Genocidio degli armeni. La lezione che Hitler assimilò e mise in atto (Il Giornale 24.04.25)

In un momento storico in cui il termine «genocidio» ricorre con frequenza nel dibattito politico, spesso evocato a sproposito, colpisce il silenzio o la sottovalutazione di uno dei più tragici genocidi della storia: quello armeno. Eppure ricorrono 110 anni dallo sterminio di circa tre milioni di armeni avvenuto tra 1915 e 1916 durante l’Impero Ottomano ma, ancora oggi, varie nazioni, tra cui la Turchia, non lo riconoscono. Il genocidio perpetrato dagli ottomani ha segnato per sempre la storia del popolo armeno che ne ha tenuta viva la memoria grazie a romanzi, canzoni, film e memoriali a partire da quello eretto a Yerevan. Nella storia della letteratura rimarranno alcuni libri incentrati proprio sul genocidio armeno, a cominciare da I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel. Scrittore ceco di origine ebraica, in un viaggio nel 1929 a Damasco con la moglie Werfel conosce numerosi esuli armeni sopravvissuti al genocidio e decide di scrivere il suo libro che uscirà nel ’33. È la storia di un gruppo di sette villaggi armeni situati alla base del monte Mussa Dagh che si oppongono con le armi ai turchi.

Nel 2004 la scrittrice italo-armena Antonia Arslan ha pubblicato un romanzo che ha ottenuto successo in Italia, La masseria delle allodole, ispirato ai racconti dei suoi familiari sopravvissuti al genocidio. La Arslan fa emergere un altro aspetto della persecuzione degli armeni, non solo le uccisioni di massa, ma anche i rastrellamenti dei Giovani Turchi e le deportazioni in cui le famiglie armene persero tutto.

In occasione dell’anniversario per i 110 anni dal genocidio, la casa editrice Liberilibri ha pubblicato un libro di Vittorio Robiati Bendaud: Non ti scordar di me. Storia e oblio del genocidio armeno. Il titolo prende spunto da un piccolo fiore perenne chiamato nontiscordardime e scelto come emblema del Metz Yeghérn, il genocidio armeno. Robiati Bendaud, studioso dell’ebraismo, fa notare come la Turchia, erede dell’Impero Ottomano, non sia stata sanzionata come accaduto alla Germania dopo il nazismo. Pur essendoci differenze tra Shoah e genocidio armeno è infatti impossibile non cogliere un parallelismo tra i due eventi.

Ripercorrendo la storia armena, Robiati Bendaud arriva ai nostri giorni e alle persecuzioni che gli armeni vivono nei territori dell’Artsakh (o Nagorno-Karabakh). Ancora oggi, spiega l’autore, avvengono fenomeni di negazionismo del Metz Yeghérn, e sostiene che il genocidio armeno è «tuttora in essere». Robiati Bendaud si sofferma su come il genocidio armeno abbia rappresentato per Hitler uno spunto per il piano di sterminio degli ebrei: «l’interrogativo retorico attribuito a Hitler chi si ricorda più del massacro degli armeni?, laddove solitamente si pensa all’oblio come a un formidabile alleato nell’opera genocidaria, evidenziando così la fiducia riposta dal Fürher in un dispositivo mnemonico al contrario per garantirsi l’impunità». In realtà, scrive l’autore, Hitler aveva bene in mente quanto avvenuto nell’Impero Ottomano: «se è stato fatto, può essere compiuto nuovamente. Non solo. Egli ricordava distintamente con quali modalità ciò era stato perpetrato, ossia con la negazione dei fatti nel momento stesso in cui accadevano, con i tipici dispositivi negazionisti di inversione della colpevolezza, laddove il carnefice è giustificato e la vittima è colpevolizzata e demonizzata».

Così, se nella visione giustificazionista dei Giovani Turchi erano gli «armeni a nuocere ai turchi», allo stesso modo «se c’è l’antisemitismo è colpa degli ebrei». Ma i parallelismi, purtroppo, non terminano qui poiché il negazionismo riguarda tanto gli armeni quanto gli ebrei: «Fu il negazionismo, magistralmente perseguito e realizzato, a permettere questa conflagrazione, densissima e contraddittoria, tuttora in essere, tra oblio e ricordo, che ha contribuito a mantenere sotto scacco la memoria condivisa del Metz Yeghérn». Secondo l’autore «la saldatura tra Metz Yeghérn e Shoah, laddove convergono e conflagrano antisemitismo, dhimma, nazionalismi, panislamismo, radicalismo islamico, con un esito genocidario, giungendo sino alla più scottante nostra attualità, costituisce un unicum». Robiati Bendaud conclude sostenendo che «l’antiebraismo sia stato il veicolo e l’archetipo per l’antiarmenismo in Europa». Si tratta di una lettura che trova conferma nel fondamentalismo islamico che mette nel mirino sia gli armeni sia gli ebrei. Come scrive Antonia Arslan nella postfazione: «Noi abbiamo visto, ora per ora, giorno per giorno, la rovina e la resistenza eroica! dell’Artsakh armeno, nel silenzio del mondo, distratto da altro. Noi abbiamo visto i fatti tremendi del 7 ottobre».

Anche per questo oggi è importante perpetrare la memoria del genocidio armeno e, al tempo stesso, rivendicare il corretto uso delle parole quando ci si riferisce alla storia. Non mancano d’altro canto numerose opere che indagano a fondo quanto avvenuto 110 anni fa, dai libri di Marcello Flores agli studi di Aldo Ferrari, fino a Metz Yeghérn. Breve storia del genocidio degli armeni di Claude Mutafian e a Il genocidio armeno. Una storia lunga un secolo di Omar Viganò.

Non c’è però opera più significativa del Viaggio in Armenia di Osip Mandel’tam il cui incipit trasmette la spiritualità di una terra che non meritava di subire ciò che ha vissuto il suo popolo: «Sull’isola io ho vissuto un mese, godendo dell’immobilità dell’acqua lacustre a un’altezza di quattromila piedi e avvezzandomi alla contemplazione di due o tre decine di tombe disseminate alla maniera di aiuole tra le residenze monastiche ringiovanite dai restauri

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RASSEGNA STAMPA. 23, 24 e 25 aprile 2025 – Memoria del Popolo Armeno

Cagliari, a Palazzo Siotto al via Racconti d’Armenia (Mediterranews)

La cerimonia in ricordo del genocidio del popolo armeno (Italpress 23.04.25)

L’iniziativa si svolgerà nella Fondazione Siotto da domani al 26 aprile, nell’ambito della “Giornata della Memoria del Genocidio armeno” (Kalatitanomedia 23.04.25)

Racconti d’Armenia, da giovedì nel Palazzo Siotto di Cagliari tre giornate per riscoprire la cultura di un paese dalle radici millenarie (Sardegnaierigoggidomani 23.04.25)

Paci Dalò e Vanelli in concerto per il popolo armeno e la pace (IlrestodelCarlino 23.04.25)

Paci Dalò e Vanelli per non dimenticare il genocidio armeno (Gagarin 23.04.25)

“Solidarietà con la Repubblica d’Armenia” (Comune Torina 23.04.25)

Memoria viva, Zungri ricorda il genocidio del popolo armeno: la bandiera esposta dal palazzo municipale (Ilvibonese)


ARMENIA, CENTEMERO (LEGA): NON DIMENTICARE GENOCIDIO PER EVITARE TRAGEDIA SI RIPETA (9Colonne 24.04.25)

Il filo di sangue tra Armenia e Siria: nel ricordo del primo genocidio del ‘900 (Spondasud 24.04.25)

Armenia: Sensi (Pd), ‘ogni sforzo per verità negata su genocidio’ (Adnkronos 24.04.25)

Il Genocidio armeno: cause, prove storiche e negazionismo turco (Spondasud 24.04.25)

