Antonia Arslan e Sonig Tchakerian protagoniste di Dessaran Festival (Padovanews.it 08.11.16)
DESSARAN FESTIVAL
settimana della cultura armena
Padova, 9-13 novembre 2016
PAROLE E MUSICA
ANTONIA ARSLAN e SONIG TCHAKERIAN, protagoniste di DESSARAN FESTIVAL
domenica 13 novembre 2016 ore 11.00
Teatro Verdi – Sala del Ridotto
Via del Livello, 32 – Padova
www.teatrostabileveneto.it
ingresso libero prenotazione obbligatoria al 342.1486878
“Un lungo viaggio tra musica, canti sacri, scrittura, teatro, illustrazioni, fotografia, cinema ed enogastronomia che ha voluto esplorare l’antichissima cultura armena andando a toccare anche le tante civiltà che ad essa si sono intrecciate nei millenni della sua esistenza”.
Con queste parole la direttrice artistica di Dessaran Festival Antonia Arslan, protagonista della giornata chiusura assieme a SONIG TCHAKERIAN, descrive questa rassegna il cui titolo in armeno significa “l’orizzonte, il confine di ciò che vedi” e che si è posta l’obiettivo di gettare lo sguardo verso “tanti orizzonti diversi, ma anche nessun orizzonte definito ed escludente, in uno scambio fruttuoso e allegro di saperi, cognizioni, suggestioni antiche e moderne”.
Domenica 13 novembre 2016 alle 11.00, la giornata si aprirà dunque con un incontro d’eccezione: la scrittrice Antonia Arslan sarà protagonista di un reading al Ridotto del Teatro Verdi insieme alle musiche dal vivo di Sonig Tchakerian, acclamata violinista di origine armena. Unite dalla comune passione del racconto e dall’amore per la cultura della propria terra, Antonia e Sonig non sono nuove a collaborazioni dal vivo e condurranno il pubblico in un viaggio di parole e musica tra i paesaggi dell’Armenia anatolica, lungo le rotte del Mediterraneo e oltre, raccontando storie di donne, uomini, luoghi reali e immaginari tra passato, presente e futuro.
Antonia Arslan, padovana di origine armena, ha insegnato per molti anni Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Ha ritrovato le sue radici armene traducendo Il canto del pane e Mari di grano di Daniel Varujan e scrivendo i best seller La masseria delle allodole(2004, tradotto in venti lingue e reso in film dai fratelli Taviani) e La strada di Smirne (2009).
Nel 2012 è uscito Il libro di Mush, la storia di due donne che, durante il genocidio, salvano un prezioso manoscritto. Nel marzo 2015 pubblica il terzo volume della serie armena, Il rumore delle perle di legno.
Sonig Tchakerian, violinista di origine armena, ha iniziato a imporsi con l’archetto sotto la guida del padre e ha potuto studiare con grandi maestri diversissimi come Guglielmo, Accardo e Milstein. Ha creato esperienze intense e coraggiose alle Settimane Musicali al Teatro Olimpico, dove è responsabile artistico dei progetti di musica da camera, ed è docente di violino nell’ambito dei corsi di perfezionamento dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma. Suona un magnifico G. Gagliano (Napoli 1760). E’ artista poliedrica che spazia dalla musica classica ad incontri con il jazz e si dedica da sempre alla riscoperta delle origini armene.
Alle ore 18.30, invece, alla Chiesa di San Gaetano grande concerto, in prima assoluta a Padova, della Corale Akn di Parigi, diretta da Aram Kerovpyan, autorevole interprete e studioso del canto liturgico armeno. Una corale mista di 12 elementi provenienti da tutta Europa che si prefigge lo scopo di salvaguardare e sviluppare l’interpretazione del canto liturgico armeno tradizionale. Le sue esecuzioni si basano sulle ricerche musicologiche che il suo fondatore e direttore, Aram Kerovpyan, svolge da circa 20 anni. Kerovpyan è maestro cantore della Cattedrale armena Saint Jean-Baptiste di Parigi e fa parte della Société des études arméniennes (Francia) e della Society for Armenian Studies (Usa).
