Dr. Marsili: gli europei non possono continuare a ignorare l’indipendenza “di fatto” di Artsakh che, nel tempo, diventa lecita

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il contributo del Dr. Marco Marsili sulla situazione dell’Artsakh. L’articolo è stato pubblicato dalla rivista Dialogorg.ru  in versione inglese e russa. Qui di seguito presentiamo la traduzione italiana del testo  (Google Translater)

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Le elezioni tenute in Artsakh hanno risuonato tra i circoli intellettuali e politici europei. Molti di loro, per ragioni oggettive, non hanno potuto partecipare alle elezioni, ma continuano a testimoniare l’emergere dell’indipendenza di Artsakh. Uno di questi e il nostro interlocutore è il dott. Marco Marsili, che, nell’ambito del progetto Artsakh 2020, ha risposto alle domande di Dialogorg.ru.

D:  Caro dottor Marsili Tu e molti altri personaggi internazionali avete accettato di venire ad Artsakh come osservatori delle elezioni presidenziali. Questo atto stesso rappresenta un importante supporto per Artsakh. Cos’altro potrebbero fare gli intellettuali e i politici europei amanti della libertà al riguardo?

UN:Sono stato onorato di essere invitato a osservare le elezioni generali che si sono tenute ad Artsakh il 31 marzo. Mi dispiace così tanto che, a causa delle misure di emergenza nel contesto della pandemia di COVID-19, le autorità abbiano limitato l’accesso agli stranieri, quindi non ho avuto l’opportunità di beneficiare di questa opportunità per visitare questo meraviglioso paese. Ho auspicato che i media mainstream europei e i colleghi accademici avrebbero dedicato una grande attenzione alle elezioni e, più in generale, alla questione dell’indipendenza di Artsakh. Gli europei non possono continuare a ignorare un’indipendenza “di fatto” che, col tempo, diventa lecita; Trovo ridicolo continuare a chiamare la questione Artsakh un conflitto “congelato” per 15 anni.

D: In che modo la parte armena potrebbe contribuire alle rispettive iniziative?

UN:L’Armenia è un alleato strategico di Artsakh. Non è un’alleanza vincente; è una “fratellanza” cementata da legami di sangue. Armenia e Artsakh condividono la stessa cultura; la stessa lingua; la stessa religione. È un collegamento profondo che non può essere interrotto. Solo uno sciocco può pensare di separare i fratelli dai confini amministrativi.

D: Come sostenitore del diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza dei popoli, come descriveresti e distinguere il caso di Artsakh (Nagorno-Karabakh) da altri casi ben noti (ad esempio il caso della Catalogna)?

UN:La Catalogna si unisce a un’autonomia speciale in Spagna. Il catalanismo e il vasquismo, insieme ad altri nazionalismi e regionalismi in Spagna, sorsero alla fine del XIX secolo, ma l’Armenia, come stato-nazione, ha un antico patrimonio culturale che ha le sue radici. Duemila anni fa, quando la Spagna era sotto i sovrani visigoti, e successivamente sotto i sovrani arabi, ed era così lontana da diventare uno stato-nazione unico e indipendente, il Regno di Armenia era già stato istituito ed era il primo stato nel mondo che adotta il cristianesimo come religione ufficiale. Successivamente l’Armenia ha subito molte occupazioni fino ai tempi moderni, quando era sotto l’impero ottomano e iraniano – entrambi di religione musulmana – prima di essere conquistata dall’impero russo e in seguito incorporata, come membro fondatore, nell’Unione Sovietica, fino a quando non ha riguadagnato l’indipendenza nel 1991 dopo lo scioglimento dell’URSS. Ma, durante la dinastia Bagratuni che restaurò il regno armeno alla fine del IX secolo d.C., sorse il Regno di Artsakh e un’entità indipendente ancora riconoscendo la supremazia dei re Bagratidi. Potremmo parlare di altri casi: Kosovo, Palestina, Sudan del Sud, Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria, Crimea, ognuno con le sue peculiarità e / o somiglianze con il caso Artsakh, ma ci vorrebbe troppo tempo.

D: Perché la virulenta Armenofobia mostrata dal governo azero rimane in gran parte inosservata dai media e dagli intellettuali europei, a parte le esclusioni? Pertanto, la ben documentata distruzione di migliaia di monumenti architettonici armeni a Nakhichevan non ha impedito all’UNESCO di tenere la sua sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale a Baku, giugno 2019.

