Viaggio in Armenia, dove le pietre parlano e resistono (Ilprimatonazionale 31.08.21)

Roma, 31 ago – Quando si parla di Armenia ci si riferisce a una civiltà millenaria sebbene poco conosciuta a causa della sua distanza geografica, o più probabilmente al fatto che da sempre questo popolo ha subito diverse dominazioni straniere. Dai persiani ai selgiuchidi, dai bizantini agli ottomani, dai mongoli alla Russia zarista e sovietica, l’Armenia ha raggiunto, e ritrovato, la sua indipendenza appena trent’anni fa allo sciogliersi dell’Unione Sovietica. In realtà ciò che resta del territorio armeno è appena un decimo della sua storica estensione ma per capire come questa nazione sia potuta sopravvivere lungo turbolenti secoli e in un fazzoletto di terra incastrato fra i carismatici monti del Caucaso, bisogna attraversarne le polverose strade. Chi avrà la fortuna di fare questo viaggio, e di conoscere questo straordinario popolo di origine indoeuropea che si è aggrappato alla propria identità culturale per non essere mai assorbito dai domini straniere, sicuramente potrà scorgere quattro costanti fondamentali.

L’alfabeto armeno, fondamenta di una civiltà

Gli armeni sono assolutamente innamorati della loro lingua, tanto da dedicare alle lettere del loro alfabeto un parco monumentale nella capitale Erevan e altre opere lungo le strade, e le case, di tutto il Paese. Una riconoscenza cementata dalla consapevolezza che senza l’intuizione del monaco Mesrop Mashtots, il quale nel V secolo ne ideò l’alfabeto, il popolo armeno non avrebbe potuto dotarsi di una propria letteratura e di maturare una propria anima nazionale. Questa operazione linguistica consentì agli armeni di distinguersi e di non lasciarsi assorbire dalle varie dominazioni straniere come successo per altri popoli già estinti.

Le fontane dell’Armenia, segno di speranza e fertilità

Benché il settore minerario sia fiorente, l’Armenia è un territorio povero di risorse naturali ma ricchissimo di acqua. La capitale Erevan offre numerose fontane dove i bambini possono giocare e le famiglie rinfrescarsi ma fontane le trovi ovunque, che sia in città o nei villaggi o lungo le strade più interne e isolate che attraversano gli incantevoli versanti caucasici. Questa presenza costante è molto incoraggiante, non solo per il viaggiatore, ma anche per il popolo armeno che da sempre deve lottare per la sua sopravvivenza. L’acqua, infatti, significa speranza e fertilità.

Khachkar, pietre parlanti

Quando si parla di Armenia è impossibile non parlare di Cristianesimo. La storia e l’identità di questo popolo è infatti visceralmente legata alla sua fede nel Vangelo che, insieme alla lingua, sono risultati fondamentali per la sopravvivenza di questa nazione. Una delle forme che meglio rappresenta questo rapporto sono i Khachkar, ovvero croci scolpite nella pietra in un infinità di motivi artistici tale da non trovare mai un Khachkar simile ad un altro. Questa secolare forma d’arte votiva si trova in ogni angolo dell’Armenia ma non esistono esemplari simili in altre parti del mondo. Queste pietre raccontano storie di famiglie e testimoniano quanto profonda sia la religiosità di questo popolo che è stato il primo al mondo ad abbracciare la fede cristiana.

Famiglie, focolare che illumina il futuro

A parte le città dove è più facile trovare strutture alberghiere, l’ospitalità è affidata alle famiglie che organizzano alcune stanze delle proprie case per l’accoglienza del viaggiatore. Questa è un’esperienza fantastica, non solo perché aiuta a vivere in maniera profonda e diretta l’Armenia, ma perché queste famiglie spalancano tutta la loro genuina e calorosa quotidianità. Vivere queste famiglie allargate, quasi patriarcali, dove l’armonia dei ruoli più che scandita si direbbe che scorre attraverso un amore donato, diventa un monito incarnato di speranza e resistenza al nichilismo e al consumismo occidentale. Dove c’è famiglia, infatti, c’è comunità, c’è patrimonio, c’è tradizione, c’è futuro.