Il Festival è promosso da Comune di Padova-Assessorato alla Cultura e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. L’organizzazione è a cura di Nairi Onlus supportata dal Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena di Venezia, dall’Associazione Italia-Armenia e da diverse associazioni culturali del territorio (Scuola di Musica Gershwin, Play, Veneto Suoni e Sapori).
Tutti gli eventi sono ad ingresso libero e gratuito fino ad esaurimento dei posti disponibili.
La strada di Smirne di Antonia Arslan. Per non dimenticare il genocidio armeno (Imolaoggi.it 08.11.16)
Dopo il successo de ‘La masseria delle allodole’ la scrittrice di origine armena, Antonia Arslan, ci regala altre pagine piene piene di dolore con ‘La strada di Smirne’ (Rizzoli). L’autrice narra in questa saga gli eventi umani della sua famiglia, che durante il I conflitto mondiale subì le violenze da parte dei militari turchi. Nei suoi romanzi la microstoria si intreccia alla Storia con la maiuscola e al milione e mezzo di armeni trucidati dal nuovo governo controllato dal partito nazionalista di Mustafà Kemal.
Quello armeno è considerato il primo genocidio del XX secolo, poiché come afferma il Diritto Internazionale vengono riscontrate tre circostanze correlate: elemento materiale (uno o più atti criminali), elemento morale (intenzione di distruggere una parte o tutto un gruppo in quanto tale), destinatario particolare (un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso). In questa definizione si mette in evidenza non tanto la volontà omicida in sé, quanto quella di eliminare una cultura diversa. Il primo romanzo ha avuto una eco notevole, tradotto in numerose lingue ed in quella lingua universale che è il cinema, con un film bello e coraggioso diretto dai fratelli Taviani.
Il secondo ‘La strada di Smirne’, seguito de La masseria delle allodole’, si apre con la fuga dalla Turchia di Shushanig (moglie del fratello del nonno dell’autrice), con le sue tre figlie e il piccolo Nubar, salvatosi perché travestito da bambina. Mentre i piccoli sbarcano in Italia cercando di adattarsi ad una nuova vita, ad Aleppo in Siria, rimane Ismene la lamentatrice greca che tanto li ha amati, e che, continua a prendersi cura degli orfani armeni provando a dare corpo all’illusione di salvare altre vite. Intanto le sorti del conflitto volgono a sfavore dei turchi e per tre anni greci e armeni trovano pace a Smirne, città spensierata e tollerante, la seconda dell’Impero, dove gli armeni sognano di fondare il loro Stato sovrano. Purtroppo i sogni non sempre diventano realtà e le speranze bruceranno nell’incendio della città, durante l’entrata dell’esercito turco.
L’autrice, come appare dal prologo del primo romanzo, è fortemente legata alle radici e alla figura del nonno, venuto in Italia a studiare anni prima della tragedia, sente il dovere di scrivere, testimoniare il dolore di un popolo che vive l’angoscia, il tormento della Patria perduta, la diaspora e l’esilio. A lei va il merito di averci commosso, dandoci uno spaccato di realtà sul popolo armeno, della sua religiosità, della sua sofferenza, aumentata a dismisura dal beffardo negazionismo del governo turco.
Santa Sofia ha un Imam. È una Moschea. Curdi, Armeni: Il Genocidio nel 1915 cominciò così… (Marcotosatti.it 05.11.16)
Il regime laico di Kemal Ataturk, che cercava di rendere la Turchia più europea e meno asiatica, 80 anni fa decise che Santa Sofia sarebbe stata un luogo neutrale da un punto di vista religiosa. La splendida basilica bizantina, trasformata in moschea dopo la conquista di Costantinopoli divenne un museo.
Nei giorni scorsi il governo turco dell’islamista Recep Tayip Erdogan ha stabilito che Santa Sofia avrà un imam permanente. Già all’inizio dell’anno il governo aveva annunciato che il richiamo alla preghiera sarebbe stato intonato due volte al giorno dal minareto che i turchi si affrettarono a costruire dopo la conquista, per fissare in maniera tangibile e visibile che l’islam è superiore al cristianesimo.
Adesso, con questa nuova misura, l’appello alla preghiera verrà lanciato cinque volte al giorno; e la presenza di un imam farà sì che Santa Sofia possa funzionare come qualsiasi altra moschea del Paese.