A:Le tensioni tra l’Azerbaigian musulmano e il suo allora autonomo distretto del Nagorno-Karabakh appartengono al crepuscolo dell’era sovietica, quando le rivendicazioni pacifiche per ripristinare l’indipendenza dell’Armenia provocarono proteste e morti, subito dopo il pogrom degli armeni a Baku nel gennaio 1990. La tensione aumentò nel 1988 quando il Nagorno-Karabakh dichiarò l’indipendenza con l’intenzione di ricongiungersi con la nuova Armenia indipendente. A mio avviso, sebbene siano entrambi membri del Consiglio d’Europa e dell’OSCE, Armenia e Azerbaigian, sono percepiti dagli europei come “paesi asiatici”, lontani dal cuore del Vecchio Continente.

Detto questo, sono stupito che l’UNESCO abbia deciso di tenere la sua sessione del Comitato del Patrimonio Mondiale a Baku nel giugno 2019, nonostante la ben documentata distruzione di migliaia di monumenti architettonici armeni a Nakhichevan. Il concetto di crimini di guerra è stato recentemente ampliato per includere casi, ma non inclusi. Nel settembre 2016, la Corte penale internazionale ha condannato un cittadino maliano, Ahmad Al Faqi Al Mahdi, membro di Ansar Dine, una milizia tuareg islamista in Nord Africa, a nove anni di reclusione per crimini di guerra per la distruzione di monumenti storici e religiosi in Timbuktu. Al Mahdi fu la prima persona a essere incarcerata per crimini di guerra contro il patrimonio culturale, inclusi santuari sacri, siti dedicati alla religione e monumenti storici che non erano obiettivi militari. Questa è una giurisprudenza importante che amplia la gamma di crimini processati dalla CPI. Per questi motivi, i leader azeri dovrebbero essere ritenuti responsabili di crimini di guerra, poiché hanno distrutto deliberatamente monumenti armeni come rappresaglia, che rientra tra le gravi violazioni delle convenzioni di Ginevra che sono considerate crimini di guerra ed è di per sé una grave violazione del diritto internazionale umanitario . Lo stato della Palestina si sta muovendo nella stessa direzione con la denuncia presentata alla corte contro lo stato di Israele. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. i leader azeri dovrebbero essere ritenuti responsabili di crimini di guerra, poiché hanno distrutto deliberatamente monumenti armeni come rappresaglia, che rientra nelle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra che sono considerate crimini di guerra ed è di per sé una grave violazione del diritto umanitario internazionale. Lo stato della Palestina si sta muovendo nella stessa direzione con la denuncia presentata alla corte contro lo stato di Israele. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. i leader azeri dovrebbero essere ritenuti responsabili di crimini di guerra, poiché hanno distrutto deliberatamente monumenti armeni come rappresaglia, che rientra nelle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra che sono considerate crimini di guerra ed è di per sé una grave violazione del diritto umanitario internazionale. Lo stato della Palestina si sta muovendo nella stessa direzione con la denuncia presentata alla corte contro lo stato di Israele. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. che rientra nelle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra che sono considerate crimini di guerra ed è di per sé una grave violazione del diritto internazionale umanitario. Lo stato della Palestina si sta muovendo nella stessa direzione con la denuncia presentata alla corte contro lo stato di Israele. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. che rientra nelle gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra che sono considerate crimini di guerra ed è di per sé una grave violazione del diritto internazionale umanitario. Lo stato della Palestina si sta muovendo nella stessa direzione con la denuncia presentata alla corte contro lo stato di Israele. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto. Sono sorpreso che l’UNESCO ignori questo orientamento giurisprudenziale e mi rammarico che, se consapevole, non ha annullato la sessione in programma a Baku per protesta. Sfortunatamente, come sappiamo, le organizzazioni internazionali sono spesso soggette alla volontà del più forte e la giustizia occupa il secondo posto.

D: Secondo te, quali sono le possibilità per l’Unione Europea di riconoscere l’indipendenza di Artsakh nel prossimo futuro? Quali ulteriori misure prese dai due stati armeni potrebbero facilitare il riconoscimento della Repubblica Artsakh?

Il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza dei popoli è sancito nei principali documenti sui diritti umani fondamentali, tra l’altro: la Carta delle Nazioni Unite; il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966; l’Atto finale di Helsinki adottato dalla CSCE nel 1975. Per questi motivi, penso che l’Unione europea debba andare avanti, nonostante i timori della Spagna di stabilire un precedente per la rivendicazione di indipendenza della Catalogna. Tuttavia, c’è il precedente del Kosovo, che non è ancora riconosciuto da molti stati, tra cui la Spagna. Il governo britannico, che ha permesso due volte alla Scozia di tenere un referendum sull’indipendenza, deve essere lodato; questo è il modello da seguire.

