Armenia, risolta la crisi degli ostaggi (Il Giornale 23.07.16)

Si è appena risolta la crisi degli ostaggi iniziata in Armenia all’alba di domenica scorsa

A affermarlo sono i media locali armeni. Le ultime quattro persone nelle mani degli insorti sono state rilasciate dopo una lunga trattativa durata per giorni. Il generale Vitaly Balasanyan è riuscito finalmente a convincere gli assalitori. Tutti liberi, anche il vice capo della polizia armena, Vartan Yeghiazaryan, e il numero due della polizia di Yerevan, Valeri Osipyan, tenuto in ostaggio dopo essere sopraggiunto per cercare una mediazione con gli assalitori.

La stazione di polizia del quartiere di Erebuni, alla periferia della capitale Yerevan, era stata presa d’assalto da una ventina di uomini appartenenti a un gruppo ultra-nazionalista che si fa chiamare “Sasna Tsrer”. Durante gli scontri era morto un poliziotto, Artur Vanoyan, padre di tre figli, e due suoi colleghi erano rimasti feriti. Gli insorti chiedevano la liberazione del loro leader, Jirair Sefilyan, capo del loro movimento politico e popolare eroe della guerra in Nagorno-Karabakh, che era stato arrestato a fine giugno per possesso e trasporto di armi illegali. Un arresto che molti armeni ritengono politicamente motivato, data anche la posizione intransigente con la quale Sefilyan si oppone a qualsiasi possibile accordo con l’Azerbaijan per la questione del Karabakh. Chiedevano inoltre le dimissioni di altri prigionieri politici e le dimissioni del presidente armeno Serj Sargsyan. Ma nulla di tutto questo è avvenuto.

Da lunedì pomeriggio c’erano state manifestazioni di proteste contro il governo e a favore degli insorti, dimostrazioni che però non sono mai riuscite a raccogliere – nei momenti di massima tensione – più di poche migliaia di persone. A mobilitare molte persone erano stati anche diverse foto, video e testimonianze di abusi perpetrati dalla polizia contro i manifestanti, nonché le centinaia di fermi ed arresti, da molti ritenuti arbitrari.

Gli insorti hanno chiesto e ottenuto, per la liberazione degli ostaggi, di incontrare i media e la stampa in una “zona neutrale” nei pressi della stazione di polizia assaltata.


Armenia: risolta la crisi degli ostaggi (Euronews 23.07.16)

Yerevan, violenze fra polizia e opposizioni in piazza per la liberazione dell’eroe nazionale (Asianews 22.07.16)

Yerevan (AsiaNews) – Le autorità armene hanno arrestato in queste ore decine di persone, scese in piazza (clicca qui per il filmato) per chiedere la liberazione di un eroe nazionale. I manifestanti denunciavano l’arresto “ingiusto” di Jirair Sefilian, ex militare e leader del movimento di opposizione Founding Parliament, chiedendo al contempo le dimissioni del presidente della Repubblica Serž Azati Sargsyan per “cattiva gestione” degli affari dello Stato.

Al lancio di gas lacrimogeni sono seguiti scontri fra poliziotti e manifestanti. Secondo i dati forniti dal ministero della Sanità i feriti finora confermati sono circa 80, di cui 29 poliziotti e 51 civili. Tuttavia, il bilancio è destinato ad aumentare in modo vertiginoso nelle prossime ore, in base ai filmati che testimoniano le violenze della polizia diffusi sui social media.

Secondo Nigol Pashinian, deputato vicino all’opposizione, sono almeno 15 gli attivisti del movimento guidato da Sefilian arrestati oggi. Questa mattina all’alba 200 manifestanti hanno bloccato le strade e si sono barricati dietro postazioni simili alle trincee da guerra civile.

Fonti non confermate parlano di almeno 15mila persone fermate da quando è iniziato lo scontro fra governo e opposizione, in conseguenza dell’arresto di Jirair Sefilian. Un abitante di Yerevan, dietro anonimato, racconta ad AsiaNews che “chiunque scende in piazza per una camminata viene arrestato e portato in carcere come manifestante”. Il “metodo Erdogan” della vicina Turchia “nell’epurare gli oppositori”, aggiunge la fonte che da giorni evita di uscire di casa, “ha fatto scuola anche qui”.

