Santa Sofia, le mire del sultano e una Chiesa tiepida troppo occupata con la salvaguardia del creato (Loccidentale 11.07.20)

Comunque andrà con l’Aja Sofia(Santa Sapienza), la Dichiarazione di fratellanza universale firmata ad Abu Dhabi dall’imam di Al Azar e dal papa, rivela tutta la sua utopia dinanzi alle ragioni politiche di colui che si ritiene il nuovo sultano. Che contrasto con la lezione di Benedetto XVI all’università di Regensburg il 12 settembre del 2006, in cui affermava che la violenza è contraria alla ragione! La mancanza di ragione costituisce una delle peggiori patologie della religione; invece di proporre e diffondere la fede con la ragione, si ritiene ancora oggi di imporla con la forza.

Purtroppo, il dialogo ideologizzato ha indotto i cattolici al relativismo, nonostante Paolo VI abbia scritto: “La sollecitudine di accostare i fratelli non deve tradursi in un’attenuazione della verità…il nostro dialogo non può essere una debolezza rispetto all’impegno della nostra fede…non si può transigere con i principi teorici e pratici della nostra professione cristiana”(Enciclica Eclesiam suam).
I patriarchi di Costantinopoli e di Mosca, nei loro comunicati, fanno riferimento ai fasti di Santa Sofia, per paventare la fine della concordia e della pace interreligiosa. Flebili proteste! E così, mentre in Europa i politici favoriscono la diffusione di moschee, in Turchia Erdogan ‘schiaffeggia’ i cristiani del mondo, spingendo alla trasformazione di Santa Sofia in moschea.

Tra i territori dell’ex impero ottomano la Turchia aveva fino alla fine del secolo XIX la più forte percentuale di cristiani: armeni (2.000.000), greci (1.500.000), siro-giacobiti e assiro-caldei (alcune centinaia di migliaia); il 20% dell’intera popolazione; si aggiunga un mezzo milione di ebrei; da Istanbul fino all’est convivevano con i musulmani. Il massacro degli armeni e il ‘rimpatrio’ dei greci d’Anatolia, avvenuti nel secolo XX rendono oggi la Turchia, tra i paesi del Medioriente, quello che ha ufficialmente il minor numero di cristiani: intorno ai 100.000, su oltre 60 milioni d’abitanti musulmani. Ma la cifra può essere ben più alta in ragione di un certo numero di ‘cripto-cristiani’ e di immigrati. Fino a qualche anno fa, si stimavano tra 40 e 50.000 armeni, tra 5 e 10.000 greci, concentrati in gran parte ad Istanbul, tra 15 e 20.000 siriani, in gran parte ad est, intorno a Tour Abdin e Mardin, tutti ortodossi, e ben distinti culturalmente e linguisticamente dall’ambiente turco. Si aggiungano da 15 a 20.000 cattolici di diverse denominazioni e qualche migliaio di protestanti. Ufficialmente i ¾ dei cristiani di Turchia vivono a Istanbul, 25mila in Anatolia.

Erdogan vuole emulare Mehmet II, il sultano che realizzò il sogno dei musulmani, antico di otto secoli, che il 29 maggio 1453 assalì Costantinopoli. La dominazione ottomana su Costantinopoli divenuta Istanbul si inaugurò con tre giorni di saccheggi e massacri che non risparmiarono nemmeno gli abitanti rifugiati nella basilica di S.Sofia. I principali santuari cristiani furono trasformati in moschee. Mehmet II, dopo aver giustiziato il patriarca Isidoro II, autorizzò i prigionieri greci a raggrupparsi nel quartiere del Phanar e a organizzarsi in ‘nazione’(millet) sotto l’autorità d’un nuovo patriarca (altrettanto avverrà per gli Armeni).Per il gran numero di Turchi fatti insediare nella città, la popolazione cristiana divenne subito minoritaria e il sultano divise le ‘genti del Libro’ in millet (Greci, Armeni e Italiani). Anche in Anatolia, tranne alcune roccaforti tradizionali(Sebaste, Trebisonda,TourAbdin…) il censimento del XV secolo fa apparire i cristiani minoritari. Molti si convertono all’islam pur di non sottostare ad una situazione discriminatoria e umiliante. Ma coloro che erano rimasti fedeli potettero conservare la loto organizzazione e il loro diritto particolare e i loro capi ottenere una sorta di sovranità delegata concessa benevolmente dalla Sublime Porta.

