Armenia, l’ambasciatrice Bagdassarian: “Solidi ma ancora tante le sfide” (Dire.it 09.10.16)

ROMA – Impegnata in un “attivo percorso di sviluppo dei settori strategici” della sua economia, nel rafforzamento delle strutture democratiche nonché nel coadiuvare la comunità internazionale sotto il profilo della sicurezza, la Repubblica d’Armenia punta anche a risolvere l’annoso contenzioso per l’indipendenza del Nagorno Karabakh, minacciato dall’Azerbaijan. Tutto questo ha spiegato, venerdì pomeriggio a Roma, la nuova ambasciatrice d’Armenia in Italia Victoria Bagdassarian, in occasione della cerimonia per il 25esimo anniversario nazionale.  “Siamo orgogliosi di questo Stato- aggiunge- che nella sua storia millenaria ha attraversato molti momenti bui. Regni gloriosi si sono alternati a dominazioni straniere. Sembra ieri la firma il 21 settembre del 1991 del trattato di indipendenza, quando quasi subito abbiamo dovuto affrontare il conflitto nel Nagorno e il blocco delle frontiere, la crisi energetica e l’instabilità della regione. Ma ce l’abbiamo fatta”. Oggi è una “repubblica solida“, rafforzata lo scorso anno dalla riforma costituzionale che ha traghettato il paese verso il sistema parlamentare, anche grazie al sostegno dell’Unione europea, con cui è ora sul tavolo il negoziato di un accordo quadro. L’ambasciatrice ricorda inoltre che Yerevan “è partner strategico della Russia, degli Stati Uniti, e dialoga con la Nato e l’Onu attivamente su sicurezza e diritti umani”.

Sulla crisi attuale in medio oriente, “condanniamo ogni tipo di terrorismo” afferma ancora Victoria Bagdassarian. Ma il paese è sensibile al tema del genocidio: “A marzo 2015 il Consiglio per i diritti umani dell’Onu ha approvato una risoluzione per la prevenzione del genocidio, proposta da Yerevan”. Si tratta di “risultati importanti per un paese così giovane, che deve però ancora affrontare molte sfide: il processo di pace per il conflitto in Nagorno Karabakh nell’ambito del gruppo di Minsk, e nel migliorare le relazioni bilaterali con la Turchia”, sempre fedele alla strada “del dialogo pacifico”.

di Alessandra Fabbretti, giornalista

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Il genocidio armeno tra storia, parole e musica (Gazzettadimantova.it 09.10.16)

Tre giorni dedicati all’Armenia, al genocidio e a un popolo che non vuole scomparire, anche tramite la sua musica: è il progetto del liceo Isabella d’Este con il Conservatorio e il cinema Mignon per gli studenti, ma anche per la città, con ingresso libero.

Si comincia mercoledì, 12 ottobre, a scuola, con un incontro su “Il genocidio degli armeni tra storia e narrazione”, con Antonia Arslan e Marcello Flores, e musiche armene di Padre Komitas, con il Coro del liceo musicale diretto da Romano Adami.

Aperto invece a tutti l’incontro delle 18, sempre mercoledì, nell’auditorium del Campiani in via Conciliazione 33, intitolato “A 101 anni dal Metz Yeghèrn: la vicenda storica, la narrazione, il dibattito storiografico” con Antonia Arslan e Marcello Flores. Le musiche di Padre Komitas saranno eseguite da Daniele Braghini flauto, Luca Colombaroll, pianoforte, con il soprano Elena Guerreschi. Anche i film proposti agli studenti, alle 21 al Mignon di via Benzoni saranno aperti al pubblico gratis. C’è l’autorizzazione per la formazione dei docenti. Mercoledì sarà proiettato “La masseria delle allodole” di Paolo e Vittorio Taviani, introdurranno Antonia Arslan e Marcello Flores; giovedì “Ararat, il monte dell’arca” di Atom Egoyan, introduce Andrea Ranzato. Infine venerdì, “Il Padre (The Cut)” di Fatih Akin, introduce Milena Bernarde. Il programma sull’Armenia è stato presentato ieri all’Isabella d’Este dalla preside Daniela Cremonesi insieme ai docenti Andrea Ranzato e Daniele Braghini e al direttoredel Conservatorio Salvatore Spanò e alla presidente Francesca Zaltieri. Il liceo musicale è sempre stato coinvolto dal conservatorio negli spettacoli per la Shoah. Stavolta l’iniziativa è partita dal liceo. «Tre anni fa a Roma avevo visto un video sugli armeni e pensai a qualcosa per Mantova, ne parlai con Sergio Cordibella, allora presidente del Conservatorio e interlocutore imprescindibile – ha ricordato la preside Cremonesi -. Mi disse: dobbiamo farlo, insieme, e aprirlo alla città anche attraverso il cinema». Ora il progetto è al dunque, con Marcello Flores, storico del genocidio che nel 1915-16 portò alla morte un milione e mezzo di armeni, e Antonia Arslan, scrittrice, che lo ha fatto conoscere al grande pubblico. Un progetto che nasce da e per la scuola, ma si allarga all’esterno. (maf)

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Ad Aleppo si muore (Korazym.org 09.10.16)

Ad ogni udienza generale papa Francesco non manca mai di rivolgere un appello per aiutare la popolazione di Aleppo: “Il mio pensiero va un’altra volta all’amata e martoriata Siria. Continuano a giungermi notizie drammatiche sulla sorte delle popolazioni di Aleppo, alle quali mi sento unito nella sofferenza, attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale.

Nell’esprimere profondo dolore e viva preoccupazione per quanto accade in questa già martoriata città, dove muoiono bambini, anziani, ammalati, giovani, vecchi, tutti… rinnovo a tutti l’appello ad impegnarsi con tutte le forze nella protezione dei civili, quale obbligo imperativo ed urgente. E mi appello alla coscienza dei responsabili dei bombardamenti, che dovranno dare conto davanti a Dio!”.

