Armenia – Sostegno dell’UE e della Francia per la pace (Assadakah 01.07.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – L’Unione Europea e la Francia confermano il loro sostegno al processo di normalizzazione tra Armenia e Azerbaijan. In visita ufficiale a Yerevan, l’Alta rappresentante dell’UE per la Politica estera, Kaja Kallas, ha dichiarato che “l’Unione continua a sostenere con forza la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi, sulla base del rispetto della sovranità,dell’integrità territoriale e dell’inviolabilità dei confini”. Secondo Kallas, una pace duratura è nell’interesse non solo delle due nazioni, ma dell’intera regione, anche in funzione delle nuove rotte di connettività tra Europa e Asia centrale.

“Abbiamo bisogno di più stabilità, non di meno”, ha affermato la rappresentante UE, ricordando di aver affrontato lo stesso tema anche durante la sua visita a Baku.

Dello stesso tenore le parole del presidente francese Emmanuel Macron, che ha riferito di una conversazione telefonica con il premier armeno Nikol Pashinyan. In un messaggio sui social media, Macron ha espresso la solidarietà della Francia e ha ribadito il sostegno agli “sforzi coraggiosi” per raggiungere la pace con l’Azerbaijan e la normalizzazione delle relazioni con la Turchia. Ha inoltre sottolineato che la pace e l’apertura delle frontiere rappresenterebbero un importante passo avanti per l’intera regione e un esempio per il resto del mondo.

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“Chiesa Apostolica Armena: da culla del Cristianesimo a vittima del potere”, l’Editoriale di Bruno Scapini (Gazzetta Diplomatica e altri

L’ arresto di sabato scorso del Capo della Diocesi di Shirak, l’Arcivescovo Mikael Ajapahyan, che fa seguito ad altro nei confronti del Capo della Diocesi di Tavush, l’Arcivescovo Bagrat Galstyan, eseguito appena tre giorni prima, è l’ennesimo episodio di una teoria di attacchi che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, sta portando da qualche tempo avverso la Chiesa Apostolica armena con pretestuose accuse di sovversione dell’ordine costituzionale del Paese. Già da qualche tempo, infatti, in particolare da quando si è andata affermando una diffusa opposizione verso l’attuale Governo, l’Armenia sta vivendo uno dei momenti più critici della sua esistenza. Ma non tanto a causa di una conflittualità sociale inesistente o di una pretesa crisi economica che investirebbe il Paese, bensì per ragioni di pura conservazione del potere. Un potere finalizzato ad attuare un corso di politica estera più favorevole ai tradizionali nemici di vicinato (leggi Azerbaijan e Turchia), ma mascherandone la compiacenza con un quanto mai illusorio progetto di pacificazione regionale non inclusivo dei reali e più rilevanti interessi nazionali. E proprio in questa prospettiva, il Governo avrebbe condotto oggi il Paese ad un bivio cruciale: ovvero a dover scegliere se permanere nello storico legame con Mosca, o se invece abiurarlo in favore di uno schieramento pro-occidentale. Un’opzione, quest’ultima, che è stata adottata in via preferenziale proprio da Pashinyan, su sollecitazione delle forze euro-atlantiste inclini a strumentalizzare la sua figura politica nell’ottica di antagonizzare ancora una volta la Russia nello scacchiere caucasico. Ed è in questa prospettiva che l’attuale scontro tra Governo e Chiesa Apostolica troverebbe le sue primarie motivazioni e spiegazioni.