Centodieci anni fa il genocidio armeno: oggi quella memoria è più viva che mai (IlFattoQuotidiano 24.04.25)

Erevan, celebrato il Giorno della Memoria del Genocidio armeno (Ansa 24.04.25)

Il cinema come memoria storica: raccontare il genocidio armeno sul grande schermo (Torino Cronaca 24.04.25)

Un videoreportage e un libro per ricordare il Genocidio armeno (GliStatiGenerali 24.04.25)

Komitas, la voce silenziosa dell’Armenia sopravvissuta all’orrore ma distrutta dal dolore (Torino Cronaca 24.04.25)

Il “Grande Crimine”: il genocidio degli armeni, 110 anni dopo (Insideover 24.04.25)

Il genocidio armeno nel racconto del prof. Aldo Ferrari (Korazym 24.04.25)

Erevan, celebrato il Giorno della Memoria del Genocidio armeno (IlNordEst 24.04.25)

Genocidio armeno, 24 aprile di 110 anni fa l’inizio dello sterminio di 1,5 milioni di persone, Salvini: “Ferita della storia” (Informazione 24.04.25)

Aurora Mardiganian: la ragazza che raccontò il genocidio armeno al cinema (Spondasud 24.04.25)


La comunità armena celebra la memoria dei Martiri del Genocidio e ricorda Papa Francesco (Buonsera24 25.04.25)A 110 anni dal genocidio armeno: «Purtroppo è un termine che siamo costretti ancora ad usare»

A 110 anni dal genocidio armeno: «Purtroppo è un termine che siamo costretti ancora ad usare» (Padovoggi 25.04.25)

Maino (Lega-LV): “La voce del Veneto all’incontro con Antonia Arslan. La memoria è il fondamento della verità storica”

 

Il genocidio armeno: 110 anni di memoria, negazione, giustizia e indifferenza (Torino Cronaca 24.04.25)

Prima del 24 aprile 1915, nell’ex Impero Ottomano si trovavano 2,925 cittadine e villaggi abitati dai vicini armeni. Dopo il 24 aprile il numero si è ridotto tragicamente sotto l’ombra dell’indifferenza mondiale. A distanza di 110 anni, il genocidio degli armeni è ancora una ferita aperta e un dibattito sugli atti premeditati di un paese che continua a negare i fatti, nonostante le prove e le testimonianze di sopravvissuti che nemmeno l’Intelligenza Artificiale può contraffare.

La cosa più scioccante? Nel 2025, in Italia, l’insegnamento del genocidio armeno nelle scuole non è uniformemente integrato nei programmi scolastici nazionali e al mondo solo Germania, Francia e Stati Uniti hanno iniziato da meno di dieci anni a integrare l’argomento nell’educazione, sia scolastica che universitaria. Ma cos’è stato il genocidio armeno? Perché a 110 anni le diaspore armene mondiali continuano a parlarne? E soprattutto, perché la Turchia continua a negarlo? Partiamo dalla prima domanda.

Foto di Armin T. Wegner

Cos’è stato il Genocidio Armeno?

C’è un punto da chiarire: come lo è stato per l’Olocausto, il genocidio degli armeni non aveva coinvolto solo gli abitanti del paese caucasico ma anche curdi, greci e assiri (che si intenderebbe per siriaci o caldei). Com’è nato? Certamente c’è stata una premeditazione: nell’Impero Ottomano, al tempo della Grande Guerra, erano arrivati al potere i Giovani Turchi guidati da Talaat Pasha, l’ideatore numero uno, seguito dal fratello Enver, co-ideatore della politica di pulizia etnica e da Djemal, che supervisionò le deportazioni nel deserto siriano. Durante il primo anno di guerra, i Giovani Turchi avevano intenzione di espandersi e in alcune occasioni sono andati contro l’esercito inglese e russo, e in entrambi i casi sono stati sconfitti in maniere umilianti e per non perdere la fiducia del popolo, dovevano trovare un capro espiatorio a cui dare tutte le colpe, e gli armeni sono stati il bersaglio perfetto.

Non solo armeni, ma anche cristiani, che, secondo Pasha, non sarebbero mai entrati in armonia con i turchi e con le loro politiche. E da qui, parte il piano sistematico e accuratamente orchestrato: già negli anni precedenti alla guerra, il governo aveva effettuato censimenti dettagliati delle popolazioni armene, identificando villaggi, parrocchie, scuole e centri culturali. Allo scoppio della guerra, i soldati armeni arruolati nell’esercito ottomano furono disarmati, isolati e successivamente impiegati in battaglioni di lavoro forzato, dove furono sistematicamente eliminati, mentre i media come i giornali furono controllati e utilizzati per dipingere gli armeni come una “quinta colonna” al servizio della Russia, per giustificare l’imminente repressione.

E poi arriva il 24 aprile 1915, dove 200 persone tra intellettuali, leader religiosi, scrittori, giornalisti e politici armeni furono arrestati a Costantinopoli e deportati nell’interno dell’Anatolia, dove la maggior parte fu giustiziata. E la situazione, da quel giorno, degenera: sotto l’apparente legalità della Legge sulla Deportazione (Tehcir Kanunu), le popolazioni armene furono obbligate a lasciare le loro case con poco preavviso e dovettero marciare per centinaia di chilometri verso il deserto siriano, in condizioni disumane. Le “marce della morte” furono teatro di violenze, stupri, massacri e fame. Le colonne di deportati erano spesso attaccate da milizie locali, bande criminali o dai gendarmi stessi, incaricati in realtà di sterminarli lungo il percorso.

sopravvissuti alle marce venivano concentrati in veri e propri campi di sterminio improvvisati, soprattutto nell’area di Deir ez-Zor, nel deserto siriano, campo che oggi non esiste più ma che molti visitano in ricordo dei fatti accaduti. In questi luoghi, privati di acqua, cibo e ripari, morirono decine di migliaia di armeni. Molti furono uccisi direttamente, altri lasciati morire di stenti. I beni degli armeni – case, terre, botteghe, chiese – furono confiscati dallo Stato o redistribuiti a cittadini turchi o musulmani, spesso con atti formali di esproprio. I bambini sopravvissuti furono spesso islamizzati a forzaaffidati a famiglie musulmane per cancellare la loro identità.

 

 

E per le donne la sorte è stata niente meno che atroce: durante le deportazioni, migliaia di donne e ragazze venivano rapite lungo le carovane, spesso da miliziani o bande paramilitari che collaboravano con il governo ottomano. Venivano vendute, scambiate come schiave, o “prese” come concubine. Alcune furono cedute come “spose di guerra” a famiglie musulmane per islamizzarle e cancellarne l’identità. I bambini che portavano in grembo venivano spesso uccisi o strappati loro alla nascita. Donne incinte venivano brutalmente uccise, persino squarciate nel ventre, come riportano vari testimoni occidentali. C’erano episodi di mutilazioni genitaliimpiccagioni di donne nude nei mercati dei villaggi, marchiature a fuoco sul corpo. Le più anziane spesso venivano lasciate morire di fame o gettate in burroni, mentre le giovani venivano tenute come oggetti sessuali o schiavizzate.

Il tutto sotto gli occhi di fotografi e giornalisti che, vedendo gli atti di crudeltà subiti, hanno scattato delle foto che ancora oggi vengono ritenute false dal governo turco: donne crocifisse perché cristiane, uomini impiccati o decapitati, bambini con sguardi persi e corpi scheletrici. Foto nascoste per tanto tempo per paura di essere censurati, com’è stato per il fotografo tedesco Armin T. Wegner, autore delle foto principali del genocidio.