Intanto ad Aleppo si continua a combattere e a morire non solo nella zona est, teatro dell’offensiva dell’esercito siriano sostenuto dai raid russi, ma anche nei quartieri occidentali controllati dal governo. Fonti locali hanno riferito che nel fine settimana i raid aerei russo-siriani hanno colpito un ospedale del settore orientale.

Da giorni i quartieri armeni della metropoli del nord della Siria, concentrati nel settore ovest di quella che un tempo era la capitale commerciale ed economica del Paese, sono finiti di nuovo sotto il tiro incrociato dei missili provenienti dal settore est della città, controllato dai jihadisti. Il 30 settembre, gli studenti della scuola armena di Aleppo, fondata dalla missionaria Karen Jeppe per gli orfani sopravvissuti al Genocidio turco del 1915, sono stati trasferiti nei rifugi sotterranei; i giovani non hanno potuto raggiungere i loro familiari fino alla tarda serata.

Dal 23 al 30 settembre gli attacchi sferrati con missili partiti dalla parte est di Aleppo, soprattutto da Bustan El Pasha, Madrassat Al Hikme, Al Rashidin 4, Progetto 1070 e il quartiere finanziario, hanno colpito in particolare i quartieri cristiani. Essi hanno causato la morte di 57 persone (20 bambini, 14 donne e 23 uomini) e il ferimento di altre 167, di cui 37 bambini e 53 donne. Dalle pagine del quotidiano Kantzasar, la comunità armena di Aleppo ha lanciato appelli e richieste di aiuto a tutte le Chiese del mondo, affinché ‘cessino i bombardamenti contro i civili innocenti in ambedue le parti della città’.

Ad Asianews padre Sami Hallak ha raccontato il sentimento diffuso di ‘incomprensione’ fra la popolazione civile: “Dal fallimento del cessate il fuoco, iniziato con la festa islamica del Sacrificio (Eid al-Adha) ed esauritosi in una sola settimana, si è registrata una escalation di violenze ad Aleppo, un tempo capitale economica e commerciale della Siria…

In 5 anni la guerra ha causato oltre 300.000 morti e milioni di profughi, originando una catastrofe umanitaria senza precedenti. E dopo cinque anni la pace è ancora lontana; per noi non cambia nulla, a partire dalla situazione sul terreno che resta di grave crisi, per la mancanza di elettricità e altri beni primari. La povertà aumenta e la disoccupazione, in particolare fra i giovani, rende ancora più grave il problema”.

Ed infine ha rivolto una preghiera di aiuto all’Occidente: “In questo Anno giubilare, misericordia significa essere partecipi delle violenze che colpiscono questo popolo, questo Paese, e contribuire restituirlo a vita nuova. Vuol dire essere vicini a quanti soffrono, contribuire al sostegno sul piano umanitario e all’aiuto psicologico. Dobbiamo guarire le profonde ferite della guerra, costruire l’avvenire, siamo qui perché abbiamo un ruolo e una missione in mezzo a gente sempre più in difficoltà”.

Anche i Frati Minori nel giorno della festa di san Francesco, hanno lanciato un appello urgente e pieno di implicazioni operative per chiamare la comunità internazionale a fermare la carneficina in atto nella città martire e in altre aree della Siria. L’appello, firmato dal ministro generale, fratel Michael A. Perry, e dal Custode di Terra Santa, fratel Francesco Patton, ha sottolineato il fatto che anche “altre zone di sicurezza dovrebbero essere create in Siria, come parte integrante di un piano completo per garantire l’incolumità di tutti e raggiungere definitivamente la pace”.

L’appello ha chiesto a “tutte le forze in campo e a tutti coloro che hanno responsabilità politiche, di mettere al primo posto il bene della popolazione inerme della Siria, di far immediatamente tacere le armi e di porre fine all’odio e a qualsiasi tipo di violenza, in modo tale che si possa davvero trovare e percorrere la via della pace, della riconciliazione e del perdono…

Invitiamo, inoltre, tutti i Paesi del mondo ad essere il più generosi possibile nell’accogliere i rifugiati siriani, nel pieno rispetto delle leggi nazionali e locali, e ad offrire tutta l’assistenza necessaria per soddisfare gli urgenti bisogni umanitari e di sicurezza in Siria. Solo così, accantonati tutti gli interessi parziali, si potrà giungere davvero alla conclusione di questo devastante conflitto e ridare la certezza di realizzare un vero cammino di ricostruzione della vita, della dignità e della speranza”.

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Il grazie arriva fin dall’Armenia: «Voi contro il negazionismo» (Laprovinciadivarese 06.10.16)

L’ambasciatrice scrive al sindaco di Travedona Monate Andrea Colombo dopo la mozione che riconosce il genocidio

Importante riconoscimento per l’amministrazione comunale di Travedona Monate per le sue iniziative a ricordo del genocidio del popolo armeno del 1915. L’ambasciatrice della Repubblica d’Armenia in Italia Victoria Bagdassarian ha inviato una lettera al sindaco Andrea Colombo per ringraziarlo dell’approvazione all’unanimità, nel consiglio comunale dello scorso marzo, di una mozione sul riconoscimento del genocidio del popolo armeno in occasione delle commemorazioni del centenario di questa tragedia; un fatto non riconosciuto dalla Turchia. «Desidero ringraziare lei, il consiglio comunale e tutta la cittadinanza di Travedona Monate – scrive l’ambasciatrice nella missiva indirizzata al primo cittadino – per aver reso possibile un’altra vittoria nella lotta, impari e senza fine, al negazionismo. Una vittoria ancora più importante perché raggiunta con lo strumento legislativo, messo di democrazia, di consapevolezza e di pace per eccellenza».
Il Comune di Travedona Monate e il sindaco non si sono limitati ad approvare la mozione ma hanno anche organizzato in paese una tavola rotonda sul genocidio armeno e una serata dedicata alla poesia e alla cultura di quel popolo. Un invito esteso a tutti i Comuni della provincia di Varese e che ha visto la partecipazione e il patrocinio di 72 amministrazioni locali; nel giardino comunale è stato poi piantato un melograno, simbolo del popolo armeno. «Compiendo questo atto di verità – prosegue l’ambasciatrice – ma soprattutto di solidarietà, che fa della vicinanza ai discendenti dei sopravvissuti del genocidio del mio popolo, un messaggio di speranza nel futuro, il Comune di Travedona Monate si è così unito al quel coro di città, Stati, Regioni e organizzazioni impegnati quotidianamente nella prevenzione di crimini contro l’umanità». L’ambasciata armena d’Italia trasmetterà la decisione di Travedona alla Direzione del Memoriale del Genocidio, affinché il Comune di Travedona Monate sia inserito nei “Giusti” per la Memoria. «Per questo atto di coraggio e di responsabilità, il governo armeno esprime la sua riconoscenza a sindaco, consiglieri e cittadini».