Il presidente armeno Sargsyan non appare in pubblico dal 17 luglio scorso, da quando al mattino un uomo armato ha occupato una caserma della polizia della capitale, dopo aver ucciso un poliziotto e preso in ostaggio i colleghi presenti. Nelle ore successive il ministero degli Interni ha dato ordine di circondare la stazione di polizia, senza autorizzare l’irruzione.

Da cinque giorni sono in corso trattative che sono sfociate nella liberazione di cinque poliziotti tenuti in ostaggio; gli assalitori, tuttora accerchiati, chiedono le dimissioni del presidente della Repubblica e la liberazione del loro leader Sefilian. Restano ancora adesso in mano agli assalitori quattro poliziotti, fra i quali vi è anche Vardan Eguizarian, capo aggiunto della polizia nazionale, e Valeri Ossipian, capo aggiunto della polizia di Yerevan.

Gli assalitori si sono impossessati di un enorme arsenale di armi e hanno invitato gli abitanti a scendere in piazza; fin dai primi giorni della protesta almeno 1500 persone hanno aderito alla manifestazione, repressa in un secondo momento con la forza dalla polizia.

A complicare il quadro la richiesta, filtrata nelle ultime ore, avanzata dal presidente armeno Sargsyan alla Russia di aiuto per sedare la rivolta. Secondo alcune fonti nella capitale è arrivata la squadra anti-sommossa “Alfa”, nota per le “soluzioni radicali” adottate in caso di problemi. Le voci di una imminente irruzione per liberare i poliziotti in ostaggio è confermata dal fatto che da due giorni agli assalitori viene negato il cibo e i medicinali.

Il portavoce del movimento Founding Parliament Varujan Avedissian ha dichiarato che questa è una “Sardarabat interna”. Il riferimento è alla omonima guerra del 1918, quando uomini, donne, anziani armati solo di coltelli e bastoni hanno affrontato l’esercito turco e fermato l’invasione di Yerevan, dando inizio al processo di indipendenza dell’Armenia e alla nascita della repubblica. “Questa volta – ha affermato Varujan Avedissian – il nemico ce l’abbiamo dentro casa”.

I fatti sono precipitati all’improvviso, in seguito all’arresto di Jirair Sefilian, esponente dell’opposizione ed eroe nazionale nella guerra di liberazione del Nagorno-Karabakh, che lotta contro le cessioni territoriali all’Azerbaijan, trovando un’ampio sostegno popolare. Negli ultimi giorni le voci di un possibile via libera del presidente armeno a una parziale cessione di territorio del Karabakh all’Azerbaijan ha agitato lo scontento popolare e animato la protesta. Jirair Sefilian, uno dei pochi eroi di guerra a non essere morto in circostante misteriose dopo il conflitto, si oppone con forza a qualsiasi progetto di cessione.

Da anni Sefilian contrasta il presidente e il governo, accusati di corruzione e di tradimento della patria, con l’obiettivo di svuotarla dei suoi abitanti. Del resto l’Armenia, visitata di recente da papa Francesco, perde ogni anno il 5% della popolazione a causa della corruzione e del potere concentrato nelle mani di pochi oligarchi. In pochi anni essi hanno eliminato la classe media, riducendo la popolazione in una minoranza di ultra-miliardari e una maggioranza di ultra poveri disperati, senza alcuna speranza di sbocco sociale o professionale.

Lo spirito degli armeni, pronto a sopportare ogni sacrificio pur di mantenere unita e inviolata la patria, è rimasto colpito nel leggere sulla stampa di trattative segrete in corso “per risolvere la questione del Karabakh” che prevedono la cessione di territorio. Una zona che gli armeni considerano parte integrante, se non il cuore stesso della nazione. Da qui le contestazioni di piazza che nemmeno una povertà imposta aveva saputo sollevare.

In vista di un accordo segreto favorevole all’Azerbaijan, che si terrà forse in Turchia e che prevede la cessione di parte del territorio, le autorità hanno provveduto in via preventiva ad arrestare l’eroe Sefilian con l’accusa di “detenzione illegale di una pistola”. Una accusa pretestuosa visto che egli non possiede un’arma da fuoco da quando è rientrato dal fronte, che mira a bloccare sul nascere una possibile rivoluzione di piazza in grado di rovesciare il governo.

Jirair Sefilian è lo stesso eroe che, due anni fa, aveva costituito un gruppo di volontari per andare in Siria e liberare il distretto armeno di Kessab, occupato dallo Stato islamico (SI) con l’aiuto della Turchia. Un progetto che ha incontrato l’opposizione del presidente Sargsyan, che gli ha impedito di lasciare il Paese e continuare a organizzare il movimento di lotta.