Giorgio Arconte

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Lo scrittore azero Akram Aylisli contro la circoncisione (Sololibri 31.08.21)

Ci sono molti scrittori che hanno avuto il coraggio di difendere la verità subendo ogni sorta di umiliazione e di infamie, tra questi c’è anche l’azero Akram Aylisli (nome d’arte di Akram Najaf oglu Naibov), poeta, narratore e drammaturgo. Quest’uomo audace ha avuto l’ardore di pubblicare un romanzo che prende le parti degli armeni e che, sfidando il governo para-dittatoriale azero, avrebbe dovuto provare al mondo che i suoi compatrioti erano pronti a riconoscere le loro responsabilità storiche per le persecuzioni contro il popolo armeno. Si tratta del libro Sogni di pietrapubblicato in Italia nel 2015 dalla casa editrice Guerini e Associati, tradotto da Bianca Maria Balestra. Purtroppo, però, questo testo è stato fonte di infiniti problemi per l’autore.

Aylisli aveva terminato la stesura del manoscritto dell’opera nel 2007, ma decise di pubblicarla nell’autunno del 2012, a seguito degli sviluppi giudiziari del caso dell’omicidio di Gurgen Margaryan (1978-2004), un sottotenente armeno decapitato nel sonno con sedici colpi di mannaia dal suo pari grado azero Ramil Safarov, durante un master NATO a Budapest. Inorridito dall’accaduto, l’artista pensò di divulgare il suo scritto oltreconfine, in un paese libero, e scelse di pubblicarlo nella rivista letteraria russa Družba Narodov (“Amicizia tra i popoli”), ciononostante nemmeno così riuscì a tutelarsi dai persecutori degli armeni, venne infatti oltraggiato pubblicamente e ai primi di febbraio del 2013 fu privato del titolo di “autore del popolo” (ossia di scrittore nazionale)

Il libro rievoca infatti la questione del genocidio armeno, e degli attacchi compiuti contro la comunità armena del Nakhicevan, agli inizi del ‘900, nonché dei pogrom azeri contro gli armeni di Baku e di altre città dell’Azerbaigian.
Dalla comparsa di Sogni di pietra, il romanziere – un anziano nato nel 1937 – vive in uno stato di libertà coatta, privato dei suoi diritti civili e additato pubblicamente come traditore.
La stampa italiana non ha mancato di schierarsi in difesa dello scrittore, mettendo in luce il suo lodevole (quanto sfortunato) tentativo di creare un dialogo tra due popoli divisi da un conflitto crudele.
Il presente articolo, tuttavia, cercherà di illustrare una seconda controversia che ha accompagnato Sogni di pietra, quella relativa alle opinioni inerenti all’islam contenute nel volume.

La critica alla circoncisione

Oltre alla ferma condanna civile, Aylisli è stato colpito anche da una seria sanzione religiosa. Il gran muftì Allahshukur Pashazadeh lo ha infatti dichiarato ufficialmente apostata, un verdetto che per i governi islamici equivale a una condanna a morte e che anche in paesi musulmani più secolarizzati, come l’Azerbaigian, può portare a essere aggrediti per strada. Questo giudizio deriva dal fatto che in un passaggio dell’opera il romanziere ha criticato impietosamente la pratica della circoncisione.
La scottante parentesi si apre nel testo con la descrizione di un litigio scoppiato a un rinfresco:

“Si festeggiava una circoncisione. Simili banchetti hanno le loro regole: se ti si dà la parola, devi fare un discorso secondo quelle regole. Di che cosa si può parlare a una festa di circoncisione? Di quanto tale usanza sia pia, di quanto [sia] importante per l’igiene e la salute. Si parlerà dei santi imam, degli insegnamenti del Profeta, che riteneva questo rito uno dei più importanti per i musulmani, della Sua grande saggezza…Proprio nel bel mezzo del banchetto la parola viene data a Sadaj Sadygly, che era l’ospite d’onore. E di nuovo qualcosa lo punge. Comincia a prendere in giro la cerimonia. Poi perde ogni freno, che Dio mi perdoni, comincia a prendersela anche col Profeta. ‘Il vostro Profeta, dice, sarebbe più intelligente di Dio? Se nel corpo dell’uomo ci fosse qualcosa di superfluo, Dio sarebbe così cieco da non vederlo? Com’è possibile che il Signore non si sia sbagliato quando ha creato faccia, occhi, naso, orecchie, e ha fatto tutto per bene, ma quando è arrivato a quel punto, accidenti, d’un tratto s’è sbagliato come uno scolaretto? E chi ha chiesto al vostro Profeta di correggere l’errore di Dio?”