L’Europa e, più in generale, la comunità internazionale, non hanno, in effetti, una politica estera unica. La dichiarazione stampa rilasciata dai copresidenti del Gruppo Minsk dell’OSCE a seguito delle recenti elezioni in Artsakh – Russia, Francia e Stati Uniti – dimostra una certa “confusione”. Mentre “riconoscono il ruolo della popolazione del Nagorno-Karabakh nel decidere il suo futuro”, notano, tuttavia, che la sovranità di Stepanakert non è riconosciuta da nessun paese. Penso che le autorità di Yerevan possano e debbano fare qualcosa di più, come ha fatto la Russia con l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. È una lunga strada per ottenere l’indipendenza, ma c’è ancora spazio per i nuovi stati-nazione, come dimostrano i recenti casi di cui sopra.

ioVorrei approfittare di questa intervista per augurare tutto il meglio ai cittadini armeni, sia che vivano nella madrepatria, sia che siano separati in Artsakh o in altre parti del mondo. Ho visitato l’Armenia per la prima volta nel 2018, quando ho prestato servizio come osservatore nella missione dispiegata dall’OSCE / ODHIR per le elezioni parlamentari e conservo un ricordo meraviglioso e imperituro di questa terra e della sua gente. Ho ancora in memoria il lago ghiacciato Sevan e la vista del monte Ararat che era così vicino alla vista del mio hotel, e il cuore degli armeni, ma così lontano da essere facilmente raggiunto. Quindi, per me, questa intervista è un’opportunità per rafforzare una connessione che è iniziata allora e non si è mai interrotta. Grazie alla redazione di Dialogorg.ru. E un saluto speciale a tutti i lettori.

Marco Marsili è ricercatore con sede a Lisbona, dove ricopre incarichi presso il Centro di ricerca dell’Accademia militare / esercito portoghese (CINAMIL), presso il Centro di ricerca e sviluppo dell’Istituto universitario militare portoghese (CIDIUM), presso il Centro per Studi internazionali dell’ISCTE-Instituto Universitário de Lisboa (CEI-IUL), presso il Centro di ricerca dell’Istituto di studi politici dell’Università cattolica del Portogallo (CIEP-UCP). La sua area di interesse comprende relazioni internazionali, diritto internazionale, conflitti non convenzionali, difesa e sicurezza. È osservatore elettorale dal 2007, sia per organizzazioni intergovernative che come indipendente. Attualmente è coinvolto come esperto in due progetti finanziati dall’Agenzia europea per la difesa.

 

Armenia: premier Pashinyan, non siamo certi che il picco di contagi sia stato superato (Agenzianova 14.04.20)

Erevan, 14 apr 11:17 – (Agenzia Nova) – Il governo armeno ha dato a decine di migliaia di persone l’opportunità di tornare al lavoro: in questa fase la responsabilità maggiore spetta ai datori di lavoro perché riducano la possibilità di contagi fra i loro dipendenti. Lo ha detto in una diretta Facebook il primo ministro armeno Nikol Pashinyan. “Non dobbiamo abbassare la vigilanza per poter superare questa situazione il più presto possibile o assicurarci che il picco di contagi sia già alle nostre spalle”, ha detto Pashinyan, affermando che al momento non si può affermare con certezza che questa fase sia stata superata. (Res)

Armenia: coronavirus, Stato di emergenza esteso fino al 14 maggio (Agenzia Nova 13.04.20)

Erevan, 13 apr 16:29 – (Agenzia Nova) – Le autorità armene hanno annunciato il prolungamento dello Stato di emergenza, dichiarato lo scorso 16 marzo a fronte della pandemia di Covid-19, fino al prossimo 14 maggio. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, aggiungendo che la decisione è stata presa durante la riunione di governo straordinaria odierna. Al termine dell’incontro, inoltre, il ministro della Giustizia Rustam Badasyan ha annunciato la sospensione delle misure restrittive precedentemente imposte all’attività dei media e dei servizi di informazione attivi nel paese caucasico. Le restrizioni erano state annunciate il mese scorso per impedire che la possibile diffusione di notizie non veritiere sul virus diffondesse il panico tra la popolazione. (Res)

Armenia: premier, graduale ripresa delle attività nel paese a partire dal 13 aprile (Agenzia Nova 11.04.20)

Erevan, 11 apr 18:00 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, ha annunciato la graduale ripresa delle attività per alcune categorie di imprese a partire dal prossimo 13 aprile. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”. “A partire da lunedì potranno riprendere le attività le aziende operanti nei seguenti settori: agricoltura, pesca, estrazione mineraria, energia elettrica, gas naturale, risorse idriche, gestione dei rifiuti, trasporti e assicurazioni; riapriranno inoltre gli uffici delle istituzioni finanziarie e gli uffici pubblici; infine, continueranno ovviamente ad operare le strutture sanitarie e i servizi sociali”, ha detto il premier, aggiungendo che “a partire dal 20 aprile riapriranno i negozi di vestiario, le industrie tessili e di trasformazione”. (Res)

NAGORNO-KARABAKH: Elezioni presidenziali, continuità e rinnovamento (East Journal 08.04.20)

Di Carlo Alberto Franco

Le elezioni presidenziali in Nagorno-Karabakh dello scorso 31 marzo hanno segnato un momento importantissimo nella storia della repubblica de facto situata nella regione montuosa contesa tra Armenia e Azerbaigian. Sono state, infatti, le prime elezioni dal lontano 2012, le prime tenute con il nuovo sistema presidenziale e, per di più, sono state segnate dall’assenza di Bako Sahakyan, dal 2007 presidente e assoluto protagonista della vita politica nazionale.