Lo sterminio andò avanti fino al 1917 ma non finì come per la Shoah, con l’abbandono dei nazisti dei campi di concentramenti e con le liberazioni da parte degli eserciti alleati, ma finì gradualmente per una serie di fattori storici e geopolitici legati alla caduta dell’Impero Ottomano e al mutare degli equilibri internazionali alla fine della Prima guerra mondiale fino alle fughe dei Pasha in Germania. Tra il 1915 e il 1917, un milione e mezzo di armeni è stato sterminato.

Perché si continua a parlarne a 110 anni di distanza?

Per rispondere a questa domanda è doveroso riportare una frase: chi parla ancora oggi del genocidio degli armeni?”. Prima di rivelare colui che disse questa frase, è doveroso riflettere su questa domanda retorica e darne una risposta. Chi parla ancora oggi degli armeni? Di quello che hanno vissuto, della separazione forzata delle loro famiglie, della cancellazione della loro cultura, della loro stessa identità? Chi ne parla se non coloro che ne hanno scritto libriscattato fotocreato film muti (come ha fatto Aurora Mardiganian, celebre attrice e autrice di “Ravished Armenia” da cui è stato tratto il film) e cantato canzoni? I discendenti di coloro che sono sopravvissuti, coloro che sono scappati per la paura, quelli che si ricordano vagamente di quello che è stato.

Aurora Mardiganian

Ne parlano gli stranieri che si appassionano alla storia di un paese che c’è stato fin dal diluvio universale, il primo paese al mondo ad aver accettato il cristianesimo come religione ufficiale. Un paese che ha contribuito alla scienza e alla cultura e che continua a combattere contro i paesi che la vogliono estinta dalla faccia della terra.

Chi parla ancora oggi del genocidio armeno? I nipoti, i pronipoti e i discendenti che ogni giorno sentono il peso di tramandare con le loro voci le testimonianze dei loro avi, e di coloro che non hanno potuto raccontare la loro storia, sotto l’indifferenza del mondo, che distoglie lo sguardo e fa finta di non sentire.

“Chi parla ancora oggi del genocidio degli armeni?”. Se lo era chiesto Adolf Hitler.

 

 

Perché la Turchia continua a negarlo ancora oggi?

Questa è una di quelle domande a cui solo Dio potrà dare una risposta. Non è facile pensare ad una risposta concreta e che dia un senso alla premeditazione omicida che ancora non ha portato pace al popolo armeno globale. Diaspore da tutto il mondo, con protestepetizioni e lettere ai capi di stato, persino politici sollevano da più di un secolo la questione della negazione da parte della Turchia di riconoscere gli atti del 1915.

Il presidente turco Erdogan, fin dall’inizio del suo mandato, aveva rilasciato delle sconcertanti dichiarazioni sulle richieste da parte anche dell‘UE di riconoscere il genocidio, definendolo una “conseguenza tragica della guerra” e mai un “genocidio”. E pensare che la stessa parola ‘genocidio’ è stata cognata nel 1944 da Raphael Lemkingiurista polacco ebreo per designare lo sterminio degli armeni perpetrato dall’impero ottomano. Due più due fa quattro.

Raphael Lemkin

110 anni dopo. Che cosa si può fare oggi?

Il genocidio degli armeni è stata uno degli stermini di massa più riusciti del XX secolo. Un piano orchestrato alla perfezione che ha dato ai turchi la chance di negare ciò che è stato. Cosa si può fare oggi per non continuare su questa linea? Canali Youtube, libri, film, canzoni, le stesse persone, che siano armene totalmente, o per metà o di discendenza, sono piccole sfumature di un quadro più grande e più doloroso che deve essere conosciuto e affrontato.

È quindi un dovere, sia degli armeni che vivono oggi, che i non di ricordare, di ascoltare, di conoscere, di vedere. Non è una semplice lezione di storia, ma è una graffetta su un capitolo dell’esistenza umana che rimane fisso con la coda dell’occhio.

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“ACCADDE OGGI”. 24 aprile 1915 – Inizia il genocidio armeno: un milione e mezzo di vite spezzate (Binews 24.04.25)

Era il 24 aprile 1915 quando a Costantinopoli – l’attuale Istanbul – il governo dell’Impero Ottomano ordinò l’arresto di oltre 200 intellettuali, scrittori, giornalisti, religiosi e uomini politici armeni. Fu l’inizio di una delle più tragiche e dimenticate stragi del XX secolo: il genocidio armeno.

Quel giorno è considerato l’inizio ufficiale del massacro sistematico del popolo armeno. Nei mesi e negli anni successivi, l’orrore avrebbe assunto proporzioni immani: circa 1,5 milioni di armeni vennero sterminati attraverso deportazioni forzate, marce della morte nel deserto siriano, esecuzioni sommarie, fame e malattie.

Dietro il genocidio c’era la volontà del governo dei Giovani Turchi di “purificare” l’Impero Ottomano da tutte le minoranze non musulmane. Gli armeni, cristiani e storicamente stanziati nelle regioni orientali dell’impero, furono accusati di collusione con il nemico russo nel contesto della Prima Guerra Mondiale.

Il genocidio armeno è stato per decenni negato ufficialmente dalla Turchia, e solo una parte della comunità internazionale lo ha riconosciuto formalmente. Tuttavia, storici, studiosi e numerosi Paesi lo considerano unanimemente come il primo genocidio del Novecento, ispiratore – secondo alcuni – anche delle successive atrocità naziste.

Ogni 24 aprile, la diaspora armena in tutto il mondo si raccoglie per ricordare e chiedere giustizia. A Yerevan, capitale dell’Armenia, migliaia di persone si recano in pellegrinaggio al memoriale del genocidio sul colle Tsitsernakaberd, portando fiori e mantenendo viva la memoria di una tragedia troppo a lungo ignorata.

Ricordare il genocidio armeno non è solo un dovere della storia, ma un impegno per il futuro, affinché l’umanità non ripeta gli stessi orrori.

Zabel Yesayan: la voce che non si è piegata durante il genocidio armeno (Torino Cronaca 24.04.25)

Esisteva una lista di persone, più di 200, che il 24 aprile 1915 avrebbero visto la loro libertà svanire, ma ci sono storie che oggi possono essere ancora raccontate, non solo per sensibilizzare la società mondiale sul genocidio armeno, che oggi, 24 aprile 2025, si commemora. La storia di Zabel Yesayan è un esempio lampante di ciò.

Una breve biografia

Zabel Yesayan, née Hovhannessian è nata il 4 febbraio 1878 a Uskudar (Scutari), in prossimità di Costantinopoli, oggi conosciuta come Istanbul. Nel 1895, all’età di 17 anni, si trasferisce a Parigi per studiare letteratura e filosofia alla Sorbona, un raro caso di accessibilità per una donna all’istruzione universitaria del tempo e alla costruzione di una prolifica carriera da scrittrice e giornalista, ispirata anche al Romanticismo francese. Sempre durante gli studi, conosce e sposa Dikran Yesayan con il quale avrà due figli, Sophie e Hrant. Ritorna poi nell’odierna Turchia nel 1908 per continuare il suo lavoro e aiutare la comunità armena e in particolare le donne.

 

 

Nel 1909 viene inviata a Cilicia dal Patriarcato di Costantinopoli per assistere e aiutare gli sfollati sopravvissuti al massacro di Adana. Racconterà poi la sua testimonianza nel libro “Tra le rovine”, ed è proprio questo che la pone nella lista di quei intellettuali, artisti, scrittori e musicisti che il 24 aprile 1915 verranno assassinati dall’Impero Ottomano per il fatto di essere armeni e cristiani. Ma quel destino non si sarebbe avverato per Zabel: lei, l’unica donna di quella lista, riuscì a fuggire dall’Impero Ottomano e andare prima in Bulgaria, poi in Georgia e infine in Azerbaijan dove inizierà un altro lavoro, quello di attivista, per aiutare coloro che, come lei, sono riusciti a scappare lo sterminio premeditato dei Giovani Turchi.

