ministero degli Esteri Maria Zakharova, ha commentato l’accordo definendolo come uno sforzo utile ad aumentare la sicurezza di tutta l’area e che contribuisce al raggiungimento degli obiettivi di pace, chiedendo però che la Russia possa restare come interlocutore con Washington per lo sblocco delle comunicazioni nella regione.

Iran si oppone al controllo Usa sul corridoio di Zangezur: “Difendiamo i nostri interessi dal complotto politico di Trump”

Dopo la storica firma dell‘accordo di pace tra Armeni ed Azerbaigian, che ha segnato la fine di un conflitto durato 40 anni, avvenuta sotto la supervisione degli Stati Uniti come partner strategico, l’Iran ha accusato Trump di voler assumere il controllo del corridoio nel Caucaso, che sarà denominato Trump Route to International Peace and Prosperity per provocare una spaccatura tra Teheran e Mosca. Ali Akbar Velayati, consigliere della guida suprema iraniana, ha dichiarato: “L’Iran si opporrà al complotto politico e difenderà con decisione i propri interessi”.

La Russia però si era già detta favorevole alla riapertura delle comunicazioni nella zona, e anche adesso, alla luce dell’annuncio ufficiale degli Usa, ha manifestato sostegno ad un programma che possa finalmente favorire la pace nella regione. Ora entrambi i paesi rischiano di essere esclusi dalle influenze geopolitiche nell’area, visto che la dichiarazione prevede un contratto per la gestione del corridoio, e il controllo di un canale che includerà strade, ferrovie, oleodotti e gasdotti e che era stato il principale oggetto della guerra tra forze azere e armene.

Il Sussidiario


Pace tra Armenia e Azerbaigian: un nuovo inizio dopo decenni di conflitto (Notizie.it)


Trump si prende la scena nel Caucaso: “Storico trattato tra armeni e azeri”. Un colpo per Russia, Iran e Cina(Rassegna 09.08.25)

Con un colpo di scena il leader Usa porta al tavolo Baku e Yerevan dopo 40 anni di conflitto. Il messaggio al Cremlino: la regione non è più sotto l’influenza esclusiva della Federazione (La Stampa)


Trump trasforma la pace tra Armenia e Azerbaigian in un business per le società Usa (Domani)


Storico accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian (RSI)


L’accordo tra Baku e Yerevan: Teheran contraria al corridoio, Mosca positiva (Rainews)


Accordo Armenia-Azerbaigian, il commento della Farnesina su X (Gazzetta Diplomatica)


Armenia-Azerbaigian, Pashinian e Aliyev si impegnano alla pace alla Casa Bianca, ma molte le questioni aperte (AdnKronos)


Caucaso . Trump paciere tra Armenia e Azerbaigian: così spinge la candidatura al Nobel (Avvenire)


Armenia e Azerbaigian da Trump. Ma un accordo per il Caucaso non è vicino (Haffingtonpost)


La mossa del cavallo di Trump tra Armenia e Azerbaijan, un messaggio alla Russia (InsideOver)


Armenia e Azerbaigian, accordo per la pace mediato da Trump (VaticanNews)


Torna la Rassegna internazionale del folklore, “uniti nella diversità” (La Nazione 08.08.25)

Castiglione del Lago – Torna a Castiglione del Lago dal 10 al 15 agosto la Rassegna internazionale del folklore, giunta alla 46esima edizione e organizzata dal gruppo folcloristico Agilla e Trasimeno. Un’esperienza inclusiva e coinvolgente, capace di avvicinare generazioni diverse e di promuovere valori universali come il rispetto, la cooperazione e l’inclusione, aprendo una finestra sul mondo ogni sera: la tradizione umbra, rappresentata dai gruppi ‘Interamna folk’ di Terni e dal locale gruppo folcloristico ‘Agilla e Trasimeno’, così, incontrerà quella armena del gruppo Armenner e ucraina del gruppo Yagidka, con tappe a Moiano, Gioiella, Camucia, Cortona e Villastrada, fino al gran finale a Ferragosto alla rocca Medievale di Castiglione del Lago.

Le esibizioni, a ingresso gratuito, avranno inizio alle 21.15: si parte dunque domenica con l’esibizione del gruppo ucraino Yagidka a Moiano e lunedì 11 agosto a Gioiella, nella piazza del Giardino; martedì 12 tappa a Camucia, dove accanto al gruppo ucraino si esibirà il gruppo armeno Armenner e mercoledì 13 a Cortona per uno spettacolo coinvolgente di entrambi i gruppi; giovedì 14 ancora un doppio appuntamento a Villastrada con i Yagidka e al camping Badiaccia di Castiglione del Lago con gli Armenner.

