Aldo Ferrari: «A 110 anni di distanza, il silenzio turco sul genocidio armeno brucia ancora» (Krisis 21.04.24)

Dalla discriminazione nell’Impero ottomano al nazionalismo dei Giovani turchi, passando per la diaspora. Nell’anniversario del genocidio armeno, il professor Aldo Ferrari ripercorre cause e conseguenze del primo sterminio di massa del Novecento. Un’analisi che mette in luce come memoria e identità condizionino ancor oggi i rapporti tra armeni e turchi.

«Sotto l’Impero ottomano gli armeni riuscivano a vivere, nonostante le discriminazioni. Con l’avvento dei Giovani Turchi e del loro nazionalismo, la distruzione del popolo armeno divenne non solo possibile, ma deliberata». In occasione dell’anniversario del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano durante la Prima guerra mondiale, Krisis ha intervistato Aldo Ferrari. Ordinario all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna Storia dell’Eurasia, Storia del Caucaso e dell’Asia Centrale e Letteratura Armena, Ferrari è considerato il massimo esperto di Caucaso in Italia.

Professor Ferrari, il 24 aprile si celebra il 110° anniversario del genocidio armeno. Che cosa rappresenta questa data per l’Armenia?

«L’anniversario non si celebra solo in Armenia. La maggior parte della popolazione armena vive oggi in diaspora, eppure ricorda questa data che rappresenta una pagina tragica della storia. Il popolo armeno ha rischiato veramente di essere cancellato dalla storia con l’aggravante, che a differenza del genocidio degli ebrei, lo Stato erede dell’Impero ottomano, la Turchia, continua a negarlo. Quindi non si tratta soltanto di un atto di verità storica ma anche di giustizia negata a un’intera popolazione».

Memoriale del genocidio armeno a Erevan. I lavori furono avviati nel 1965 dal governo sovietico. Foto Public Domain.
Memoriale del genocidio armeno a Erevan. I lavori furono avviati nel 1965 dal governo sovietico. Foto Public Domain.

Da chi fu perpetrato il genocidio e per quali ragioni?

«Il genocidio iniziò ufficialmente il 24 aprile, quando a Costantinopoli, capitale dell’Impero ottomano, vennero arrestati e poi uccisi alcune centinaia di intellettuali, l’élite del popolo armeno. Dopodiché nel 1915, attraverso una politica di deportazione, venne quasi completamente annientato l’intero popolo armeno. Ci furono altri episodi negli anni successivi, fino al 1923, ma l’apice del massacro si raggiunse nella primavera-estate del 1915, a opera del governo dei Giovani turchi. Il movimento aveva preso il potere con la rivoluzione del 1908, esautorando di fatto il sultano e proponendo al paese una modernizzazione su base nazionalista. All’interno del multietnico impero, c’erano minoranze nazionali non compatibili con questo disegno: gli armeni, naturalmente, ma anche i greci e i siro-cristiani furono colpiti da violente repressioni».

Eppure, gli armeni erano considerati la comunità più leale dell’Impero ottomano. Come si spiega questo cambio di politica?

«Non fu un cambiamento politico così improvviso come si potrebbe sembrare. La fedeltà degli armeni era basata sulla loro completa accettazione dello statuto di discriminazione all’interno dell’Impero ottomano. Quando, nella seconda metà dell’Ottocento, l’impero attraversò il punto più critico della sua inarrestabile decadenza, gli armeni si distinsero in diversi campi: istruzione, cultura e miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Cominciarono a mostrare la volontà di non voler essere più i soggetti passivi delle incursioni dei curdi e dalle discriminazioni ottomane. L’Impero ottomano, poi, iniziò a sospettare della lealtà stessa degli armeni. In quel periodo, la Sublime porta era impegnata militarmente contro l’Impero russo su diversi fronti, ma che non erano certo vittoriosi per gli ottomani, a causa della dilagante crisi. Gli armeni dell’Impero russo che combattevano contro gli ottomani erano numerosi e spesso avevano ruoli di rilievo. Per gli ottomani, questa scelta creava il sospetto che anche gli armeni stessero dalla parte dei russi. Cominciarono quindi a considerarli una sorta di quinta colonna pericolosissima per la sopravvivenza stessa dell’Impero.

In che senso?

«Gli armeni, che erano insediati dal Caucaso fino alla Cilicia, non costituivano la maggioranza della popolazione, ma erano comunque una componente importante e influente. Una loro eventuale indipendenza avrebbe probabilmente posto fine all’esistenza dell’Impero ottomano. Già nel 1894-96 ebbero luogo diversi massacri denominati hamidiani dal nome del sultano Abdul Hamid II, che causarono tra le 100 e le 200 mila vittime. Un numero altissimo, quindi, corrispondente a quasi un decimo della popolazione armena totale. Nel 1915 dunque non nacque al nulla un genocidio: la situazione dei decenni precedenti in qualche maniera l’aveva preparato».