Raccoglierà intere testimonianze e pubblicherà in seguito una di queste, quella di Sepastatsi Murad (Khrimian), politico e soldato che andrà contro i Turchi con la forza e le armi. Nel 1918 viaggia nel Medio Oriente per aiutare i sopravvissuti a trovare una nuova casa e anni dopo, nel 1934 si trasferisce a Yerevan, la capitale armena, con la famiglia dove insegnerà letteratura francese e armena all’Università Statale e continuerà a scrivere e sarà una sostenitrice del partito comunista sovietico.

Ma nonostante il suo supporto dichiarato sia su carta che a voce, verrà condannata di nazionalismo” durante le Grandi Purghe e verrà arrestata nel 1937. La sua morte è ancora avvolta nel mistero: c’è chi dice che è morta a Yerevan nel ’37 secondo l’Enciclopedia letteraria concisa sovietica che la Grande enciclopedia sovietica (1972), mentre altri ipotizzano che sia morta in esilio in Siberia nel 1943 e ad oggi, quest’ultima ipotesi è la più accettata.

 

 

Un esempio per le donne di oggi

Perché oggi, nella 110° commemorazione del genocidio armeno conoscere storie come quella di Zabel è importante? Perché Zabel Yesayan sfidò tutte le regole del suo tempo: viaggiava da sola, scriveva di politica, denunciava l’oppressione sia etnica che di genere. In un impero che imponeva silenzi, lei sceglieva la parola. In un mondo che voleva la sua sottomissione, lei si affermava con la forza della mente.

Combatté su due fronti: come armena e come donna. In un’epoca dominata da uomini, fu ascoltata e letta; in un’epoca di guerra, offrì rifugio e racconti; in un’epoca di negazioni, portò verità. Ma pagò caro quel coraggio e nonostante questo non smise mai di affermare quella verità che la Turchia ad oggi cerca invano di negare.

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Dall’Armenia al mondo: i volti celebri di una diaspora straordinaria (Torino Cronaca 23.04.25)

Gli armeni, popolo quasi sconosciuto di cui non si conosce molto se non qualche estratto del genocidio che 110 anni fa, ha visto lo sterminio di 1 milione e mezzo di persone da parte dell’Impero Ottomano (che, a differenza degli altri persecutori, i turchi non hanno mai riconosciuto nemmeno per sbaglio le azioni dei loro avi). Eppure di armeni ce ne sono e anche di famosi, alcuni dei quali sono conosciuti e amati globalmente. Rimarreste anche voi a bocca aperta se sapeste che alcuni dei personaggi più conosciuti di Hollywood e non presenta sangue armeno. Tra cui, giusto per citarne qualcuno…

CHER, née Cheryl Sarkisian

Una delle artiste più iconiche al mondo, Cher è cantanteattrice e icona di stile. Nata in California da madre irlandese e padre armeno, vincitrice di un Premio Oscar come miglior attrice per Stregata dalla luna (1987) e ha una carriera lunghissima e multiforme. La sua origine armena è parte orgogliosa della sua identità, anche se raramente al centro della narrazione pubblica.

 

 

ANDY SERKIS

Il celebre interprete di Gollum (Il Signore degli Anelli) e Caesar (Il pianeta delle scimmie), ha rivelato di avere sangue armeno e iraqueno dalla parte paterna, il suo nome infatti è una variazione del cognome armeno ‘Sarkisian’ (e no, non è parente lontano di Cher), mentre la madre è iraquena e inglese. Sebbene nato a Londra, Serkis ha espresso interesse per le sue radici e per le cause legate all’Armenia e all’Iraq, dove ha vissuto per alcuni anni da bambino.

JOE MANGANIELLO

Attore conosciuto per la sua performance in Magic Mike, Joe sapeva già di essere in parte armeno da parte materna ma solamente nel 2023, durante una puntata della serie “Finding Your Roots” ha scoperto che la bisnonna, Terviz “Rose” Darakjian, sopravvissuta al genocidio (dove ha visto il marito e sette degli otto figlio assassinati), è stata messa incinta da un soldato tedesco in un campo di sopravvissuti. La bambina nata dai due sarebbe poi diventata la nonna di Joe. L’attore da quell’episodio ha espresso pubblicamente il suo amore per il paese d’origine della bisnonna visitandola e tatuandosi sul braccio la parola ‘angelo’ in armeno.

COSMO JARVIS, née Harrison Cosmo Krikoryan Jarvis

Attore, musicista e regista anglo-americano, è nato nel 1989 a Ridgewood, New Jersey, da madre armena-americana e padre inglese. Il suo secondo nome, Krikoryan, è un chiaro omaggio alle sue radici armene. L’attore, conosciuto dal pubblico nell’acclamata miniserie “Shogun”, aveva parlato di come l’armeno risuonava tra le mura di casa da ragazzino, anche se non ha mai imparato la lingua. Non essendo un ammiratore del vittimismo della “sindrome del sopravvissuto”, ha sempre trovato la questione della continua negazione del genocidio armeno da parte della Turchia “affascinante“.

 

 

ANGELA SARAFYAN

Nata nella capitale armena Yerevan e cresciuta negli Stati Uniti, è nota per il suo ruolo di Clementine Pennyfeather nella serie Westworld. Il suo volto magnetico, i suoi occhi blu e la sua recitazione intensa le hanno aperto le porte di Hollywood. Ha recitato anche in The Promise (2016), film dedicato al genocidio armeno, onorando la sua famiglia e la storia del suo paese.

CHARLES AZNAVOUR

Considerato uno dei più grandi chansonnier di tutti i tempi, Charles Aznavour è una vera e propria leggenda della musica francese e mondiale. Nato a Parigi nel 1924 da genitori armeni fuggiti dal genocidio, ha sempre portato con sé l’orgoglio delle sue radici, diventando un simbolo della diaspora armena soprattutto in Francia. Autore, cantante, attore e ambasciatore umanitario, Aznavour ha scritto oltre 1.200 canzoni, venduto più di 100 milioni di dischi in 80 paesi e recitato in decine di film.

La sua voce inconfondibile e la capacità di raccontare l’amore, la nostalgia e la solitudine con rara profondità lo hanno reso immortale. Oltre alla musica, ha avuto un ruolo chiave nella promozione della causa armena nel mondo, diventando ambasciatore dell’Armenia in Svizzera e presso l’ONU. Nel 2004 fu nominato “Eroe nazionale dell’Armenia”, massimo riconoscimento del Paese. Aznavour è scomparso nel 2018, ma il suo lascito artistico e umano continua a ispirare intere generazioni.

LA FAMIGLIA KARDASHIAN

Anche se non sono la miglior rappresentazione del popolo armeno, la famiglia Kardashian (e in particolare Kim, Khloé, Kourtney e Rob) rientrano nella comunità armeno-americana. Il padre delle tre sorelle, il famoso Robert Kardashian, anche conosciuto per essere stato l’avvocato di O.J. Simpson, è di origini armene e anche orgoglioso delle sue origini. Nell’aprile 2015, in occasione della 100° commemorazione del genocidio, le sorelle si sono recate per la prima volta in Armenia per visitarla e onorare le vittime. Dopo quella prima visita, le protagonista del noto reality show sono tornate nel corso degli anni per approfondire le loro radici.

SYSTEM OF A DOWN

La famosa band heavy metal premiata ai Grammy non ha mai nascosto l’orgoglio per le loro radici, partendo dal frontman Serj Tankian. Quello che li rende una rappresentazione degna dell’orgoglio armeno è il fatto che tutti i componenti (Tankian, Daron Malakian, Shavo Odadjian e John Dolmayan) sono tutti discendenti di sopravvissuti al genocidio e nel 2015 avevano avviato il “Wake Up the Souls” Tour per onorare la memoria e la storia delle loro famiglie.