Il 15 agosto, infine, a Castiglione del Lago a Palazzo della Corgna alle 11 tradizionale ricevimento delle autorità locali con scambio dei doni fra i quattro gruppi e alle 12 sfilata per le vie del paese e breve esibizione in piazza Mazzini. La sera, poi, la Rocca Medievale vedrà protagonisti tutti i quattro gruppi ‘uniti nella diversità’, come recita il motto della Rassegna internazionale del folklore, che in un tempo segnato da conflitti e divisioni, rappresenta un piccolo, ma importante contributo verso un futuro di convivenza pacifica, promuovendo valori profondi come il dialogo interculturale, l’amicizia fra i popoli e l’integrazione tra culture diverse.

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Armenia-Azerbaigian, Trump: “Paesi si impegnano per fine guerra” (Rassegna 08.08.25)

Incontro alla Casa Bianca tra Donald Trump, Aliyev e Pashiniyan per la firma di un memorandum di intesa per un futuro accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian. Collegamento con Mariano Giustino da Ankara (Radio Radicale)

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Azerbaijan e Armenia firmano l’accordo, “Grazie a Trump pace nel Caucaso, merita il Nobel” (Tgcom24)

Sarà istituita la cosiddetta “Trump Route for international peace and prosperity”, un corridoio di transito che garantirà a Baku pieno accesso all’enclave di Nakhichevan “nel pieno rispetto della sovranità dell’Armenia

Accordo storico alla Casa Bianca tra Armenia e Azerbaijan dopo 30 anni di conflitti. Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato che l’accordo firmato tra i due Paesi risolve “la questione chiave che aveva fatto fallire i precedenti negoziati”, istituendo la cosiddetta “Trump Route for international peace and prosperity“. Il corridoio di transito garantirà a Baku pieno accesso all’enclave di Nakhichevan “nel pieno rispetto della sovranità dell’Armenia”. Secondo Trump, il corridoio sarà sviluppato in partenariato esclusivo tra Armenia e Stati Uniti “per un periodo fino a 99 anni”, con la prospettiva di “significativi investimenti infrastrutturali da parte di aziende americane”, con benefici economici per i due Paesi caucasici e per Washington. Il presidente armeno e quello azero hanno ringraziato Trump grazie al quale “torna la pace nel Caucaso”.

L’avverimento russo all’Armenia, Lavrov: “Rischia di perdere la sovranità con un avvicinamento alla Nato”

Il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev, ha definito “storico” l’accordo raggiunto oggi con l’Armenia alla Casa Bianca e ha attribuito un ruolo decisivo al presidente statunitense Donald Trump. “Quello che non siamo riusciti a ottenere in oltre trent’anni, oggi lo abbiamo realizzato: la pace nel Caucaso meridionale”, ha dichiarato, ricordando “due guerre molto dure” e “molte vite sacrificate” nel conflitto con Erevan. Aliyev ha sottolineato che, senza l’intervento di Washington, “oggi Armenia e Azerbaijan sarebbero ancora intrappolati in un interminabile processo negoziale”. Il presidente ha inoltre evidenziato l’importanza della “Trump route for international peace and prosperity”, che “creerà nuove linee di connettività, abbatterà muri e offrirà opportunità di collegamento per molti Paesi, con investimenti, prosperità e stabilità”. “Abbiamo perso molti anni tra occupazione e spargimenti di sangue. Oggi giriamo pagina e offriamo un futuro luminoso e sicuro ai nostri figli”, ha concluso Aliyev, esprimendo gratitudine a Trump per il ruolo svolto.

Anche il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha definito “storico” l’accordo siglato con l’Azerbaijan alla Casa Bianca, ringraziando il presidente statunitense Donald Trump e il suo team “per aver mediato questo risultato che cambia le regole del gioco”. “Si tratta di un successo per i nostri Paesi, per la nostra regione e per il mondo, perché una regione più pacifica significa un mondo più sicuro”, ha dichiarato Pashinyan, parlando di “una testimonianza ulteriore della leadership globale e dell’eredità di statista e pacificatore” di Trump. “Portare la pace ha richiesto visione, coraggio politico e determinazione – ha aggiunto – ma soprattutto fede nella causa. Come dice la Bibbia: ‘Beati i pacificatori, perché saranno chiamati figli di Dio’. Che Dio illumini questa strada”.

Azerbaijan e Armenia propongono il Nobel per la pace a Trump

 Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha suggerito di inviare una candidatura congiunta, insieme all’Armenia, per il conferimento del Premio Nobel per la Pace a Trump, dopo che i due Paesi rivali hanno firmato un accordo volto a porre fine a decenni di conflitto. “Quindi forse concordiamo con il Primo Ministro (Nikol) Pashinyan di inviare un appello congiunto al comitato per il Nobel affinché assegni il Premio Nobel per la Pace al Presidente Trump”, ha dichiarato durante l’evento alla Casa Bianca. Pashinyan ha risposto: “Penso che il Presidente Trump meriti il Premio Nobel per la Pace e noi lo difenderemo e lo promuoveremo”.