Mappa che mostra i principali centri del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915, in particolare i sei vilayet dell’Anatolia orientale. Foto Public Domain
Mappa che mostra i principali centri del genocidio armeno, perpetrato dall’Impero ottomano a partire dal 1915, in particolare i sei vilayet dell’Anatolia orientale. Foto Public Domain

Lo storico armeno Vakahn Dadrian individua un fil rouge tra i massacri hamidiani e la politica dei Giovani turchi. È corretta questa interpretazione?

«Solo in parte. I massacri hamidiani furono violentissimi. È però molto importante, per la comprensione delle tragedie storiche, distinguere tra massacro e genocidio. I massacri possono essere spaventosi, ma non puntano all’annientamento totale di una popolazione, a differenza dei genocidi. Il termine genocidio andrebbe usato poco, soltanto nei casi in cui sia evidente il progetto di sterminio e sia evidente che questo progetto è giunto a compimento. Per fortuna né quello ai danni degli armeni, né quello ai danni degli ebrei riuscirono ad annientare totalmente la popolazione. Nel caso degli armeni, però, il genocidio riuscì a scacciarli completamente attraverso deportazioni e massacri dai loro territori ancestrali. C’è certamente una continuità tra i massacri hamidiani e il genocidio del 1915, ma a mio giudizio è importante comprendere anche la differenza ideologica. Nel contesto musulmano tradizionale dell’Impero ottomano agli armeni era consentito vivere, sia pur in una situazione di discriminazione. Nel momento in cui si ribellavano a questa discriminazione, potevano essere puniti anche con massacri spaventosi, ma non c’era un progetto storico, giuridico o culturale di annientamento totale. Questo invece avvenne, quando con i Giovani turchi e con il loro nazionalismo etnico, si trovò la base politica e culturale per compiere una completa distruzione di questo popolo».

Si possono individuare dei collegamenti tra il genocidio armeno e la Shoah?

«Sicuramente sì. Bisogna, però, anche stare attenti a vederne le differenze. In entrambi i casi si trattò della volontà di annientare un intero popolo e questa volontà fu largamente realizzata. C’è però una differenza sostanziale: il genocidio degli ebrei, oltre al suo dato criminale, aveva una illogicità di fondo. Gli ebrei non costituivano una minaccia concreta e verificabile per la Germania. Gli armeni, al contrario, erano una popolazione in reale competizione con i turchi per il controllo di un vasto territorio: tutta l’attuale Turchia orientale era storicamente Armenia. Esisteva davvero un conflitto, che si sarebbe potuto risolvere diversamente. Eppure nel genocidio degli armeni non era presente quel fortissimo elemento di criminale irrazionalità che c’era invece in quello ebraico. Il genocidio armeno fu orribile, criminale, ma razionale. Quando gli armeni furono sterminati, finì la competizione territoriale tra loro e i turchi per gli spazi dell’Armenia storica. Gli armeni, poi, erano benestanti e furono dunque incamerati i loro beni con un evidente vantaggio economico, almeno momentaneo a molti turchi. Nel caso degli ebrei il movente economico c’era, almeno in parte, ma quello territoriale sicuramente mancava. Il genocidio degli armeni è stato un gigantesco atto di pulizia etnica e di impossessamento dei beni di una minoranza all’interno di uno stato multietnico, peraltro dal punto di vista ideologico. L’idea che sia possibile e necessario nell’interesse statale annientare un’intera popolazione unisce evidentemente i due genocidi».

Fotografia scattata a Urfa il 5 gennaio 1915 dal prete cattolico Padre Rafael che ritrae i sopravvissuti al genocidio che seppelliscono i propri morti. Foto Public Domain.
Fotografia scattata a Urfa il 5 gennaio 1915 dal prete cattolico Padre Rafael che ritrae i sopravvissuti al genocidio che seppelliscono i propri morti. Foto Public Domain.

Per quale ragione un leader progressista come Mustafa Kemal negò il genocidio armeno?

«Io non sono così d’accordo che la parola progressista sia positiva. Erano progressisti anche i bolscevichi che massacrarono più persone sia dei turchi sia dei nazisti. Non necessariamente essere progressisti determina comportamenti morali e positivi. Kemal Atatürk aveva lo stesso retroterra culturale e intellettuale dei Giovani turchi, ma riuscì a realizzare il suo programma con maggiore coerenza, maggiore linearità. Poiché gli armeni si erano ormai ridotti a una sparuta minoranza, il primo presidente turco si concentrò sulla repressione dei curdi. Atatürk non riuscì ad annientarli perché erano troppo numerosi, ma furono duramente repressi. La figura di Kemal Atatürk è quella di un grande politico, cha deve essere giudicato per i successi che ha ottenuto e ne ha ottenuti di importanti. Questo però non vuol dire che sia necessario leggerlo in un’ottica unicamente positiva. Bisogna valutare tutte le azioni che ha compiuto e tra queste molte sono difficilmente accettabili, a prescindere dal definirlo o meno un progressista».

