Petrossian, lo zar armeno del caviale (Lofficielitalia 11.07.19)

Dietro le vetrine acquamarina della maison Petrossian a Parigi, situate a pochi passi dalla Tour Eiffel, si nasconde una storia lontana, capace di ripercorrere tutto il Novecento a bordo dell’Orient Express. I protagonisti di questa storia si chiamano Mouchegh e Melkoum. Figli di un mercante di seta, questi due fratelli armeni sono costretti ad abbandonare la loro terra natale nel 1915, quando l’esercito ottomano ordina l’epurazione degli armeni su tutto il territorio dell’impero. Negli stessi anni, la rivoluzione sovietica spinge la borghesia russa a trovare rifugio a Parigi. I due fratelli intravedono in questa nuova clientela un’opportunità commerciale e hanno l’idea di importare una prelibatezza proveniente dalla acque Mar Caspio, situato tra l’Iran e la Russia: il caviale di storione. Il solo ostacolo alla realizzazione del progetto è la nazionalizzazione della pesca da parte della nuova Russia sovietica, ma Mouchegh e Melkoum sanno come convincere un paese che manca terribilmente di liquidità. Secondo il racconto di famiglia, i due fratelli armeni si presentano al consolato russo di Parigi sapendo come convincere le autorità russe: una valigia piena di contanti. Nel 1920 aprono la prima boutique al 18 Boulevard de la Tour-Maubourg, la stessa che da ormai un secolo propone le specialità e le leccornie dell’Est-Europa a Parigi. In pochi anni, il caviale del Mar Caspio invade la capitale francese diventando l’invitato obbligatorio delle tavole dei più grandi ristoranti, della mondanità e dei ricevimenti. I fratelli Petrossian mettono a punto una tecnica segreta per affinare il caviale, integrando anche l’affumicatura del salmone e la vendita dei granchi russi. Nonostante le relazioni privilegiate con la Russia sovietica, durante la Seconda Guerra mondiale i rifornimenti di caviale si fanno rari e i fratelli Petrossian aggiungono all’inventario gli alcolici e la verdura. Alla fine della guerra seguiranno i formaggi e i prosciutti dell’Europa dell’Est. Se la maison Petrossian è riuscita a mantenere per decenni il monopolio del caviale sovietico e dell’Iran, e del granchio Chatka, dagli anni Ottanta dei nuovi attori commerciali come Kaviari, Maison Nordique e Prunier, stanno espandendosi dando filo da torcere alla maison armena. Inoltre, le quote internazionali non permettono di pescare lo storione come in passato facendo lievitare vertiginosamente i prezzi. Nonostante un fatturato in diminuzione del 4% rispetto all’anno precedente, nel 2018 la società Petrossian realizza 17 milioni di euro. Oggi l’azienda è diretta da Armen Petrossian, figlio di Mouchegh. Dai baffi larghi come il Caucaso, l’indispensabile papillon colorato e un piglio da mago d’inizio secolo, Armen Petrossian trasmette tutta la passione e la storia della famiglia animando con calore la boutique della rue Tour-Maubourg, dove è anche possibile mangiare un boccone. Nel ristorante di fronte alla boutique, al numero 13, il ristorante della maison Petrossian permette un’esperienza più formale e contemporanea per scoprire tutte le forme del caviale. Il palato italiano non apprezzerà le tagliatelle al caviale, ma potrà esplorare tutte le declinazioni di pesce e carne per un menù accessibile a pranzo.

Vai al sito

Imprese italiane in Armenia: Unindustria Reggio Emilia guida la missione (Reggioonline 11.07.19)

REGGIO EMILIA – Unindustria Reggio Emilia ha accompagnato nei giorni scorsi la prima missione di imprese italiane nella capitale dell’Armenia Yerevan. Una missione nata dal successo per il primo Business Forum Italia-Armenia dello scorso giugno, organizzato di Ice e Ance, che aveva visto la partecipazione anche del primo ministro Nikol Pashinyan e del ministro dell’economia Tigran Khachatryan.

Le imprese reggiane partecipanti hanno effettuato circa 50 incontri commerciali, atti a sviluppare il proprio business e nuove collaborazioni ed alcune di loro hanno già ricevuto commesse al loro rientro.

“L’Armenia, a dispetto delle sue dimensioni può essere considerata, a pieno titolo, una nazione globale grazie ad una numerosissima ed influente comunità di espatriati ed è stata definita “Paese dell’anno” dalla rivista The Economist quale destinazione di investimenti esteri. I dati mostrano che le esportazioni italiane verso l’Armenia sono in costante aumento e che cresce progressivamente la domanda di beni italiani, soprattutto nei settori tradizionali (moda, agroalimentare, beni di lusso e meccanica). Da non sottovalutare inoltre anche le opportunità offerte in comparti all’avanguardia (energie rinnovabili, biomedicale, IT e rifiuti), dove le nostre imprese vantano un alto grado di specializzazione. Un altro fattore chiave è il fatto che sono poche le aziende straniere che operano nel paese e il mercato risulta quindi caratterizzato da scarsa concorrenza” – spiega Fausto Mazzali, Vicepresidente Unindustria Reggio Emilia delegato all’Internazionalizzazione.