La criticità, infatti, dell’attuale rapporto tra le Autorità e la Chiesa Apostolica andrebbe più propriamente inquadrata nel contesto di quella crescente tensione con i massimi esponenti religiosi di Echmiadzin che l’attuale Governo di Nikol Pashinyan avrebbe provocato a seguito di una sua deriva autocratica sempre più allineata con gli interessi di alcune potenze occidentali intenzionate a destabilizzare il Paese in funzione anti-russa. Non va dimenticata, infatti, la genesi dell’attuale Governo: Pashinyan, da “prigioniero politico” quale era, dopo i cruenti fatti di piazza del 2008 – cui lo stesso ha attivamente partecipato – è passato al ruolo di un auto-proclamato “Primo Ministro” nel 2018 a seguito di una quanto mai perplessa “transizione di velluto”. Da allora il suo Governo è stato sempre alla ricerca di un consenso che potesse garantirne una legittimazione politica, e ha contato a tal fine sulla disaffezione serpeggiante attraverso alcune frange dell’elettorato che si facevano portatrici di un auspicato cambiamento rispetto al precedente Governo. Poiché l’iniziale sostegno popolare in favore di Nikol è andato nel tempo scemando a fronte di alcune sue scelte politiche adottate in aperto contrasto con le cause storiche nazionali armene, quali la reintegrazione del Nagorno Karabach e il riconoscimento universale del Genocidio del 1915 (elementi entrambi costituenti storicamente l’identità nazionale del popolo armeno), una forte reazione si sarebbe gradualmente consolidata verso la sua figura istituzionale vista non più in linea con gli interessi del Paese, ma anzi con essi in aperto pieno contrasto. La discutibile sconfitta subita con l’ultima guerra con l’Azerbaijan nel 2020, la totale perdita del Karabagh nel 2023, la inattuabilità del suo progetto di fare dell’Armenia un “crocevia della pace” – attraverso concessioni di varia tipologia in favore di Paesi storicamente “nemici”, ma percepite come “inaccettabili” dall’opinione pubblica del Paese – e l’inasprimento dei rapporti con la Russia – in contro-tendenza con i tradizionali interessi economici, migratori e strategici da sempre mantenuti con Mosca – sono tutti fattori che hanno portato all’emergere di un vasto movimento di resistenza di cui proprio la Chiesa Apostolica di Echmiadzin si è fatta interprete offrendo il pretesto per le scomposte e irreverenti reazioni avute dal Premier, al limite dell’oltraggio, verso la massima Autorità religiosa e spirituale della Nazione, il Catholicos di tutti gli armeni.

Per gli aspetti più propriamente geopolitici, che attengono invero alla vera sostanza della attuale crisi attraversata dal Paese, non va parimenti sottaciuto come l’Armenia costituisca oggi col Governo Pashinyan l’elemento sul quale poggia quell’Occidente collettivo votato alla sconfitta strategica della Russia; lo stesso Occidente che ritiene di poter condurre oggi Yerevan verso uno schieramento euro-atlantista non solo inducendo il suo Governo ad abiurare i tradizionali vincoli con Mosca (dall’appartenenza all’Unione Euroasiatica alla CSTO ed altre forme di cooperazione), ma anche accreditando in alternativa un’ipotesi di destabilizzazione del Paese funzionale – congiuntamente ai casi della Moldova e della Georgia – ad un indebolimento del fronte caucasico della Federazione Russa. Non sarebbe irrealistico, del resto, immaginare in proposito come anche l’Armenia, nelle intenzioni di alcune note leadership occidentali, possa rappresentare al pari dell’Ucraina un’utile opportunità per ingegnerizzare un altro “progetto anti-Russia”. Ma la difficoltà incontrata per una simile conversione del ruolo del Paese (strategicamente ed economicamente più orientato verso Mosca) indurrebbe ora Pashinyan a ricercare altri ulteriori pretesti per attivare uno scontro con le opposizioni all’interno della società armena colpendola proprio in quello che ha più di vitale per mantenere e preservare l’unità storica, spirituale, etica e morale dell’intera Nazione ivi compresa la sua stessa Diaspora.

Prova dell’appoggio di cui peraltro gode l’attuale Governo armeno da parte occidentale per questa sua riprovevole linea di condotta è ancora una volta quel noto doppio standard comportamentale tenuto dalle istituzioni di Bruxelles. Queste, al tempo delle violenze di piazza del 2008, non lesinavano pressioni politiche di ogni tipo pur di ottenere la scarcerazione di Pashinyan ritenendolo “prigioniero politico”. Ma oggi quelle stesse leadership tacciono. Né osano prendere le difese di esponenti religiosi arbitrariamente arrestati con motivazioni tanto speciose nelle finalità, quanto pretestuose e fallaci nei contenuti.

In questa prospettiva, aizzare, dunque, il popolo contro la massima Istituzione religiosa, denigrandola con una narrativa offensiva e oltraggiosa, ma anche cercando di imbavagliarla con veri e propri atti persecutori (accuse di comportamenti osceni e immorali, arresti di esponenti religiosi e civili, proposta di riforma per l’elezione del Catholicos quale suprema guida spirituale), potrebbe ben percepirsi non solo come una violazione del principio oggi universalmente riconosciuto dell’indipendenza della Chiesa dallo Stato (un principio peraltro fatto proprio dalla stessa Costituzione armena e dalla più recente legge di ridefinizione dei rapporti tra le due entità del 2007), ma anche come tragico e al contempo miserevole espediente per raccogliere consensi in vista delle prossime elezioni politiche del 2026, in occasione delle quali molto verosimilmente Nikol Pashinyan si troverà a dover fare i conti con una opposizione sempre più consolidata e determinata ad invertire il corso politico del Paese per restaurare quei valori che proprio il suo Governo ha inteso mettere in discussione in un’ottica distruttiva dell’unità nazionale.