Voce critica nei confronti del governo, egli era già stato arrestato nel 2006 e detenuto per 18 mesi con l’accusa di aver progettato un “tentativo di golpe”. La stessa accusa con la quale è stato fermato lo scorso anno, a giugno; infine il terzo arresto, nei giorni scorsi, per “detenzione di arma” e “tentativo di voler occupare gli uffici del governo e i centri di telecomunicazione”.

Il presidente Sargsyan – ex militare del Karabakh – è stato eletto nel 2008, in seguito a una tornata elettorale contestata dalle opposizioni; negli scontri sono morte 10 persone.(PB)

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ARMENIA: Dalla crisi degli ostaggi alle proteste in strada. Come sta evolvendo la situazione a Yerevan (Eastjournal 22.07.16)

Armenia: servizi alternativi di tutela dei minori (Osservatorio Balcani e Caucaso 22.07.16)

In Armenia ci sono ancora parecchi bambini affidati alle istituzioni. Le organizzazioni che fanno parte del ChilPact si adoperano per offrire servizi alternativi all’istituzionalizzazione dei minori

22/07/2016 –  Onnik Krikorian

Nel 2005, in Armenia più di 10.000 bambini sono stati iscritti in collegi e istituti per l’infanzia d’origine sovietica. Erroneamente indicati come “orfanotrofi”, termine fuori luogo dato che la maggior parte dei bambini ha almeno un genitore, la loro situazione è migliorata tanto che oggi gli iscritti sono poco più di 2.500. Tuttavia, rilevano i sostenitori della tutela dei minori, resta urgente la necessità di deistituzionalizzare. Nella vicina Georgia, ad esempio, fino ad un decennio fa c’erano poco meno di 5.000 bambini in collegi e orfanotrofi d’epoca sovietica, mentre oggi sono appena qualche centinaio.
“L’istituzionalizzazione si verifica perché vi è un sostegno insufficiente alle famiglie che vivono in povertà” afferma Mira Antonyan, Presidente del Network sulla Tutela dei Bambini in Armenia, membro della coalizione ChildPact . Il Network è costituito da 39 organizzazioni non governative (ONG) con la quarantesima pronta ad aderire quest’anno. Antonyan è anche direttrice esecutiva  del Centro di sostegno del Fondo armeno per il sostegno di bambini (FAR), membro della rete Child Protection. Secondo le statistiche della Banca mondiale, la metà di tutti i bambini dell’Armenia vive sotto la soglia di povertà. Ciò significa 440.000 bambini.

“I bambini sono stati inviati all’istituto perché avevano bisogno di mangiare, e anche se soffrono, vivendo in questi grandi gruppi, lontani dalle loro famiglie, ottengono qualcosa”, spiega Antonyan. “Abbiamo bisogno di servizi di supporto per ridurre questa sofferenza e riportarli alle loro famiglie.”

Ma anche se il processo di deistituzionalizzazione in Georgia è stato relativamente di successo, ciò non vuol dire che si è sviluppato senza problemi. I circa 1.600 bambini che vivono e lavorano per le strade di Tbilisi, la capitale, e in altre città del paese, lo dimostrano fin troppo bene. E’ una lezione, dice Antonyan, che il network sulla tutela dei bambini si impegna ad evitare in Armenia. Inoltre, è uno dei motivi per cui il ChildPact, la coalizione regionale di reti di protezione dell’infanzia, è incredibilmente utile e importante.

Deistituzionalizzazione

“La deistituzionalizzazione è avvenuta in modo diverso nei vari paesi”, spiega Antonyan. “Alcuni hanno avuto successo, mentre altri non sono riusciti, ma nessuno ha avuto un successo completo. Tuttavia, i successi che abbiamo incontrato attraverso il  ChildPact sono stati molto interessanti e utili per noi. Vi è l’esempio romeno, bulgaro, serbo, e georgiano. Insieme possiamo progettare il nostro piano. Abbiamo voluto questa collaborazione, abbiamo voluto imparare dalle reciproche esperienze, e nei paesi post-sovietici o post-socialisti, molte cose accadono nello stesso modo. ”

Antonyan spiega che diventare parte di ChildPact non è stato una mossa artificiale. È accaduto in modo molto naturale. “Eravamo alla ricerca di questo e siamo molto felici che sia successo”, continua. “La cooperazione regionale consiste nell’imparare l’uno dall’altro, evitando gli errori che altri potrebbero aver sperimentato prima.”