Oggi la Turchia non riconosce il genocidio armeno. Si puà dire che la storiografia turca sta attuando un revisionismo storiografico?

«Più che revisionismo, io definirei la posizione della maggior parte degli storici turchi come riduzionista. Essi non negano che il numero di vittime armene sia elevato, ma si rifiutano di inserirlo nel quadro ideologico di un genocidio. Si cerca disperatamente di inserire queste morti all’interno della Grande guerra, nel corso della quale anche i turchi hanno sofferto. Si tratta soprattutto di evitare l’accusa di genocidio che è gravissima dal punto di vista morale, ma anche da quello giuridico, perché accettare di aver compiuto un genocidio avrebbe per la Turchia conseguenze politiche, economiche, morali devastanti. Accettare che 110 anni fa i padri della patria – perché tali sono i Giovani turchi – in realtà abbiano sterminato un intero popolo, significa accettare che i propri eroi nazionali siano stati ladri e assassini. Vuole dire inoltre riconoscere che per più di un secolo lo Stato intero ha mentito, a partire dai libri di testo adottati nelle scuole».

Ritrovamento delle ossa delle vittime del genocidio nel 1938. Autore sconosciuto. Foto Public Domain.
Ritrovamento delle ossa delle vittime del genocidio nel 1938. Autore sconosciuto. Foto Public Domain.

In Turchia è illegale parlare del genocidio armeno in pubblico?

«La Turchia è un grande Paese molto complesso. Negli ultimi anni sono nate diverse cattedre di studi armeni, chiaramente non in contrasto con la posizione ufficiale del governo. Non è facile parlare di quello che è successo agli armeni. Negli anni passati molti erano condannati al carcere per le loro posizioni. In questo senso, i primi anni della presidenza di Recep Tayyip Erdoğan, in qualche misura, avevano sdoganato la possibilità di parlare di questo tema. Molti avevano iniziato a parlarne, evitando però il termine diretto “genocidio”, per non caricare il Paese di una responsabilità storica, morale, giuridica, economica così grave. Sembrava sul procinto di cadere il muro che l’epoca kemalista aveva eretto. Oggi, la Turchia nonostante tutti i suoi problemi, ha una vita intellettuale e accademica molto variegata. E si parla degli armeni e della loro storia più spesso che in passato. Per noi, il periodo kemalista laico è automaticamente visto come positivo rispetto a quello successivo legato a Erdogan. La Turchia di oggi è invece più ricca e più complessa rispetto a quella kemalista del secolo scorso e sta facendo molto anche riguardo al riconoscimento della tragedia degli armeni. Ma è il termine genocidio a essere impronunciabile e a suscitare gravi reazioni ai danni di chi ne fa uso».

La Turchia è candidata a entrare nell’Unione europea. È corretto affermare che uno dei maggiori ostacoli alla sua integrazione è il mancato riconoscimento del genocidio?

«In questo caso la risposta è chiara: no assolutamente. L’Europa non ha mai posto come precondizione per l’ingresso della Turchia nell’Unione il riconoscimento del genocidio. Questo va probabilmente a discredito dell’Unione Europea, ma non è questa la ragione per cui la Turchia non entra. Nei confronti dell’Armenia del genocidio c’è stata una sostanziale indifferenza. Benché molti Paesi europei abbiano riconosciuto il genocidio, la Turchia non è mai stata obbligata a riconoscerlo per entrare nell’Ue».

Nel 2015 l’Armenia ha celebrato il 100° anniversario del genocidio armeno con una cerimonia, in cui il presidente armeno Serzh Sargsyan ha reso omaggio alle vittime del genocidio. Foto Public Domain.
Nel 2015 l’Armenia ha celebrato il 100° anniversario del genocidio armeno con una cerimonia, in cui il presidente armeno Serzh Sargsyan ha reso omaggio alle vittime del genocidio. Foto Public Domain.

Durante il governo di Erdogan, i rapporti turco-armeni sono peggiorati?

«Per Erdogan e per il governo turco, il genocidio armeno è solo uno dei tanti problemi, ma sicuramente non è tra i principali. Alcuni anni fa Erdogan fece un discorso in cui quasi parlò di genocidio senza nominarlo direttamente. In quell’occasione espresse il suo compianto per le tante sofferenze e le vittime armene, spingendosi forse più in là di qualsiasi altro Capo di Stato turco nel fare riferimento alla tragedia. La questione non è solo tra Turchia e Armenia. In primo luogo, perché gli armeni vivono più in diaspora che in Turchia, ma tutti sono comprensibilmente sensibili al tema del genocidio. È estremamente doloroso che tanti Stati non lo riconoscano e che non facciano pressione sulla Turchia affinché lo riconosca. Ma Erdogan non ha certo promosso un discorso pubblico turco peggiore di quello dei suoi predecessori laici e non ha apportato cambiamenti sostanziali, ma non direi proprio che abbia peggiorato la situazione».