Bruno Scapini

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Armenia, la tensione tra Stato e Chiesa spiegata: perché l’arresto dell’arcivescovo potrebbe portare ad una frattura nel paese (Torinocronaca)


Il golpe degli arcivescovi. La gracile Armenia destabilizzata dal “clericalismo criminale-oligarchico” e dai russi (Haffington Post)


Il frontale tra Pashinyan e il suo “papa” che può spaccare l’Armenia (Tempi)


Arresti di vescovi, accuse di tentato colpo di Stato e crescenti tensioni tra Stato e Chiesa in Armenia (Europeantimes)


Armenia: le autorità hanno arrestato l’arcivescovo Ajapahyan (AgenziaNova)


 

Apo Yaghmourian. Perduranza (Arte.it 30.06.25)

Dal 2 July 2025 al 25 July 2025

Caserta

Luogo: Reggia di Caserta

Indirizzo: Piazza Carlo di Borbone

Costo del biglietto: La partecipazione all’iniziativa è inclusa nel biglietto/abbonamento al Museo

Sito ufficiale: http://reggiadicaserta.cultura.gov.it

 

Mercoledì 2 luglio, alle ore 17.30, alla Reggia di Caserta inaugura l’installazione “Perduranza” di Apo Yaghmourian. L’artista armeno presenta la sua opera al Vestibolo superiore del Palazzo reale fino al 25 luglio.
“Perduranza” è un progetto dell’associazione Talenti e Territori selezionato dal Comitato Scientifico del Museo nell’ambito del Bando di Valorizzazione partecipata. Un esperimento di arte collettiva in cui ogni partecipante è protagonista di un racconto che appartiene a tutti. Un mosaico di voci e storie, un abbraccio collettivo che celebra la diversità e il potere trasformativo della creatività.
Un basso vassoio circolare accoglie l’acqua attinta alla Fontana del Pastore nel Giardino Inglese. Al centro, una semisfera in tufo Piperno, materiale impiegato anche nella costruzione della Reggia. La semisfera si riflette nell’acqua, completando con l’illusione metà della sua parte e diventando così completa. La parte superiore del solido fa riferimento al tangibile, quindi al presente; quella inferiore suggerisce l’idea dell’intangibile, dunque al passato. Esso rappresenta la continuità del tempo e della storia, mentre l’acqua funge da elemento di connessione tra passato presente.  Questa installazione ricorda ancora una volta in questo momento di grave crisi idrica, l’acqua quale patrimonio prezioso, risorsa indispensabile per tutti gli esseri viventi e per il nostro pianeta.
L’installazione al Vestibolo superiore si completa con una performance dei bambini del Centro Infanzia Baby Birba di Castel Morrone.
L’associazione Talenti e Territori è affiancata in questo progetto dalla nascente residenza artistica Corte Marcosc’. I partner del progetto sono FLR Fondazione la Rocca, Dello Iacono Comunica e Centro Infanzia Baby Birba. Apo Yaghmourian è nato nel 1993 ad Amman, in Giordania, da genitori armeni. Ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli, dove si è laureato in pittura nel 2022. Sin dalla giovane età, l’artista sperimentato danza, canto e teatro. Attualmente vive a Napoli. L’arte di Apo Yaghmourian intreccia memoria e identità, indagando la crescita interiore attraverso la manipolazione materica. Connette storie personali sradicamenti collettivi. Le sue opere dialogano con lo spazio, amplificando la trasformazione e la poetica di oggetti ritrovati nel tempo. La sua ricerca profonda esplora il peso del passato come opportunità per riflettere sulle complessità culturali contemporanee.

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Nel pieno della crisi con la Russia, l’Azerbaigian rischia un nuovo conflitto con l’Armenia (Nova News 30.06.25)

L’obiettivo strategico del presidente Ilham Aliyev sarebbe il controllo del “Corridoio di Zangezur”, nella provincia armena di Syunik, per collegare direttamente il territorio azerbaigiano con l’exclave del Nakhchivan