Tankian in particolare si è preso l’incarico di condividere più volte la storia del genocidio e non solo nella sua musica metal ma anche nel suo memoir, Down With The System: A Memoir (of Sorts)Il suo attivismo è una delle ragioni per cui la comunità armena mondiale lo vede come uno dei rappresentanti maggiori degli armeni.

 

 

ROSA LINN, ROZA KOSTANDYAN

Una delle voci emergenti più promettenti della scena musicale internazionale e uno dei volti più freschi della nuova generazione armena. Classe 2000, originaria di Vanadzor, ha rappresentato l’Armenia all’Eurovision Song Contest 2022 di Torino con il brano Snap, inizialmente passato quasi inosservato nella competizione, ma divenuto poi un successo globale grazie a TikTok. Il singolo ha scalato le classifiche in tutto il mondo, entrando anche nella Billboard Hot 100 negli Stati Uniti — un risultato storico per un’artista armena.

Con il suo stile pop-folk e una voce intima e malinconica, Rosa Linn ha conquistato milioni di ascoltatori, facendosi portavoce dell’Armenia sulle scene musicali internazionali. Il suo successo segna una nuova era per la musica armena nel mondo.

 

 

E in Italia ci sono armeni famosi?

Ma naturalmente, e alcuni di questi non ci si aspettava nemmeno, come…

PAOLO KESSISOGLU

Metà del duo iconico italiano Luca e Paolo, è uno dei volti più amati della televisione italiana. Di origini armene da parte paterna (il cui cognome originale era Keshishian, poi trasformato in Keşişoğlu per scampare al genocidio) Paolo ha spesso parlato con orgoglio della sua eredità familiare. Nonostante il suo campo principale sia la comicità, ha anche interpretato ruoli drammatici e partecipato a progetti sociali e culturali.

LAURA EFRIKIAN

Nata a Treviso da padre armeno, Laura è stata una delle attrici più popolari del cinema sentimentale italiano, nonché ex moglie di Gianni Morandi. Conosciuta per i suoi ruoli romantici e la presenza in film musicali, ha rappresentato un ponte tra cultura pop e tradizione armena, anche attraverso la sua eleganza e sobrietà. Nel 2021 ha anche pubblicato il libro “Ephrikian. Una famiglia armena” che racconta il passato sofferto della sua famiglia, partendo dalla travagliata storia d’amore dei nonni Akop e Laura.

GIORGIO PETROSYAN

Nato in Armenia e cresciuto in Italia, è considerato uno dei più forti kickboxer al mondo. Conosciuto come “The Doctor”, è diventato una leggenda grazie al suo stile impeccabile, alla tecnica e alla mentalità vincente. Un simbolo della diaspora armena capace di eccellere nello sport globale.

HENRIKH MKHITARYAN

Uno degli sportivi armeni più noti a livello globale. Nato a Yerevan nel 1989, è un calciatore professionista che ha portato con orgoglio il nome dell’Armenia nei campi da gioco più prestigiosi d’Europa. Centrocampista offensivo dal talento raffinato, Mkhitaryan ha militato in alcuni dei club più importanti al mondo: dallo Shakhtar Donetsk al Borussia Dortmund, passando per il Manchester UnitedArsenalRoma e ora Inter, dove è diventato una pedina chiave.

È anche il primo armeno ad aver giocato e segnato in Premier League. Capitano storico della nazionale armena, è considerato un simbolo sportivo nazionale e un ambasciatore non ufficiale dell’Armenia nel mondo. Fuori dal campo, è noto per il suo impegno umanitario e per la promozione della cultura e dei diritti civili nel suo Paese.

 

ANTONIA ARSLAN

Discendente di una famiglia armena fuggita al genocidio, Arslan è autrice del celebre romanzo “La masseria delle allodole”, che racconta proprio quella tragedia storica. Il libro ha avuto un enorme successo anche grazie al film dei fratelli Taviani tratto dal romanzo. È considerata una delle voci più importanti nella divulgazione della storia armena nel nostro Paese. Il suo romanzo, nel 2007 è stato poi adattato nell’omonimo film con Paz Vega e Alessandro Preziosi.

Negli ultimi anni, Arslan si è fatta anche portavoce armena dei recenti conflitti tra l’Armenia e l’Azerbaijan, dando interviste e scrivendo nuove opere su questo argomento, ancora sconosciuto alle menti europee.

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Armenia, migrazione e speranze (Osservatorio Balcani e Caucaso 23.04.25)

Andranik voleva venire in Italia ma poi è finito in Belgio, Mariam invece voleva andare in Francia e dopo varie peregrinazioni ci è riuscita. Due storie di migranti che hanno lasciato anni fa l’Armenia in cerca di migliori condizioni di vita

23/04/2025 –  Armine Avetisyan Yerevan

Il desiderio unisce sempre dolore e attesa. In tutto il mondo, centinaia di famiglie affrontano ogni giorno il destino della separazione, alla ricerca di nuove opportunità in un paese dove i sogni, e soprattutto la libertà, sono più vicini.

La migrazione non solo infrange i confini, ma anche le relazioni umane, le culture e le vite. Ma l’aspetto più cupo è l’incertezza che spinge una persona a lasciare la propria patria, senza la certezza di tornare.

La storia di Andranik: da Gyumri a Bruxelles

Andranik aveva 23 anni quando ha deciso che doveva cambiare completamente vita. Nato a Gyumri, la seconda città più grande dell’Armenia, si è laureato all’Università di Economia e ha ricevuto una buona istruzione. Aveva fatto qualche progresso nel mercato del lavoro armeno, ma un giorno ha deciso di lasciare il paese.

“Avevo amici che vivevano all’estero, spesso ci sentivamo in videochiamata e mi raccontavano dei loro successi, di quanti soldi guadagnavano. Io raccontavo loro della mia vita, che in confronto, mi sembrava noiosa, poco interessante. Ho deciso che avrei dovuto sistemarmi in Italia. In seguito, però, i miei obiettivi e i miei progetti sono cambiati.”

Sono passati dieci anni da quando Andranik ha iniziato a prendere iniziative concrete per partire. Un amico che viveva in Italia gli ha raccontato come fosse arrivato in Europa. Andranik racconta che il viaggio del suo amico gli ricordava un film, pieno di transazioni false e percorsi difficili. “Era spaventoso, ma il desiderio di raggiungere l’obiettivo superava la paura.”

“Ho provato diverse volte a ottenere un visto, ma senza successo. Ho pagato una grossa somma di denaro ad un’azienda, sperando che potessero organizzare il mio trasferimento, ma niente ha funzionato. Ho passato quasi un anno a cercare di raggiungere l’Italia. Alla fine, quando sono rimasto deluso e ho deciso di rimanere qui, un mio amico a Bruxelles mi ha aiutato.”

Invece che in Italia, Andranik si è ritrovato in Belgio, un paese dove non aveva idea delle difficoltà che lo attendevano. Un suo amico che viveva lì gli aveva detto che l’inizio sarebbe stato difficile, ma che le cose sarebbero migliorate in seguito.

Tuttavia, la vita che aveva immaginato non si è materializzata. A Bruxelles, da immigrato che non è riuscito a trovare lavoro per lungo tempo a causa della mancanza di documenti.

“Avevo una laurea magistrale in economia, ma ho imparato a riparare auto. All’inizio non sapevo molto di quel lavoro. Ero pagato pochissimo e lavoravo costantemente con la paura nel cuore, temendo i controlli della polizia. Se mi avessero trovato, mi avrebbero rimandato indietro. E non potevo tornare, perché in quel momento avevo gravi problemi economici.”

Da due anni, Andranik ha tutti i requisiti legali per vivere in Belgio, lavora come camionista e sua moglie lavora come donna delle pulizie per una famiglia locale. Ripensandoci, dice che se fosse stato più saggio dieci anni fa, non sarebbe mai venuto in Europa.