La riforma costituzionale

Nel 2017, in seguito a un referendum popolare, il Nagorno-Karabakh è passato da un sistema semipresidenziale a uno presidenziale. La principale differenza sta nella divisione dei poteri: in base all’ordinamento costituzionale precedente la figura del presidente e del primo ministro erano due cariche separate, mentre in quello attuale scompare la figura del premier, i cui poteri passano al capo di stato.

Dietro questa manovra, dettata a prima vista dalla necessità di apportare aggiustamenti tecnici a un sistema istituzionale relativamente giovane, ci sarebbe stata l’intenzione del presidente uscente Bako Sahakyan di restare al potere, emulando per certi versi quanto sta facendo il collega Vladimir Putin. Infatti, oltre a venire rieletto presidente ad interim nei tre anni di transizione, Sahakyan ha ottenuto anche l’azzeramento delle cariche ricoperte fino ad allora, diventando così legalmente abilitato a candidarsi di nuovo per guidare il paese.

Uncopione simile a quello già visto in altri stati, che tuttavia non si è ripetuto. Un anno dopo la modifica costituzionale in Nagorno-Karabakh, l’Armenia è stata protagonista della “Rivoluzione di velluto”, in seguito alla quale l’ormai ex-presidente Serzh Sargsyan si è visto costretto a rassegnare le dimissioni dopo che la folla inferocita è scesa in piazza per protestare contro il suo terzo mandato consecutivo. Timoroso di simili sviluppi in un paese la cui politica è legata a doppio filo a quella armena, Sahakyan ha quindi deciso di ritirarsi dalla corsa per le elezioni, dando il via libera a un rinnovamento della leadership.

Ritorno al passato

Nonostante i favorevoli auspici dettati dalle condizioni esterne, le elezioni presidenziali in Nagorno-Karabakh sono state un modo per le vecchie glorie della politica locale di tornare sotto i riflettori. Dei quattordici concorrenti, infatti, tra i principali figuravano Arayik Harutyunyan, primo ministro per dieci anni durante il mandato di Sahakyan, Vitaly Balasanyan, eroe di guerra ed ex-presidente del Consiglio nazionale di sicurezza e Masis Malayan, ministro degli esteri uscenti. Da segnalare inoltre la prima candidatura femminile, l’indipendente Kristin Balayan.

Con un’affluenza record del 73%, il 31 marzo la politica del Nagorno-Karabakh si è quindi apprestata a voltare pagina. Il primo turno non è stato tuttavia sufficiente a determinare un vincitore, data la necessità di una maggioranza assoluta per trionfare. Al primo posto è arrivato Harutyunyan, il quale ha totalizzato il 49,26%. A grande distanza è arrivato secondo Malayan, con il 26,4%. Nell’Assemblea nazionale – il parlamento locale in cui siedono 33 deputati  sono entrate cinque forze politiche, la cui più consistente è Patria Libera di Harutyunan, che ha conquistato ben sedici seggi. Il ballottaggio, previsto per il 14 aprile, sembra quindi essere una mera formalità per Hartunyan, a cui basterà ottenere un numero minimo dei voti ricevuti dai suoi avversari per governare il paese nei prossimi cinque anni.

Nonostante la grande partecipazione, una serie di fattori hanno macchiato il regolare svolgimento delle elezioni. In primis, il potenziale rischio di diffusione del coronavirus ha costretto il paese a chiudere le proprie frontiere. Ciò ha portato a uno svolgimento delle elezioni in assenza di osservatori internazionali, che ha pregiudicato il riconoscimento del risultato finale. Inoltre, come denunciato dall’Ombudsman, ci sono state molteplici segnalazioni di violazioni al regolare svolgimento del processo elettorale che suggeriscono che il voto di diversi elettori non sia stato spontaneo, bensì pilotato. A ciò va aggiunto il mancato riconoscimento del Nagorno-Karabakh e, conseguentemente, della legittimità delle sue elezioni a livello internazionale. Non destano, quindi, sorpresa le dichiarazioni dell’Azerbaigian e quelle di Peter Stano, portavoce della Commissione europea, che non hanno riconosciuto la legittimità delle elezioni.