La nuova crisi diplomatica tra Azerbaigian e Russia potrebbe nascondere ambizioni ben più ampie da parte di Baku: secondo fonti giornalistiche e analisti militari russi, l’obiettivo strategico del presidente Ilham Aliyev sarebbe il controllo del cosiddetto “Corridoio di Zangezur” – una stretta porzione di territorio nella provincia armena di Syunik – per collegare direttamente il territorio azerbaigiano con l’exclave del Nakhchivan. Secondo alcuni osservatori, fra cui l’analista militare Yuri Podolyaka, l’attuale contesto internazionale offre a Baku una finestra temporale favorevole. L’Iran, tradizionale baluardo contro l’espansione azerbaigiana nella regione e alleato dell’Armenia, è stato colpito duramente dai raid israeliani e statunitensi delle ultime settimane. La Russia è quasi del tutto assorbita dal conflitto in Ucraina e ha ridotto drasticamente la sua influenza nel Caucaso meridionale, come dimostrano le frizioni con la stessa Armenia. A Erevan, intanto, il premier Nikol Pashinyan – già duramente criticato per aver accettato la resa del Karabakh – potrebbe perdere le elezioni del 2026, interrompendo un ciclo di concessioni a favore dell’Azerbaigian.

Secondo l’analista russo, Baku avrebbe volutamente inasprito i rapporti con Mosca, usando come pretesto il caso dell’arresto in Russia di presunti membri della criminalità organizzata azerbaigiana avvenuto venerdì scorso a Ekaterinburg. L’operazione di sicurezza avvenuta nella città degli Urali, tuttavia, è stata molto dura, con oltre 50 persone arrestate e due morti fra le fila della comunità azerbaigiana. “In realtà – scrive Podolyaka – è proprio l’assurdità del caso che mi fa pensare che Baku cercasse disperatamente un pretesto per rompere con Mosca, in un momento che giudica strategico per agire”. Podolyaka aggiunge che la recente sconfitta militare dell’Iran nella cosiddetta “guerra dei dodici giorni” con Israele avrebbe ridotto la capacità di Teheran di reagire. “Dopo le elezioni del 2026, Pashinyan – considerato da molti una ‘quinta colonna’ di Baku – potrebbe essere sostituito, rendendo più difficile per l’Azerbaigian ottenere concessioni territoriali. Se l’operazione va fatta, va fatta ora”, aggiunge l’analista militare.

Il controllo del Corridoio di Zangezur rappresenterebbe per l’Azerbaigian un successo simbolico – perché ricongiungerebbe il Paese caucasico al Nakhchivan – ma anche una svolta strategica. Baku potrebbe avviare la costruzione di nuove infrastrutture energetiche con la Turchia evitando di doverle far transitare attraverso il territorio della Georgia, consolidando il suo ruolo di snodo energetico per l’Europa. Attualmente attraverso la Georgia transitano sia l’oleodotto Baku-Tblisi-Ceyhan (Btc) sia il Corridoio meridionale del gas, ma con il Corridoio di Zangezur sotto il controllo dell’Azerbaigian, non sarebbe più necessario utilizzare queste rotte e si potrebbe inviare forniture dirette alla Turchia attraverso il confine con il Nakhchivan, inviandole per esempio a Kars, città turca dove già passano le due infrastrutture energetiche sopracitate, che dista poco più di 200 chilometri dal confine.

Tuttavia, l’opzione militare rischia di creare forti tensioni con l’Unione europea, che ha già aumentato la propria dipendenza energetica dall’Azerbaigian dopo la rottura con la Russia. Il punto critico è che, a differenza del Karabakh, la provincia di Syunik è internazionalmente riconosciuta come parte dell’Armenia: un’eventuale invasione sarebbe dunque una violazione palese del diritto internazionale. La questione assumerebbe particolari criticità per l’Italia, che in seguito all’inaugurazione del gasdotto transadriatico (Tap) – ultimo ramo del Corridoio meridionale del gas – ha rafforzato la sua cooperazione energetica con l’Azerbaigian: i rapporti fra Roma e Baku, come confermano gli intensi scambi di visite e le crescenti attività economiche e industriali in comune, sono oramai di grande rilevanza strategica per il nostro Paese.

Se l’Azerbaigian dovesse lanciare un’operazione militare, Bruxelles e Roma si troverebbero in un dilemma simile a quello vissuto con la Russia nel 2022. Ma la possibilità che vengano adottate sanzioni contro Baku è tutt’altro che certa, anche alla luce dell’attuale crisi in Medio Oriente e del timore di compromettere le forniture energetiche. Secondo Podolyaka, l’unico ostacolo concreto all’operazione militare potrebbe essere una forma di deterrenza tattica, come il rapido dispiegamento da parte armena di unità dotate di droni da ricognizione: “Se venissero costituite e posizionate in Armenia (questo tipo di unità), l’invasione potrebbe essere evitata o almeno resa molto più costosa per Baku”. La crisi in corso tra Azerbaigian e Russia potrebbe dunque essere il preludio a un tentativo azerbaigiano di cambiare con la forza l’assetto geopolitico del Caucaso. In questo contesto, l’Unione europea potrebbe essere chiamata a prepararsi a uno scenario in cui i propri interessi energetici rischiano di entrare in rotta di collisione con la difesa dei principi di sovranità e del diritto internazionale.