Il racconto colpisce al cuore Farid Farzani, uno dei personaggi del romanzo, che proprio a una lite originata dalla circoncisione di suo figlio deve la disgregazione della sua famiglia. Anni prima, egli aveva sposato una donna russa con cui aveva avuto un bambino, ma davanti al rifiuto della moglie di circoncidere il piccolo era sprofondato in una crisi interiore. Un giorno, però, Farzani aveva convinto il figlio dodicenne a lasciarsi circoncidere, tuttavia il ragazzo era rimasto traumatizzato dalla mutilazione provocatagli per volontà del genitore:

“Chi avrebbe mai pensato che un’operazione da nulla per un chirurgo esperto dell’ospedale Sklifosovskij avrebbe avuto delle complicazioni? Eppure, fosse per lo spavento provato, o per altro motivo, sta di fatto che la sera il ragazzo aveva la febbre a quaranta. E la madre, che la sera, tornata dal lavoro, vide il figlio in tali condizioni, dallo sgomento perse il dono della parola. Al marito non disse nulla, non tentò di far calare la febbre al figlio. Riusciva solo a guardarlo con terrore. Poi corse in bagno, si chiuse dentro e da dietro la porta chiusa a lungo si udirono i suoi singhiozzi. […]”.

Si concluse così il matrimonio di Fanzani, e sua moglie non lo volle più avere vicino:

“[Ella] Chiese subito il divorzio e scambiò il loro trilocale in centro con due bilocali in periferia. Dopo aver vissuto qualche anno senza la famiglia, nel 1986 Farid Fanzani scambiò il proprio appartamento con quello di un russo di Baku, si trasferì a Baku e il giorno stesso dell’arrivo capì che aveva commesso un errore imperdonabile. Adesso il figlio di Fanzani aveva compiuto diciannove anni, ma per il padre era rimasto dodicenne e gli occhi innocenti, smarriti del fanciullo lo perseguitavano crudelmente da anni”.

Il figlio non lo aveva mai perdonato e non era mai andato a trovarlo nella sua nuova abitazione.
L’esecrazione delle mutilazioni genitali maschili contenuta in Sogni di pietra avrebbe meritato maggiore eco negli stati in cui il romanzo è stato tradotto, ma evidentemente c’è ancora molto lavoro da fare riguardo una questione di civiltà così seria.

In Europa le associazioni per i diritti umani continuano giustamente a denunciare l’atrocità dell’infibulazione, ma sono ancora pochissime le voci che si levano contro la circoncisione di maschi minorenni sani, che non avrebbero alcun bisogno di essere sottoposti a questa violenza. Negli Stati Uniti oltre metà della popolazione maschile è circoncisa, nonostante gli studi medici dimostrino che questa pratica primitiva non è garante di alcun effettivo vantaggio dal punto di vista sanitario o igienico, mentre espone, invece, al rischio di contrarre infezioni (come nell’episodio riassunto nel romanzo) o di perdere la sensibilità naturale del glande.

È vergognoso, poi, osservare come anche in Italia vi siano donne che affermano candidamente di preferire “per motivi estetici” un pene mutilato (basta un giro in rete per costatarlo), una convinzione riprovevole e paragonabile alla posizione di un uomo che affermi di gradire maggiormente i rapporti sessuali con donne dai genitali appositamente mutilati.

La circoncisione è equiparabile all’infibulazione, e tutti i paesi civili dovrebbero vietare la mutilazione di minorenni in salute, destinati a restare segnati per tutta la vita dal taglio indelebile di una parte del loro corpo, si tratta di una battaglia per il rispetto di un diritto fondamentale dell’uomo: quello all’integrità del proprio fisico.

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22 settembre, a Roma si elegge il Patriarca armeno cattolico (InTerris 29.08.21)

Conclave per eleggere il nuovo Patriarca. I vescovi armeni cattolici si riuniscono il 20 settembre a Roma. Al  Pontificio Collegio armeno. Per due giorni di ritiro spirituale. Poi, a partire dal 22 settembre, inizierà l’assemblea sinodale. Per eleggere il nuovo leader. Sotto la presidenza del cardinale Leonardo Sandri. Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali”.

Il nuovo Patriarca

vescovi armeni cattolici arriveranno dalle diocesi sparse in Medio Oriente. E nei Paesi di maggior concentrazione della diaspora armena. Hanno il compito di eleggere il loro nuovo capo. L’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati è l’attuale amministratore della Chiesa patriarcale di Cilicia degli armeni. Spiega all’agenzia missionario vaticana “Fides” come sarà eletto il successore del Patriarca Krikor Bedros XXI Ghabroyan.

Situazione

E’ eletto Patriarca che ha riportato due terzi dei voti. E se il Sinodo elettivo della Chiesa patriarcale armena cattolica dovesse registrare una  situazione di stallo? Sarà eletto Patriarca il candidato che raggiunge la maggioranza assoluta (la metà più uno) dei voti espressi. Se l’impasse elettorale dovesse perpetuarsi? Sarà eletto Patriarca il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei consensi. Se infine i voti dei vescovi votanti dovessero concentrarsi in maniera assolutamente paritaria intorno a due candidati? Diventerà leader il vescovo più anziano per ordinazione sacerdotale.