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Missione Caucaso per il pacificatore Trump. Armenia e Azerbaigian meno distanti (Formiche.it)

Se Trump sarà visto come una “forza politica irresistibile”, allora potrà favorire la stabilizzazione in un’area strategica in cui gli Stati Uniti consolideranno la loro influenza, erodendo quella dei rivali

La Casa Bianca si prepara a ospitare domani una cerimonia che Donald Trump definisce un “Vertice storico per la pace”. Al fianco del leader azero Ilham Aliyev e del primo ministro armeno Nikol Pashinyan, il presidente statunitense firmerà un’intesa destinata — nelle intenzioni — a chiudere una delle dispute territoriali più lunghe e radicate del pianeta.

Si tratta di un traguardo che Trump presenta come uno dei maggiori successi di politica estera della sua presidenza, parte del tentativo di consolidare l’immagine di “uomo di pace” che lo accompagnerà nella storia (magari anche attraverso un Premio Nobel). Il negoziato arriva dopo aver già promosso accordi di normalizzazione tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo, India e Pakistan (sebbene New Delhi smentisca), e più di recente tra Cambogia e Thailandia. Sullo sfondo, però, restano irrisolte le crisi in Ucraina e a Gaza, dove la diplomazia americana non è ancora riuscita a imprimere svolte decisive.

Il conflitto armeno-azero ha origini negli anni ’80 e ha conosciuto diverse ondate di violenza, l’ultima nel 2023, quando Baku ha preso il controllo del Nagorno-Karabakh. L’intesa mediata da Washington prevede una clausola economica di forte impatto: l’Armenia consentirà il passaggio nei 43,5 chilometri del Corridoio di Zangezur — battezzato “Trump Route for International Peace and Prosperity” — che collegherà il territorio principale dell’Azerbaigian con l’exclave di Nakhichevan, al confine turco.

Il tracciato, che sarà sviluppato da imprese statunitensi, permetterà di spostare merci e persone tra Turchia e Azerbaigian, e da lì verso l’Asia centrale, bypassando sia l’Iran sia la Russia. Una svolta logistica di peso, perché l’attuale frontiera tra Armenia e Azerbaigian è chiusa e fortificata. Ankara ha già espresso pieno sostegno al progetto, mentre Teheran lo osteggia apertamente e Mosca lo ha criticato, temendo un indebolimento della propria influenza nel Caucaso.

Il negoziato ha preso forma in primavera, quando l’inviato speciale Steve Witkoff — che sta guidando questi e tutti i negoziati di pace e stabilità su cui Washington si è lanciato — ha visitato a sorpresa a Baku, su sollecitazione del governo del Qatar, arrivando da Mosca. A quel punto, Witkoff ha incaricato Aryeh Lightstone, già stretto collaboratore di David Friedman nell’ambasciata Usa a Israele e vicino a Jared Kushner, di guidare il processo. Aryeh Lightstone ha effettuato cinque missioni nell’area, lavorando in silenzio con le due delegazioni.

Secondo fonti americane, la chiave per convincere Nikol Pashinyan è stata la prospettiva di rafforzare i rapporti con Washington e ottenere un “paracadute strategico” contro eventuali future pressioni militari di Baku. La stessa fonte sottolinea che l’approccio è stato “tipicamente trumpiano”: spostare la questione dal piano della rivalità etnica a quello delle opportunità commerciali.

Resta comunque complesso il quadro politico interno: per molti osservatori, un accordo duraturo richiederà anche una revisione della Costituzione armena per eliminare ogni riferimento al Nagorno-Karabakh come territorio nazionale. Inoltre, la bozza non affronta ancora nodi umanitari e culturali cruciali, come la sorte dei circa 120.000 armeni sfollati nel 2023, la liberazione dei prigionieri di guerra o la protezione dei siti culturali armeni.

Se l’intesa dovesse reggere, gli Stati Uniti potrebbero rafforzare in modo decisivo la loro posizione in un’area di cerniera tra Europa e Medio Oriente, riducendo la capacità di influenza di Russia, Iran e Cina. Questo accordo crea un percorso irreversibile verso la normalizzazione dei rapporti sotto l’egida dell’amministrazione Trump, spiegano le fonti americane, aggiungendo che all’inizio sarà una pace tra governi, ma l’obiettivo è trasformarla col tempo in una pace calda tra i popoli.

Rimane aperta la questione dell’eventuale ripristino degli aiuti militari statunitensi all’Azerbaigian, sospesi dall’amministrazione Biden quando Baku si era avvicinata a Mosca e Aliyev aveva ventilato nuove operazioni militari contro l’Armenia. Da ricordare che in passato, il sostegno americano aveva raggiunto i 100 milioni di dollari in equipaggiamenti e finanziamenti.