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Kallas, bene il processo di adesione dell’Armenia all’Ue (Ansa e altri 30.06.25)

(ANSA) – BRUXELLES, 30 GIU – Kallas ha poi sottolineato che l’Ue “sostiene” il processo di normalizzazione dei rapporti con l’Azerbaigian e che vorrebbe vedere la firma del trattato di pace “il prima possibile”. “In questo mondo c’è bisogno di stabilità ed è nostro interesse la conclusione di questo processo, anche dal punto di vista dei progetti di connettività verso l’Asia Centrale”, ha aggiunto.


KALLAS PLAUDE AL PROCESSO DI ADESIONE DELL’ARMENIA ALL’UE (Opinione)


Kallas: “Bene il processo di adesione dell’Armenia all’Unione europea” (Espresso) 

Armenia – Khor Virap, le origini della fede cristiana (Assadakah 30.06.25)

Letizia Leonardi (Assadakah News) – Sorge nella valle dominata dal profilo del biblico monte Ararat il monastero di Khor Virap, luogo simbolico della storia cristiana dell’Armenia. Più che un santuario, per gli armeni rappresenta il cuore spirituale della nazione, il punto in cui ha preso forma un’identità religiosa destinata a segnare in profondità la storia del Paese. 

Qui, secondo la tradizione, San Gregorio l’Illuminatore fu imprigionato per tredici anni alla fine del III secolo d.C., sotto il regno di Tiridate III, colpevole di aver professato la fede cristiana in un’epoca in cui il paganesimo era ancora dominante. Rinchiuso in un pozzo-prigione, sopravvisse grazie alla provvidenza, fino a quando – raccontano le fonti ecclesiastiche – fu invocato per guarire lo stesso re, gravemente malato. La sua liberazione segnò una svolta: Tiridate III guarì, si convertì e battezzò sé stesso e il suo popolo. Fu così che l’Armenia, nel 301 d.C., divenne la prima nazione al mondo ad adottare ufficialmente il cristianesimo come religione di Stato.

L’archimandrita Komitas Poghosyan, che guida da quattro anni la comunità del monastero, lo definisce senza esitazione “il luogo in cui è iniziato il risveglio spirituale del popolo armeno”. Per lui, la fede non è solo memoria, ma un’eredità viva: “Abbiamo vissuto momenti durissimi nella nostra storia, ma la fede ci ha sempre sostenuti. Anche nei tempi di maggiore sofferenza, non l’abbiamo mai perduta”.

Khor Virap è oggi meta di pellegrinaggi e punto d’incontro tra fedeli locali e visitatori provenienti da tutto il mondo. Durante le celebrazioni, le voci di tre giovani donne – Mariam, Lily e Anna – accompagnano le liturgie con canti che, secondo l’abate, “non sono solo musica, ma l’anima di un popolo che prega”.

Con un atteggiamento cordiale e un’umiltà disarmante, l’archimandrita accoglie chiunque varchi la soglia del monastero. “Come dice il Vangelo – ricorda – Cristo conosce i suoi, e i suoi lo conoscono. Quando si entra in una chiesa, si dovrebbe poter guardare negli occhi qualcuno e sentirsi accolti”.

Poghosyan ha anche un legame speciale con la Bulgaria, dove ha vissuto e prestato servizio in passato. “Ho ricordi bellissimi di quel Paese, non solo tra gli armeni della diaspora, ma anche tra i bulgari. L’amicizia fra i nostri popoli è una ricchezza”.

Nel pozzo in cui Gregorio fu rinchiuso, oggi si scende per devozione. Lì dove un tempo regnavano oscurità e dolore, oggi si celebra il miracolo della fede che ha resistito ai secoli. Khor Virap resta così il testimone silenzioso di una storia che continua a parlare, generazione dopo generazione.