L’avvento di Moustapha Kemal, detto Ataturk, segnò l’insurrezione nazionale e i cristiani fecero le spese di questo sussulto patriottico inaspettato che rifiutava il trattato di Sèvres: 300.000 armeni e 350.000 greci vennero massacrati e i rimasti furono deportati. Il 24 luglio del 1923 viene siglato il trattato di Losanna che sancisce il riconoscimento internazionale della nuova Turchia. Dei circa due milioni di armeni che vi si trovavano fino al 1914, restano appena 70.000. I cristiani Assiri si rifugiano in Iraq e i Giacobiti ad est nella zona di Mardin. Quanto ai Greci, si era organizzato un grande ‘scambio’: mezzo milione di turchi d’Europa ritornavano in patria, e 1 milione e mezzo di greci abbandonavano la loro patria millenaria sulle rive asiatiche dell’Egeo (rimasero solo le comunità greche di Istanbul e di alcune isole turche). Il patriarca Germano V si era dimesso nel 1918 e per tre anni il seggio rimase vuoto.

Il nuovo stato turco, lungi dal riconoscere eguaglianza ai cittadini ha finito per vessare ulteriormente i cristiani, al punto che nel 1955 una larga parte della comunità greca di Istanbul ha lasciato il paese. Il governo ha esercitato una enorme ingerenza nel patriarcato che ha portato negli anni venti alla costituzione di una chiesa ortodossa turca scismatica, esperienza conclusasi nel 1947. L’elezione nel 1948 del patriarca Atenagora e anziano arcivescovo negli Stati Uniti, porterà ad un allentamento della tensione.

Dopo la morte di Ataturk nel 1938, la democratizzazione progressiva del paese ha permesso un certo miglioramento della condizione dei cristiani, ma è chiaro che in uno stato rimasto fondamentalmente turco e musulmano, essa rimane sempre precaria.

Erdogan vuole accreditarsi come il nuovo sultano della umma’, la comunità islamica mondiale. Il patriarca ‘verde’, Bartolomeo, con papa Francesco, è troppo occupato nella ‘salvaguardia del creato’, per promuovere azioni a sostegno dei non pochi turchi che si convertono clandestinamente alla fede cristiana. L’Europa assisterà indifferente, salvo qualche comunicato di protesta, perché da anni ha perduto le sue radici cristiane.

Se invece le Chiese cattolica e ortodossa seguissero l’insegnamento e l’esempio di Gesù Cristo, che ha rivelato il mistero della Sapienza divina nella follia della croce, feconderebbero del sangue di Lui mescolato al proprio, tanta umanità in cerca di salvezza.


Tornano difficili i rapporti tra Vaticano e Turchia (11.07.20)