Quanto pesa ancora oggi il dramma del genocidio nelle relazioni tra il popolo turco e il popolo armeno? 

«Evidentemente l’ombra del genocidio pesa tantissimo. Molti armeni desidererebbero avere rapporti migliori con la Turchia, ma nonostante i passi avanti compiuti negli ultimi decenni, i turchi non vogliono in alcun modo riconoscere che si è compiuto un genocidio. Questo determina il fatto che gli armeni fanno molta fatica a parlare con i turchi. La situazione rimane estremamente complicata. Esiste un nazionalismo armeno, esiste un nazionalismo turco, ma esistono turchi e armeni non nazionalisti assai più disponibili a conoscersi e a parlarsi. Ancor oggi, per gli armeni nel mondo, il solo nome “Turchia” evoca un brivido di memoria lacerante. Un orrore tramandato di generazione in generazione, che assume forme diverse ma non si cancella».

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Quella volta in cui Papa Francesco visitò l’Armenia: la fede che unisce oltre le ferite della storia (Torino Cronaca 21.04.25)

Nel ricordo di Papa Francesco, scomparso questa mattina, torna alla mente uno dei momenti più coraggiosi e significativi del suo pontificato: la sua visita in Armenia nel giugno del 2016, durante la quale il pontefice chiamò il dolore per nome, definendo apertamente “genocidio” il massacro del popolo armeno compiuto dall’Impero Ottomano nel 1915, iniziato il 24 aprile.

Una parola pesante, politicamente scomoda, ma che Jorge Mario Bergoglio pronunciò con la forza della verità e della memoria“Quel genocidio, il primo del XX secolo”, aveva già detto nel 2015 durante la commemorazione del 100° anniversario in San Pietro, scatenando la reazione dura della Turchia, che arrivò a richiamare il proprio ambasciatore presso la Santa Sede. Ma Francesco non arretrò. E un anno dopo, si recò personalmente a Yerevan, capitale del paese euroasiatico, portando un messaggio di pace, riconciliazione e giustizia.

 

La memoria come strada per la pace

Durante la sua visita, Papa Francesco partecipò a una cerimonia solenne presso il memoriale di Tsitsernakaberd, a Yerevan, dove rese omaggio alle vittime del genocidio. Posa una corona di fiori, pregò in silenzio e, insieme al Catholicos Karekin II, si inchinò davanti alla fiamma eterna. Un gesto semplice, ma carico di significato, che mostrava come il pontefice argentino non fosse interessato a formule diplomatiche, ma alla verità storica e al dolore delle persone.

“Che Dio benedica il tuo popolo. Che la memoria non si spenga mai”, disse nel suo discorso, invitando a fare della memoria uno strumento per costruire un futuro senza odio né vendetta.

Un ponte tra popoli

Il viaggio di Papa Francesco in Armenia fu anche un forte messaggio ecumenico. Nel primo Paese che accettò il cristianesimo come religione ufficiale, dove la fede si è intrecciata alla storia del martirio e della resistenza, Francesco ha rafforzato i legami tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. Un abbraccio fraterno con il Catholicos Karekin II, la firma di una dichiarazione congiunta, la partecipazione a liturgie comuni: gesti che andarono oltre la diplomazia, testimoniando il desiderio di unità tra cristiani.

Un Papa che non aveva paura delle parole

La visita in Armenia ha rappresentato uno dei momenti in cui Papa Francesco ha mostrato con maggiore evidenza il suo stile diretto, umano, vicino alla sofferenza e lontano dai calcoli geopolitici. Un pastore che, davanti a una verità dolorosa come quella del genocidio armeno, non ha voltato lo sguardo.

Oggi, mentre il mondo saluta un papa che ha lasciato un segno profondo nella storia della Chiesa e nelle coscienze, quella visita risuona come un monito e un’eredità: la verità, anche quando scomoda, è il primo passo verso la giustizia e la pace.

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In memoria di Papa Francesco Quella volta in cui Papa Francesco visitò l’Armenia: la fede che unisce oltre le ferite della storia (Torinocronaca 21.04.25)

Nel ricordo di Papa Francesco, scomparso questa mattina, torna alla mente uno dei momenti più coraggiosi e significativi del suo pontificato: la sua visita in Armenia nel giugno del 2016, durante la quale il pontefice chiamò il dolore per nome, definendo apertamente “genocidio” il massacro del popolo armeno compiuto dall’Impero Ottomano nel 1915, iniziato il 24 aprile.