Alla missione, organizzata con la consulenza di Alenoush Sahakian (Sahaka Mktg & Communication Consultancy) e accompagnata da Silvia Margaria dell’Area Internazionalizzazione di Unindustria, hanno partecipato Andrea Gazza (Industrie Montali – Montecchio), Gianluca Maselli (Giuliano Industrial – Correggio), Elena Svet (Mazzoni – Cavriago), Elena Munari (I.E. Park – Gattatico) e Stefano Curini (Rovatti & Figli Pompe – Fabbrico).


Unindustria Reggio guida la prima delegazione italiana in Armenia (Reggiosera 11.07.19)

REGGIO EMILIA – Dopo il successo per il primo Business Forum Italia-Armenia dello scorso giugno, organizzato di ICE e Ance, che aveva visto la partecipazione anche del Primo Ministro Nikol Pashinyan e del Ministro dell’Economia Tigran Khachatryan, Unindustria Reggio Emilia ha accompagnato nei giorni scorsi la prima missione di imprese italiane nella capitale Yerevan.

Le imprese reggiane partecipanti hanno effettuato circa 50 incontri commerciali, atti a sviluppare il proprio business e nuove collaborazioni ed alcune di loro hanno già ricevuto commesse al loro rientro.

Alla missione in terra armena, organizzata con la consulenza di Alenoush Sahakian (Sahaka Mktg & Communication Consultancy) e accompagnata da Silvia Margaria dell’Area Internazionalizzazione di Unindustria Reggio Emilia, hanno partecipato: Andrea Gazza (Industrie Montali – Montecchio), Gianluca Maselli (Giuliano Industrial – Correggio), Elena Svet (Mazzoni – Cavriago), Elena Munari (I.E. Park – Gattatico) e Stefano Curini (Rovatti & Figli Pompe – Fabbrico).

La delegazione è stata accolta anche dall’Ambasciatore Vincenzo Del Monaco e sta ricevendo supporto nel follow-up degli incontri da Annarosa Colangelo, vice capo Missione dell’Ambasciata.

E’ stato effettuato inoltre un incontro anche con Eduard Kirakosyan, executive director Union of Manifacturers and Businessmen of Armenia, con il quale è stato rinnovato il Memorandum d’Intesa siglato con Confindustria Emilia- Romagna del 2016.

“L’Armenia, a dispetto delle sue dimensioni può essere considerata, a pieno titolo, una nazione globale grazie ad una numerosissima ed influente comunità di espatriati ed è stata definita “Paese dell’anno” dalla rivista The Economist quale destinazione di investimenti esteri. I dati mostrano che le esportazioni italiane verso l’Armenia sono in costante aumento e che cresce progressivamente la domanda di beni italiani, soprattutto nei settori tradizionali (moda, agroalimentare, beni di lusso e meccanica). Da non sottovalutare inoltre anche le opportunità offerte in comparti all’avanguardia (energie rinnovabili, biomedicale, IT e rifiuti), dove le nostre imprese vantano un alto grado di specializzazione. Un altro fattore chiave è il fatto che sono poche le aziende straniere che operano nel paese e il mercato risulta quindi caratterizzato da scarsa concorrenza” – spiega Fausto Mazzali, Vicepresidente Unindustria Reggio Emilia delegato all’Internazionalizzazione.

La storia straordinaria delle Suore Armene dell’Immacolata Concezione (Aleteia 10.07.19)

Caratterizzata dalle persecuzioni, ma anche da una certa vicinanza ai successori di Pietro

“Rinascete per l’amore pratico nei confronti dei bambini e dei poveri”, ha affermato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, nella sua omelia in occasione della chiusura del 170° anniversario della congregazione femminile delle Suore Armene dell’Immacolata Concezione, celebrazione tanto più intensa visto che questa comunità ha attraversato momenti tragici di sofferenza.Nel 1847, alla periferia di quella che era stata Costantinopoli, capitale dell’Impero ottomano, la congregazione si è lanciata nel campo dell’istruzione delle giovani donne armene in situazioni di povertà. Appena tre anni dopo la sua creazione, spinta dal successo riscosso, la comunità ha aperto varie scuole nella zona antica della città.

Una congregazione al cuore di un popolo perseguitato

Purtroppo si sono poi verificate le persecuzioni contro gli Armeni. Nel decennio a partire dal 1890, il popolo armeno ha chiesto al sultano di applicare le riforme liberali promesse. La risposta non si è fatta attendere ed è stata brutale, barbara: tra il 1894 e il 1896, circa 200.000 armeni sono stati sterminati, 100.000 convertiti a forza all’islam e un numero simile di donne è stato sequestrato per entrare negli harem.