Il destino della Repubblica

Considerando come praticamente sicura l’elezione di Hartunyan al prossimo turno, è possibile tracciare la futura traiettoria del Nagorno-Karabakh. Innanzitutto, va tenuto presente come qualsiasi decisione prenda il nuovo presidente, questa non possa prescindere da un confronto con Nikol Pashinyan, primo ministro dell’Armenia. Con una popolazione esigua e il mancato riconoscimento internazionale, la repubblica de facto non può prescindere dal supporto politico, economico e militare armeno. Va notato come, prima delle elezioni, Pashinyan si sia astenuto dal sostenere qualsiasi candidato, limitandosi a incontrare privatamente i favoriti, Hartunyan incluso.

Le elezioni presidenziali in Nagorno-Karabakh mostrano come, pur essendo uno stato non riconosciuto con tutte le incognite legate a questa situazione, la piccola repubblica prosegua il suo percorso di consolidamento istituzionale.

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Ue assegnerà 92 milioni € all’Armenia per affrontare il coronavirus (Sputniknews 08.04.20)

L’Unione Europea fornirà assistenza finanziaria all’Armenia per un importo di 92 milioni di euro per l’attuazione dei progetti di contrasto all’epidemia di coronavirus, ha fatto sapere oggi la delegazione di Bruxelles a Yerevan.

In Armenia è stato dichiarato lo stato di emergenza in relazione alla diffusione del coronavirus dal 16 marzo al 14 aprile. 881 casi di infezione sono stati rilevati nel Paese, 9 sono stati i decessi per COVID-19. Dal 25 marzo al 12 aprile, il lavoro di imprese e organizzazioni pubbliche è stato temporaneamente sospeso, ad eccezione di quelle strategicamente importanti, inoltre sono state introdotte restrizioni al movimento dei cittadini.

“L’UE fornirà assistenza all’Armenia per un importo totale di 92 milioni di euro per affrontare le esigenze urgenti nel breve periodo. I fondi saranno utilizzati per fornire attrezzature mediche, riqualificare il personale medico e il personale di laboratorio, sostenere le piccole e medie imprese e la comunità imprenditoriale, nonché fornire assistenza sociale e umanitaria alle vittime dell’epidemia di coronavirus”, si afferma in una dichiarazione pubblicata sulla pagina Facebook della delegazione europea.

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Armenia: premier Pashinyan, dovremmo diventare un paese che realizza prodotti finiti (Agenzianova 07.04.20)

Erevan, 07 apr 09:13 – (Agenzia Nova) – L’Armenia dovrebbe diventare un paese in grado di realizzare di prodotti finiti. Lo ha detto il premier armeno, Nikol Pashinyan, nel corso di una diretta Facebook. Pashinyan ha osservato che, come obiettivo a breve termine, il governo prevede di incoraggiare il più possibile gli investimenti di capitale, poiché favoriscono la creazione della maggior parte dei posti di lavoro, mentre l’obiettivo a lungo termine è lo sviluppo di risorse umane, tecnologie e conoscenze. “La nostra visione strategica sullo sviluppo economico prevede che l’Armenia diventi un paese di prodotti finiti, ma non un esportatore di materie prime. Ciò significa nuovi posti di lavoro e nuove tecnologie”, ha affermato Pashinyan, indicando fra gli obiettivi lo sviluppo delle industrie manifatturiere. “L’anno scorso abbiamo registrato un indice importante. Abbiamo avuto una forte crescita economica nel comparto produttivo”, ha detto il primo ministro. Per quanto riguarda la costituzione di imprese metallurgiche in Armenia, Pashinyan ha affermato che ci saranno dibattiti ambientali su questo tema. “Dobbiamo rispettare dei paletti importanti. I più alti standard ambientali devono essere in vigore in Armenia, ma la protezione dell’ambiente non dovrebbe diventare un valore assoluto”, ha affermato Pashinyan, sottolineando che è necessario trovare il giusto equilibrio tra economia e ambiente. (Res)

Letture, dall’esilio e la sopravvivenza dei cristiani armeni nel romanzo di Henri Verneuil (Acistampa 03.04.20)

Mayrig,  “mammina”. Un dolce nome, un termine coniato dalla musicale lingua armena, che rievoca il più forte tra i legami terreni. Mamma, mammina. Un nome con cui ci si può rivolgere  a Colei che è la nostra Madre celeste. “Mamma, mammina”: quante volte,  in questi ultimi giorni,  ci è venuto spontaneo usare questo termine come un’invocazione. ..Mamma, mammina, aiutami! E, tragicamente, anche come un addio straziante, rivolto da lontano, senza neppure poter guardarsi negli occhi …