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Kezich e Trentini premiati in Armenia per «Carnival King of Europe» (L’Adigettto.it 06.10.16)

Il film «Carnival King of Europe» di Giovanni Kezich e Michele Trentini (Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, 2012, 38′) ha vinto in Armenia il Premio Speciale della Giuria conferito alla seconda edizione dell’Apricot Tree International Ethno-Film Festival (Ethnography & Anthropology), conclusosi ieri 5 ottobre nelle città di Yerevan e Gyumri (l’antica Alessandropoli, patria dell’antroposofo Gurdjeff).

La giuria era formata da tre cineasti di rilievo internazionale: Rosemarie Blank, tedesca, nata in Polonia e da anni residente ad Amsterdam dopo una lunga permanenza in Toscana, l’iraniano Hamid Jafari, pluripremiato membro dell’associazione dei documentaristi iraniani, e l’armena Sara Nalbandyan, documentarista e docente formatasi al DAMS di Bologna.
Obiettivo principale dell’Apricot Tree Festival è quello di far conoscere al pubblico costumi e tradizioni, arte e artigianato di grandi e piccole nazioni e interessare i giovani registi alla materia etnografica e antropologica, stimolando la loro ricerca creativa. Il festival, nelle parole degli organizzatori, vuole pertanto «sia auscultare il cuore dei diversi gruppi etnici e comunità, sia servire come terreno di incontro, a contatto con la grande cultura armena, sulla quale registi di tutto il mondo possano incontrarsi, condividere e discutere idee e progetti».

Per il concorso 2016, organizzato dal Ministero della cultura della Repubblica armena con il supporto dell’Università Russo-Armena di Erevan, erano stati selezionati 34 documentari da tutto il mondo, suddivisi in una sezione di mediometraggi (meno di 40′) e di lungometraggi (più di 40′).
Per i lungometraggi, vince May I Enter (Olanda, 2010, 57′) della regista bosniaca Kostana Banovic e secondo premio a Habitat (Italia, 2014, 55′) dell’italiano Emiliano Dante, intenso, partecipato reportage sulla vita quotidiana a L’Aquila dopo il terremoto.
Per i cortometraggi, vince Holy God (Russia, 2016, 25′) della regista crimeana Vladena Sandu, e secondo premio a The end of the world (Polonia, 2015, 39′) della polacca Monika Pawluckzuc.
Al regista italiano Felice Fornabaio, talentuoso reportagista lucano residente a Berlino, è andato il Premio dell’Associazione dei Cineasti di Gyumri per il suo film Radici (Italia, 2015, 25′) che parla del Maggio di Accettura, il famoso rito arboreo perfettamente analogo a quello nostrano dell’albero di Grauno, in singolare sintonia con il tema di Carnival King of Europe a cui è andato appunto il Premio Speciale della Giuria.

Come è noto, Carnival King of Europe è stato realizzato nell’ambito dell’omonimo progetto europeo, che ha visto affiancati al Museo di San Michele, a partire dal 2007, i musei etnografici di Bilbao, Marsiglia, Zagabria, Lubiana, Skopje, Sofia, Sibiu e Varsavia.
Il film si ispira alla nuova visione di carnevale e mascherate, poi messa a punto da Kezich nel suo libro Carnevale re d’Europa (2015), alla ricerca della radice comune dell’identità culturale europea a partire dalle mascherate invernali, e dalle sorprendenti somiglianze che esse rivelano, nei personaggi, nelle azioni e nella struttura delle sequenze rituali.
Quello di Erevan è il terzo riconoscimento internazionale che Carnival King of Europe porta a casa, dopo quello prestigiosissimo di Kyoto (2009) e quello di Čadca in Slovacchia (2014).

Kezich, che insieme al professor Levon Abrahamian, decano dei folkloristi armeni, è stato anche protagonista a Gyumri di una conferenza sul tema «L’antropologia visiva e le mascherate dell’inverno europeo», ha espresso grande soddisfazione per questo ennesimo riconoscimento all’attività di ricerca scientifica del Museo.
«In un momento in cui la nostra identità e la nostra stessa ragion d’essere vengono a essere messi in discussione dai prospettati nuovi rimpasti legislativi, questi riconoscimenti internazionali di assoluto prestigio, e altrettanto assolutamente genuini nel loro modo di manifestarsi, ci confermano di essere sulla buona strada.
«Che è quella che nel Museo e dal Museo si possa fare buona ricerca scientifica anche nel comparto etnografico, che è poi la storia dei popoli d’Europa, e che si possa fare questo per contribuire sempre più a mettere il Trentino nella carta d’Europa, e a portare l’Europa nel Trentino.»