In quel caos, le religiose dell’Immacolata Concezione si sono dedicate corpo e anima a soccorrere i bambini e a offrire un sostegno spirituale per quanto possibile.

Vent’anni dopo, l’incubo ha assunto proporzioni ancor più spaventose. Il genocidio armeno ha raggiunto il suo apice: due terzi della popolazione armena in Turchia è stata sterminata. Alcune suore sono state assassinate, altre deportate e le sopravvissute sono state esiliate. Queste ultime, rifugiatesi ad Aleppo, hanno fondato una comunità che si dedicava alla cura degli armeni sopravvissuti.

Dalla Siria al Papa

A Roma la sofferenza delle religiose è arrivata alle orecchie di Papa Pio XI, che ha chiesto loro di attraversare il Mediterraneo per insediarsi a Castel Gandolfo, residenza estiva dei Pontefici.

È stato così che 12 religiose e 429 bambini sopravvissuti al genocidio sono stati alloggiati lì prima di essere trasferiti a Torino in uno spazio più ampio. Il legame con Roma è tuttavia rimasto indelebile: la Casa Generale e il noviziato delle religiose si trovano ancora oggi nella Città Eterna.

Attualmente offrono il loro aiuto e la loro consolazione alla diaspora armena in Francia, Siria, Egitto, Giordania e Iraq, ma anche in Iran prima della rivoluzione islamica del 1979. Durante la Guerra Fredda è stato proibito loro l’accesso al territorio armeno, chiuso sotto il giogo comunista dell’URSS.

Nel 1991 il blocco orientale è crollato, e l’Armenia è diventata uno Stato indipendente. Le suore dell’Immacolata Concezione hanno potuto tornare nella propria terra e aprirvi conventi e scuole. Nel 2016 sono poi riuscite a contraccambiare l’ospitalità di Pio XI ricevendo il suo successore, Papa Francesco, in visita in Armenia. E ovviamente, hanno detto, la loro camera migliore è stata riservata al Successore di Pietro!

Vai al sito

Libri da… Armenia: Abovjan, Arslan e molti altri…(libri.icrewplay.com 09.07.19)

Una terra di sofferenza… e tanto coraggio

Caro lettore, oggi ti voglio parlare dell’Armenia, o in maniera ufficiale Repubblica di Armenia,è infatti una repubblica semipresidenziale e il presidente è eletto dal popolo e dura in carica 5 anni. L’indipendenza è stata votata dal popolo con un referendum nel settembre 1991. Stato eurasiatico posto tra l’Azerbaigian, l’Iran, la Turchia e la Georgia. Nei secoli il nome è cambiato da Hayq a Hayastan, che significa terra di Haik, un discendente di Noé, quindi un antenato di tutti gli armeni, fino al nome conosciuto ai giorni nostri, che deriva da Armenak, famoso per il suo coraggio come condottiero, e fiero della discendenza così importante. Questo territorio si è formato dal sollevamento della crosta terrestre 25 milioni di anni fa, quindi è prevalentemente montuoso, con numerosi vulcani spenti e un’attività tellurica ancora presente e pericolosa. La lingua ufficiale è quella armena, seguita dal russo, che è la più parlata tra le minoranze linguistiche. La religione maggiormente professata è quella cattolica, seppur con alcune modifiche: la chiesa apostolica armena, infatti, è molto vicina alla chiesa copta e a quella ortodossa. La capitale è Erevan. La moneta armena è la Dram o Dracma.

Consigli letterari

La letteratura armena moderna ebbe origine durante il revivalismo o periodo del revival, romanticismo armeno che si sviluppò nel XIX secolo. Gli autori revivalisti, inneggiavano al nazionalismo armeno. Il primo e più importante rappresentante fu Khačatur Abovjan, di cui cito la sua opera più famosa, “Le ferite dell’Armenia“. Verso la fine del 1800 iniziò il movimento realista, con la fondazione del giornale Arevelk a cui partecipava anche Arpiar Arpiaryan. Iniziò poi il periodo in cui l’Armenia dovette sottostare al regime sovietico, fino alla sua indipendenza. Tra gli scrittori moderni voglio ricordare Armen MelikianAntonia Arslan e Vahé KatchaMelikian, vincitore di 11 premi letterari, con la sua opera “Viaggio alla terra vergine“, affronta i problemi della società armena moderna: corruzione politica, relazione di genere e orientamento religioso. Arslan, vincitrice del premio Stresa e finalista del premio Campiello, con il romanzo “La masseria delle allodole“, ha reso omaggio alle sue origini armene mantenendo vivo il ricordo del genocidio armeno, attuato dall’impero ottomano tra il 1915 e il 1916, provocando un milione e mezzo di morti. Katcha, scrittore armeno francese, anche lui impegnato nel ricordo di quella pulizia etnica che provocò tanta sofferenza, cito la sua opera “Il pugnale nel giardino“.