AGI – Difficile immaginare che la decisione turca di restituire al culto islamico Santa Sofia a Istanbul restasse priva di conseguenze, nei rapporti con la Chiesa cattolica. Oggi Papa Francesco esprime il suo “profondo dolore” personale, a indicare la profondità della ferita inferta ad un dialogo ripreso da poco, dopo alti e bassi. Parole, quelle del Pontefice, che lasciano bene immaginare come la ricucitura sarà lenta e difficile, e probabilmente richiederà lunghi anni di paziente lavoro sotterraneo. A Santa Sofia Bergoglio si era fermato per una visita alla fine di novembre del 2014. Quel giorno – il particolare è significativo – aveva scelto piuttosto la Moschea Blu per soffermarsi in adorazione a piedi scalzi davanti al mihrab, accanto al Gran Mufti’ di Istanbul Rahmi Yaran. Un gesto già compiuto anni prima da Ratzinger e con il quale si sottolineava, tra le altre cose, che il luogo di culto era quello, e non l’antica basilica bizantina. Museo, quest’ultima, era come tale era stata ammirata. Oggi le cose cambiano, come è cambiata la destinazione di Aghia Sophia. Un papa che dà voce alla sua più profonda amarezza per la decisione di un governo straniero indica una cosa sola: quelle giornate sono ormai lontane, ed il futuro non sarà più come il passato. Eppure di alti e bassi le relazioni tra Santa Sede e governo di Erdogan ne hanno registrati molti. Se il viaggio del 2014 aveva registrato con una vera e propria apertura di credito da parte di Bergoglio, gli sviluppi successivi non erano stati altrettanto promettenti. Sull’aereo che lo portava ad Ankara, prima tappa di quella trasferta, il Pontefice aveva avuto modo di sottolineare l’accoglienza “generosa” di “una grande quantità di profughi” da parte della Turchia, precisando che “la comunità internazionale ha l’obbligo morale di aiutarla nel prendersi cura” di loro. Ruolo stabilizzatore nell’ambito di una catastrofe umanitaria di dimensioni bibliche, quello di Erdogan: la Siria ed i suoi profughi (in tanta parte cristiani) costituivano una vera e propria credenziale nelle mani di Ankara nei confronti dell’Europa e non solo. La battuta d’arresto venne registrata pochi mesi dopo, quando Francesco divenne il primo papa a parlare apertamente, condannandolo, del genocidio degli armeni del 1915. Tema delicatissimo: la Turchia nega ancora che quei fatti siano definibili come tale, quanto semmai una politica di ricollocamento della popolazione armena all’interno dell’allora impero ottomano, e non accetta altre versioni. Invece, cent’anni dopo i fatti, Bergoglio disse esplicitamente: “La nostra umanità ha vissuto nel secolo scorso tre grandi tragedie inaudite: la prima, che generalmente viene considerata come il primo genocidio del XX secolo, ha colpito il popolo armeno, prima nazione cristiana”. Mettendo cosi’ gli armeni a fianco degli ebrei della Shoah. Reazione immediata di Erdogan: attacco personale al Papa (“ho cambiato la mia opinione su di lui come politico e come religioso”) e ritiro dell’ambasciatore presso la Santa Sede. Il diplomatico tornerà un anno dopo, in tempo per preparare una visita a Roma dello stesso Erdogan che regolarmente si svolge nel febbraio 2018. L’accoglienza è amichevole, il clima definito caloroso come da prammatica, ma da parte vaticana si chiede rispetto e protezione per le minoranze cristiane in Turchia e nella regione” come anche rispetto per i curdi e cessazione immediata delle uccisioni in atto, soprattutto delle vittime civili e innocenti. Insomma, amici ma l’amicizia si basa sulla franchezza. Come anche su una serie di protocolli in cui le posizioni sono meno divergenti: profughi, Siria, Gerusalemme. Trump ha appena spostato l’ambasciata americana in Israele nella Città Santa, e la cosa non viene gradita nè da una parte, nè dall’altra. Come sempre, anche in questa visita i regali ebbero la loro simbologica importanza. Cosi’ Erdogan si presentò da Bergoglio con una raccolta di scritti di un poeta turco dal nome evocativo, Rumi (che rimanda ai Romani, come i bizantini chiamavano se stessi) e il Papa contraccambiò con un medaglione raffigurante l’Angelo della Pace, forse ad indicare alla controparte il ruolo che sperava essa assumesse nella regione, e non solo. Quindi il Pontefice aggiunse una litografia seicentesca della allora erigenda Basilica di San Pietro, e se il pensiero di qualcuno magari corse a Santa Sofia, la risposta dell’ospite turco fu una stampa coeva di Istanbul, dove spiccava una Santa Sofia già trasformata in moschea.   AGI