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Chiese orientali: vescovi armeni cattolici convocati a Roma per eleggere il nuovo Patriarca (SIR 28.08.21)


Vescovi armeni cattolici convocati a Roma dal 20 settembre per eleggere il nuovo Patriarca (Fides 28.08.21)

Aleppo (Agenzia Fides) – I vescovi armeni cattolici, provenienti dalle diocesi sparse in Medio Oriente e nei Paesi di maggior concentrazione della diaspora armena, si riuniranno a Roma, a partire dal prossimo 20 settembre, per eleggere il loro nuovo Patriarca. Lo conferma all’Agenzia Fides l’arcivescovo armeno cattolico di Aleppo, Boutros Marayati, attuale Amministratore della Chiesa patriarcale di Cilicia degli armeni. “Il Santo Sinodo elettivo svoltosi a partire dallo scorso 22 giugno presso il Convento libanese di Nostra Madre di Bzommar” ricorda l’Arcivescovo Marayati “non è andato a buon fine. In quindici giorni, nessun candidato ha ottenuto i due terzi dei voti dei dodici vescovi partecipanti al Sinodo, soglia richiesta per essere eletto successore del Patriarca Krikor Bedros XXI Ghabroyan, scomparso lo scorso 25 maggio (nella foto, durante la concelebrazione eucaristica con Papa Francesco, ndr). A quel punto, secondo quanto è stabilito dal Codice dei Canoni delle Chiese orientali, le sessioni del Sinodo elettivo sono state interrotte, e la questione è stata rimessa al Papa. Ora ci ritroveremo il prossimo 20 settembre, presso il Pontificio Collegio armeno di Roma, per due giorni di ritiro spirituale. Poi, a partire dal 22 settembre, inizierà l’assemblea sinodale per eleggere il nuovo Patriarca, che si svolgerà sotto la presidenza del Cardinale Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali”.
Riguardo alle procedure di elezione dei Patriarchi, il canone 72 del Codice dei Canoni delle Chiese orientali, al primo comma, stabilisce che “è eletto colui che ha riportato due terzi dei voti, a meno che per diritto particolare non sia stabilito che, dopo un conveniente numero di scrutini, almeno tre, sia sufficiente la parte assolutamente maggiore dei voti (eventualità attualmente non contemplata nel diritto particolare della Chiesa armena cattolica, ndr) e l’elezione sia portata a termine a norma del canone 183, §§3 e 4”. Il secondo comma del medesimo canone 72 chiarisce che “Se l’elezione non si porta a termine entro quindici giorni, da computare dall’apertura del Sinodo dei Vescovi della Chiesa patriarcale, la cosa viene devoluta al Romano Pontefice”.
Se anche il Sinodo elettivo della Chiesa patriarcale armena cattolica dovesse registrare una nuova situazione di stallo, l’esito positivo dell’assemblea elettorale sarà comunque garantito dal ricorso a alcune deroghe, che dopo un certo numero di votazioni avvenute senza esito consentiranno di eleggere Patriarca il candidato che raggiunge la maggioranza assoluta (la metà più uno) dei voti espressi. Se l’impasse elettorale dovesse perpetuarsi, sarà eletto Patriarca il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei consensi. Se infine i voti dei vescovi votanti dovessero concentrarsi in maniera assolutamente paritaria intorno a due candidati, diverrà Patriarca il vescovo più anziano per ordinazione sacerdotale. (GV) (Agenzia Fides 28/8/2021).

Armenia, maxi rissa in Parlamento tra opposizione e maggioranza (Corriere 26.08.21)

Sono intervenute le forze di sicurezza per portare via i protagonisti

In Armenia è scoppiata una maxi rissa in Parlamento, tra opposizione e maggioranza del governo del premier, Nikol Pashinyan. Il tema in discussione era la guerra contro l’Azerbaïdjan del 2020. Dai banchi dell’opposizione sono volate bottigliette d’acqua contro i deputati dell’altra fazione e da lì la bagarre. La seduta è stata interrotta, poi la maxirissa è stata sedata dall’intervento delle forze di sicurezza che hanno portato via i tutti protagonisti.