“Chiesa Apostolica Armena: da culla del Cristianesimo a vittima del potere”, l’Editoriale di Bruno Scapini (Gazzetta Diplomatica 30.06.25)

arresto di sabato scorso del Capo della Diocesi di Shirak, l’Arcivescovo Mikael Ajapahyan, che fa seguito ad altro nei confronti del Capo della Diocesi di Tavush, l’Arcivescovo Bagrat Galstyan, eseguito appena tre giorni prima, è l’ennesimo episodio di una teoria di attacchi che il Primo Ministro armeno, Nikol Pashinyan, sta portando da qualche tempo avverso la Chiesa Apostolica armena con pretestuose accuse di sovversione dell’ordine costituzionale del Paese. Già da qualche tempo, infatti, in particolare da quando si è andata affermando una diffusa opposizione verso l’attuale Governo, l’Armenia sta vivendo uno dei momenti più critici della sua esistenza. Ma non tanto a causa di una conflittualità sociale inesistente o di una pretesa crisi economica che investirebbe il Paese, bensì per ragioni di pura conservazione del potere. Un potere finalizzato ad attuare un corso di politica estera più favorevole ai tradizionali nemici di vicinato (leggi Azerbaijan e Turchia), ma mascherandone la compiacenza con un quanto mai illusorio progetto di pacificazione regionale non inclusivo dei reali e più rilevanti interessi nazionali. E proprio in questa prospettiva, il Governo avrebbe condotto oggi il Paese ad un bivio cruciale: ovvero a dover scegliere se permanere nello storico legame con Mosca, o se invece abiurarlo in favore di uno schieramento pro-occidentale. Un’opzione, quest’ultima, che è stata adottata in via preferenziale proprio da Pashinyan, su sollecitazione delle forze euro-atlantiste inclini a strumentalizzare la sua figura politica nell’ottica di antagonizzare ancora una volta la Russia nello scacchiere caucasico. Ed è in questa prospettiva che l’attuale scontro tra Governo e Chiesa Apostolica troverebbe le sue primarie motivazioni e spiegazioni.

La criticità, infatti, dell’attuale rapporto tra le Autorità e la Chiesa Apostolica andrebbe più propriamente inquadrata nel contesto di quella crescente tensione con i massimi esponenti religiosi di Echmiadzin che l’attuale Governo di Nikol Pashinyan avrebbe provocato a seguito di una sua deriva autocratica sempre più allineata con gli interessi di alcune potenze occidentali intenzionate a destabilizzare il Paese in funzione anti-russa. Non va dimenticata, infatti, la genesi dell’attuale Governo: Pashinyan, da “prigioniero politico” quale era, dopo i cruenti fatti di piazza del 2008 – cui lo stesso ha attivamente partecipato – è passato al ruolo di un auto-proclamato “Primo Ministro” nel 2018 a seguito di una quanto mai perplessa “transizione di velluto”. Da allora il suo Governo è stato sempre alla ricerca di un consenso che potesse garantirne una legittimazione politica, e ha contato a tal fine sulla disaffezione serpeggiante attraverso alcune frange dell’elettorato che si facevano portatrici di un auspicato cambiamento rispetto al precedente Governo. Poiché l’iniziale sostegno popolare in favore di Nikol è andato nel tempo scemando a fronte di alcune sue scelte politiche adottate in aperto contrasto con le cause storiche nazionali armene, quali la reintegrazione del Nagorno Karabach e il riconoscimento universale del Genocidio del 1915 (elementi entrambi costituenti storicamente l’identità nazionale del popolo armeno), una forte reazione si sarebbe gradualmente consolidata verso la sua figura istituzionale vista non più in linea con gli interessi del Paese, ma anzi con essi in aperto pieno contrasto. La discutibile sconfitta subita con l’ultima guerra con l’Azerbaijan nel 2020, la totale perdita del Karabagh nel 2023, la inattuabilità del suo progetto di fare dell’Armenia un “crocevia della pace” – attraverso concessioni di varia tipologia in favore di Paesi storicamente “nemici”, ma percepite come “inaccettabili” dall’opinione pubblica del Paese – e l’inasprimento dei rapporti con la Russia – in contro-tendenza con i tradizionali interessi economici, migratori e strategici da sempre mantenuti con Mosca – sono tutti fattori che hanno portato all’emergere di un vasto movimento di resistenza di cui proprio la Chiesa Apostolica di Echmiadzin si è fatta interprete offrendo il pretesto per le scomposte e irreverenti reazioni avute dal Premier, al limite dell’oltraggio, verso la massima Autorità religiosa e spirituale della Nazione, il Catholicos di tutti gli armeni.