Spero che questo breve viaggio in questa terra così lontana, ma anche così vicina, ti sia piaciuto. Continua a seguirci per viaggiare con la fantasia e la letteratura.

Leggete… con la lettura volerete! Buona lettura!

Vai al sito

Armenia: sondaggio Iri, cittadini continuano a sostenere governo Pashinyan (Agenzia nova 09.07.19)

Erevan, 09 lug 09:38 – (Agenzia Nova) – Sebbene questa cifra rappresenti una riduzione di 12 punti rispetto all’ottobre dello scorso anno, rimane una significativa espressione della costante fiducia nel nuovo esecutivo. Questo trend può anche riflettersi in alti livelli di ottimismo riguardo alla gestione delle riforme da parte del governo, in quanto il 59 per cento degli intervistati ritiene che il governo stia facendo abbastanza sforzi per combattere la corruzione. Nonostante queste dimostrazioni di ottimismo, i cittadini armeni rimangono preoccupati per una serie di problemi che affliggono il paese. In linea con precedenti sondaggi dell’Iri, i posti di lavoro (30 per cento), i problemi socioeconomici (18 per cento), i salari (14 per cento) e le pensioni (12 per cento) sono in cima alla lista dei problemi prioritari che il governo deve affrontare entro i prossimi sei mesi. Anche se il 42 per cento dei partecipanti al sondaggio ritengono che l’economia nel suo insieme sia migliorata negli ultimi sei mesi, solo il 24 per cento citano dei miglioramenti della situazione economica delle loro famiglie in questo periodo di tempo. (Res)

Tregua (precaria) nell’Eden (Corriere della Sera 06.07.19)

Non è facile parlare del Nagorno Karabakh — e neppure capirlo. Questo piccolo Paese aggrappato alle montagne del Caucaso, è davvero, infatti, un giardino segreto, come lo ha definito Graziella Vigo dopo averlo percorso in lungo e in largo scattando le sue preziose fotografie, parlando con la gente, annusandone i profumi e captando la sua misteriosa lunghissima storia, come la si respira in ogni angolo di questa terra. Non è facile: a cominciare dal nome, che significa «giardino nero» (un misto di due vocaboli, uno russo e uno turco, che non rispecchia la vera natura della regione, che infatti ufficialmente oggi si chiama Artsakh, un altro nome derivato da un termine dell’armeno antico, tsakh, che significa «legno»).

Antonia Arslan (Padova, 1938)
Antonia Arslan (Padova, 1938)

Legno, cioè boschi, foreste: questa parte del Caucaso orientale, che si estende per circa 11.500 chilometri quadrati, abbraccia e protegge l’Altopiano Armeno verso est, e comprende alcuni dei più antichi e durevoli insediamenti del popolo armeno. Appartenente alla famiglia indoeuropea, esso si era insediato in tutta la grande zona fra il Monte Ararat, il Caucaso e i tre grandi laghi di Van, Sevan e Urmià, verso il VII secolo a.C. La tribù armena che qui si stabilì ha messo radici che non sono mai state tagliate; la gente di qui ha combattuto per la propria terra, ha difeso una certa indipendenza, ha conservato perfino una classe nobiliare, i melik, che altrove è scomparsa. Il popolo dell’Artsakh non ha subito il trauma del genocidio del 1915 perché, come l’Armenia del Caucaso, non faceva parte dell’impero ottomano: per molti secoli rimasto sotto l’influenza persiana, col trattato di Gulistan del 1813 passò in potere dello zar di Russia, che nel 1828 riuscì ad annettersi tutta la Transcaucasia.

Questa terra isolata, ma fertile e ricca d’acque, costituiva da millenni un importante nodo di passaggio verso occidente. L’Artsakh si convertì al cristianesimo insieme al resto d’Armenia, e vi furono costruiti importanti monasteri. La capitale, Shushi, era nell’Ottocento una delle città più importanti del Caucaso, seconda solo a Tiflis, l’odierna Tbilisi, ed era conosciuta per la sua vivacissima vita economica e culturale. I suoi abitanti avevano stretti rapporti con il mondo russo e con quello occidentale, e molti giovani andavano a studiare all’estero.