Non è un bel segnale, per la Turchia laica e democratica, e per le minoranze religiose. Mentre è un segnale agghiacciante la decapitazione della guida politica legale curda nel Paese. E’ un’operazione che ha fatto passare un brivido lungo la schiena di chi ricorda che cosa è successo dal 1915 in poi in Turchia: il genocidio armeno, il primo del secolo dei genocidi. Che ebbe inizio, il 24 aprile 1915, proprio con l’arresto degli esponenti politici e parlamentari armeni. E si chiuse con lo sterminio di un milione e mezzo di persone.
Non a caso il Consiglio per la comunità armena di Roma “Apprende con sgomento la notizia della retata notturna che ha azzerato la classe dirigente del partito curdo Hdp e portato all’arresto di deputati e dirigenti. Esprime preoccupazione per l’ennesima azione autoritaria del governo turco che sta portando la Turchia sull’orlo della dittatura”.
Ricorda il Consiglio che “La repressione nottetempo della leadership curda ricorda molto da vicino quella a danno della comunità armena di Costantinopoli che …il 24 aprile 1915 diede inizio alla campagna genocidaria del governo ottomano. Il Consiglio esprime solidarietà alla comunità curda in Italia e rinnova la sua vicinanza a quella componente democratica della società turca che non condivide quanto sta accadendo nel proprio Paese”. Per un’atroce ironia della storia, bisogna ricordare che nel 1915 i curdi furono usati dal governo turco per sterminare gli armeni, fatto di cui la comunità curda ha fatto ammenda in passato, riconoscendo quelle responsabilità storiche.
Armeni d’Italia: preoccupazione e condanna per l’azione autoritaria del governo turco (Mondogreco.it 04.11.16)
Il Consiglio per la comunità armena di Roma apprende con sgomento la notizia della retata notturna che ha azzerato la classe dirigente del partito curdo Hdp e portato all’arresto di deputati e dirigenti. Esprime preoccupazione per l’ennesima azione autoritaria del governo turco che sta portando la Turchia sull’orlo della dittatura. La repressione nottetempo della leadership curda ricorda molto da vicino quella a danno della comunità armena di Costantinopoli che il 24 aprile 1915 diede inizio alla campagna genocidaria del governo ottomano.
Il Consiglio per la comunità armena di Roma auspica da parte delle istituzioni italiane e dei media una ferma condanna per quanto sta accadendo in Turchia e per ogni forma di quel negazionismo del genocidio armeno che ancora oggi caratterizza la politica di Ankara. Il Consiglio esprime solidarietà alla comunità curda in Italia e rinnova la sua vicinanza a quella componente democratica della società turca che non condivide quanto sta accadendo nel proprio Paese.
Armenia: centro restauro monumenti aprira’ con sostegno Italia (OnuItalia.com 03.11.16)
ROMA, 3 NOVEMBRE – Un centro per il restauro dei monumenti sara’ creato in Armenia nell’ambito di un accordo di collaborazione italo-armena in materia culturale. Lo scorso settembre l’architetto Rita Gonelli del Ministero degli Esteri, con Gaianè Casnati, responsabile del programma“Preserving Cultural Heritage in Armenia”, e Maria Cristina Zambrano del Politecnico di Milano hanno discusso a Yerevan i particolari della collaborazione con funzionari del ministero della cultura e esperti.
Rita Gonelli e l’Ambasciatore Bagdassarian
Ieri attestati di benemerenza per la collaborazione culturale sono stati assegnati alla Gonelli e Laura Frigenti, Direttore dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo sviluppo nel corso di una cerimonia a Roma. Gli attestati del Ministero armeno della cultura sono stati consegnati nella sede dell’Agenzia a Via Contarini a Roma da parte dell’Ambasciatore della Repubblica d’Armenia, S.E. Sig.ra Victoria Bagdassarian, e del Ministro plenipotenziario Sig.ra Anahit Tovmassian.