Una parola pesante, politicamente scomoda, ma che Jorge Mario Bergoglio pronunciò con la forza della verità e della memoria“Quel genocidio, il primo del XX secolo”, aveva già detto nel 2015 durante la commemorazione del 100° anniversario in San Pietro, scatenando la reazione dura della Turchia, che arrivò a richiamare il proprio ambasciatore presso la Santa Sede. Ma Francesco non arretrò. E un anno dopo, si recò personalmente a Yerevan, capitale del paese euroasiatico, portando un messaggio di pace, riconciliazione e giustizia.

La memoria come strada per la pace

Durante la sua visita, Papa Francesco partecipò a una cerimonia solenne presso il memoriale di Tsitsernakaberd, a Yerevan, dove rese omaggio alle vittime del genocidio. Posa una corona di fiori, pregò in silenzio e, insieme al Catholicos Karekin II, si inchinò davanti alla fiamma eterna. Un gesto semplice, ma carico di significato, che mostrava come il pontefice argentino non fosse interessato a formule diplomatiche, ma alla verità storica e al dolore delle persone.

“Che Dio benedica il tuo popolo. Che la memoria non si spenga mai”, disse nel suo discorso, invitando a fare della memoria uno strumento per costruire un futuro senza odio né vendetta.

Un ponte tra popoli

Il viaggio di Papa Francesco in Armenia fu anche un forte messaggio ecumenico. Nel primo Paese che accettò il cristianesimo come religione ufficiale, dove la fede si è intrecciata alla storia del martirio e della resistenza, Francesco ha rafforzato i legami tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica Armena. Un abbraccio fraterno con il Catholicos Karekin II, la firma di una dichiarazione congiunta, la partecipazione a liturgie comuni: gesti che andarono oltre la diplomazia, testimoniando il desiderio di unità tra cristiani.

Un Papa che non aveva paura delle parole

La visita in Armenia ha rappresentato uno dei momenti in cui Papa Francesco ha mostrato con maggiore evidenza il suo stile diretto, umano, vicino alla sofferenza e lontano dai calcoli geopolitici. Un pastore che, davanti a una verità dolorosa come quella del genocidio armeno, non ha voltato lo sguardo.

Oggi, mentre il mondo saluta un papa che ha lasciato un segno profondo nella storia della Chiesa e nelle coscienze, quella visita risuona come un monito e un’eredità: la verità, anche quando scomoda, è il primo passo verso la giustizia e la pace.

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‘Racconti d’Armenia’: musica, libri e cinema alla Fondazione Siotto (Sardiniapost 19.04.25)

Récital, reading, musica, cinema, presentazioni di libri e una mostra per celebrare l’Armenia, un paese dalla storia millenaria che custodice una cultura unica al mondo. Dal 24 al 26 aprile nella sua sede di via Dei Genovesi 114, a Cagliari, la Fondazione di ricerca “Giuseppe Siotto” presenta Racconti d’Armenia, tre giornate dedicate alla valorizzazione e alla conoscenza della cultura armena, ideate dalla pianista e compositrice Irma Toudjian, che cura anche la direzione artistica.

La manifestazione ritorna dopo qualche anno di pausa, e non è un caso che la data scelta per dare il via alla rassegna sia il 24 aprile, data della commemorazione del Genocidio armeno avvenuto a opera del governo “Giovani Turchi” all’inizio del 1915 provocando la morte di più di un milione e mezzo di armeni.

Giovedì 24 aprile Racconti d’Armenia si apre alle 18 nella Galleria Siotto (lo spazio espositivo della Fondazione) con l’inaugurazione di “Ashkhar: tra cielo e terra”, mostra di Sonya Orfalian, artista visiva, scrittrice e drammaturga, figlia della diaspora armena stabilitasi a Roma negli anni Settanta.

Curata da Alice Deledda, la mostra (che sarà visitabile sino a domenica 27 aprile dalle 18 alle 20) espone venti opere di piccola e media dimensione realizzate dall’artista su carta Pescia utilizzando gli smalti industriali. Ashkar è il Creato.  Lo sguardo di Orfalian si concentra su alcuni dettagli del mondo che abitiamo ma che non riusciamo a cogliere perché troppo distratti. In questo mondo in continua osservazione l’opera d’arte è in continuo movimento e luci, colori, ombre si susseguono presentando in ciascun quadro elementi che sono poi riproposti in quello successivo, ma che si possono cogliere anche nell’opera precedente, come in un fotogramma.

Dopo l’inagurazione della mostra la serata prosegue alle 20,30 con Quelle voci, melologo sulla vicenda del Genocidio armeno, nato dalla penna di Sonya Orfalian. Sul palco ci sarà l’attrice Anna – Lou Toudjian accompagnata al pianoforte da Irma Toudjian.

Venerdì 25 aprile altro doppio appuntamento: alle 19,30 è in programma la proiezione del film del regista armeno Artavazd Peliscian Les Saisons (1975), che mette in risalto le contraddizioni e l’armonia tra uomo e natura. Una pellicola in cui per l’occasione le musiche di Antonio Vivaldi sono sostituite da quelle composte dall’informatico e musicista elettronico Arnaldo Pontis che ha curato anche le insonorizzazioni.