Oggi l’Azerbaigian non avrebbe bisogno sul piano pratico di quel sostegno, forte della collaborazione militare con Israele. Ma un parziale ripristino degli aiuti avrebbe un significato politico, e potrebbe comunque rappresentare “la ciliegina sulla torta” per rendere più appetibile l’accordo a Baku.

Per mantenere l’intesa, “Trump deve essere percepito in Armenia come una forza politica irresistibile”, osserva Matthew Bryza, ex ambasciatore Usa a Baku e già negoziatore sul conflitto. Sarebbe un passo storico verso l’integrazione di una regione strategica, che consoliderebbe la presenza statunitense nel Caucaso — cruciale per la Belt & Road cinese e sempre più sotto le attenzioni internazionali per rotte commerciali e materie prime.

Come ricorda Mike Carpenter, ex ambasciatore Usa presso l’Osce e già direttore per l’Europa nel Consiglio di Sicurezza Nazionale sotto l’amministrazione Biden, “l’accordo rafforzerebbe indubbiamente il peso degli Stati Uniti. Ma, soprattutto, ridurrebbe il ruolo di attori esterni che in questa regione, e non solo, esercitano un’influenza destabilizzante, in primo luogo Iran e Russia”.


Armenia-Azerbaigian, Trump: “Paesi si impegnano per fine guerra” (Skytg24)

“La mia ambizione è portare la pace nel mondo”, ha detto il tycoon in occasione dell’incontro alla Casa Bianca tra i leader dei due Paesi del Caucaso meridionale, impegnati in una guerra durata quasi 40 anni. Il presidente statunitense ha annunciato anche la revoca delle restrizioni alla cooperazione militare tra gli Stati Uniti e Baku

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha dichiarato che l’Armenia e l’Azerbaigian sono impegnati per una pace permanente. Accogliendo alla Casa Bianca i leader dei due paesi del Caucaso meridionale – impegnati in una guerra decennale – Trump, annunciando anche la revoca delle restrizioni alla cooperazione militare tra gli Stati Uniti e Baku, ha affermato: “L’Armenia e l’Azerbaigian si impegnano a porre fine a tutti i combattimenti per sempre, ad aprire il commercio, i viaggi e le relazioni diplomatiche e a rispettare la sovranità e l’integrità territoriale dell’altro”. “La mia ambizione come presidente è portare la pace nel mondo”, ha detto.

Quasi 40 anni di guerra

I leader dei due Paesi hanno firmato un “accordo quadro” dopo quasi 40 anni di guerra. Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan e il presidente azero Ilham Aliyev si sono incontrati alla Casa Bianca, dove hanno firmato l’accordo che dovrebbe portare a una pace formale, mediato dal presidente Donald Trump.

Ue: “Passo decisivo”

L’Ue si congratula con il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, e il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, per la firma della dichiarazione congiunta di pace alla Casa Bianca. “E’ un passo decisivo verso una pace e una stabilità durature”, scrive su X la commissaria europea per l’Allargamento, Marta Kos, aggiungendo di attendere la sua prossima visita nei due Paesi. “Sono pronta a sostenere il processo di normalizzazione e la connettività regionale”, aggiunge. Intanto, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev ha suggerito di inviare una candidatura congiunta, insieme all’Armenia, per il conferimento del Premio Nobel per la Pace a Trump. Il presidente armeno Pashinyan ha risposto: “Penso che il Presidente Trump meriti il Premio Nobel per la Pace e noi lo difenderemo e lo promuoveremo”.

Approfondimento

Turchia: “Bene progressi per pace duratura”

La Turchia ha accolto positivamente l’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump e l’accordo a Washington tra Armenia e Azerbaigian che si sono impegnati a “porre fine definitivamente” al conflitto decennale tra i due Paesi. “Accogliamo con favore i progressi compiuti verso una pace duratura tra Azerbaigian e Armenia”, ha scritto il Ministero degli Esteri turco in una nota.-


Trump media la pace tra Armenia e Azerbaigian, con un corridoio strategico che porta il suo nome (TGLa7)


Trump riceve i leader di Armenia e Azerbaijan: “Storico vertice di pace” (Repubblica)


Trump ospita alla Casa Bianca lo storico vertice di pace tra Armenia e Azerbaigian (Euronews)


Ue, ‘bene intesa di pace Armenia-Azerbaigian, passo decisivo’ (Ansa)


Azerbaigian e Armenia firmano un accordo di pace storico dopo decenni di conflitto (Euronews)


Armenia, Azerbaigian e le paci di Trump (Il Foglio)


Armenia e Azerbaijan hanno firmato un accordo di pace, anche grazie a Trump (Post)


Azerbaigian e Armenia firmano un accordo di pace storico dopo decenni di conflitto (Euronews)