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Van: cimitero armeno vandalizzato con bulldozer, sparse lapidi e ossa (Asianews 25.08.21)

La vicenda emersa nel distretto di Tuşba, nella provincia orientale turca. Il parlamentare di opposizione Murat Sarısaç ha presentato una interrogazione. Secondo alcune fonti dietro il danneggiamento vi sarebbe un proprietario terriero locale. Si moltiplicano gli episodi di violenze, abusi e danneggiamenti di beni e proprietà delle minoranze.

Istanbul (AsiaNews/Agenzie) – Alcuni vandali, al momento ignoti, hanno danneggiato diverse tombe (cristiane) di un cimitero armeno nel distretto di Tuşba, nella provincia di Van, nell’estremo orientale della Turchia. Sulla vicenda il deputato turco di opposizione Murat Sarısaç, esponente del Partito democratico dei popoli (Hdp, filo-curdo), ha presentato ieri un esposto e chiesto che sia aperta una interrogazione parlamentare.

Il sobborgo di Kalecik, noto anche come Lezk, era un quartiere armeno prima del genocidio del 1915. L’Agenzia per lo sviluppo abitativo (TOKİ) ha promosso la costruzione di diversi nuclei abitativi nell’area dopo il devastante terremoto di Van del 2011. Testimoni locali riferiscono che, nei giorni scorsi, un proprietario terriero ha portato dei bulldozer nei pressi del cimiterio e danneggiato di proposito le tombe. Secondo un rapporto della Mesopotamia Agency (Ma) sono state rimosse e sparse anche lapidi e ossa.

Nelle immagini raccolte dalle telecamere a circuito chiuso, sottolinea il deputato Murat Sarısaç, “si vede che le lapidi sono danneggiate e decine di ossa del cimitero sono sparpagliate sul terreno”. L’esponente Hdp aggiunge che incidenti simili si sono verificati spesso in passato a Van, a conferma che non sono state prese sinora misure adeguate dalle autorità centrali e locali per “proteggere monasteri, chiese e cimiteri storici”.

“Nel 2017 – ricorda – sono stati costruiti un bagno, uno spogliatoio e un parcheggio a Dilkaya Tumulus e nel cimitero armeno di Can“. “A causa della caccia al tesoro in atto e alla negligenza delle autorità esecutive – ha poi aggiunto – le strutture storiche e culturali di Van hanno subito pesanti danneggiamenti”. Sarısaç si è appellato al primo vice-presidente turco Fuat Oktay, chiedendo l’apertura di un’indagine sulla vicenda e sul perché funzionari locali e polizia non proteggano i cimiteri armeni e il patrimonio culturale e religioso. Egli domanda infine quale sia la posizione del governo centrale sugli atti vandalici e se sia stato fatto “un inventario dei monasteri, delle chiese e di altri beni culturali armeni nella regione”.

Per le minoranze la profanazione del cimitero armeno è solo l’ultimo di una serie di episodi controversi, che manifestano il mancato rispetto – se non il disprezzo e mercimonio – del patrimonio religioso e culturale. Lo scorso gennaio sono emerse le vicende di una antica chiesa armena a Bursa, espropriata e messa in vendita online per 800mila dollari o il barbecue storica chiesa armena di Sourp Asdvadzadzi; nei mesi scorsi hanno tenuto banco le conversioni in moschee delle antiche basiliche cristiane – poi musei a inizio ‘900 sotto Ataturk – di Santa Sofia e Chora.

Decisioni controverse nel contesto della politica “nazionalismo e islam” impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan per nascondere la crisi economica e mantenere il potere. In entrambi gli edifici le autorità islamiche hanno coperto con una tenda bianca immagini di Gesù, affreschi e icone che rivelano la radice cristiana.

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Atri, dopo 50 giorni di mostre si conclude Stills of Peace. Prossima edizione dedicata all’Armenia (Ekuonews 24.08.21)

Si è conclusa l’ottava edizione di Stills of Peace, la rassegna di arti e culture contemporanee organizzata da Fondazione Aria, in collaborazione col Comune di Atri. Presentati la scorsa domenica sul palco del Teatro Comunale della città ducale, i risultati della kermesse e annunciato il paese ospite per il 2022: sarà l’Armenia, una piccola nazione, ex repubblica sovietica, crocevia tra Europa, Asia e Medioriente. Una giornata, quella del 22 agosto, dedicata da Fondazione Aria ad un percorso guidato attraverso le mostre che hanno animato i palazzi del centro cittadino dall’inaugurazione del 4 luglio: protagonisti i curatori e gli artisti che quest’anno ha preso parte al progetto. Un dialogo nel segno dell’arte, per valorizzare i rapporti fra l’Italia e la Corea del Sud.