Inoltre, FAR di Antonyan è una delle Ong  in Armenia responsabili di un progetto pilota per promuovere famiglie affidatarie nel paese. Speciale attenzione è stata posta sulla continuità e la permanenza. Lei ci tiene a sottolineare che la deistituzionalizzazione e la promozione di queste famiglie non dovrebbe significare trascurare la famiglia biologica del bambino, ma deve essere vista come una soluzione temporanea fino a quando i problemi specifici che potrebbero portare alla istituzionalizzazione saranno affrontati. E’ anche per questo motivo che ci sono due tipi di affidamento in Armenia – a breve termine (fino a un anno) e a lungo termine (oltre un anno).

“Essendo un tecnico sociale, so che nella società trovi sempre persone che dicono ch eè difficile applicare l’affidamento, ma nel nostro caso penso che sarà facile. Dal 2005 al 2008 abbiamo avuto un programma pilota nelle regioni Lori e Gegharkunik con l’UNICEF e più di 300 famiglie iscritte per diventare genitori affidatari. Queste famiglie sono quelle i cui figli avevano già lasciato casa, oppure coppie che ora sono nonni. Molti dei bambini sono cresciuti e alcuni addirittura si sono arruolati nell’esercito, ma sono sempre tornati dai loro genitori affidatari.”

Famiglie affidatarie

Tatevik Gharibyan, l’unica rappresentante ufficialmente impiegata dal Network di protezione per i bambini in Armenia, è d’accordo. In particolare, dice che come parte del ChildPact, il network armeno ha la possibilità di promuovere e sostenere le questioni di tutela dei minori a livello nazionale e regionale. Lei conferma anche che l’istituzionalizzazione dei bambini in Armenia rimane un problema, in particolare visto che circa l’80 per cento dei bambini in istituzioni ha almeno un genitore.

“Finiscono in istituzioni soprattutto a causa di difficoltà economiche e sociali”, dice Gharibyan “, e circa il 40 per cento dei bambini hanno bisogni speciali. Vi è la necessità di ampliare i servizi alternativi per ridurre il flusso di bambini degli orfanotrofi, istituzioni di cura e istituzioni speciali e scolastiche. Attualmente ci sono solo circa 20 famiglie affidatarie in Armenia. L’istituzionalizzazione ha un impatto negativo su tutti gli aspetti dello sviluppo dei bambini, tra cui quelli intellettuali, fisici, comportamentali e socio-emozionali “.

Un’altra Ong membro del network per la protezione dei bambini, Aravot , è stata coinvolta in un progetto pilota nella regione armena di Lori, per fornire sopporto alle famiglie biologiche di bambini ospitati nelle istituzioni. Quando il programma è iniziato c’erano sette scuole sovietiche nella regione, dalle quali ne sono state selezionate cinque che assistevano bambini con necessità speciali, nonché famiglie socialmente vulnerabili. Le circa 200 famiglie che avevano la possibilità di reintegrazione poi sono state selezionate per un’ulteriore valutazione, prima che 40 fossero scelte.

Ora, ogni anno dal 2006, 50 famiglie lasciano il programma dopo essere state sostenute per un anno, mentre altre 50 sono selezionate per l’inserimento nel programma. Circa 200 bambini sono passati per questo programma in un periodo di quattro anni.

“L’ambiente familiare che sostiene la crescita e lo sviluppo del bambino è considerato più desiderabile che il mandare i bambini in strutture di assistenza”, conclude Gharibyan. “La promozione di meccanismi di assistenza alternativi in ​​Armenia è una delle priorità del ChildPact e della rete di protezione dei bambini.”

Onnik Krikorian James è un giornalista britannico su contratto con ChildPact, coalizione regionale di ONG di protezione dei bambini nella regione del Mar Nero, per aumentare la consapevolezza dei problemi rigaurdanti la protezione dell’infanzia in Armenia e in Georgia.