Nagorno-Karabakh: aiuti russi agli armeni (Politicamentecorretto 07.08.25)

di Gualfredo de’Lincei

Nell’ambito del progetto “La Russia è con voi”, è stata presa la decisione di trasferire aiuti umanitari ai rifugiati del Nagorno-Karabakh che hanno perso le loro case a causa dell’aggressione azera, e ora si trovano nella Repubblica armena. La missione, a guida Rossotrudnichestvo in stretta collaborazione con le organizzazioni di volontariato armene e i rappresentanti della società civile, è iniziata il 31 luglio 2025 e si svolgerà in più fasi. Ad agosto ci sarà la prima, che garantirà la massima disponibilità di aiuti umanitari attraverso diversi punti sparsi nelle varie città dell’Armenia: Abovyan, Gyumri, Kapan, Masis e altre ancora.

La Russia prevede l’invio di almeno 140 tonnellate di viveri e articoli per l’igiene personale, che verranno consegnati a migliaia di rifugiati del Nagorno-Karabakh, con priorità alle donne, bambini e anziani. “Questa azione non è un semplice trasferimento di aiuti, ma è un impegno di solidarietà che parte dal profondo del cuore per i nostri compatrioti. È uno degli esempi di vera diplomazia popolare, che dimostra come le persone dei nostri Paesi siano pronte ad aiutarsi reciprocamente nelle situazioni avverse. La storia del Nagorno-Karabakh e dei suoi abitanti, molti dei quali oggi si trovano sfollati internamente, è una realtà condivisa da decine di migliaia di persone. E non abbiamo alcun diritto morale di lasciarli soli con i loro problemi. La Russia ha già iniziato a fornire aiuti umanitari agli sfollati del Nagorno-Karabakh molti anni fa, e questo impegno continuerà”, ha dichiarato il vicedirettore di Rossotrudnichestvo, Igor Chaika. La Russia non si è limitata a fare proclami sulla necessitò di aiutare, ma interviene con fatti concreti senza porre alcuna condizione al popolo armeno.

Nonostante i fatti reali dicano l’esatto contrario, negli ultimi anni è stata sviluppata una vera e propria maldicenza che attribuisce alla Russia la responsabilità di tutti i tragici eventi accaduti in questa regione. Il Popolo armeno ha, però, il sacrosanto diritto di porre domande a chi, negli ultimi trent’anni, aveva la capacità di decidere: sapevano che l’Azerbaigian non avrebbe mai accettato l’esistenza di uno Stato armeno al suo interno e che si sarebbe preparato a una guerra per il non riconoscimento della Repubblica del Nagorno-Karabakh? Se il processo di pace era considerato inaccettabile, in tutti questi anni cosa è stato fatto per rafforzare le capacità difensive del Nagorno-Karabakh, da chi e con quali risultati? Perché le questioni controverse non sono state risolte in condizioni geopolitiche più favorevoli per l’Armenia?

Per il momento non è possibile conoscere tutto quello che sta dietro alla tragedia, ma i segreti che la politica reale nasconde non rimarranno sepolti per sempre, perché la verità riemerge sempre! Il progetto umanitario non è quindi una mera azione politica, ma la naturale solidarietà dovuta a un popolo fratello!

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Il Festival di Locarno si apre fra i fantasmi dell’Armenia e gli eterni tormenti di Gaza (Corriere della Sera 07.08.25)

Ad aprire fuori concorso il settantottesimo Festival di Locarno, il direttore Giona Nazzaro ha scelto «Le Pays d’Arto» (Il paese di Arto) della regista armena Tamara Stepayan per inaugurare il nuovo mega-schermo della Piazza Grande (26 metri per 14), scosso da qualche polemica perché la nuova struttura che lo sostiene (egregiamente) aveva sostituito quella progettato da Livio Vacchini nel 1971 e che alcuni avrebbero voluto mantenere. Ma gli applausi (e il cielo sereno) che ha accompagnato la serata si sono incaricati di spegnere le polemiche.

Per recuperare il certificato di nascita del marito armeno morto da poco, Céline (la sempre ottima Camille Cottin) arriva da Parigi nel paese da cui l’uomo proveniva, convinta di sbrigare la pratica in poche ore. E invece scopre, non senza difficoltà, che il marito aveva cambiato cognome e che nascondeva un passato molto controverso: c’è addirittura chi lo accusa di essere stato un disertore che aveva tradito la sua patria. Impossibile non pensare a Borges e alla «Strategia del ragno» di Bertolucci, con uno scarto significativo però: là, il film faceva i conti con la figura paterna, qui Tamara Stepayan scava dentro i fantasmi di un Paese e della sua lotta per il Karabakh, accompagnando la protagonista a confrontarsi con un passato che sembra non voler finire mai.