La copertina del numero di «Vita e Pensiero» che esce il 12 luglio
La copertina del numero di «Vita e Pensiero» che esce il 12 luglio

E non solo gli uomini, anche le donne. Il 22 dicembre 1895, sul suo giornale «Il Mattino», Matilde Serao pubblica il resoconto di una conferenza tenuta all’Università di Vienna da una dottoressa in medicina che è — scrive — «discendente da un’antica famiglia principesca dell’Armenia». Si tratta di Margarit Melik Beglarian, appartenente a una delle più antiche famiglie dei melik dell’Artsakh. Il resoconto della conferenza è estremamente interessante. «Il mio Paese», dice Margarit, «è selvaggio e incivile, ma se voi andate in una tenuta vedrete quanto volentieri un possidente divida con i contadini il suo patrimonio e il suo tempo. Vadano pure maestre, medichesse e magari avvocatesse in quei luoghi e vedranno con quanta affabilità verranno accolte. La gente non dirà: “Questa è una donna e quindi comprende poco”. Io non conosco nessun proverbio armeno che dileggi l’inferiorità della donna. […] La donna armena non è per nulla da meno dell’uomo e, se anche talvolta le manca la cultura, la sua naturale forza d’animo è tale da farla ovunque oggetto di considerazione».

Tornando al nome: «Artsakh. Questo è il nome giusto, antico, quello armeno, e definisce questi territori dalla più remota antichità — ti dice la gente del posto — e risale a prima di quando diventarono parte dei domini del re Tigranmetz». Effettivamente Tigrane il Grande, nel I secolo a.C., fu l’armeno che arrivò a regnare su un estesissimo impero, che andava dal Mar Nero al Monte Ararat alle pianure d’Anatolia, giungendo fino alla Siria e alla Palestina. Quella fu la massima estensione della Grande Armenia; e di questo re gli armeni mantengono un ricordo divenuto leggendario: re Tigrane regnò molto a lungo e aveva il vezzo di costruirsi capitali. A Tigranakert, la sua capitale in loco, gli archeologi scavano da anni; a me è capitato di andarci in un pomeriggio di aprile nel 2015, durante il mio primo viaggio nel Paese.

Era l’inizio della nuova stagione. Il professor Hamlet Petrosyan, direttore degli scavi, ci invitò a visitare tutto, ma soprattutto l’appena riscoperta basilica paleocristiana. Sulle colline indugiava un tramonto di fuoco, e — come nelle favole — un cavallo solitario galoppava verso il sole. Mi sentii nel centro di un mondo antichissimo e tuttavia vitale, coraggioso. Eppure questa serenità laboriosa è una faticosa conquista dopo una guerra per la sopravvivenza non ancora finita: la pace fra l’Artsakh e l’Azerbaigian è ancora lontana, c’è soltanto — da più di vent’anni… — uno stato di tregua armata. Ma, nonostante la perdurante incertezza diplomatica, il Paese — abitato da circa 150.000 persone — lavora perché la sua indipendenza de factoprosegua e si rafforzi. La capitale attuale, Stepanakert, giace al centro di una vallata accogliente, poco lontana da Shushi, dove durante la guerra la cattedrale e gran parte delle case furono quasi completamente distrutte. Oggi è in piena ricostruzione.

È superfluo ricordare che l’area del Caucaso è — ed è sempre stata — di straordinaria complessità etnica e linguistica; tuttavia le cause della guerra del Nagorno Karabakh (oggi Artsakh) sono in realtà abbastanza semplici, se la si considera nella prospettiva delle attuali rivendicazioni di molte etnie circa il loro «spazio vitale», il territorio dove vivono e vogliono continuare a vivere in libertà. All’inizio del Novecento, gli armeni dell’impero ottomano furono spazzati via — dal 1915 in poi —, vittime del primo genocidio del secolo. Un certo numero di sopravvissuti trovò rifugio nell’Armenia caucasica, sotto la protezione della Russia zarista. Dopo la rivoluzione del 1917 si forma nel Caucaso una federazione transcaucasica, che dà origine a tre repubbliche indipendenti (Georgia, Armenia, Azerbaigian). Nel 1920 tuttavia anche la Transcaucasia cade nelle mani dei bolscevichi. Sarà Stalin a rimescolare le carte fra le tre nazioni, assegnando nel 1921 all’Azerbaigian il territorio del Karabakh, abitato per il 95% da armeni.

Questa situazione dura fino alla crisi finale dell’Urss. Dovunque ci sono minoranze, le diverse nazionalità rialzano il capo: anche in Karabakh. Nel 1988 avvengono scontri in diverse località fra azeri e armeni, che sfociano nella violenza di pogrom e massacri organizzati. Nel frattempo, nel caos legislativo del tramonto sovietico, i rappresentanti del soviet del Karabakh proclamano uno statuto di autonomia e infine l’indipendenza nel 1991. Nel gennaio 1992 cominciano i bombardamenti azeri. La guerra va avanti per due anni, con distruzioni massicce sul territorio dell’Artsakh, ma trovando un’inaspettata e decisa resistenza. Gli armeni hanno presente l’incubo del 1915, e sanno di combattere per la propria terra: fra alterne vicende, riescono a tenere il territorio.