“Ho investito i migliori anni della mia vita e tutte le mie risorse economiche per arrivare in Belgio. Sarebbe stato meglio spendere quei soldi per la mia istruzione, avrei migliorato le mie competenze professionali e avrei trovato un buon lavoro nel mio paese d’origine. Ora posso essere felice di essere in regola coi documenti, ed essere un residente regolare in Belgio.”

Per raggiungere il Belgio ha speso circa cinquemila euro, la maggior parte dei quali presi in prestito da amici e parenti.

La storia di Mariam: da Yerevan a Parigi

Mariam (nome di fantasia) aveva 29 anni quando ha deciso di cambiare vita. Nata a Yerevan, si era laureata in inglese alla facoltà di lingue. Tuttavia, aveva sempre sognato di ricominciare la sua vita a Parigi. In Armenia era una promettente interprete, ma sentiva una mancanza di stabilità e di progresso.

“Ho sempre guardato i miei amici che vivevano in Francia con invidia e ammirazione. Conducevano una vita completamente diversa: cultura, indipendenza e successo. Avevamo la stessa istruzione, ma non riuscivo a raggiungere il loro livello di agiatezza. Ecco perché un giorno ho deciso che dovevo trasferirmi anch’io a Parigi, dove tutto sembrava perfetto.”

Mariam ha iniziato a cercare programmi culturali e formativi che le permettessero di raggiungere legalmente la Francia. Tuttavia, tutte le sue domande sono state respinte. Un’amica che viveva all’estero le ha suggerito un modo per raggiungere l’Europa: ottenere un visto turistico.

“La mia amica era andata in Europa illegalmente, aveva vissuto nella paura durante la fase iniziale e mi aveva sconsigliato l’immigrazione irrregolare. Seguendo il suo consiglio, ho fatto domanda per un visto turistico di breve durata. L’ho ottenuto molto rapidamente perché i miei documenti erano in regola. Sono andata a Parigi come turista e, al ritorno, ho fatto domanda per un altro visto turistico.”

Mariam si è recata a Parigi diverse volte come turista e ha studiato il mercato del lavoro. Alla fine, ha trovato un lavoro lì e ha richiesto la residenza in Francia.

“Vivo da 7 anni a Parigi, la città dei miei sogni. Non mi lamento, ma è un dato di fatto che se fossi rimasta in patria avrei ottenuto maggiore successo. Ora lavoro in una libreria e vivo modestamente con i soldi che guadagno, mentre in Armenia guadagnavo di più e potevo permettermi una vita molto più agiata. Molti mi chiedono perché non torno, ma sono passati anni. Non posso sprecare altri anni per raggiungere una situazione decente lì. È meglio trascorrere quegli anni qui per raggiungere una vita stabile. La migrazione è come una palude: una volta entrati, è molto difficile uscirne”, dice Mariam, aggiungendo di essere soddisfatta del fatto che, a differenza di altri, non vive nella paura.

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L’intervento della presidente del Consiglio comunale Damiano alla cerimonia cittadina in ricordo del genocidio del Popolo Armenoc (Comune Venezia 23.04.25)

La presidente del Consiglio comunale Ermelinda Damiano è intervenuta questa mattina alla cerimonia cittadina in ricordo del genocidio del Popolo Armeno che si è tenuta all’Auditorium Santa Margherita, a Venezia.
Tra i relatori presenti il prorettore alla Comunicazione e alla Valorizzazione delle conoscenze dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, Alessio Cotugno, il console onorario della Repubblica d’Armenia a Venezia, Gagik Sarucanian, oltre ai rappresentanti della Consulta provinciale degli studenti.

“Per il quarto anno consecutivo, la nostra città si fa portavoce della memoria di una tragedia che non possiamo e non dobbiamo dimenticare – ha detto la presidente del Consiglio comunale – In qualità di presidente del Consiglio comunale, ho ritenuto fondamentale intraprendere un significativo Percorso della Memoria, volto a conoscere e approfondire le persecuzioni e i crimini che hanno segnato la nostra storia recente. Grazie alla sinergia tra enti, istituzioni e associazioni locali, Venezia si è affermata come ‘Città della memoria’ per eccellenza”.

Nel suo intervento, Damiano ha ringraziato gli studenti presenti, numerose le scuole che hanno partecipato all’evento, tra queste gli Istituti Gritti, Parini, e Marinelli Fonte. “Il coinvolgimento dei giovani in questo percorso è cruciale – ha sottolineato la presidente del Consiglio comunale – Sono chiamati a raccogliere un testimone che appartiene a tutti noi, trasmettendo la memoria alle future generazioni. Si tratta di una memoria viva, che trascende la retorica per diventare strumento di riflessione e consapevolezza. Oggi, in un contesto di oltre 56 conflitti armati nel mondo, l’importanza della pace e del dialogo è più attuale che mai. Venezia, da sempre crocevia di popoli e culture, deve continuare a valorizzare la libertà e l’integrazione. Ricordare il genocidio armeno – ha evidenziato Damiano – è un doveroso atto di verità storica e giustizia, ma anche l’opportunità di oltre valorizzare la cultura e la resilienza di un popolo indissolubilmente legato alla nostra città”. Infine il ricordo di Papa Francesco “che ha incessantemente fatto appello al valore della pace e della solidarietà tra i popoli, un forte richiamo che rimarrà un faro per tutti noi”.

Dopo i saluti istituzionali la cerimonia è proseguita con un dialogo di approfondimento sul popolo armeno tra Baykar Sivazliyan, presidente Unione Armeni d’Italia e Aldo Ferrari, professore di Lingua e Letteratura armena dell’Università Ca’ Foscari, moderato da Germana Daneluzzi, presidente dell’Associazione Civica Lido Pellestrina. E’ seguito un breve intervento musicale di duduk, antico strumento tradizionale, eseguito da Narek Frangulyan.

In occasione della Giornata dedicata al ricordo del genocidio armeno, che ricorre il 24 aprile, il Comune di Venezia su iniziativa della Presidenza del Consiglio comunale ha predisposto un variegato programma di conferenze, presentazioni di libri, proiezioni cinematografiche e visite guidate agli storici siti armeni della città, in collaborazione con l’ Unione Armeni in Italia, l’Università Ca’ Foscari Venezia, Europe Direct e le associazioni culturali e civiche del territorio.

Nel corso dell’incontro è stato ricordato il calendario di iniziative che si chiuderà il prossimo 13 maggio con l’evento Padiglioni in Dialogo, ospitato nel Padiglione Venezia, ai Giardini della Biennale, nell’ambito della 19. Mostra Internazionale di Architettura.

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Approvato dalla Giunta il progetto di restauro delle Fondamenta del Soccorso e Riva degli Armeni (Comune Venezia 23.04.24)

La Giunta comunale, nella sua ultima seduta, ha approvato un intervento di recupero e valorizzazione del patrimonio cittadino. Su proposta dell’assessore ai Lavori pubblici, Francesca Zaccariotto, è stata infatti varata la delibera relativa al progetto di restauro e consolidamento delle Fondamenta del Soccorso e della Riva degli Armeni, due luoghi simbolici della città, che necessitano di lavori urgenti.

“L’intervento prevede  la messa in sicurezza, il consolidamento e il restauro del paramento spondale, della riva monumentale e della pavimentazione della fondamenta – spiega l’assessore Zaccariotto – Si tratta di un’opera fondamentale per garantire la viabilità pedonale e acquea, ma anche per tutelare la memoria storica e la bellezza di questi luoghi”.

L’investimento complessivo previsto è di 600 mila euro, destinato a restituire decoro, sicurezza e piena funzionalità a un’area di grande pregio urbano e paesaggistico. L’intervento segue quello già realizzato nel 2023 in Riva Contarini, dove l’Amministrazione era intervenuta con urgenza a seguito di un grave cedimento strutturale. Una situazione che ha riportato all’attenzione pubblica la fragilità delle rive cittadine e la necessità di una manutenzione costante.