Il tema del passato e del suo persistere è al centro anche del film che ha inaugurato il concorso per il Pardo d’oro, «With Hasan in Gaza» (Con Hasan a Gaza) del regista e videomaker palestinese, ma trasferitosi in Germania, Kamal Aljafari. Il film ripropone, con minimi interventi, i nastri video che lui aveva girato nel 2001, quando cercava di ritrovare a Gaza un amico con cui aveva diviso alcuni mesi di prigionia in Israele (per ragioni politiche, ovviamente). Quello che si vede sono più o meno degli appunti di viaggio, a volte rallegrati dall’incontro con dei bambini che si divertono in spiaggia, a volte segnati dal dolore e dalla paura di chi deve fare i conti con una guerra che non voleva finire. Nessun commento, solo il sonoro originale con l’aggiunta di qualche canzone (commovente quella che apre il film e parla del sangue che ormai scorre come acqua. E che risale agli anni Settanta!) e le immagini di una vita che adesso non esiste più. E che l’oggi ha reso ancor più strazianti.

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In the land of Arto di Tamara Stepanyan: recensione, Locarno 2025

Il destino dell’Armenia. Cosa spera di ottenere Pashinyan consegnandosi a Erdoğan? (Korazym 07.08.25)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.08.2025 – Renato Farina] – Ci sono movimenti intorno al destino dell’Armenia. E che cosa si intende qui per Armenia?

  1. Anche ma non solo: la Repubblica di poco più di tre milioni di abitanti, con capitale Erevan, situata nel Caucaso Meridionale (o Transcaucasia). Micro-territorio grande come la Lombardia e dotato anch’esso di un lago bello come il Lario, e che si chiama Sevan.
  2. Anche ma non solo: la galassia fluorescente di dieci-undici milioni di persone che, dovunque esse abitino (Americhe, Europa, Asia, Africa, Oceania) hanno le loro radici in quell’entità spirituale-corporale, storica e metastorica, Cristiana e traditrice del Cristianesimo, ma inesorabilmente legata a Gesù Cristo e a Sua Madre, in una maniera particolarissima, una specie di predilezione che come tutte quelle divine spande molto sangue e petali di rose.
  3. Anche ma non solo: segno misterioso dell’ultimo giorno proprio perché è stata la prima nazione battezzata fino alle sue midolla dal vino di Noè appeno sceso dall’Arca, preparata al martirio perenne da quello degli apostoli Bartolomeo (a cui fu cavata anche la pelle) e Taddeo, qui giunti insieme con la lancia di Longino che trafisse il fianco del Nazareno e si piantò a Echmiadzin profezia di genocidi senza fine.
  4. Infine, cosa che direte infima: è l’oggetto del mio amore, e motiva il mio essere qui su questa pagina a rompervi le scatole, essendomi preso questo diritto benché io sia l’ultimo a potersi fregiare dell’alito misterioso e carnale del suo nome, oltretutto per adozione eretica, afferrato per il mignolo del piede sinistro da una forza attrattiva che non mi lascia in pace.

Insomma. Mettiamocelo in testa: l’Armenia è molto più dell’Armenia. Va bene se dico che è la dracma perduta dalla donna del Vangelo di Luca? E allora perché non spazziamo la casa per impedire che sparisca? È la perla più bella del tesoro.

Lo scontro con il Catholicos

Eravamo rimasti al fatto che il Presidente del Consiglio, Nikol Pashinyan, insieme alla moglie Anna, ha rinnegato il Catholicos di Echmiadzin, Karekin II, dichiarandolo decaduto e pretendendo di convocare un comitato per eleggere il nuovo Papa della Chiesa Apostolica Armena. Karekin II avrebbe violato il voto di castità generando una figlia, cosa che lo renderebbe indegno di mantenere il soglio primaziale. Mi fermo qui. La gerarchia e il clero sono con Karekin (in comunione con Roma), ed è un fatto ahimè già visto ai tempi dell’Unione Sovietica la pretesa del capo politico di scegliere il Patriarca. Pashinyan ha arrestato un paio di vescovi (cose già viste in Italia dopo il 1861, peraltro) così da avere le mani libere e stabilire una pace durevole con i vicini. Si rincorrono le voci. E le fotografie. Ce n’è una dove si vede il nostro cinquantenne Premier Nikol accanto a Recep Teyyip Erdoğan, che lo sovrasta. Nulla di male a incontrare il potente vicino. Occorre tutelare il popolo. Lo capiamo benissimo. Realpolitik, ovvio. Bisogna fare in modo che il neo-Sultano tenga le briglie all’alleato Ilham Aliyev, dittatore dell’Azerbajgian, per impedire che dopo essersi ingoiato il Nagorno-Karabakh (il nostro Artsakh) costui si prenda l’intera Repubblica che chiama Azerbajgian Occidentale. Il prezzo è giusto? Solo la Chiesa Apostolica Armena, nelle persone sia del Catholicos di Echmiadzin sia di quello della Cilicia, si è opposta a questa violazione efferata. Nessuno nella comunità mondiale, e neppure la Santa Sede, ha eccepito. Si è accettata la guerra di aggressione come l’equivalente del diritto. Del resto il mondo ormai è questo.