Ma ora Mayrig lo vogliamo rievocare innanzitutto con quella sfumatura di tenerezza, di nostalgia, di fiducia e di speranza che conserva nella lingua armena e che fa da filo conduttore al romanzo appena ripubblicato dalla casa editrice Terra Santa, con il titolo “Le Bugatti di Marsiglia”. L’autore è Henri Verneuil,  alla nascita Achod Malakian (1920-2002), celebre regista, sceneggiatore e produttore cinematografico francese di origine armena. Basterebbe citare una delle sue produzioni più famose, “Il clan dei siciliani”. Anche da questo romanzo, che rievoca le vicende della sua infanzia e adolescenza e quelle della sua famiglia, Verneuil ha tratto due film di successo, ossia “Mayrig” e “Quella strada chiamata paradiso”, interpretato da Omar Sharif e Claudia Cardinale.

Perché leggere ora questo romanzo? Proprio per la capacità di rievocare il  senso di speranza, di forza, che scaturiscono dall’amore vero, dal senso di sacrificio, dal senso di appartenenza ad una fede, ad una tradizione, ad una terra. Anche se questa terra te l’hanno sottratta,  e se con la violenza hanno tentato di fare a pezzi la tua storia, il tuo popolo. Chi ha amato il grande racconto della “Masseria delle allodole”  di Antonia Arslan amerà anche questa storia.

Inevitabilmente, le vicende  del piccolo protagonista e della sua famiglia in fuga si intrecciano strettamente con la tragedia del genocidio del popolo armeno. Ma sono soprattutto pagine poetiche che tracciano un quadro vivido di queste esistenze votate all’amore reciproco, al sostegno, alla fede. Arrivati a Marsiglia dopo un difficile viaggio per mare, il padre, la madre, il bombetta di soli quattro anni, Achod,  e le due zie, cominciano la loro nuova vita. Camminano lungo le strade di quella città pullulante di vita, stranieri, in fuga, senza conoscere se non qualche parola di francese, portandosi dietro  qualche fagotto e qualche prezioso risparmio sotto forma di monete cucite con la stoffa intorno, come se fossero  bottoni. E cominciano le fatiche, le umiliazioni, le lacrime versate di  nascosto, per non far soffrire gli altri.Tutto, per rimanere uniti. Tutto, per permettere ad Achod di crescere libero, forte e capace di avere un futuro prospero e felice.

Ma la felicità è già tutta lì,  in quella stanza di Rue Paradis,  in cui vivono e lavorano in continuazione il padre,  la madre e le due zie – che il protagonista chiama “le altre due madri” – mentre il ragazzo faticosamente costruisce quel futuro radioso che illumina i loro sogni. A scuola viene emarginato, i professori lo ignorano,  i compagni lo prendono in giro, ma lui impara a non soffrirne più di tanto. A casa ci sono sorrisi, canti, racconti, preghiere,  sogni. ..tanto basta per andare avanti e per credere ai miracoli. La famiglia mette in piedi una piccola sartoria artigianale,  che sarà molto apprezzata.

Giorno dopo giorno, anno dopo anno, il traguardo si avvicina, Achod cresce, riesce negli studi, si prepara a diventare qualcuno. La sua strada sarà lunga e piena di soddisfazioni, totalmente libera dal bisogno,  dalla miseria. Ma è evidente che il suo cuore tornerà spesso in Rue Paradis, la sua memoria ripercorrerà quelle strade soleggiate in cui camminava mano nella mano di suo padre, al tram sferragliante che lo portava al favoloso luogo di villeggiatura, Montolivet,  a venti chilometri dal centro di Marsiglia. Un’estate calda passata in un piccolo giardino, pieno di fiori e di odori, in cui era facile immaginarsi un eroe da romanzo, un novello conte di Montecristo o una creatura partorita dalla fantasia di Jules Verne. Magari alla guida di una di quelle sfavillanti Bugatti che sfrecciano lungo le strade di Marsiglia…

A tutto questo, alla nostalgia per questa felicità perduta e irripetibile,  a molto altro ancora,  pensa Achod,  diventato grande, anzi quasi anziano,  uomo di successo, ricco, famoso, con un nuovo nome, mentre guarda la sua Mayrig mentre muore, in una bella camera, tra mobili raffinati e infermiere specializzate. Ricorda e scriverà,  poi: ” Ora nessuno mi metterà più in guardia contro il freddo delle notti,  nessuno mi tenderà più quell’inutile maglioncino di lana che mi ha sempre infastidito tanto. E io resto solo, con il rimorso delle mie stupide collere,  suscitate da quegli eccessi di premura. Nei grandi dolori, talvolta tornano alla mente sciocchezze che diventano via via sempre più grandi. (…) Realizzo, tornando indietro nel tempo, che durante tutti questi anni nei quali ci siamo tanto amati, non ci siamo mai detti quanto ci volevamo bene. Forse per un pudore comune, o forse per il timore di sottolineare uno stato di fatto che era evidente”. Un “amore di nascita”, lo descrive l’autore. Un legame indistruttibile,  e una luce illumina queste pagine, come quella che inondava la piccola cappella in cui si celebravano i riti sacri nella scomparsa terra d’Armenia,  e poi in quelle piccole chiese in terra d’esilio,  nei giorni struggenti di festa e di gioia, in quelle Pasque in cui si  festeggiava la certezza della Risurrezione.