La tregua (spesso purtroppo violata) fu firmata nel maggio 1994. A tentare un riavvicinamento delle posizioni lavora da anni il Gruppo di Minsk della Csce. Oggi, mentre in Azerbaigian si è consolidata una successione dinastica nella famiglia Aliyev, con un progressivo parallelo restringersi delle libertà di opinione e di critica, in Armenia la «rivoluzione di velluto» del 2018 ha portato al potere Nikol Pashinyan, con un forte programma di rinnovamento sociale e politico: speriamo! Ma io credo che della realtà esistente e del popolo fiero e gentile dell’Artsakh, avamposto orientale, davvero non ci si deve dimenticare.

Il nuovo numero e l’autrice

Esce venerdì 12 luglio il nuovo numero di «Vita e Pensiero», rivista bimestrale fondata nel 1914 e promossa dall’Università Cattolica di Milano. Il saggio di Antonia Arslan, di cui pubblichiamo una sintesi qui sopra, fa parte dei contributi della sezione «Frontiere», in cui compaiono anche una riflessione di Joseph Coutts sui Cristiani in Pakistan e un intervento di Andrea Bettetini su Abusi sessuali e segreto confessionale. Firmano gli «Scenari economici» Carlo Cottarelli (Un vero bilancio comune per rilanciare la Ue) e Luigi Campiglio. Il focus: Primo Levi e il sacro, questione da riaprire? con testi di Marco Belpoliti, Alberto Cavaglion, Giovanni Tesio, Alessandro Zaccuri.
Antonia Arslan (Padova, 1938) è autrice di saggi sulla narrativa popolare e la letteratura femminile tra Ottocento e Novecento. Di origini armene, ha tradotto le poesie di Daniel Varujan e narrato le sue memorie familiari in La masseria delle allodole (Rizzoli, 2004), romanzo pluripremiato, tradotto in 15 lingue e trasformato nell’omonimo film nel 2007 dai fratelli Taviani. Il suo ultimo libro è La bellezza sia con te (Rizzoli, 2018). L’Artsakh, conosciuto fino al referendum costituzionale del 2017 come Nagorno Karabakh, è uno Stato de facto, autoproclamatosi repubblica indipendente dall’Azerbaigian dopo un conflitto durato oltre due anni, fino al maggio 1994. Repubblica a riconoscimento limitato, conta una popolazione di circa 150 mila abitanti, la maggior parte cristiani.

Vai al sito

Fvg, Zilli: memoria armeni strumento di giustizia e leva di pace (Askanews 06.07.19)

Trieste, 6 lug. (askanews) – Ricordare una delle grandi tragedie del Novecento e rinsaldare il legame di amicizia tra il Friuli Venezia Giulia e il popolo armeno: sentimenti profondi, quelli celebrati nel pomeriggio di oggi a San Daniele, suggellati dal melograno piantato nel chiostro della sede dello Scriptorium Foroiuliense, alla presenza dell’associazione friulana-armena “Zizernak” e di numerose autorità civili, militari e religiose. Presente, in rappresentanza dell’Amministrazione regionale, l’assessore alle Finanze e al Patrimonio, Barbara Zilli, che, nel suo intervento, ha sottolineato “il valore della memoria quale strumento di giustizia e leva per una pace che non deve essere figlia della sottomissione al prossimo, ma del pieno rispetto di identità, storia e tradizioni”. “Chinare rispettosamente il capo di fronte al milione e mezzo di vittime del genocidio consumatosi cent’anni fa – ha proseguito l’assessore – significa dunque in primo luogo riconoscere quei tratti che, in forme non dissimili, hanno accomunato il destino di numerosi popoli lungo l’impervio tracciato della Storia contemporanea.” Un passato che, ha rimarcato Zilli, “non può e non deve cadere nell’oblio, pena la pericolosa riproposizione di pagine già scritte. Una comunità priva di memoria – ha concluso l’assessore regionale – è infatti inevitabilmente condannata a ripetere i propri errori”.

Vai al sito

A San Daniele del Friuli un albero di melograno in ricordo delle tragedie del popolo armeno (Friulisera 05.07.19)

Domani, sabato 06 luglio, alle ore 18.00, le associazioni Scriptorium Foroiuliense e Zizernak daranno vita a un nuovo sodalizio a futura memoria delle tragedie che hanno colpito il popolo armeno. Nell’occasione al centro del chiostro della sede dello Scriptorium, in via Udine 2 a San Daniele, sarà piantato un albero di melograno con la benedizione di Padre Hamazasp della Congregazione Mechitarista dell’isola di San Lazzaro degli Armeni di Venezia. All’evento prenderanno parte il presidente della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga e sua eccellenza il prefetto di Udine, Angelo Ciuni. A celebrare la creazione del nuovo sodalizio, interverranno: Il sindaco di San Daniele del Friuli, Pietro Valent,  Il presidente di Zizernak, Daniel Temresian, Lo storico dell’Armenia, Gregorio Zovighian, Il Console onorario della Repubblica Armena, Pietro Kuciukian, l’assessore regionale alle finanze e patrimonio della Regione Fvg, Barbara Zilli, il presidente dello Scriptorium Foroiuliense, Roberto Giurano.