Intervista a Victoria Bagdassarian, ambasciatrice armena: «Ricordo Genocidio Armeno atto di solidarietà universale» (Era Superba 06.10.16)

Il Consiglio Comunale di Genova, il giugno scorso, ha deciso di dare mandato all’amministrazione per trovare una via o una piazza da dedicare al ricordo del Genocidio del Popolo Armeno. Abbiamo riportato la notizia alla Ambasciata della Repubblica d’Armenia, ed oggi pubblichiamo l’intervista che Victoria Bagdassarian, la nuova ambasciatrice armena, ha voluto gentilmente concederci sull’argomento, e non solo. Nel frattempo dalla giunta di fanno sapere che la pratica è in corso, e nei prossimi mesi si dovrebbe arrivare ad una concretizzazione. Il Genocidio del Popolo Armeno ha lasciato pesanti tracce nella storia europea dell’ultimo secolo, condizionando ancora oggi la diplomazia di molti paesi, paesi a noi vicini con i quali spesso sediamo ai vari tavoli internazionali: la memoria storica può essere una chiave importante per leggere anche il nostro presente, per provare a costruire un futuro più consapevole.

bagdassarian-ambasciatrice-armeniaApprocciando l’argomento la prima impressione è che il Genocidio del popolo Armeno, nonostante la sua dimensione e le tragiche modalità di attuazione, sia spesso poco ricordato nella cultura cosiddetta “occidentale”, soprattutto a livello mainstream. Come mai secondo Lei?
Non credo che il Genocidio armeno sia poco ricordato nella cultura occidentale. Come primo genocidio del 20° secolo fa parte non solo della storia dell’occidente, ma della storia mondiale e sulla cultura mondiale si riflette. Sul genocidio ci sono migliaia di testimonianze conservate negli archivi di diversi paesi, eredità non solo di testimoni occidentali e armeni, ma anche di turchi, arabi, persiani e di altre nazioni. Negli ultimi anni, soprattutto, sono stati pubblicati molti libri, girati documentari, organizzate conferenze, spettacoli teatrali e altro ancora. Per quel che riguarda il termine “genocidio”, all’epoca dei fatti non era stato ancora coniato e le atrocità commesse dall’Impero ottomano contro gli armeni sono state definite massacro, sterminio. La parola genocidio, come concetto giuridico, è stato introdotto nel 1944 dopo l’Olocausto ebraico, dall’avvocato Raphael Lemkin, specialista in diritto penale e internazionale, il quale si è basato proprio sulle descrizioni dei crimini commessi contro gli armeni. Probabilmente, negli ultimi decenni, il Genocidio armeno è stato più sentito. I sopravvissuti al genocidio, i rifugiati armeni nei diversi paesi, impegnati a risolvere problemi di sopravvivenza, spesso evitavano di parlare della loro tragedia. Solo dopo aver superato le difficoltà, i problemi di sopravvivenza quotidiana diciamo, i discendenti dei sopravvissuti al genocidio hanno cominciato a porre delle domande, a chiedere cosa era accaduto, a sollevare la questione e a informare la comunità internazionale. A questo processo di informazione ha contribuito anche l’indipendenza della Repubblica d’Armenia, che ha promosso ad azione di governo il riconoscimento internazionale del genocidio. Ed è proprio su questo piano che stiamo affrontando un fenomeno disgustoso, la negazione del genocidio, che la Turchia porta avanti a livello ufficiale con tutti i mezzi possibili, cercando di nascondere i crimini e tacciare coloro che ne parlano. Sono fiduciosa, però, che alla fine la giustizia prevarrà anche nella società turca.

Quale significato ha per Lei presidiare la memoria di questo terribile evento?
Quale può essere il messaggio dello sterminio di un milione e mezzo di persone innocenti? Posso solo dire che non si può permettere che simili tragedie abbiano a ripetersi, cioè mai più. La comunità internazionale deve esercitare ogni sforzo per prevenire i genocidi e tutti i crimini contro l’umanità. La Repubblica d’Armenia, in questo senso, svolge una politica proattiva. Basti vedere, per esempio, la risoluzione sulla prevenzione del genocidio presentato al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, l’organizzazione di forum globali per la prevenzione dei genocidi e altro ancora. È su iniziativa armena che nel Marzo del 2015 a Ginevra il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, ha adottato la risoluzione sulla Prevenzione del genocidio. È grazie a questa risoluzione che la proposta di istituire il 9 dicembre, data dell’adozione della Convenzione della “Prevenzione del crimine del genocidio”, come il giorno della commemorazione delle vittime del genocidio, è stata approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Ogni atto simile è per noi non solo un atto di solidarietà verso il popolo armeno, ma anche un atto di fedeltà ai valori universali e un imperativo categorico per le generazioni future

Il Consiglio Comunale di Genova ha votato all’unanimità l’impegnativa per la giunta comunale di trovare nei prossimi mesi una via, o una piazza, da dedicare al Genocidio del Popolo Armeno. Che “sapore” ha questa notizia?
Abbiamo molto apprezzato la decisione del Comune di Genova. Ogni atto simile è per noi non solo un atto di solidarietà verso il popolo armeno, ma anche un atto di fedeltà ai valori universali e un imperativo categorico per le generazioni future.

Durante la discussione in consiglio, la giunta si è espressa con parere negativo, perché, secondo l’assessore di riferimento, l’argomento era troppo “divisivo”. Cosa ci può essere di divisivo nella memoria di questa strage?
È difficile per me commentare opinioni che non ho sentito. Nella domanda precedente Lei ha detto che la decisione è stata unanime, il che significa che anche coloro che avevano un’opinione diversa hanno votato a favore dell’impegnativa. Il fatto che alcuni, pochi, abbiano un’opinione diversa non può mettere in dubbio i fatti del Genocidio armeno. Non escludo, che, probabilmente, le persone abbiano informazioni non attendibili ma sono lacune che possono essere facilmente colmate da fonti imparziali.

Gli stati nazionali occidentali hanno istituito diverse giornate cosiddette “della memoria”. Ma qual è lo stato di salute della nostra memoria?
L’istituzione delle “Giornate della memoria” impedisce di dimenticare le tragedie accadute a tanti popoli. Conservare, proteggere la memoria è un impegno fondamentale per prevenire che tali crimini possano ripetersi. Piuttosto, “l’amnesia” verso il Genocidio armeno e simili tragedie ha una base politica.