“E’ sempre più urgente – sottolinea Zaccariotto – che venga rifinanziata la Legge Speciale, strumento fondamentale per consentire ai Comuni, soprattutto quelli con un patrimonio idraulico e storico delicato come il nostro, di intervenire con tempestività e continuità. Senza risorse adeguate, la salvaguardia di questi luoghi rischia di diventare sempre più difficile. Con questa nuova operazione, l’Amministrazione comunale riafferma il proprio impegno concreto nella tutela del territorio, nella valorizzazione del patrimonio urbano e nella cura della memoria storica della città”.

L’Armenia è in trappola? (Iari 21.04.25

L’Armenia si trova in una posizione geopolitica critica, stretta tra le pressioni crescenti di Azerbaijan e Turchia e un progressivo disallineamento con il suo storico alleato russo.

L’analisi esamina le dinamiche regionali che minacciano la stabilità del Caucaso meridionale, dove interessi strategici legati al controllo delle rotte energetiche e alla posizione geoeconomica dell’area alimentano la competizione tra gli attori coinvolti.

Introduzione

Tra il IV ed il XIX secolo l’Armenia venne conquistata e governata da molti popoli, in ultimo gli Ottomani che rimasero padroni della regione per centinaia di anni, fino all’ottenimento dell’indipendenza del 1918. All’indomani della guerra russo-persiana del 1826-1828, le parti della Armenia storica (nota anche come Armenia orientale) sotto il controllo persiano, incentrato a Yerevan, furono incorporate alla Russia imperiale.

Nel periodo antecedente alla Prima guerra mondiale, nell’impero ottomano si era affermato il governo dei «Giovani Turchi». Essi temevano che gli armeni potessero allearsi con i russi, di cui erano nemici, così a partire dal 1915, in seguito alla “legge Tehcir”, venne autorizzata la deportazione della popolazione armena dell’impero Ottomano. Arresti e deportazioni furono compiuti in massima parte dai «Giovani Turchi». Nelle marce della morte, che coinvolsero 1 200 000 persone, centinaia di migliaia morirono per fame, malattia o sfinimento; questo evento verrà poi riconosciuto da molti paesi come genocidio. Questo evento ha contribuito molto alla memoria storica e quindi all’unità nazionale dell’armenia.

L’Armenia fu incorporata nell’unione Sovietica il 4 marzo 1922 e dagli inizi degli anni 80’ con il progressivo indebolimento del sistema politico sovietico, si manifestarono tensioni sia all’interno della repubblica che con la vicina repubblica Socialista Sovietica Azera con la quale era da decenni aperto il contenzioso sulla regione del Nagorno Karabakh, un ex-clave armena assegnata dall’urss all’azerbaijan nel 1923. Con la dissoluzione dell’unione Sovietica la questione del Nagorno Karabakh riemerse. Lamentando l’azerificazione forzata della regione operata da Baku, la locale popolazione armena, con il supporto ideologico e materiale dell’armenia stessa, cominciò a mobilitarsi per riunire la regione alla madrepatria.

Conflitto nel Nagorno-Karabakh e ruolo delle alleanze regionali

Nel Settembre 2020 l’Azerbaijan ha sferrato un attacco al Nagorno-Karabakh annettendone tutta la parte meridionale. Dopo vari appelli dell’onu e con la mediazione della Russia, nel novembre 2020 è stata proclamata una tregua tra i due Stati, con la creazione di una zona di pace al confine, presieduta dalla Russia come garante. Tuttavia, il 19 Settembre 2023 l’Azerbaigian ha nuovamente attaccato militarmente la regione a maggioranza armena e, dopo la vittoria, ha ottenuto la resa della Repubblica di Artsakh (Nagorno-Karabakh), provocando l’esodo di migliaia di armeni (più di 100.000 persone). Il risultato dell’offensiva da parte dell’azerbaigian, comunque, è stata la dissoluzione della Regione dal 1° gennaio 2024.

In questo scenario sono protagonisti due imperi ostili l’un altro: la Turchia e la Russia

Il legame politico, sociale, economico e militare tra Turchia e Azerbaigian ha visto una crescita costante a partire dal riconoscimento ufficiale della repubblica caucasica nel 1992 da parte di Ankara, e i due Paesi hanno investito considerevolmente a livello sia diplomatico sia strategico, nella partnership nell’ultimo decennio. Non a caso, la Turchia e l’Azerbaigian, infatti, hanno un’identità simile, ovvero quella di essere Paesi con una concezione laica ma a maggioranza musulmana, di etnia turca e sul substrato culturale condiviso hanno costruito la reciproca vicinanza.

Nel contempo, l’Armenia poteva contare su un unico storico alleato, la Russia, facendo parte dell’organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettivo, un’alleanza militare guidata da Mosca. Quest’ultima aveva centinaia di soldati stanziati in Nagorno Karabakh, con una missione ufficialmente di peacekeeping (per sostenere le autorità locali nel “mantenimento della pace”).  È inoltre la potenza economica e militare principale della regione, e ha rapporti molto stretti sia con l’Armenia sia con l’Azerbaijan: per decenni il suo potere militare e la sua influenza hanno contribuito a mantenere la pace nell’area.

Tuttavia, quando l’Azerbaijan ha attaccato i territori armeni del Nagorno Karabakh, la Russia non ha mosso un dito,fino al completo disimpegno militare del 5 ottobre 2023. Il presidente Vladimir Putin non ha fatto nessuna dichiarazione a sostegno dell’armenia, non ha convocato a Mosca i capi di stato dei paesi coinvolti, ma successivamente ha addirittura dichiarato:” Per 15 anni abbiamo proposto all’armenia di scendere a compromessi e di restituire all’azerbaigian 5 distretti del Nagorno-Karabakh e di tenerne due, ma Yerevan ha sempre rifiutato”, evidenziando un’evidente rottura dello storico legame con il partner armeno.

È importante sottolineare come uno degli elementi chiave della crescente vulnerabilità armena risiede nella sua limitata autonomia economica. Dal collasso dell’unione Sovietica l’Armenia dipende in modo strutturale dalla Russia per energia, rimesse dei lavoratori migranti, scambi commerciali e supporto infrastrutturale. Secondo i dati del FMI, oltre il 30% del PIL armeno nel 2022 era influenzato da rimesse, in larga parte provenienti dalla diaspora in Russia. Tale dipendenza vincola la libertà d’azione dell’armenia, rendendo difficile una strategia estera autonoma.

Dietro le mosse: strategie e obbiettivi nel Caucaso

Alla luce di questo nuovo scenario di debolezza, Yerevan si vede costretta a scendere a patti con il vicino azero. Nella giornata del 13 Marzo 2025, I ministri degli Esteri di Yerevan e Baku hanno dichiarato di aver raggiunto un accordo di principio sui termini sostanziali di un trattato di pace, col quale i due Paesi caucasici potrebbero voltare pagina su un aspro conflitto che va avanti da 37 anni.

Ad ogni modo, una pacificazione duratura fra i due vicini rimane lontana, il Presidente azero Aliyev, da quando è salito in carica nel 2003, ha imposto un’identità nazionale azera basata sull’immagine negativa dell’altro: il nemico armeno. Neanche dopo i conflitti recenti e la vittoria militare dell’azerbaigian, Aliyev è disposto a smorzare la retorica antagonista e dedicarsi alla costruzione di un rapporto basato sulla fiducia e alla cooperazione regionale nel Caucaso meridionale. L’Azerbaigian sostiene che l’intera Repubblica di Armenia costituisce l’”Azerbaigian occidentale” e Aliyev ha dichiarato ufficialmente che Yerevan è “storicamente” terra azera, preparando così il terreno per un futuro antagonismo.