Non sappiamo se l’iniziativa di domani sia legata alla ricorrenza odierna, ma vale comunque la pena ricordare che l’Armenia celebra oggi la Giornata della Costituzione. Con il ripristino dell’indipendenza dell’Armenia nel 1991 infatti   la discussione per l”adozione di una nuova costituzione nazionale divenne inevitabile. Così la Carta fondamentale venne adottata  il 5 luglio 1995 attraverso un referendum. La Carta successivamente ha subito delle modifiche attraverso dei referendum, l’ultimo nel 2015. Però la data di prima promulgazione, il 5 luglio è stata dichiarata giorno festivo, la Giornata della Costituzione. Secondo l’articolo 1 della Costituzione, la Repubblica di Armenia è uno Stato sovrano, democratico, sociale e legale. L’articolo 2 definisce che il potere nella Repubblica di Armenia appartiene al popolo.

Vai al sito

Armenia: premier Pashinyan, visite ufficiali in Vietnam e a Singapore da 4 a 9 luglio (Agenzianova 03.07.19)

Erevan, 03 lug 10:19 – (Agenzia Nova) – Il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, si recherà in visita ufficiale in Vietnam e a Singapore insieme alla moglie Anna, nel quadro di un ciclo d’incontri che lo terrà impegnato dal 4 al 9 luglio. Lo riferisce l’agenzia di stampa “Armenpress”, aggiungendo che, durante la prima tappa ad Hanoi, il premier di Erevan ha in programma incontri con il presidente del parlamento, Nguyen Thi Kim Ngan, e con l’omologo, Nguyen Xuan Phuc, a cui seguiranno una conferenza stampa congiunta e una cena ufficiale. Secondo quanto riportato all’interno di una nota diffusa stamattina dal suo servizio stampa, Pashinyan visiterà il mausoleo costruito in onore del fondatore della Repubblica socialista del Vietnam, Ho Chi Min, e il monumento ai caduti per l’indipendenza. In aggiunta, il premier armeno ha in programma una serie di incontri alla Camera di commercio vietnamita e all’ambasciata d’Armenia ad Hanoi. Il viaggio del primo ministro continuerà poi a Singapore, dove si fermerà dal 7 al 9 luglio e incontrerà le più alte cariche del paese, tra cui il presidente, Halimah Yacob, e il primo ministro, Lee Hsien Loong. Stando alle informazioni diffuse da “Armenpress”, al termine della visita è prevista la firma di una serie di accordi bilaterali.

Arshile Gorky, l’arte prima di ogni altra cosa (Ilbolive 02.07.19)

“Un cavalletto massiccio di fabbricazione straniera, grandi quantità di tele di ampie dimensioni, centinaia di tubetti dei colori più costosi, dozzine di tavolozze coperte con grossi mucchi di vernice, foreste di pennelli fini, pezze di lino per gli stracci da pittura, fusti di olio e trementina. Questa non è un’esagerazione”, così Willem de Kooning descriveva lo studio di Arshile Gorky, sottolineando la sua vocazione artistica, il suo rapporto unico e totalizzante con la pittura, fatto di studio, ricerca e dedizione.

È una straordinaria storia d’arte e vita, di sofferenza e abbandono, speranza e opportunità, quella di Arshile Gorky. Nasce il 15 aprile 1904 a Khorkom, in Armenia, e il suo vero nome è Vostanik Manoug Adoian. Nel 1908, dopo aver lasciato il lago Van, il padre e il fratello partono per l’America ma, nonostante le promesse, i due scompaiono nel nulla. Nel 1915 la madre è costretta a fuggire con i figli rimasti con lei a Erevan e prova a contattare il marito in America, inviando una fotografia sua e del figlio (Gorky) nel tentativo di riunire la famiglia: la donna non riceve risposta e, poco dopo, muore di fame tra le braccia di Gorky stesso. Una perdita che segna per sempre la vita del futuro artista. Qualche mese più tardi, la città viene assediata e, per sfuggire alle persecuzioni (che ricordiamo con il doloroso nome di genocidio armeno), Gorky scappa con la sorella e, a soli 15 anni, riesce a rifugiarsi negli Stati Uniti. Qui inizia la sua seconda vita: studia a Boston, si sposta a New York per insegnare arte e dal 1935 inizia un periodo di crescita e conferme artistiche a partire dal contratto di tre anni firmato con la Guild art gallery. Nel 1941 il San Francisco museum of Modern art ospita la sua prima retrospettiva. I primi anni Quaranta sono costellati di soddisfazioni e successi, nascono anche le sue due figlie, ma la felicità si esaurisce in fretta: a seguito di un periodo di turbamento personale e problemi di salute (un incidente e il cancro), il 21 luglio 1948, a soli 44 anni, si toglie la vita a Sherman in Connecticut.