Cosa lega l’Italia e l’Armenia?
Un passato ricco di relazioni storiche e di cooperazione, la fedeltà agli stessi valori universali di origine cristiana. L’Armenia e l’Impero Romano erano Stati confinanti e, come era tipico del tempo, i re Armeni e gli imperatori Romani, di volta in volta, si alleavano o combattevano gli uni contro gli altri. Con l’adozione del cristianesimo le nostre due nazioni sono diventate portatori degli stessi valori e, alle relazioni commerciali e militari, si sono aggiunte relazioni culturali e spirituali. Secondo numerose testimonianze storiche, a partire dai secoli 6° e 7° e soprattutto dopo la metà del 14°, con il consolidarsi dei rapporti commerciali tra l’Impero romano e il Regno Armeno di Cilicia, a Roma, Venezia, Firenze, Genova, Napoli, Ravenna e Livorno era facile trovare dei veri e propri centri di commercio armeni che avevano dato vita a comunità armene completamente formate, con le loro attività spirituali, culturali ed economiche. I Re armeni di Cilicia avevano conferito ai mercanti italiani il diritto di commerciare, alloggiare e muoversi liberamente; lo stesso status privilegiato era stato concesso dalle città italiane ai mercanti armeni. I rapporti e relazioni secolari, la vicinanza culturale e di forma mentis dei nostri popoli, il contributo della comunità armena allo sviluppo dell’Italia così come la conosciamo oggi, sono la base dei nostri rapporti bilaterali. Il nostro impegno è di rinsaldarli e, in questi 25 anni d’indipendenza, la Repubblica d’Armenia ha fatto tanto.

Ankara, continuando a negare la verità storica e rifiutando di affrontare le pagine nere della propria storia, è diventata complice del genocidio: l’atto finale di un genocidio è la sua negazione

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Yerevan: il Memoriale del Genocidio

Veniamo alla Turchia. Perché in tutti questi anni i vari governi turchi hanno sempre negato il genocidio armeno, o quanto meno ne hanno ridimensionato la gravità? La Germania ha in qualche modo riconosciuto l’Olocausto (come se fosse possibile non riconoscerlo) e perché Ankara non riesce o non vuole?
Come ho già detto in precedenza, la Turchia non solo non riconosce il Genocidio armeno, ma effettua apertamente anche una politica di negazione a livello statale. E ciò avviene nonostante il fatto che nel 1919 sia stato lo stesso tribunale militare turco a dimostrare con un verdetto che la deportazione e lo sterminio degli armeni era una politica di Stato. Sulla base di quello stesso verdetto i principali fautori del genocidio furono condannati a morte. Il genocidio non è stato organizzato dalle autorità turche di oggi ma Ankara, continuando a negare la verità storica e rifiutando di affrontare le pagine nere della propria storia, è diventata complice del genocidio. Secondo gli studiosi di genocidio, l’atto finale di un genocidio è la sua negazione. In Turchia un numero crescente d’intellettuali, personalità pubbliche, di individui comuni riconosce il Genocidio armeno. Questo ci fa sperare che in futuro la Turchia riconoscerà a livello statale il crimine commesso dai suoi antenati e con questo eliminerà il divario tra due nazioni confinanti.

Quali sono i rapporti diplomatici attuali tra Ankara e Yerevan?
Non ci sono rapporti diplomatici tra Yerevan e Ankara, e il motivo è che la Turchia pone precondizioni per stabilire rapporti diplomatici. Nel 2009 a Zurigo, alla presenza dei rappresentanti di Svizzera, Stati Uniti, Russia, Francia, Unione Europea e Consiglio d’Europa, i Ministri degli esteri di Armenia e Turchia hanno firmato un protocollo sulla creazione dei rapporti diplomatici senza precondizioni, l’apertura delle frontiere e sullo sviluppo delle relazioni bilaterali. Però, il giorno dopo a inchiostro ancora fresco, la Turchia ha presentato precondizioni per la ratifica delle firme, precondizioni inaccettabili per l’Armenia. In una di esse la Turchia esigeva che l’Armenia abbandonasse la sua politica di riconoscimento internazionale del Genocidio armeno. Mi preme sottolineare che per l’Armenia è molto difficile iniziare un processo di riconciliazione con la Turchia senza il riconoscimento del Genocidio armeno da parte di quest’ultima, però, avendo come obiettivo primario la stabilità nella regione, Yerevan è riuscito a fare quel passo. Ora il processo è congelato. Il comportamento della Turchia in questo caso è illogico e inaccettabile. Nel frattempo l’Armenia ha più volte dichiarato la sua disponibilità per stabilire rapporti diplomatici con la Turchia senza precondizioni. Nelle relazioni internazionali si usa il concetto – molto efficace – di “partner affidabile”, ma credo che la Turchia abbia ancora tanto da fare in questo senso.

Erdogan e il fallito golpe. Quale lettura Lei può fare di questa vicenda? Cosa ci dobbiamo aspettare?
L’Armenia è sempre contro le azioni violente e non costituzionali per cambiare governo. Desideriamo vedere la Turchia come un stato stabile, democratico, che rispetta i diritti umani e delle minoranze, che affronta il suo passato. Quale percorso intraprenderà la Turchia dopo il fallito colpo di stato è difficile da dire, ma gli sviluppi attuali in questo paese sono preoccupanti.

Il messaggio della Comunità Armena di Roma

A seguito del nostro articolo, anche la Comunità Armena di Roma ha contattato la redazione di Era Superba, inoltrandoci questo messaggio:

Il recente voto all’unanimità del Consiglio comunale genovese che impegna l’amministrazione di Genova a dedicare una strada o piazza della toponomastica locale al ricordo del genocidio armeno del 1915 è motivo di orgoglio per la città e di grande soddisfazione per la comunità armena locale e nazionale. Esso si innesta nel solco di radicati legami tra Genova e il popolo armeno: ricordiamo al riguardo la votazione consigliare dell’ottobre del 1998 che fece della città una delle prime in Italia a riconoscere ufficialmente il genocidio del 1915 allorché sotto i colpi dell’Impero ottomano un milione e mezzo di armeni furono sterminati e la restante esigua parte della popolazione costretta ad abbandonare la terra degli avi. Ma anche antichi legami storici, culturali, religiosi e commerciali come testimoniato ad esempio dalla chiesa di san Bartolomeo degli Armeni e dalla stessa piazza Armenia.