Si va avanti, alle 20,30, con la presentazione del numero 29 della rivista di cultura poetica Erbafoglio, diretta da Antonello Zanda. Il tema scelto per questo numero è Futuro: durante la serata saranno proposti reading, proiezioni e interventi di poeti, musicisti e redattori che firmano questo numero della pubblicazione.

Sabato 26 aprile alle 18 Alberto Soi, visual designer, divulgatore e artista presenta il suo libro Grande Armenia. Il libro, pubblicato a febbraio per le Edizioni Racconti d’Armenia, schiude lo sguardo sulla realtà affascinante di una splendida terra e sulla storia, lunga più di venticinque secoli, di un popolo pacifico, di grande cultura, nostalgico di un suo tempo di pace e ancora perseguitato.

Alle 20,30 Racconti d’Armenia chiude il sipario con le parole di un grande romanzo del Novecento La commedia umana dello scrittore statunitense di orgine armena William Saroyan. A dar voce sarà anche stavolta l’attrice Anna – Lou Toudjian, accompagnata al pianoforte da Irma Toudjian.

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Il drago azero tiene la sua spada sopra la testa degli armeni (Tempi 19.04.25)

Il Molokano manterrà la promessa di parlare del destino di Komitas, il grande musicista armeno deportato dai turchi nell’aprile del 1915, nel prossimo numero.
Ora urge l’attualità, o la quasi attualità. La notizia è che intorno alla metà di marzo le istituzioni internazionali tirarono (uso il passato remoto, purtroppo) un respiro di sollievo. Il segretario del Consiglio d’Europa, il francese Alain Berset, ha accolto con favore l’annuncio dell’Armenia e dell’Azerbaigian sulla conclusione dei negoziati sulla bozza dell’Accordo sulla pace e l’istituzione di relazioni interstatali.
Dice Berset: «Al momento dell’adesione al Consiglio d’Europa nel 2001, entrambi i paesi si sono impegnati a lavorare per una cooperazione pacifica. Questa bozza dell’accordo dimostra la volontà di entrambi gli Stati membri di realizzare questo potenziale e di costruire una pace stabile e duratura nella regione».
Ottimo e abbondante. Nessun quotidiano italiano ha dato spazio a questa notizia. Perché? Un’idea c…

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A Brancaleone il convegno “Gli Armeni in Calabria, storia e memoria di un popolo” (Ilreggino 19.04.25)

Il convegno si è svolto nella giornata del 16 aprile 2025, presso la Biblioteca Comunale Cesare Pavese di Brancaleone, un incontro che ha approfondito la storia e l’influenza della Armena nella nostra regione.

Il convento é stato organizzato dalla Comunità Armena Calabria, dalla Pro Loco di Brancaleone con il patrocinio del Comune di Brancaleone e la collaborazione dell’associazione socio culturale Pensionati Brancaleone che ha visto la partecipazione di esperti, storici e rappresentanti della comunità armena, che hanno condiviso nuove e inedite scoperte che testimoniano con più forza la presenza armena in Calabria e nello specifico nella zona di Brancaleone.

Durante l’incontro, il saluto del Sindaco Silvestro Garoffolo ha sottolineato l’importanza dell’incontro e la rilevanza dell’iniziativa. La presidente del Comitato Tecnico scientifico della Biblioteca Sara Martini ha posto l’accento sul valore della tematica e sulla memoria storica della conferenza che si pone al centro degli obbiettivi programmatici del calendario eventi della Biblioteca, la parola è passata alla prima relatrice Grazia Furferi (scrittrice e antropologa) che ha affrontato il tema dell’Armenia nella sua esperienza come viaggiatrice ma anche come collaborazione di diversi progetti di cooperazione internazionale.

La parola è poi passata al ricercatore Sebastiano Stranges che ha illustrato il percorso storico degli Armeni in Calabria, attraverso 28 slide video, evidenziando il contributo culturale e sociale delle prime comunità armena presenti in Calabria e in particolare in questo territorio. É stato discusso il progetto turistico “Valle degli Armeni” , un itinerario creato ed entrato anche nell’ambito turistico regionale dal 2015 grazie all’intuizione di Carmine Verduci presidente della pro loco di Brancaleone e fondatore dell’Associazione Kalabria Experience nonché segretario della Comunità Armena Calabria, un itinerario che collega i paesi di Brancaleone ad altre località come Staiti, Bruzzano Zeffirio, Ferruzzano con una forte impronta armena dovuta ai lasciti culturali, linguistici e archeologici.

Carmine Verduci presente al tavolo dei pavori in veste di coordinatore e moderatore ha posto l’accento sull’operato culturale della Comunità Armena in questi otto anni di attività e annunciato l’evento che si svolgerà il 25 aprile presso il Parco Archeologico Urbano di Brancaleone Vetus per la commemorazione del 110° anniversario del genocidio del popolo armeno.