“L’Armenia, antica culla di civilta’, e’ di grande interesse per l’Italia”, aveva detto la Gonelli nel corso di una conferenza stampa al termine della missione a Yerevan: “Il suo patrimonio archeologico e storico-architettonico deve essere preservato coma la pupilla dei propri occhi”. (@OnuItalia)
Gabriella Uluhogian: in un saggio la mappa della storia armena (Gazzettadimodena.it 02.11.16)
MODENA. Vincitrice della sezione “Saggistica” del Premio Alessandro Tassoni è Gabriella Uluhogian, con il suo “Gli Armeni” (Il Mulino, 2009). Nel panorama delle pubblicazioni dedicate all’Armenia questo testo rappresenta il primo tentativo di ridurre in un unico volume la complessità degli avvenimenti che hanno interessato quel territorio nell’arco di numerosi secoli. Gabriella Uluhogian ha insegnato per più di trent’anni Lingua e letteratura armena nell’Università di Bologna. Tra i suoi libri: Regole di San Basilio (ed. critica della versione armena, Peeters, 1993) e Un’antica mappa della Chiesa armena (Longo, 2001) La cerimonia di premiazione, che sarà presentata da Andrea Ferrari, e vedrà la presenza di Barbara Corradini e Edoardo Buffagni per le letture, è fissata per sabato 5 novembre alle 18.30, al Teatro San Carlo. Ad accompagnare la cerimonia i musicisti Claudio Bergamini (clarinetto) e Cristina Blarzino (arpa). Il libro, arricchito da cartine geografiche illustrative, è composto da cinque filoni narrativi che costituiscono i cinque capitoli del volume ciascuno dei quali approfondisce un aspetto della storia del popolo armeno, in un’accurata ricostruzione da cui emergono anche le voci di storici quali Erodoto Senofonte o Mosè di Corene. I primi due capitoli tracciano le coordinate geografiche dei luoghi che ricorrono all’interno dell’intero volume, e le origini storiche del popolo armeno fino alla nascita delle prime dinastie con i tormentati rapporti con i potenti stati limitrofi. Dal lungo regno della dinastia degli Arsacidi, sotto la quale l’Armenia ha goduto di un periodo di massimo splendore con l’adozione del cristianesimo come religione di stato, passando attraverso la dominazione araba e l’espansione verso occidente con la creazione del regno di Cilicia o della Piccola Armenia, il libro esplora poi la storia della Grande Armenia (l’Armenia storica) fino alla tragedia degli inizi del XX secolo: il genocidio perpetrato dal governo dei triumviri turchi e la cacciata dalla terra in cui aveva vissuto e lavorato per più di due millenni. Le ultime pagine del secondo capitolo ripercorrono la storia recente con il racconto del primo tentativo di formare una repubblica armena, poi fallito, fino alla istituzione della repubblica sovietica per giungere alla proclamazione della repubblica armena indipendentedopo la caduta dell’impero sovietico e alla guerra aperta con l’Azerbaigian per la regione del Karabagh. Gli altri tre capitoli sono dedicati alla storia della Chiesa apostolica armena, all’evoluzione della lingua e della letteratura a partire dal V secolo, e al tema della diaspora.
‘Armenie Ville’, studiare l’Armenia fotografando la Turchia (Pagina99.it 31.10.16)
Mentre l’identità e i valori europei vengono messi in discussione da ogni dove, a Berlino si pubblica un libro che illumina e riflette l’Unione in via negationis. Il titolo è francese, Armenie Ville, l’editore è tedesco (Hatje Cantz), il testo all’interno è in inglese e italiano, ma con contributi critici olandesi e svizzeri: si tratta insomma di un libro europeo. Il soggetto però è l’Armenia, un Paese giovane ma fondato su una cultura millenaria e con una diaspora planetaria accentuata dal primo grande genocidio di massa del ’900 ricordato da papa Francesco proprio quest’anno.
L’autore del libro è un fotografo, Claudio Gobbi, romano di nascita e anconetano di origine, che si è formato a Milano come collaboratore di Gabriele Basilico, ma che ormai da molti anni vive a Berlino. Gobbi ha scelto di studiare l’Armenia senza seguire il genere classico del reportage o del fotogiornalismo, ma in una maniera obliqua: «Mi interessava studiare una regione ai confini dell’Europa per capire meglio l’Europa nel suo insieme».