Ricordare a oltre cento anni quello che gli armeni chiamano “Il Grande Male” non significa ripercorrere didascalicamente una lontana, ancorché dolorosa, pagina di storia: ma piuttosto insegnare, soprattutto ai giovani, la cultura della Memoria come antidoto alla violenza e all’intolleranza.

Hitler, pianificando l’invasione della Polonia, così rispose a coloro che temevano per le conseguenze che oggi definiremmo “mediatiche”: «chi si ricorda più del massacro degli armeni
Erano passati circa trent’anni e la tragedia di quel popolo ormai dimenticata; il genocidio armeno fu il primo del Novecento, il primo a essere dimenticato, il primo a essere negato. E ogni strage, ogni pulizia etnica, ogni olocausto altro non è se non il figlio di quel Grande Male.
Grazie dunque ai consiglieri genovesi per il loro gesto che ci auguriamo sarà presto seguito da un risultato concreto.

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Crimini contro l’umanità: il caso di Aleppo (Arabpress.eu 06.10.16)

Chi non ha visto la distruzione di Aleppo non sa cos’è la rovina. Le esplosioni quotidiane, il sangue raggrumato e mischiato alla polvere sui volti dei passanti e dei residenti. Pietre, uomini e un numero intollerabile di bambini morti che giacciono sotto la polvere come se, oscillando, il ventre della terra li sputasse fuori lì, dove crollano le case.

Chi non conosce il silenzio di Aleppo non sa cos’è l’atrocità. Un silenzio di metallo, che squarcia il muro del suono degli uccelli di acciaio che, librandosi nel vuoto, sputano il loro fuoco sulla storia della città più antica del mondo. Il cuore di Aleppo è coperto da un silenzio che pesa tonnellate, dall’odio cieco di uccelli che beccano le viscere della civiltà e della tragedia. 

Chi non ha visto il dolore di Aleppo non sa cos’è la catastrofe. Da sotto le macerie, dal cuore della tomba, rendetevi conto una volta per tutte, voi assassini criminali, che la mappa incisa sui petti nudi e distrutti, rimane lì, conficcata nella carne, nei geni. Non sarà vostro questo paese, questa non è la vostra sorgente né la vostra acqua, queste non sono le vostre famiglie, le vostre chiavi, qui non c’è la vostra ultima terra, il vostro cimitero. Perfino da morti non vi vogliamo, perfino da perdenti insudiciati nel fango dell’umiliazione, non vi vogliamo con noi. Passerete sulla superficie della storia, un ascesso che il tempo non tarderà ad aprire.

L’espressione “crimine contro l’umanità” è apparsa per la prima volta durante la Prima Guerra Mondiale, a causa del genocidio perpetrato dai turchi nei confronti della popolazione armena nel 1915, quando Russia, Francia e Regno Unito condannarono quel massacro chiamandolo “crimine contro l’umanità e la civiltà”. L’idea di “crimine contro l’umanità” è giunta come risposta alle azioni disumane non legate a errori o ad azioni militari, come ad esempio i crimini di guerra, ma a quelle con lo scopo di uccidere e perseguitare comunità civili che rappresentano un ostacolo per l’autorità; e questo attacco all’umanità può avvenire anche senza prendere la forma di genocidio. Tale concetto ha trovato una migliore definizione nelle parole di André Frossard, giornalista e accademico francese: “[Si commette] un crimine contro l’umanità quando si uccide qualcuno con il pretesto che è nato”. La nascita rimanda a tutto ciò che è naturale nell’essere umano: classe sociale, educazione, religione, etnia, etc.; ciò significa che questi crimini colpiscono l’umanità del singolo e della collettività da cui dipende, privando la vittima della sua dignità e dei suoi diritti e queste sono le motivazioni, non le conseguenze del crimine. Il motivo non è esterno, ma è esso stesso il crimine. Attualmente non esiste una tragedia come quella del popolo siriano. I numeri parlano, le immagini parlano, l’umanità è sorda e le coscienze dormono.

I crimini contro l’umanità continuano a ripetersi dinanzi agli occhi di tutti. Che cos’è che impedisce alla voce del mondo di sollevare la sua protesta? Cosa imbavaglia le bocche di chi difende i diritti degli oppressi? Perché le società civili non si sono mobilitate?

I fatti sono qui sotto gli occhi, a portata di mano. C’è chi tutti i giorni uccide i civili, li assedia e li costringe alla fuga perché non corrispondono alla sua visione di “popolo”. E c’è chi appoggia questa visione e viene a colpire una terra che non è la sua, un popolo che non è il suo. La questione è molto semplice: il crimine contro l’umanità è disgustoso come il silenzio che lo circonda.

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Riccardi: “La guerra in Siria è un crimine, l’Europa si svegli” (La Stampa / Vatican Insider)

In Siria è in corso una guerra che sta producendo infiniti crimini contro l’umanità, per questo l’Europa deve rompere la propria cortina di indifferenza verso un conflitto tanto drammatico e sanguinoso. Non è una questione di partigianerie, di stare con una o con l’altra parte, ma di fermare un meccanismo capace di alimentare violazioni gravissime dei diritti umani e di causare la fuga di milioni di profughi disperati nei Paesi limitrofi. «L’Europa riconosca il dramma siriano e si apre all’accoglienza, i diritti umani non sono privilegi». E’ intorno a questi punti che si sono ritrovati d’accordo diversi fra gli intervenuti alla presentazione della mostra «Nome in codice Caesar – Detenuti siriani vittime di tortura», in corso dal 5 al 9 ottobre al Maxxi di Roma.