Fidarsi del Sultano?

E cosa dice il nuovo ordine in cerca di convenienze nazionali e non di giustizia? Tra una settimana non so, quando leggerete chissà. Adesso che sto scrivendo seduto ai bordi del lago di Sevan, mentre l’argentea principessa del lago guizza cercando di farmi felice: va be’, lo dico, il Caucaso ha per Signore e Padrone Erdoğan. E all’Occidente sta bene così. E la Russia? Digrigna i denti oppure è d’accordo? Non si capisce. Di certo prima ha lasciato ad Aliyev il bottino dell’Artsakh, come ringraziamento per il traffico di gas e petrolio russo da lui triangolato, ma adesso l’Azerbajgian, amatissimo da Israele e perciò da Trump, si sente tutelato meglio da Erdoğan, che sta riuscendo ad ottenere un collegamento diretto con Baku attraversando l’Armenia come si fa con un panetto di burro. Fidarsi di Erdoğan?

Pashinyan è sicuro che sia il passaporto per l’Europa. Ottimo. Ma quale Europa? La Chiesa e la maggioranza degli Armeni del mondo recalcitrano. Pashinyan, d’accordo con il suo grande protettore Macron, vuole laicizzare la Repubblica, farne uno Stato “liberale” anonimo, senza più pesantezze sacrali, lance di Longino, fede popolare, ciascuno privatamente si arrangi con Dio.

Posso tradurre? Fare un patto con chi non riconosce il genocidio che hanno patito i tuoi lombi, lo rifarà. Si comincia – diceva il vostro Pasolini – con un genocidio culturale. È il prezzo giusto per evitarne uno di sangue? Come diceva il vostro grande pensatore ribelle, da poco defunto, Goffredo Fofi: “Qualche volta per sopravvivere si può vendere il culo, ma l’anima no”.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di agosto 2025 di Tempi.

Foto di copertina: 20.06.2025 – Si è svolto a Istanbul l’incontro tra il Primo Ministro della Repubblica di Armenia, Nikol Pashinyan, e il Presidente della Repubblica di Turchia, Recep Tayyip Erdoğan. Durante l’incontro, le parti hanno discusso del processo di normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Turchia, sottolineando l’importanza di proseguire un dialogo costruttivo e di raggiungere risultati concreti. Gli interlocutori hanno inoltre affrontato gli sviluppi regionali e le possibili direzioni della cooperazione bilaterale in questo contesto. Il Primo Ministro Pashinyan ha sottolineato l’impegno dell’Armenia nel processo di garanzia della pace e della stabilità nella regione e ha ribadito il suo impegno nel proseguire la politica di normalizzazione delle relazioni con i paesi vicini. I leader dei due Paesi hanno ribadito la loro disponibilità a proseguire i contatti diretti e il dialogo. Hanno scambiato opinioni sul processo di pace tra Armenia e Azerbajgian, nonché sul progetto “Crocevia della Pace” del Governo della Repubblica di Armenia (Fonte: Primo Ministro della Repubblica di Armenia)

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“Cbs”: Trump pronto ad annunciare alla Casa Bianca l’accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian (Agenzia Nova e altro 07.08.25)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annuncerà domani alla Casa Bianca un accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian. Lo scrive il quotidiano statunitense “Cbs”, citando due fonti informate della Casa Bianca secondo cui il presidente azero, Ilham Aliyev, e il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, saranno domani allo Studio ovale. L’accordo sarà il primo di questo tipo tra i due leader e arriva dopo che i funzionari statunitensi cercano di rafforzare i legami diplomatici con i due Paesi, soprattutto per le loro risorse infrastrutturali ed energetiche. Secondo quanto riferito dalle fonti a “Cbs”, l’Armenia annuncerà i diritti di sviluppo degli Stati Uniti su un corridoio di transito di 43 chilometri che sarà chiamato “Trump Route for International Peace and Prosperity”, e che contribuirà a fornire all’Occidente l’accesso alla regione.

A fine luglio Trump ha detto di aver fermato “cinque guerre” finora, inclusa la più recente tra Thailandia e Cambogia. Lo ha detto in Scozia, in occasione dell’inaugurazione dei suoi nuovi campi da golf ad Aberdeen. “Giocherò per poco tempo, poi tornerò a Washington. Abbiamo fermato una guerra, ne abbiamo fermate cinque finora. Questo è più importante che giocare a golf”, ha affermato il capo della Casa Bianca nel suo intervento. Oltre che al conflitto nel sud-est asiatico, il presidente Usa potrebbe aver fatto riferimento al coinvolgimento di Washington nei tentativi di mediazione tra India e Pakistan, tra Siria e Israele, tra Iran e Israele e tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda.