Non mancano infatti i legami storici e culturali fra il vecchio continente e questa regione di ponte con il Medio Oriente (uno dei quartieri storici della vecchia Gerusalemme è infatti armeno), basti pensare alle grandi comunità armene di Germania o di Francia (circa cinquecentomila persone) o ancora alle vestigia dell’isola di San Lazzaro degli Armeni nella laguna veneziana, di Padova (come sa chi ha letto La masseria delle allodole di Antonia Arslan), di Ravenna, della chiesa napoletana di San Gregorio armeno o ai tanti resti della presenza armena in Calabria che sopravvivono nei cognomi “Armeni” e in quello, più raro, di “Trebisonda”.
Quella armena era infatti una delle tante minoranze legate al commercio e per questo presenti, come gli ebrei e i greci, in tutte le grandi città commerciali del Mediterraneo, da Trieste (dove per esempio è attiva tuttora la Fondazione filantropica Ananian) ad Alessandria d’Egitto passando per Istanbul. I rapporti difficili con la Turchia, sommati a quelli ancora più problematici con l’Azerbaijan per il territorio conteso del Nagorno Karabakh fanno sì che l’Armenia sia stretta fra due confini chiusi sui lati, un altro chiuso a sud dall’embargo contro l’Iran e quindi con un solo confine aperto a nord con la Georgia. Il Paese è pressoché un’isola, povero per i pochi scambi se non con quelli propiziati dalla diaspora internazionale. L’unica attività che non conosce sosta è la costruzione e il restauro delle chiese, tutte derivate da un unico modello originario.
Lo studio di Gobbi dunque ha coinvolto altri fotografi e utilizzato anche materiali d’archivio amatoriali per ricostruire la forza normativa di un tipo che da circa millecinquecento anni non conosce interruzioni. Non volendo fare un lavoro seriale, Gobbi si è concentrato su una tipologia architettonica sempre uguale a se stessa, la chiesa armena a pianta circolare, che muore e rinasce in luoghi e tempi diversi, rinunciando peraltro a essere l’autore unico delle foto, «l’idea è di far apparire nel libro la “coralità” del lavoro mediante una lista di autori ma senza riferimenti specifici alle singole immagini, lasciando quindi in un certo modo aperta la questione della riconoscibilità e paternità dell’immagine».
La stessa questione di copia e prototipo che investe l’architettura armena e che riflette la condizione paradossale del Paese, costretto a rimirare i suoi luoghi più sacri come il monte Ararat o la città di Ani, talmente ricca di chiese antichissime da aver appena ricevuto il riconoscimento Unesco di patrimonio dell’umanità, ma tutto di là dal confine invalicabile con la Turchia. Una riflessione a cavallo dei confini un po’ come l’immagine di copertina, non una foto ma un disegno della chiesa di Gaghigashen ad Ani (crollata) che a sua volta era una copia di quella di Zvarnots (anch’essa crollata, ma in Armenia) che è considerata la “chiesa madre” più importante. «L’immagine – aggiunge Gobbi – mi sembrava perfetta per il fatto di contenere in sé sia l’idea di copia e prototipo sia il confine Armenia-Turchia».
Papa Francesco e l’aneddoto del tassista romano, della signora armena e del profugo maleodorante (Il Messaggero e varie 26.10.16)
CITTA’ DEL VATICANO – Come la storia può cambiare il senso delle prospettive. Papa Francesco senza mai evocare le barricate anti immigrati a Goro, all’udienza del mercoledì, ha raccontato un episodio di cui è venuto a conoscenza, che ha come protatonista un tassista romano, una signora, nipote di sopravvissuti al genocidio armeno e un profugo piuttosto male in arnese, sporco e maleodorante.