Arshile Gorky: 1904 –1948 è allestita a Ca’ Pesaro, Galleria internazionale d’arte moderna (fino al 22 settembre), e riunisce oltre 80 opere dell’artista, precursore dell’espressionismo astratto, dalla National Gallery of Art di Washington, Tate Modern di Londra, Centre Pompidou di Parigi, Whitney Museum of American Art di New York, Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington, Albright-Knox Art Gallery di Buffalo, Calouste Gulbenkian Foundation di Lisbona, Diocesi della Chiesa Armena Americana a New York. “La straordinaria personalità di Gorky, per la prima volta in Italia con una mostra monografica, illuminerà zone ancora in ombra della storia dell’arte del nostro Paese, facendoci esplorare in profondità l’osmosi della pittura europea con quella americana, di cui Gorky fu senza dubbio uno dei più importanti innovatori”, spiega Gabriella Belli, storica dell’arte, direttore della Fondazione Musei civici di Venezia e curatrice della mostra insieme a Edith Devaney, curatrice alla Royal academy of arts di Londra.

“Gli piaceva lavorare in maniera veloce come notoriamente faceva il Tintoretto perché, come disse una volta, quando siamo in sintonia con il nostro tempo facciamo le cose con maggiore facilità. Gorky non solo sentiva di essere un tutt’uno con la propria epoca, ma anche tramite la pittura attingeva all’eterno”, spiega Saskia Spender, nipote di Gorky e presidente di The Arshile Gorky Foundation che, con la Fondazione Musei civici veneziani, ha dato vita alla retrospettiva, proponendo una serie di opere raramente esposte al pubblico. “Gorky è stato un uomo che ha rifiutato confini ed etichette di ogni tipo”, la mostra svela l’evoluzione del suo vocabolario artistico, frutto dell’impegno artistico e intellettuale con i movimenti europei e al tempo stesso della sua indipendenza: Gorky ha studiato, compreso e rielaborato, facendole proprie, le lezioni di Paul Cézanne, Ingres, Paolo Uccello, Picasso, Joan Miró.

“Fu riconosciuto come un protagonista della scena downtown dell’arte di New York molto prima del raggiungimento della maturità artistica. I racconti dei colleghi ai quali fu vicino negli anni Venti e Trenta, prima Stuart Davis e poi Willem de Kooning, descrivono una figura carismatica: un uomo venuto da un Paese rigorosamente taciuto, con un nome inventato, un passato inaccessibile, e un modo del tutto personale di esprimere se stesso con le parole e con gli abiti – spiega Saskia Spender – L’atmosfera era bellissima, disse de Kooning dello splendente studio di Gorky al 36 di Union Square […] L’arte era il pilastro della vita di questo collega; veniva prima del mangiare e del bere, figurarsi se non veniva prima delle spavalderie e della parlata idiosincratica per le quali era noto. Lavorava giorno e notte, notte e giorno. Magro come un chiodo e povero, Gorky investiva solo in materiali di prima qualità e carta fatta a mano”.

Il percorso espositivo veneziano inizia con le figure e i ritratti, tra tutti l’Autoritratto del 1937, che dà il benvenuto al visitatore. Il ritratto della madre, da una fotografia del 1910, che rivela emozioni potenti legate alla memoria e alla perdita, ed è una immagine che commuove e in cui l’artista, ancora bambino, compare accanto a lei. Si passa alle nature morte e ai disegni che precedono i dipinti, in un continuo interrogarsi su Cubismo e Surrealismo, poi agli anni Quaranta e alle ultime opere, capolavori che ne definiscono il percorso artistico: The Liver is the cock’s comb (1944), ovvero Il fegato è la cresta del gallo, e ancora One year the milkweed (1944) e Dark green painting (1948 circa). Ma prima di entrare nella grande stanza dedicata agli ultimi anni, ecco il film The eye-spring realizzato dalla nipote Cosima Spender, breve ma intenso racconto dell’esistenza e del percorso artistico di Gorky, dall’infanzia in Armenia agli anni Trenta a New York, tra ispirazione e incontri, fino alla riconnessione con la natura degli anni Quaranta, a partire dalle estati trascorse in Connecticut e alla Crooked run farm in Virginia. “La molla dell’occhio… Arshile Gorky è per me il primo pittore al quale questo segreto sia stato completamente rivelato – scriveva André Breton nel tema introduttivo del catalogo della mostra Arshile Gorky, Julien Levy Gallery, New York 1945 – L’occhio […] è fatto per trarre un lineamento, un filo conduttore tra le cose più eterogenee”.

Vai al sito