Il convegno ha offerto un’importante occasione di dialogo tra la comunità armena e la popolazione locale, rafforzando i legami culturali e favorendo nuove iniziative di collaborazione. Infatti presente al tavolo dei relatori l’artista e sculture Armeno Vighen Avetis, che ha testimoniato sulla situazione politica e sociale dell’Armenia di oggi costretta a subire minacce da parte dei governi ostili di Turchia e Azerbaijan che continuano a minacciare l’integrità della Repubblica. Nel contempo è anche stato annunciato un progetto artistico che é stato accolto dal Comune di Brancaleone per un festival della scultura che dovrebbe svolgersi nel mese di novembre.

L’evento ha riscosso grande successo, oltre due ore di interventi che ha tenuto il pubblico incollato alle sedie, con una partecipazione attiva del pubblico che ha avuto anche modo di intervenire e dibattere su molti aspetti per i quali sono state date tutte le risposte da parte dei relatori.

La Biblioteca Comunale Cesare Pavese si conferma essere un punto di riferimento per la cultura e la divulgazione storica a Brancaleone, contribuendo alla valorizzazione del patrimonio multiculturale della Calabria.

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Che cos’è Speranza? Una Risposta dal Cuore dell’Armenia Ferita. Teresa Mkhitaryan. (Stilum Curiae 19.04.25)

Carissimi StilumCuriali, riceviamo questo bellissimo messaggio da Teresa Mkhitaryan, un’amica che si occupa fattivamente di aiutare le famiglie armene in difficoltà (comprese le vittime, decine di migliaia, della pulizia etnica compiuta dall’Azerbaijan in Artsakh – Nagorno Karabagh, e lo portiamo alla vostra attenzione. Buona lettura e diffusione.

§§§

Carissimi,

– Cristo è Risorto.

– Sia benedetta la Risurrezione di Gesù .

la vita dopo la vita continua, non ho dubbi su questo. L’anima dell’uomo è immortale.

Gesù, che amo tanto,  ha dato la Speranza a noi uomini, e nessuno ce la può togliere.

Lui ha vinto la morte e ci ha  insegnato a sorridere anche nei momenti più difficili.

Perché qualsiasi sia la circostanza, sai che questa non è la fine.

Dico sempre a tutte le persone che amo: “Viviamo questa vita  in modo, da ritrovarci tutti nello stesso posto quando la lasciamo”.

Recentemente ho dato intervista alla Radio Vaticana (ve la allego qui sotto il link; sotto il testo c’è anche l’audio dell’intervista).

  • Che cosa per te è la Speranza?
  • La speranza per me è la certezza che Dio c’è e che la giustizia ultimamente e alla fine non dipende dagli uomini, ma dal Signore, cioè che il Bene vince sempre …. E poi la speranza per me sono i bambini delle scuole domenicali, che continuano ad aumentare e diffondono la luce di Dio.

https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2025-03/solidarieta-armenia-banco-alimentare-aiuti-conversione.html

Sono in Armenia, oggi il Monte Biblico Ararat è bellissimo.

Cerchiamo di distribuire il più possibili di pacchi alimentari. È sempre bella la Letizia  nel cuore quando ti siedi al tavolo Pasquale e sai che da qualche altra parte ci sono delle famiglie in difficoltà che hanno anche  la possibilità di festeggiare.

Se qualcuno volesse partecipare, potrebbe fare tramite il nostro Germoglio. Grazie.

– Cristo è Risorto.

– Sia benedetta la Risurrezione di Gesù .

Buona Pasqua!

Vi allego anche i disegni di Pasqua della Risurrezione che mi mandano i bambini delle nostre scuole domenicali, le nuove scuole che si sono aperte…

Grazie per l’Amicizia

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Bosco Sacro – Live at Chiesa Armena (Impatto Sonoro 18.04.25)

C’è un punto, nel tempo e nello spazio, in cui la musica smette di essere intrattenimento e si trasfigura in rito. In quel punto dimora “Live at Chiesa Armena”, il nuovo, necessario album dei Bosco Sacro, quartetto italiano che pare suonare non strumenti ma elementi: fuoco, vento, pietra, spirito.

Registrato nella cappella cinquecentesca di una villa immersa nel silenzio arcano del nord-est italiano, questo disco è un documento che cattura l’essenza di un respiro collettivo che attraversa i corpi e si fa suono. C’è una tensione sacra in ogni brano, una liturgia profana che unisce la solennità degli Swans alla sospensione eterea dei Cocteau Twins, passando per l’abissale bellezza dei Dead Can Dance.