Per gli aspetti più propriamente geopolitici, che attengono invero alla vera sostanza della attuale crisi attraversata dal Paese, non va parimenti sottaciuto come l’Armenia costituisca oggi col Governo Pashinyan l’elemento sul quale poggia quell’Occidente collettivo votato alla sconfitta strategica della Russia; lo stesso Occidente che ritiene di poter condurre oggi Yerevan verso uno schieramento euro-atlantista non solo inducendo il suo Governo ad abiurare i tradizionali vincoli con Mosca (dall’appartenenza all’Unione Euroasiatica alla CSTO ed altre forme di cooperazione), ma anche accreditando in alternativa un’ipotesi di destabilizzazione del Paese funzionale – congiuntamente ai casi della Moldova e della Georgia – ad un indebolimento del fronte caucasico della Federazione Russa. Non sarebbe irrealistico, del resto, immaginare in proposito come anche l’Armenia, nelle intenzioni di alcune note leadership occidentali, possa rappresentare al pari dell’Ucraina un’utile opportunità per ingegnerizzare un altro “progetto anti-Russia”. Ma la difficoltà incontrata per una simile conversione del ruolo del Paese (strategicamente ed economicamente più orientato verso Mosca) indurrebbe ora Pashinyan a ricercare altri ulteriori pretesti per attivare uno scontro con le opposizioni all’interno della società armena colpendola proprio in quello che ha più di vitale per mantenere e preservare l’unità storica, spirituale, etica e morale dell’intera Nazione ivi compresa la sua stessa Diaspora.

Prova dell’appoggio di cui peraltro gode l’attuale Governo armeno da parte occidentale per questa sua riprovevole linea di condotta è ancora una volta quel noto doppio standard comportamentale tenuto dalle istituzioni di Bruxelles. Queste, al tempo delle violenze di piazza del 2008, non lesinavano pressioni politiche di ogni tipo pur di ottenere la scarcerazione di Pashinyan ritenendolo “prigioniero politico”. Ma oggi quelle stesse leadership tacciono. Né osano prendere le difese di esponenti religiosi arbitrariamente arrestati con motivazioni tanto speciose nelle finalità, quanto pretestuose e fallaci nei contenuti.

In questa prospettiva, aizzare, dunque, il popolo contro la massima Istituzione religiosa, denigrandola con una narrativa offensiva e oltraggiosa, ma anche cercando di imbavagliarla con veri e propri atti persecutori (accuse di comportamenti osceni e immorali, arresti di esponenti religiosi e civili, proposta di riforma per l’elezione del Catholicos quale suprema guida spirituale), potrebbe ben percepirsi non solo come una violazione del principio oggi universalmente riconosciuto dell’indipendenza della Chiesa dallo Stato (un principio peraltro fatto proprio dalla stessa Costituzione armena e dalla più recente legge di ridefinizione dei rapporti tra le due entità del 2007), ma anche come tragico e al contempo miserevole espediente per raccogliere consensi in vista delle prossime elezioni politiche del 2026, in occasione delle quali molto verosimilmente Nikol Pashinyan si troverà a dover fare i conti con una opposizione sempre più consolidata e determinata ad invertire il corso politico del Paese per restaurare quei valori che proprio il suo Governo ha inteso mettere in discussione in un’ottica distruttiva dell’unità nazionale.

Bruno Scapini

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Armenia: l’Arcivescovo Mikael rifiuta la candidatura a Primo Ministro (AgenParl 27.06.25)

L’arcivescovo Mikael Ajapahian, a capo della diocesi di Shirak della Chiesa Apostolica Armena, ha rifiutato pubblicamente la proposta di essere nominato Primo Ministro dell’Armenia, dichiarando di voler continuare esclusivamente il proprio servizio come uomo di chiesa.

“Sono pienamente soddisfatto del mio ruolo di uomo di chiesa, quindi non voglio che il mio nome venga inserito nella lista dei candidati a primo ministro”, ha affermato in una dichiarazione trasmessa dal suo avvocato Ara Zograbian.

La proposta di candidare l’arcivescovo Mikael alla guida del governo era stata avanzata da alcuni parlamentari indipendenti, tra cui Hovik Aghazaryan e Hakob Aslanyan, nel contesto di un’iniziativa volta a promuovere un voto di sfiducia nei confronti dell’attuale Primo Ministro Nikol Pashinyan. Il blocco di opposizione “Armenia”, guidato dall’ex presidente Robert Kocharian, aveva annunciato di essere pronto a raccogliere le 26 firme necessarie a sostenere la mozione, seguita poi anche dalla fazione “I Have Honor”, fondata da un altro ex presidente, Serzh Sargsyan.

Tuttavia, l’eventualità della nomina è stata esclusa direttamente da Mikael, il quale è attualmente coinvolto in un’indagine giudiziaria. Venerdì scorso, infatti, l’arcivescovo è stato arrestato con l’accusa di incitamento al rovesciamento del governo. Il tribunale di Yerevan dovrà decidere sulla sua custodia cautelare entro 24 ore dall’arresto.