Così nell’evento finale il Sindaco di Atri Piergiorgio Ferretti ha manifestato tutta la propria soddisfazione per l’alta affluenza di turisti attratti dalla rassegna, ma anche per il vivo interesse mostrato dai cittadini di Atri. Il vicepresidente della Fondazione Aria Dante Marianacci ha espresso tutta l’intenzione di proseguire questa collaborazione virtuosa pubblico-privato fra Comune e Fondazione. La direttrice della rassegna, Giovanna Dello Iacono, ha poi tracciato il bilancio di un’edizione che ha contato tre sedi espositive, cinque diverse mostre che hanno spaziato dalla videoarte alla scultura, quattordici artisti ospiti e una rassegna di sei film d’autore proiettati in lingua originale, che hanno registrato ogni sera il tutto esaurito. A testimoniare gli ottimi risultati di ‘Stills of Peace: Italia e Corea del Sud’, è stato presentato un ricco catalogo bilingue dedicato alle mostre, con contributi di curatori internazionali. L’Assessore alla Cultura del Comune di Atri, Mimma Centorame, ha infine annunciato  il paese ospite della prossima edizione di Stills of Peace 2022: l’Armenia.

Stills of Peace, realizzato in collaborazione col Comune di Atri e con la regia dell’agenzia Delloiacono Comunica, giunge quindi alla sua conclusione confermandosi un appuntamento di primo piano per la cultura abruzzese, come testimoniano quest’anno ben undici patrocini ricevuti tra i quali quello del Ministero della Cultura e la stretta collaborazione con l’Istituto Culturale Coreano in Italia.

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Lecco racconta l’Armenia per continuare a rafforzare l’amicizia (LeccoToday 23.08.21)

Lecco racconta l’Armenia per continuare a rafforzare l’amicizia. Entro Settembre verranno proposti in città – grazie all’impegno dell’associazione “Amici Lecco Vanadzor – Italia Armenia” alcuni eventi significativi per meglio conoscere la storia, la cultura le tradizioni di un popolo caucasico che si colloca nel contesto geopolitico quale cerniera tra l’Europa e l’Asia, tra Occidente e Oriente.

“I fatti recenti della sconfitta di una strategia militare e politica dominante imposta dall’Occidente in Afghanistan impongono a ciascuno di noi delle riflessioni di come e quale insegnamento trarre da questa amara e drammatica esperienza che siamo vivendo in questi giorni – spiega Sergio Fenaroli, presidente degli Amici Lecco Vanadzor – Promuoveremo conferenze e dibattiti, occasioni di incontri culturali, religiosi e ricreativi con docenti e personalità che ci aiuteranno ad avvicinarsi a questo popolo eroico, fiero e martoriato, che da secoli parla inascoltato da buona parte della comunità Internazionale. Siamo profondamente convinti che il confronto, la conoscenza e lo scambio, tra culture e realtà diverse, siano la condizione necessaria a trasformare le paure, le preoccupazioni in opportunità di crescita umana e di sviluppo economico reciproco”.

Sia l’Italia sia l’Armenia, come il mondo intero, si stanno battendo in una lotta comune alla pandemia da Covid-19, senza dimenticare poi la salvaguardia ambientale e le condizioni di vita migliori per i popoli e le future generazioni che evitino migrazioni forzate. “Sono obiettivi ambiziosi ma necessari, non più rinviabili, il diritto a una vita dignitosa è di tutti, altrimenti è un privilegio una diseguaglianza da combattere. Le istituzioni locali, il mondo della scuola, le associazioni sindacali, imprenditoriali del volontariato lecchesi verranno coinvolte e ci auguriamo che non mancheranno nella loro disponibilità e attenzione permanente alle tematiche di rilevante attualità che inquietano e attraggono l’attenzione dei cittadini. Le incombenze odierne che gravano nel mondo e su tutti noi impongono a ogni persona degli obblighi; dobbiamo fare la nostra parte, è necessario un cambiamento e per iniziare dobbiamo cambiare noi stessi”.

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Mechitar di Sebaste (1676-1749), il monaco fondatore dell’ordine dei Mechitaristi (IlGazzettino 23.08.21)

VENEZIA – La cronaca lo vide venire al mondo a Sebaste – l’attuale Sivas turca, in Anatolia – come Petros Manuk, il 7 febbraio 1676; la storia lo conosce come Mechitar (dall’armeno Mkhitar, consolatore), e Venezia gli fu di consolazione facendogli dono dell’isola di San Lazzaro, nel 1717 (conosciuta da allora come “San Lazzaro degli Armeni”), che grazie alla sua intuizione è divenuta uno dei più importanti centri religiosi e culturali armeni al mondo: le collezioni del Monastero, dai fondi librari ai reperti archeologici, artistici e scientifici, ne rappresentano la prova tangibile. E la missione della Congregazione Mechitarista, da lui fondata, può essere sintetizzata nella volontà di promuovere una rifioritura culturale e religiosa del popolo armeno.