La voce di Giulia Parin Zecchin, evoca. È un richiamo ancestrale, a tratti madre, a tratti spettro, che fluttua tra le chitarre dilatate e oblique di Paolo Monti e Francesco Vara. Le loro corde non tremolano: si aprono come crepe nella terra, lasciando emergere paesaggi interiori devastati e fertili. Luca Scotti, con la batteria, sembra scandire il tempo di un cuore collettivo che batte lento, profondissimo, quasi geologico.

L’apertura con The Future Past è già un varco dimensionale: un lento dischiudersi dell’aria, in cui strati di suono si accartocciano come foglie d’autunno sul pavimento di una cattedrale abbandonata. Il tempo si dilata, si torce, si spezza – come in un sogno lucido da cui non si vuole più uscire. Dong Dee emerge invece come un battito sciamanico nel sottobosco: un incantesimo ritmato da pulsazioni tribali e riflessi acustici, dove ogni eco sembra un richiamo da un’altra epoca, o forse da un’altra vita. Una danza delle ombre che si chiudono in cerchio. Undertow è una discesa ipnotica, una corrente sotterranea che cattura e trascina dolcemente verso l’ignoto. Più che un brano, è una carezza scura, che consola mentre inghiotte.

Le tracce tratte da “Gem”, illuminate ora dalla luce obliqua di questa nuova incarnazione dal vivo, non sono semplicemente reinterpretazioni: sono metamorfosi. E Bosco Sacro, emblema e sigillo del progetto, si innalza come una liturgia selvaggia, un canto devoto al ciclo eterno di distruzione e rinascita.

Ma è nella scelta del luogo, nella sua riverberante sacralità, che il gruppo compie il suo gesto più radicale: registrare il presente come se fosse già memoria. Lì, ogni nota è intrisa di spazio, ogni silenzio è una presenza. Il pubblico – mai invadente – sembra respirare con la band, testimone silenzioso di un’esecuzione che è anche esorcismo, trasmutazione, dono.

“Live at Chiesa Armena” si attraversa come una foresta in sogno, a piedi nudi, con il cuore in ascolto. È per chi ha bisogno di ricordare che la musica può ancora essere un luogo, un cammino, una soglia.

Ascoltatelo al buio. A occhi chiusi. In silenzio profondo.

È lì che il Bosco si manifesta.

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La Giornata della Memoria del popolo armeno a 110 anni dal crimine del primo genocidio del XX Secolo (Korazym 17.04.25)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 17.04.2025 – Vik van Brantegem] – 24 aprile ricorre la Giornata della Memoria del popolo armeno, che in tale data ricorda l’inizio di uno dei più atroci crimini contro l’umanità: il genocidio del 1915. A Roma la Cerimonia di commemorazione del 110° anniversario del genocidio armeno si svolgerà mercoledì 23 aprile 2025 alle ore 19.15 presso il Giardino del Genocidio Armeno in piazza Augusto Lorenzini di Roma (quartiere Portuense), alla presenza dei Responsabili delle Chiese Armene, delle rappresentanze diplomatiche della Repubblica di Armenia presso il Quirinale e presso la Santa Sede, oltre ad esponenti del mondo politico, diplomatico, ecclesiastico e della società civile. Insieme condanneranno ogni violenza, e ribadiranno il NO alle guerre e al negazionismo e il SÌ al rispetto dei diritti fondamentali di ogni essere umano.

 

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Giorno del Ricordo per il genocidio armeno con Amerikatsi di Michael Goorjian (Comune Venezia 17.04.25)

Mercoledì, 23 Aprile, 2025

Scarica la programmazione dal 17 al 23 aprile 2025

 

Mercoledì 23 aprile, alle ore 19 al Rossini, è in programma la prima veneziana di Amerikatsi di Michael Goorjian; il film sarà presentato da Minas Lourian, Direttore del Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena. L’evento rientra nel programma delle celebrazioni del Giorno del Ricordo per il genocidio armeno, organizzato dal Comune di Venezia.

 

Amerikatsi di Michael Goorjian scivola sul filo della commedia e del dramma con la storia di Charlie Bakhchinyan sfuggito da bambino al genocidio armeno.

Nel 1948 Charlie è un americano tornato volontariamente in Armenia, la patria dalla quale era scappato nel 1915. In quello che era stato l’Impero Ottomano, ora regna il comunismo e Charlie si ritrova rocambolescamente in una prigione sovietica. Nella sua cella, però, c’è una finestra dalla quale può osservare l’appartamento di fronte e, attraverso le scene di vita quotidiana che si svolgono al suo interno, scoprire la ricchezza e la vivacità della vita e della cultura armena. Per molti anni quella vista sarà per lui il mondo intero.

La prima veneziana del film Amerikatsi di Michael Goorjian sarà al Rossini mercoledì 23 aprile alle ore 19; il film sarà presentato da Minas Luorian; proiezione in versione originale con sottotitoli italiani.

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Grazie per l’attenzione. 

Vi aspettiamo al Rossini! 

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