Il rifiuto di Mikael getta nuova incertezza sulla crisi politica in Armenia, mentre l’opposizione prosegue nella sua pressione per un cambiamento alla guida del Paese.

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Amb. Ferranti visita la Galleria Nazionale d’Armenia (Ansa 27.06.25)

(ANSA) – ROMA, 27 GIU – L’Ambasciatore d’Italia a Jerevan, Alessandro Ferranti, si è recato in visita presso la Galleria Nazionale di Armenia, dove è stato ricevuto dalla Direttrice della Galleria, Marina Hakobyan, e dalla Vice Direttrice, Anna Yeghiazaryan.
Durante la visita all’Ambasciatore è stata presentata l’esposizione permanente della Galleria e sono stati inoltre trattati argomenti relativi alle opportunità di collaborazione in futuro. (ANSA).

«Vi è un corpo solo e un solo Spirito» (Tiforma 26.06.25)

Verranno dall’Armenia i testi per i sussidi della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani del 2026. L’équipe internazionale incaricata è dal 1968 nominata congiuntamente dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani (Dpcu) e dalla Commissione Fede e Ordine del Consiglio Mondiale delle Chiese (Cec). La redazione dei materiali era stata affidata per il prossimo anno al Dipartimento per le relazioni interconfessionali della Chiesa apostolica armena. Il Dipartimento ha coordinato il gruppo ecumenico di cristiani armeni che ha preparato la prima bozza dei testi. 

 

Durante un incontro a Etchmiadzin lo scorso ottobre, i rappresentanti di questo gruppo hanno collaborato con l’équipe internazionale per finalizzare i testi.  L’incontro è stato presieduto congiuntamente dal pastore Mikie Roberts del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra e da padre Martin Browne del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani. Il 17 ottobre 2024, l’équipe è stata ricevuta in udienza da  Karekin II, Patriarca Supremo e Catholicos di tutti gli Armeni.

Il testo di riferimento è tratto da Efesini, capitolo 4, versetto 4: «Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione».

 

Come si legge nei materiali introduttivi la Chiesa apostolica armena, riconosciuta come una delle più antiche comunità cristiane del mondo, ha svolto un ruolo fondamentale nel plasmare l’identità spirituale e storica del popolo armeno per quasi due millenni.  Fondata all’inizio del IV secolo, con radici che risalgono all’epoca apostolica, trascende l’organizzazione religiosa; incarna la resilienza nazionale, il patrimonio culturale e la forza spirituale di un popolo. Oltre a offrire una guida spirituale, la Chiesa ha salvaguardato le tradizioni, la lingua e i valori armeni, soprattutto durante i periodi di avversità e di dominazione straniera. In tempi contemporanei, soprattutto in mezzo a sfide come il conflitto nel Nagorno-Karabakh e lo sfollamento della popolazione dell’Artsakh, la Chiesa continua a servire come fonte di forza e di conforto per gli armeni. Oggi è un faro di fede, unità e continuità per gli armeni di tutto il mondo e fornisce spunti di riflessione che risuonano nella più ampia comunità cristiana globale.

 

Il testo redatto da Cec e Dpcu ricorda che le origini della Chiesa apostolica armena sono profondamente radicate negli insegnamenti degli apostoli Taddeo e Bartolomeo, che evangelizzarono l’Armenia già nel I secolo d.C.. Tuttavia, fu sotto la guida di San Gregorio Illuminatore, il primo Catholicos (patriarca) ufficiale dell’Armenia, che il cristianesimo iniziò a fiorire. Nel 301 d.C., l’Armenia divenne la prima nazione ad adottare il cristianesimo come religione di Stato sotto il re Tiridate III, un evento che la contraddistinse come pioniera della fede molto prima dell’abbraccio dell’Impero Romano al cristianesimo.La sede madre di Etchmiadzin, situata vicino a Yerevan, funge da centro spirituale e amministrativo della Chiesa apostolica armena.  La tradizione racconta che San Gregorio ricevette una visione divina di Cristo che scendeva dal cielo e colpiva il suolo con un martello d’oro, designando il sito per la prima cattedrale armena. Questa visione portò alla costruzione della Cattedrale di Etchmiadzin, una delle chiese più antiche del mondo, che simboleggia il legame duraturo tra la Chiesa armena e i suoi fedeli.  Nel corso dei secoli, la Sede madre è stata un centro di spiritualità e di autorità ecclesiastica, guidando i fedeli e preservando il patrimonio cristiano armeno.

 

I materiali, per ora ancora in lingua inglese (saranno poi tradotti nei prossimi mesi) sono disponibili qui: 

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