 

Si tratta di una documentazione per molti versi eccezionale e di una storia particolare: un fotografo militare siriano, un ufficiale, (il “Caesar” del titolo) ha infatti documentato, su incarico del regime, migliaia di casi di tortura e di morte avvenuti fra il 2011 e il 2013 nei centri detentivi del regime di Damasco; nel frattempo, però, caricava segretamente la documentazione raccolta su chiavette usb e all’inizio del 2014 è riuscito a lasciare il Paese. Il materiale che ha portato con sé, circa 55mila immagini, è stato sottoposto ad analisi da vari organismi internazionali, fra cui Human Rights Watch, che ne hanno nel tempo confermato l’autenticità. La mostra contiene solo una piccola selezione delle fotografie raccolte da «Caesar», e prima di approdare a Roma è stata al Palazzo di Vetro dell’Onu a New York, all’Holocuast Memorial Museum di Washington e al Congresso, alla facoltà di Legge dell’Università di Harvard, al Parlamento Europeo di Strasburgo, alla House of Commons di Westminster, alla Royal Hibernian Academy di Dublino.

 

Nel pomeriggio del 5 ottobre è stata presentata in due diverse conferenze al Maxxi. Sono intervenuti, fra gli altri, Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio; padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli; Giancarlo Bosetti, direttore della rivista «Reset»; Stephen J. Rapp, rappresentante degli Stati Uniti in materia di giustizia penale internazionale dal 2009 al 2015; Baykar Silvazliyan, presidente emerito dell’Unione armeni in Italia. Presenti anche rappresentanti delle istituzioni: Pierferdinando Casini, in qualità di presidente della commissione esteri del Senato; Fabrizio Cicchitto, presidente della commissione esteri della Camera; e Luigi Manconi, presidente della Commissione bicamerale per la tutela dei diritti umani del Senato.

 

«Vedere la morte e vedere il dolore – ha affermato Riccardi nel corso del suo intervento – non può lasciare indifferenti. Questi scatti producono uno choc nella nostra coscienza. In Italia, dopo 30 anni di battaglie per la pace, ci troviamo di fronte a una consolidata indifferenza verso la crisi siriana. L’indifferenza del mondo europeo di fronte a questa crisi è la stessa che si vede di fronte ai rifugiati». Ma gli europei, ha aggiunto, non hanno capito questa guerra. Non è facile oggi dire “stiamo da questa parte”, “questi sono i buoni”, come qualche volta è accaduto in passato. «Nel mondo globale si richiede un salto di intelligenza che va oltre le partigianerie». Quella siriana del resto, è una guerra intricata in cui s’intrecciano diverse vicende: ci sono le complicità fra Bashar al Assad e Isis, e le responsabilità nella crisi di Arabia Saudita, Qatar, Turchia, quindi «il rifiuto sistematico di negoziare da parte della Russia nella prima parte del conflitto».

 

«I miei amici cristiani d’oriente – ha aggiunto il fondatore della Comunità di Sant’Egidio – mi dicono che Assad è il male minore, ma questa mostra ci dice che anche Assad è il male». Riccardi ha ricordato che il tessuto della convivenza nel Paese era stato già stato colpito in passato, con le distruzioni di Hama negli anni ’80, poi con l’espulsione della comunità ebraica. «La distruzione di un tessuto umano di convivenza è una cosa che lascia il segno, che si paga» ha aggiunto. «Distruggere Aleppo – ha osservato ancora – è un crimine contro l’umanità, un crimine sono i barili bomba del regime, ma un crimine sono anche i cannoneggiamenti delle forze ribelli sui quartieri occupati dall’esercito di Damasco».

 

Allora, per Riccardi, «quello che si chiede è una presa di coscienza della nostra opinione pubblica, questa guerra è un crimine ed è la madre di altri infiniti crimini, per questo va fermata». «Si è giocato d’azzardo sul tavolo siriano – ha aggiunto – che è stato trasformato nel casinò della politica internazionale», come conseguenza «l’Europa è stata destabilizzata da una manciata di rifugiati che arrivano nella parte orientale del continente».

 

Un ragionamento simile ha svolto Gianfranco Bosetti, per il quale «sicuramente Assad è responsabile di tanti crimini, c’è però anche l’Isis con il massacro della minoranza Yazidi, e di certo sono un crimine i bombardamenti indiscriminati su Aleppo». Fino al dicembre 2015 è documentata la vendita di petrolio dall’Isis ad Assad , ha ricordato il direttore di Reset. Con la guerra siriana, ha spiegato ancora, siamo di fronte «a un labirinto di responsabilità, dove alcune responsabilità coprono quelle di altri e non bisogna lasciarsi ingannare da questo labirinto». «I documenti della mostra – ha poi sottolineato – contengono l’evidenza di quanto è accaduto, la loro stessa raccolta è stata concepita come un repertorio di prove per un futuro processo internazionale il cui modello è quello della ex Jugoslavia», affermazioni pure condivise da Stephen J. Rapp, rappresentante degli Stati Uniti in materia di giustizia penale internazionale dal 2009 al 2015.

Il presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti ha afferamto: «Vedendo questa mostra mi viene in mente un’immagine, quella di Papa Francesco ad Auschwitz che cammina in silenzio». «Dobbiamo parlare della Siria e dell’Europa – ha aggiunto – di come si comporta nei confronti dei profughi che fuggono da quel conflitto; non bisogna dimenticare che 1/3 dei profughi ha subito una qualche forma di tortura».

«Credo che non dobbiamo fermarci solo alle immagini di questa mostra – ha poi detto Ripamonti a Vatican Insider – ma pensare che attualmente ci sono persone che hanno subito questo tipo di tortura e che sono in viaggio per arrivare in Europa, e la nostra politica europea le ha bloccate molto spesso in campi profughi che non permettono loro di arrivare nei Paesi europei. Non facciamo altro che prolungare queste sofferenze e queste torture che loro hanno già subito durante la guerra. Un passo importante è allora quello di cambiare la politica europea, di trasformarla in una politica di accoglienza che riconosce il dramma della guerra siriana e riconosco il dramma di queste persone».

Resta centrale in tutto questo, il nodo delle guerre da cui derivano i problemi di cui stiamo parlando…

«Sì, noi diciamo spesso: bisogna fermare la migrazione dei popoli, ma l’unica migrazione che possiamo fermare veramente è quella legata ai conflitti che sono in atto; una guerra come quella siriana che dura da più di cinque anni ha creato milioni di persone esuli dalla loro casa o dal loro Paese, oltre due milioni sono usciti dalla Siria. Porre uno stop alla guerra significa bloccare questi flussi, ed è questa l’unica migrazione che è possibile davvero fermare, come quella legata all’ingiustizia, cioè alla povertà».