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Armenia: coronavirus, tre milioni dollari dalla Banca mondiale a sostegno del paese (AgenziaNova 03.04.20)

Erevan, 03 apr 11:06 – (Agenzia Nova) – Su richiesta del ministero della Sanità armeno, la Banca mondiale ha allocato tre milioni di dollari per sostenere le autorità sanitarie del paese nel contrasto all’epidemia di Covid-19. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, aggiungendo che i finanziamenti consentiranno di acquistare attrezzature mediche e respiratori. “In questo momento drammatico, la Banca mondiale è pronta a sostenere l’Armenia nella sua lotta contro l’epidemia”, ha detto il country manager della Banca mondiale nel paese caucasico, Sylvie Bossoutrot. (Res)

Il voto in Nagorno Karabakh, fra pandemia e guerra (Osservatorio Balcani e Caucaso 02.04.2020)

Nonostante la pandemia di coronavirus, le autorità de facto del Nagorno Karabakh hanno deciso di andare al voto il 31 marzo per le elezioni parlamentari e presidenziali. Il Covid 19 non è riuscito – del resto – a fermare nemmeno la guerra

02/04/2020 –  Marilisa Lorusso

Le si potrebbero chiamare le prime elezioni plenarie: il 31 marzo le autorità de facto del Nagorno Karabakh hanno chiamato al voto 104.348 elettori per eleggere sia il nuovo Parlamento che il Presidente della piccola repubblica secessionista. Le elezioni presidenziali sarebbero dovute tenersi nel 2017, ma dopo un referendum costituzionale che ha trasformato il sistema semi-presidenziale in un sistema presidenziale, il parlamento de facto, cioè la locale Assemblea Nazionale, aveva rieletto Bako Sahakyan come presidente. Ora ci sarà un nuovo presidente questa volta con mandato popolare. Alla tornata del 31 marzo nessuno dei candidati ha superato il 50% delle preferenze, per cui si andrà al secondo turno il 14 aprile.

Le elezioni

Un totale di 14 candidati presidenziali, 10 partiti e 2 blocchi elettorali hanno partecipato a queste elezioni presidenziali e parlamentari. L’affluenza alle urne è stata del 73,5% (76.728 voti espressi con 2.625 schede non valide).

Per le presidenziali l’ex Primo Ministro (2007-2017) e ministro di Stato (2017-2018), leader del partito Madrepatria Libera Arayik Harutyunyan ha ricevuto 36.076 voti (49,26%) ed è seguito da Masis Mayilyan, ministro degli Esteri del Nagorno-Karabakh da settembre 2017 con 19.360 voti (26,4%) e Vitaly Balasanyan (ex Segretario della sicurezza nazionale) con 10.755 voti (14,7%). Gli altri 11 candidati hanno ricevuto tra 0,2% e 2,56% dei voti ciascuno.

Secondo i risultati preliminari delle elezioni parlamentari, cinque partiti si ripartiranno i 33 seggi nella de facto Assemblea Nazionale: il partito Madrepatria Libera di Arayik Harutyunyan, che ha ricevuto 29.688 voti o il 40,4% delle preferenze, Patria Unita del ministro della Difesa Samvel Babayan che ha sostenuto la candidatura di Masis Mayilyan alle presidenziali, con 17.365 voti o 23,63% delle preferenze, il partito Giustizia di Vitaly Balasanyan, candidato alla presidenza vicino alla vecchia guardia armena che si era distinto per gli attacchi a Pashinyan, con 5.865 voti cioè il 7,9%, la Federazione Rivoluzionaria Armena, guidata da David Ishkhanyan (4.717 voti o il 6,4%) e il Partito Democratico di Artsakh Ashot Ghulyan, presidente del Parlamento dal 2005, (4.269 voti o 5,81%).

Gli altri sette partiti e coalizioni politici hanno ricevuto tra lo 0,65% e il 4,5% dei voti, non sufficienti per superare le soglie del 5% e del 7% rispettivamente per partiti e coalizioni.

In attesa che prenda forma la nuova legislatura de facto e la nuova presidenza, si deve fare il però i conti con il presente.