«Alcuni giorni fa – ha detto Francesco – è capitata una storia
piccolina ma significativa: c’era un rifugiato che cercava la strada e una signora impietosita gli ha chiesto: lei cerca qualcosa? Quell’uomo era senza scarpe. Era un rifugiato. Lui le ha detto: vorrei andare a San Pietro e entrare dalla porta santa. La signora ha riflettuto un secondo: non ha scarpe, come fa… E così ha chiamato un taxi. Ma quel migrante, quel rifugiato puzzava. L’autista del taxi non voleva che salisse ma alla fine, su insistenza della signora, lo ha fatto salire assieme alla donna che si è accomodata accanto a lui, nel sedile dietro. Mentre andavano la signora gli ha domandato della sua storia e migrante ha narrato il percorso del suo viaggio. In quei dieci minuti di strada fino ad arrivare qui a San Pietro, quell’uomo ha parlato del suo dolore, della guerra, la fame, spiegando perché era fuggito dalla sua patria per migrare qui. Quando sono arrivati la signora ha aperto la borsa per pagare il tassista e il tassista, che all’inizio non voleva che questo migrante salisse perché puzzava, ha detto alla signora: no signora, sono io che devo pagare lei, perché lei mi ha fatto sentire una storia che mi ha cambiato il cuore. Questa signora – ha proseguito il Papa, rivolgendosi ai fedeli presenti in piazza san Pietro – sapeva bene cosa fosse il dolore di un migrante perché aveva il sangue armeno e sapeva della sofferenza del suo popolo. Quando noi facciamo una cosa del genere all’inizio ci rifiutiamo perché ci dà un po’ di incomodità, ’puzza’, ma alla fine la storia ci profuma l’anima e ci fa cambiare: pensate a questa storia e pensiate a cosa possiamo fare per i rifugiati». A conclusione dell’udienza il Papa ha raccomandato ai fedeli: “Non dimenticate quella signora armena, quel migrante che puzzava e il tassista al quale il migrante aveva cambiato l’anima”.
- Papa: no alle barriere, accogliere i migranti “profuma l’anima e cambia il cuore” (RaiNews 26.10.16)
- “Quel rifugiato che puzza e cambia il cuore al tassista” (La Stampa 26.10.16)
- Udienza generale Francesco: migranti, l’unica soluzione è la solidarietà (Avvenire 26.10.16)
- Dopo Goro, l’aneddoto del Papa sul rifugiato che puzza (Askanews 26.10.16)
- PAPA/ La signora armena, il tassista e il profugo che puzzava (Algherocitta.com 26.10.16)
Una marcia per ricordare la deportazione degli Ebrei fiorentini (Sant’Egidio 26.10.16)
Dal 2013 la Comunità di Sant’Egidio ha inteso ricordare la deportazione degli Ebrei, avvenuta il 6 novembre del 1943, di Firenze attraverso un pellegrinaggio della memoria nelle strade del Centro storico, con un corteo che quest’anno partirà da via del Corso, domenica 6 novembre, alle ore 17.30, in via del Corso, al Canto di Croce Rossa (all’angolo con via dei Cerchi). La cittadinanza è invitata.
Anche quest’anno la Comunità di Sant’Egidio, in accordo con la Comunità Ebraica, intende rinnovare questo gesto, al quale hanno preso parte con convinzione tante anime della realtà cittadina, tra le quali anche musulmani con l’imam Izzedin Elzir e i rappresentanti della Comunità Armena.
La marcia della memoria si colloca nel 2016 a 73 anni dalla prima deportazione degli Ebrei fiorentini.
Può essere utile ricordare alcuni dati.
Il 6 novembre 1943 il comando nazista avviò a Firenze la cattura e la deportazione degli Ebrei fiorentini. Vennero arrestate oltre 300 persone. Il 9 novembre furono caricate sui treni diretti verso Auschwitz, dove arrivarono il 14 novembre. Solo 107 superarono la selezione per l’immissione nel campo: gli altri vennero immediatamente eliminati.
Nell’elenco dei deportati figuravano anche otto bambini nati dopo il 1930 e 30 anziani, nati prima del 1884.
I tedeschi avevano completato l’occupazione di Firenze nel settembre 1943. Qui i nazisti poterono contare per la razzia sul sostegno attivo dei fascisti, in particolare su quello della banda Carità.
Degli Ebrei deportati nei lager dal 6 novembre del ’43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini.
La Comunità di Sant’Egidio ricorderà questa tragedia con un “pellegrinaggio della memoria” che percorrerà le vie del centro storico fino alla sinagoga. L’appuntamento è domenica 6 novembre 2016, alle ore 17.30, in via del Corso, all’angolo con via dei Cerchi (Canto di Croce Rossa). Il corteo raggiungerà silenziosamente la sinagoga di via Farini, dove i partecipanti al corteo saranno accolti dai responsabili della Comunità Ebraica per una cerimonia nel piazzale della Sinagoga.