In questo senso, Baku può fortemente affidarsi alla Turchia, l’allineamento tra i due Paesi non è da leggere solo nei termini delle politiche del “pan-turchismo”, la dipendenza della Turchia da fonti di energia esterne contribuisce non solo al deficit di bilancio di Ankara, ma ha portato alla necessità di sviluppare una politica di diversificazione energetica; perciò, ha consolidato i rapporti con Baku, grande esportatore di gas e petrolio a livello mondiale. Da questa alleanza, l’Armenia ne risulta danneggiata non solo territorialmente, ma teme anche il potenziamento dei corridoi di trasporto commerciale ed energetico tra Azerbaigian e Turchia: il progetto del corridoio Zangezur, che passa da un tratto di territorio armeno, infatti, faciliterebbe il commercio tra i due partner economici e difensivi tramite un’exclave azera situata a sud-ovest dell’armenia. La realizzazione del progetto consentirebbe di stabilire legami commerciali ed energetici diretti attraverso il Nakhchivan, exclave dell’azerbaijan avverando la visione del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di unire il mondo turco.

Fonte Immagine: https://scenarieconomici.it/corridoio-di-zangezur-la-pace-fra-armenia-e-azerbaigian-si-allontana/

Parallelamente all’allontanamento della Russia all’armenia, Mosca si è di fatto avvicinata al paese azero. Il motivo principale risiede nel nuovo assetto geoeconomico che la Russia ha dovuto cercare dopo le sanzioni occidentali per la guerra in Ucraina. Il positivo sviluppo dei rapporti tra Russia e Azerbaigian si può dunque spiegare principalmente con ragioni economiche e geopolitiche. Il paese caucasico è strategicamente importante per Mosca per almeno tre questioni. Innanzitutto, rappresenta per la Russia la possibilità di rilocalizzare le proprie imprese e attività finite nel mirino delle restrizioni occidentali. In secondo luogo, l’esportazione di petrolio russo in Azerbaigian, che utilizza per i propri consumi interni oltre che rivenderlo sui mercati UE, permette a Mosca di mitigare gli effetti delle sanzioni e talvolta di raggirarle. Infine, Baku è un partner strategico per il trasporto di beni da e verso l’Iran e il Golfo Persico.

Sulla base di questo nuovo paradigma geopolitico, Yerevan ha cominciato a guardare ad Occidente, trovando una sponda nell’unione Europea. Quest’ultima ha deciso di staccare un assegno da 10 milioni di euro a sostegno delle forze armate armene attraverso lo “strumento per la pace”, nell’intento di attrarre verso di sé un Paese all’interno di un’area di interesse economico e strategico per la Russia, e che porterebbe l’Europa in Asia occidentale, nel Caucaso. Non a caso, il Governo armeno ha recentemente presentato un disegno di legge sull’adesione all’ue al Parlamento nazionale, nonostante le questioni geopolitiche e di sicurezza da affrontare affinché ciò accada.

Nonostante questo avvicinamento, è cruciale sottolineare che l’Europa importa molto del gas e petrolio azero, nel 2023 le esportazioni di gas dell’azerbaigian verso l’Europa attraverso i tre gasdotti che compongono il Corridoio Meridionale del gas hanno totalizzato 11,8 miliardi di metri cubi. In particolare, l’Azerbaijan esporta circa il 57% del suo petrolio e il 20% del gas all’italia, mettendo il paese e l’Europa in una posizione scomoda per posizionarsi troppo a favore di Yerevan, dopo lo stop all’approvvigionamento di gas e petrolio russo.

Nello scacchiere regionale, vi è un’altra potenza capace di influenzare il corso degli eventi: l’Iran. La Repubblica Islamica, è storicamente interessata a preservare il confine con l’Armenia ed è uno strenuo difensore dell’integrità territoriale armena, il paese, sin dal conflitto del 2020, ha chiarito all’azerbaijan che non avrebbe tollerato alcuno spostamento di confine. Alla base di queste posizioni vi è il fatto che l’Iran e l’Azerbaigian sono due Paesi storicamente in conflitto tra di loro, per reciproche pretese di supremazia territoriale ed etnica, dato che la maggior parte degli azeri sono di religione musulmano-sciita, proprio come l’Iran, nonostante ciò sia da considerarsi come un Paese amico di Israele, nemico acerrimo della Repubblica Islamica.

Ciò nonostante, i cambiamenti geopolitici in corso stanno riavvicinando l’Iran con il vicino azero per il legame sempre più stretto di Teheran con Mosca, che passa inevitabilmente da Baku. Le sanzioni internazionali, di cui Russia e Iran sono primatisti a livello mondiale, provoca una dipendenza delle loro economie dalle rotte di esportazione dei materiali energetici, dovendo sostenersi nella contrapposizione all’occidente e l’Azerbaigian cerca di sfruttare la sua posizione mediana non solo a livello geografico, ma anche nelle relazioni politiche con i due vicini e i tanti partner occidentali, un esempio è l’accordo firmato tra Mosca e Teheran nel 2023 per la costruzione comune della tratta ferroviaria di 162 chilometri Rešt-Astara, tra i confini azero-iraniani, che si collega alla città russa di Derbent sul confine settentrionale dell’azerbaigian.

Fonte Immagine: https://pagineesteri.it/2023/05/18/asia/corridoio-ferroviario-russia-iran/

Alla luce del progressivo allontanamento della Russia e della crescente pressione turco-azera, l’Armenia riuscirà a sopravvivere come attore sovrano nel Caucaso meridionale o sarà assorbita nello spazio d’influenza dei suoi vicini?

Scenari futuri

Nel migliore degli scenari, l’Armenia riesce a uscire dalla sua attuale vulnerabilità grazie a un maggiore impegno dell’unione Europea, che intensifica il sostegno politico, infrastrutturale e militare. L’Azerbaijan, spinto da pressioni internazionali e da un nuovo equilibrio regionale, accetta un trattato di pace vincolante, riconoscendo i confini armeni. Anche l’Iran adotta un atteggiamento più favorevole, sostenendo l’integrità territoriale armena per bilanciare l’asse turco-azero. Ne consegue un rafforzamento dello Stato armeno, con attrazione di investimenti esteri e un ruolo più stabile nel Caucaso. L’Armenia accelera il percorso verso l’ue e rafforza meccanismi difensivi con partner selezionati, come la Francia paese finora più incline a garantire la sicurezza armena, garantendo la propria sopravvivenza strategica.

In uno scenario intermedio, l’Azerbaijan evita nuove aggressioni ma mantiene alta la pressione sull’armenia. L’Unione Europea offre assistenza economica ma senza impegno militare, mentre Russia e Iran restano ambigue. L’Armenia, isolata, adotta una posizione di neutralità forzata, senza garanzie di sicurezza reali. La crescita resta debole e il peso internazionale minimo. Per reagire, cerca nuovi partner, come gli Stati Uniti, i quali potrebbero impegnarsi a frenare l’influenza della Turchia nella regione, oltre a diversificare i propri partner commerciali in favore di India e Iran, ma senza superare lo stallo.

Nel peggior scenario possibile, l’Azerbaijan lancia un’invasione di porzioni del territorio armeno, approfittando del disimpegno russo e dell’inerzia diplomatica occidentale. L’Iran, in difficoltà e legato a Baku, resta neutrale. L’Unione Europea, legata agli interessi energetici con l’Azerbaijan, evita di intervenire. Di fronte all’aggressione, l’Armenia subisce gravi perdite territoriali e un esodo di civili, mentre l’adesione all’ue diventa irrealistica. Lo Stato armeno si ritrova isolato e geopoliticamente irrilevante. Le strategie difensive adottate, tra cui la richiesta di supporto ONU e l’appello alla Corte Internazionale, si rivelano insufficienti a fermare la disintegrazione.

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L’Armenia gioca contro il tempo