Ma Venezia – della quale oggi la comunità armena è componente indispensabile e vitale – fu solo la fortunata tappa finale di una vita dedicata allo studio e alla preghiera. Che cominciò molto presto, a quindici anni, quando Petros entrò nel monastero di Surp Nshan, “Santa Croce”, assumendo fin da subito il nome di Mechitar. L’anno seguente, il 1692, mentre era assorto in preghiera in un altro monastero sull’isola di Sevan, ebbe la visione della Vergine Maria, che diede l’impulso decisivo alla sua missione. ispirato dall’idea di creare un ordine dedicato alla ricostituzione spirituale del popolo Armeno attraverso l’elevazione culturale.

A vent’anni, nel 1696, fu ordinato sacerdote e due anni più tardi insignito del grado dottorale di vardapet; da quel momento fu un mistico bruciare le tappe: nel 1700 fondò a Costantinopoli un Ordine di ieromonaci dotti predicatori al servizio del popolo armeno, che dopo la sua morte assunse il nome di Congregazione Mechitarista e che per suo volere fu sempre unita alla Chiesa romana con una forma di spiccata autonomia. Nel settembre del 1701, per sottrarsi alla persecuzione del clero armeno scismatico e a quella delle autorità ottomane presso cui gli scismatici lo accusavano di parteggiare per i Latini, decise di trasferirsi coi confratelli a Modone nel Peloponneso (all’epoca dominio veneziano), dove edificò un monastero con una chiesa.

A Modone Mechitar conobbe diverse personalità veneziane come Alvise Sebastiano Mocenigo, destinato a diventare doge, così come il governatore della Morea Angelo Emo; furono queste conoscenze ad aprirgli la strada per Venezia quando nel 1715 Modone fu conquistata dai Turchi. Due anni più tardi fu assegnata alla Congregazione l’isola di San Lazzaro, allora in stato di abbandono. Mechitar e gli altri religiosi non si spaventarono: iniziarono anzi un paziente lavoro di risanamento degli edifici esistenti e l’avvio dell’edificazione di un nuovo complesso monastico, che incluse anche un allargamento dell’isola e che continuò fino al 1740.

Contemporaneamente fu avviata un’intensa attività editoriale (fino ad alcuni anni fa sull’isola era ancora presente una stamperia armena molto rinomata) che vide lo stesso Mechitar comporre e tradurre testi, almeno una cinquantina, come una edizione della Bibbia in lingua armena, nel 1735, ma anche una grammatica e un dizionario della lingua armena, tra il 1744 e il 1749. Azioni che posero fin da subito la comunità di San Lazzaro degli Armeni al centro della rinascita della letteratura armena in lingua classica, fino a divenire uno dei fulcri più incisivi di promozione della rinascita culturale armena.

Un apostolato al servizio del popolo armeno, fatto anche di raccolta di libri e manoscritti e di restaurazione della lingua e della letteratura armena, che si configura ancora oggi nel senso della promozione umana sul piano spirituale quanto culturale e che rende l’isola della laguna veneziana – dove fu disegnata fra l’altro anche la prima bandiera dello stato Armeno indipendente – un indispensabile presidio di armenologia in Europa, tale da permettere di mantenere salda la cultura armena anche dopo le persecuzioni avvenute in Turchia tra il 1915 e il 1916.

Mechitar di Sebaste si spense il 27 aprile 1749 nella sua isola, a 73 anni, dopo una lunga malattia; fu sepolto nel presbiterio della chiesa di San Lazzaro. È in corso la sua causa di beatificazione da parte della Chiesa cattolica.

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Erevan e Baku tornano a parlarsi al tavolo con Mosca (Asianews.it 21.08.21)

di Vladimir Rozanskij

Dopo mesi di interruzione ripresa l’attività diplomatica del gruppo trilaterale che cerca una soluzione al conflitto. Primo obiettivo è la riapertura delle vie di comunicazione nel Caucaso meridionale. Ma le distanze tra le posizioni restano forti.