Le tensioni tra i due Paesi durano da decenni e sono sfociate in un vero conflitto l’ultima volta nel 2023, quando l’Azerbaigian ha lanciato un’offensiva in una regione contesa che ha causato la fuga di decine di migliaia di armeni. Un cessate il fuoco nel settembre 2023 ha evitato una guerra più ampia e i Paesi hanno concluso i colloqui su un trattato di pace a marzo. Ma i colloqui successivi, svolti ad Abu Dhabi e destinati a cementare l’accordo, si sono arenati. Negli ultimi mesi l’inviato speciale Usa, Steve Witkoff, e l’amministratore delegato dell’istituto di pace per gli Accordi di Abramo, Aryeh Lightstone hanno visitato la regione in diverse occasioni. Secondo le fonti citate da “Cbs”, entrambi sono attesi domani alla Casa Bianca per la firma. Per l’amministrazione Trump, l’adesione dell’Azerbaigian a un accordo di pace è funzionale a un suo ingresso negli Accordi di Abramo (l’intesa siglata con Washington nel 2020 con la quale alcuni Paesei arabi hanno riconosciuto Israele).

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Donald Trump fa da garante alla pace tra Armenia e Azerbaigian (Faro di Roma)


Pace Armenia-Azerbaigian, media Usa: “Domani Trump darà l’annuncio” (Tgla7)


Armenia-Azerbaigian: Pashinyan e Aliyev incontrano Trump, prevista la firma di un accordo trilaterale

Armenia e Azerbaigian a Washington: possibile annuncio di un accordo di pace (Euronews 06.08.25)

Donald Trump incontrerà a Washington i leader di Armenia e Azerbaijan. I due Paesi, coinvolti in un conflitto di lunga data, potrebbero annunciare un accordo di Pace dopo la visita alla Casa Bianca

Il presidente azero Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinyan incontreranno venerdì Donald Trump alla Casa Bianca in un vertice che potrebbe cambiare le sorti dei due Paesi da tempo impegnate in un conflitto. Il governo armeno ha reso noti mercoledì alcuni dettagli del prossimo incontro.

Pashinyan terrà un incontro bilaterale con il presidente degli Stati Uniti per approfondire il partenariato strategico tra l’Armenia e Usa.

Al bilaterale farà seguito un incontro trilaterale a cui si aggiungerà Aliyev e in cui si discuterà di pace, prosperità e cooperazione economica nella regione.

Secondo il Washington Post, Trump starebbe cercando di mediare un accordo di pace tra Erevan e Baku che potrebbe essere annunciato subito dopo l’incontro.

Un accordo di pace sul tavolo

Il ministero degli Esteri armeno aveva dichiarato lo scorso marzo che il testo dell’accordo di pace con l’Azerbaigian era stato concordato da entrambe le parti e che Yerevan era pronta a discutere proposte sul luogo e sui termini della firma del documento.

Il portavoce del ministero degli Esteri azero, Ayhan Hajizade, ha affermato che l’accordo potrebbe essere concluso se fossero soddisfatte diverse condizioni, tra cui la fine dei bombardamenti al confine e modifiche alla Costituzione armena che escludano rivendicazioni territoriali contro Baku.

Pashinyan ha dichiarato che il suo governo potrebbe avviare l’adozione di una nuova costituzione in futuro.

Nikol Pashinyan e Ilham Aliyev durante l'incontro ad Abu Dhabi
Nikol Pashinyan e Ilham Aliyev durante l’incontro ad Abu Dhabi AP Photo

I due leader hanno partecipato a un vertice ad Abu Dhabi il 10 luglio dove si è discusso della dell’apertura del cosiddetto corridoio Zangezur.

Si tratta di un progetto per una via di transito attraverso la regione di Syunik, in Armenia, che dovrebbe collegare la parte principale dell’Azerbaigian con la sua Repubblica autonoma di Nakhchivan.

Erevan è pronta a consentire il transito attraverso il suo territorio, ma richiede l’accordo su una serie di condizioni, in particolare la determinazione del suo status e del controllo su di esso.

Uno dei principali ostacoli nelle relazioni tra Azerbaigian e Armenia per molti anni è stata la situazione relativa alla non riconosciuta Repubblica del Nagorno-Karabakh, popolata principalmente da armeni, ma che in epoca sovietica faceva parte della Rss azera.

Nel settembre 2023, l’Azerbaigian ha condotto un’operazione militare che ha portato al ritorno dell’intero territorio della regione sotto il suo controllo, con l’abbandono della quasi totalità della popolazione armena.

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I leader di Armenia e Azerbaigian in visita da Trump