Il voto e la pandemia

Erano di duplice natura le preoccupazioni su come questo voto avrebbe potuto contribuire a propagare il Covid 19. Da un lato si temeva che gli assembramenti elettorali potessero contribuire alla propagazione endogena del virus all’interno del corpo elettorale. Ma il timore forse ancora più fondato era che l’arrivo degli osservatori elettorali dall’estero fosse un detonatore pandemico.

Il Nagorno Karabakh si dichiara infatti estraneo alla pandemia. Ufficialmente nessun caso è stato registrato fino alla fine di marzo. Nell’ultima decade di marzo c’erano solo 3 persone in isolamento e una trentina in quarantena perché appena rientrati, ma il territorio secessionista, largamente isolato anche a livello regionale, sembrava essere rimasto periferico rispetto all’ondata epidemica.

L’aver invitato quindi più di 900 osservatori, di cui 300 dall’esterno del Karabakh, e principalmente dall’Armenia, appariva alla soglia del voto essersi trasformato in un giocare con il fuoco.

L’Armenia sta pagando un alto prezzo al Covid, con più di 500 contagi a fine marzo e un migliaio di persone in quarantena su una popolazione di nemmeno 3 milioni di persone.

La Commissione Elettorale ha adottato pertanto misure speciali per il voto. Gli scrutatori e tutto il personale coinvolto nel voto al seggio dovevano avere guanti, mascherina e disinfettanti a base alcolica per le mani. Per il voto e la registrazione dei votanti si sono dovute usare penne monouso. Gli osservatori elettorali hanno dovuto essere certificati sani per accedere al Karabakh. Quindi tampone prima di partire, e sostituzione a carico dell’organizzazione mandante dei possibili osservatori trovati positivi, perché – come ha dichiarato il Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan  – il virus non entri insieme agli osservatori.

Anche l’Armenia, consapevole del proprio potenziale virale, come misura di tutela del Karabakh il 26 marzo ha chiuso con check point gli accessi al Karabakh. L’accesso al territorio secessionista è concesso per i residenti, i trasportatori con le loro merci, e osservatori elettorali e giornalisti per le elezioni.

Nonostante le misure adottate, diverse voci si erano levate nei giorni precedenti al voto perché fosse rimandato. Ancora il 26 marzo, il candidato Mayilyan si dichiarava pronto  ad accettare anche una decisione in questo senso dell’ultimo minuto.

La pandemia e il conflitto protratto

Il 23 marzo il Segretario generale dell’ONU invocava  un cessate-il-fuoco mondiale per non aggiungere dramma al dramma, la guerra alla pandemia.

Il cessate-il-fuoco del conflitto in Nagorno Karabakh è datato 1994, ma dal 2011 la situazione ha continuato ad essere più instabile e gli scambi di fuoco sono quotidiani. Come esempio della quantità di violazioni registrate, l’autoproclamata Armata di difesa del Nagorno Karabakh ha accusato le forze armate azerbaigiane di 230 violazioni del regime del cessate il fuoco tra l’ 8 e il 14 marzo, con un totale di 2000 colpi sparati verso posizioni armene. Per posizioni armene si intendono sia le milizie karabakhi che l’esercito regolare armeno, schierato lungo i confini armeno-azerbaigiani e lungo la linea di contatto fra il Karabakh e l’Azerbaijan, che in assenza di riconoscimento non può essere considerato confine.

Il numero di vittime armene dall’inizio del 2020 è di 12 soldati e comprende coloro che sono stati uccisi da cecchini, artiglieria pesante o che si sono suicidati a causa delle dure condizioni di vita. L’ultimo incidente il 30 marzo: due militari feriti e un civile. Secondo il portavoce del ministero della Difesa  armeno S. Stepanyan lo scambio di fuoco si sarebbe registrato nel distretto Noyemberyan, della provincia di Tavush intorno alle 19.00 e nel corso della giornata dei colpi avrebbero raggiunto i villaggi di Baghanis e Oskevan, ferendo un ragazzino di 14 anni che era su un balcone.

La data è eloquente: non è bastata una pandemia a fermare il voto, come non basta per fermare le armi. Nessun cessate-il-fuoco del ’94 da rinvigorire nel quadro del cessate-il-fuoco mondiale: si continua a sparare. E questo nonostante il rischio elevatissimo di contribuire a congestionare il sistema sanitario nazionale, nonché di portare vettori di virus dalle prime linee agli ospedali, e vice versa. E il grande incubo dei paesi a leva obbligatoria, anche di quelli in pace, è che il virus raggiunga le caserme, enormi agglomerati di migliaia di residenti costretti a spazi abitativi condivisi, e spesso in condizioni assai poco igieniche e sicure. Ancor meno nelle trentennali trincee delle prime linee del Karabakh.

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