Mosca (AsiaNews) – Dopo oltre due mesi di interruzione, è ripresa l’attività diplomatica del gruppo trilaterale di Armenia, Azerbaigian e Russia, con una riunione del 19 agosto che ha visto la presenza dei vice-premier: l’armeno Mger Grigoryan, l’azero Šakin Mustafaev e il russo Aleksej Overčuk. All’incontro sono state valutate le prospettive di ristabilimento delle vie di comunicazione nella regione del Caucaso meridionale e sono stati discussi i risultati delle trattative tra i leader dei tre Paesi, tenutesi lo scorso 11 gennaio 2021.

Le trattative sono riprese un po’ a sorpresa, viste le recenti tensioni sulle frontiere armeno-azere degli ultimi mesi. Lo stesso Grigoryan aveva annunciato lo scorso 1° giugno l’interruzione dei lavori trilaterali, proprio a causa degli scontri ai confini. La ripresa dei contatti, secondo le dichiarazioni armene, sarebbe stata possibile solo in caso di abbandono delle zone contese da parte delle forze armate dell’Azerbaigian, ritiro che non si è verificato.

Il cambio di atteggiamento da parte degli armeni è da attribuirsi alla nuova situazione creatasi dopo la rielezione del primo ministro Nikol Pašinyan, ora evidentemente meno pressato dalle opposizioni sconfitte in parlamento. Nella riunione di governo del 17 agosto, Pašinyan ha dichiarato che l’Armenia è pronta a riprendere il processo di trattative con l’Azerbaigian a tutti i livelli, e attende proposte concrete soprattutto per risolvere il problema delle comunicazioni.

Secondo Pašinyan “ci sono questioni che si possono risolvere più velocemente, e altre la cui soluzione richiede un tempo maggiore, ma la nostra intenzione dev’essere quella di trovare le soluzioni. Una delle questioni che si possono decidere più in fretta è proprio la riapertura delle comunicazioni regionali, sbloccando gli snodi attualmente più critici”.

Anche il presidente azero Ilham Aliev, dopo le dichiarazioni di Pašinyan, ha fatto sapere in un’intervista alla CNN Turk che a suo parere “purtroppo l’Armenia fino agli ultimi giorni si è opposta alla riapertura del corridoio di Zangezur [che in armeno è chiamata Siunyk], ma ora pare che ci sia un cambiamento di parere in positivo”.

Gli armeni hanno sempre dichiarato di “non aver mai accettato, e di non accettare né ora né in futuro la logica del corridoio”, ma di cercare soltanto lo sblocco delle comunicazioni della regione appartenente al territorio armeno.

Aliev ha anche chiesto alla Russia di non esportare armi in Armenia, ricevendo la piccata risposta della rappresentante del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova: “la fornitura di armi all’estero – ha dichiarato – è un diritto sovrano del nostro Paese”, e “le dichiarazioni bellicose non aiutano la pacificazione della situazione secondo gli accordi a tre tra i leader di Russia, Azerbaigian e Armenia”.

Un aspetto particolare della contesa tra Azerbaigian e Armenia riguarda la definizione linguistica. Aliev ha preteso dai media del Paese di usare sempre e soltanto le denominazioni azere delle località, anche se formalmente situate in territorio armeno. La provincia di Vardeniss diventa Basarkečersk, il lago Sevan diventa Getka e così via, provocando la reazione simmetrica degli armeni. La guerra non riguarda soltanto le conquiste e le rivincite, ma soprattutto la superiorità storico-culturale, in terre dal passato antico e simbolico sia per l’Asia sia per l’Europa.

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Albicocche: le ricette facili e creative (Cds 20.08.21)

Le origini le caratteristiche delle albicocche

L’albicocca appartiene alla famiglia delle Rosacee, la stessa delle mele e delle mandorle. I romani la chiamavano armeniacum, in riferimento all’Armenia, che i botanici per lungo tempo hanno ritenuto essere il luogo di origine di questo delizioso frutto estivo, e da qui il nome scientifico Prunus armeniaca. In realtà l’Armenia è stata solo una tappa del viaggio che questo frutto ha fatto per giungere fino a noi, in quanto il vero paese d’origine pare essere la Cina. 100 gr di albicocche hanno un valore calorico di 28 e sono ricche di vitamina A, fibre e betacarotene (sono quindi amiche della nostra pelle e alleate della tintarella perfetta). Tra gli altri benefici questi frutti aiutano a combattere la ritenzione idrica e la cellulite e riducono la glicemia. Inoltre, sono lo snack ideale per chi segue una dieta perché aiutano a placare l’appetito. Si prestano sia per ricette dolci, sia per ricette salate davvero sorprendenti. Si abbinano molto bene con le carni bianche, come pollo, tacchino e maiale. Nelle prossime schede vi proponiamo alcune ricette per gustarle in tutto il loro massimo splendore.

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