Torna, drammatico, il tema dei diritti umani, un dato che pensavamo acquisito e invece assistiamo a una regressione su questo piano…

«Come Europa stiamo trasformando i diritti in privilegi; così a persone che, come noi, hanno diritto di migrare e a vedere riconosciuti i loro diritti come persone, queste prerogative non vengono più concesse poiché tutto questo lo vediamo ormai come un nostro privilegio e come qualcosa che loro possono sottrarci in termini di stili di vita, di tenore di vita; si tratta però di un meccanismo che alla fine rischia di mettere in discussione il fondamento dei diritti di tutti».

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Nuovo appello del Papa per la pace tra Azerbaijan e Armenia (Corrierequotidiano.it 05.10.16)

Il Pontefice ha ancora una volta auspicato che le questioni aperte possano trovare buone soluzioni e tutte le popolazioni caucasiche vivano nella pace e nel rispetto reciproco”

Nuovo appello del Papa Francesco oggi per un accordo di pace tra l’Armenia e l’Azerbaijan. Cristiana la prima, che rivendica la sovranita’ sul Nagorno Karabachfatto e islamico il secondo, che ha dalla sua parte il diritto internazionale. Il pontefice nella prima udienza generale seguita alla missione di pace nella regione, ha nuovamente auspicato”che le questioni aperte possano trovare buone soluzioni e tutte le popolazioni caucasiche vivano nella pace e nel rispetto reciproco”.
Raccontando poi i diversi momenti del suo viaggio ai circa 40 mila fedeli presenti oggi in piazza San Pietro, Papa Francesco ha voluto esprimere la sua gratitudine alla due piu’ importanti autorita’ religiose che lo hanno accolto: il Patriarca di tutta la Georgia Ilia II e allo Sceicco dei Musulmani del Caucaso con il quale ha pregato nella mosche di Baku- “Il viaggio – ha spiegato – e’ stato il proseguimento e il completamento di quello effettuato in Armenia, nel mese di giugno. In tal modo ho potuto, grazie a Dio – realizzare il progetto di visitare tutti e tre questi Paesi caucasici, per confermare la Chiesa Cattolica che vive in essi e per incoraggiare il cammino di quelle popolazioni verso la pace e la fraternita’. Lo evidenziavano anche i due motti di quest’ultimo viaggio: per la Georgia ‘Pax vobis’ e per l’Azerbaigian ‘Siamo tutti fratelli. La Chiesa Cattolica – ha poi concluso – e’ chiamata ad essere presente, ad essere vicina, specialmente nel segno della carita’ e della promozione umana; ed essa cerca di farlo in comunione con le altre Chiese e Comunita’ cristiane e in dialogo con le altre comunita’ religiose, nella certezza che Dio e’ Padre di tutti e noi siamo fratelli e sorelle”.

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Armenia, negata estradizione di un programmatore russo negli Usa (Il Velino.it 05.10.16)

Il Tribunale Civile d’Appello dell’Armenia ha respinto una mozione dei pubblici ministeri del paese contro il rilascio del cittadino russo Sergei Mironov, ricercato dalle autorità statunitensi con l’accusa di riciclaggio di denaro e trasferimento illegale di tecnologia. Lo ha detto una fonte del ministero armeno. Mironov, 30 anni, è stato arrestato all’aeroporto di Yerevan il 26 agosto, ma è stato rilasciato il 29 agosto su sentenza di un tribunale distrettuale di Yerevan ed è tornato in Russia il 31 agosto.

Armenia’s Civil Court of Appeal has rejected a motion by the country’s prosecutors against the release of Russian national Sergei Mironov, sought by US authorities on suspicion of money laundering and illegal technology transfer, a source in the Armenian Prosecutor General’s Office said Wednesday. Mironov, 30, was detained in Yerevan airport on August 26, but was released on August 29 on a ruling by a Yerevan district court and returned to Russia on August 31.

La Basilicata tra i Giusti degli Armeni (Corriere della Sera 05.10.16)

«La Basilicata sarà inserita nella lista dei “Giusti”»: l’ha annunciato l’ambasciatrice della Repubblica d’Armenia a Roma, Victoria Bagdassarian, e l’ha riferito nell’aula del consiglio regionale il presidente Franco Mollica. La diplomatica ha inviato una lettera a lui e al consigliere regionale Aurelio Pace (gruppo misto) che ha promosso una mozione, approvata dall’assemblea nella seduta del 27 settembre, con cui è stato «riconosciuto come crimine di genocidio, lo sterminio del popolo armeno nel centenario dello stesso».

Ricordando il Medz Yegbern

Mollica ha quindi letto in aula la lettera: «Desidero ringraziare lei, il promotore della mozione Pace, l’assemblea regionale della Basilicata e la Basilicata tutta per aver reso possibile un’altra vittoria nella lotta, impari e senza fine, al negazionismo. La nostra Ambasciata, a rafforzamento di quanta farà il Consiglio della comunità armena di Roma, trasmetterà la vostra decisione alla direzione del Memoriale del Genocidio della capitale armena Yerevan, affinché la regione Basilicata sia inserita nella lista dei Giusti per la Memoria del Medz Yegbern insieme a tutti gli altri che hanno adottato simili provvedimenti».

La volontà di essere tra i Giusti

Con la mozione, approvata il 27 settembre, il Consiglio regionale si impegnava a «comunicare l’avvenuta approvazione di tale atto al Consiglio per la comunità armena di Roma affinché la trasmetta alla direzione del Memoriale del genocidio della capitale armena Yerevan e il nominativo della Regione Basilicata sia inserito nella lista dei Giusti per la Memoria del Metz Yeghern (il Grande Male) insieme a tutti gli altri che hanno adottato simili risoluzioni».

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