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Armenia: deputato del Nagorno Karabakh tratta con un gruppo armato barricato in stazione polizia a Erevan (Agenzia Nova 21.07.16)

Mosca, 21 lug 19:56 – (Agenzia Nova) – Un membro del parlamento dell’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh, il generale in pensione Vitali Balasanyan, è attualmente in trattative con i membri del gruppo armato che ha sequestrato l’edificio della polizia di Erevan, in Armenia. Lo riferiscono i media locali, i quali, facendo riferimento alle dichiarazioni di un’esponente del gruppo armato, Pavel Manukian, informano che alle trattative ha preso parte anche l’arcivescovo della Chiesa Apostolica Armena, Pargev Martirosian. Domenica scorsa, un gruppo di uomini armati è entrato nell’edificio della polizia nel territorio della Repubblica Armena e, sotto la minaccia della violenza, hanno preso degli ostaggi. Tra i quattro membri della polizia ancora in mano dei ribelli vi sarebbero anche due ufficiali. La richiesta del gruppo armato è la liberazione dei detenuti che hanno preso parte al conflitto del Karabakh, tra i quali il leader dell’opposizione radicale del Fronte di salvezza nazionale “Nuova Armenia”, Zhirajr Sefiljan, accusato di acquistare illegalmente armi. Le autorità sono in trattative con i membri del gruppo armato. Nei giorni successivi all’occupazione dell’edificio, attivisti dell’opposizione hanno tenuto nella zona diversi meeting. Secondo quanto riferisce l’agenzia russa “Ria Novosti”, nella serata del 20 luglio, i manifestanti hanno chiesto di poter rifornire i ribelli barricati nell’edificio. Al rifiuto della polizia sono partiti scontri tra gli agenti ed i manifestanti. Secondo i dati preliminari, sarebbero rimaste ferite 51 persone, tra cui 28 poliziotti. (Rum)

Armenia, il terzo giorno della crisi degli ostaggi a Yerevan (Askanews 20.07.16)

Yerevan (askanews) – In un mondo che appare sempre più una polveriera a cielo aperto, non si sentiva la mancanza del riesplodere delle tensioni in Armenia. Il 17 luglio un gruppo armato ha fatto irruzione nel quartier generale della polizia nella capitale Yerevan. Un’azione che, sulla scia avvelenata degli avvenimenti turchi, aveva fatto pensare a un altro tentativo di golpe.

Nell’attacco, un poliziotto è morto e altri due sono rimasti feriti nel corso di scontri nei pressi dell’edificio, subito circondato dai mezzi blindati governativi. Il capo della polizia è stato preso in ostaggio insieme ad altri sette colleghi, quattro dei quali sono stati rilasciati nelle ore successive. Gli obiettivi del gruppo sarebbero più circoscritti rispetto alle ipotesi di un innesco di colpo di Stato, limitandosi al rilascio di un leader dell’opposizione, Zhirair Sefilyan, arrestato nel giugno scorso.

Le forze di sicurezza stanno negoziando una resa pacifica del commando che si è impadronito dell’arsenale del comando della polizia di Yerevan e hanno anche chiesto le dimissioni del presidente armeno Serzh Sarkisian.

Sefilyan, capo carismatico del Nuovo fronte di salute pubblica armeno, insieme a sei seguaci è stato arrestato per prevenire azioni eversive nella capitale. Aveva già scontato 18 mesi dopo un altro arresto nel 2006 per avere cercato di organizzare il rovesciamento del governo.

Sefilyan ha violentemente criticato il governo, accusato di aver gestito debolmente la crisi del Nagorno-Karabakh, regione all’interno del vicino Azerbaijan i cui abitanti, in maggioranza di origine armena, hanno proclamato una repubblica autonoma. Scontri tra esercito azero e autonomisti appoggiati dal governo armeno vanno avanti da diversi anni. I più gravi, nell’aprile scorso, sono cessati dopo un accordo negoziato dalla Russia.

Il presidente Sarkisian, ex ufficiale dell’esercito, ha assunto la carica dopo le elezioni del 2008 che fecero registrare violenti scontri tra le forze di sicurezza armene e i sostenitori dello sconfitto leader dell’opposizione, scontri che provocarono una decina di vittime.

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Olimpiadi Rio 2016 – Tutta la squadra dell’Armenia: convocati, partecipanti e qualificati (Oasport.it 20.07.16)

 L’Armenia parteciperà ai Giochi Olimpici di Rio 2016 con una delegazione di 33 atleti in otto discipline differenti.

ATLETICA
Levon Aghasyan (salto triplo maschile)
Gor Nerkararyan (salto in lungo maschile)
Gayane Chiloyan (200 metri femminili)
Lilit Harutyunyan (400 metri ostacoli femminili)
Diana Khubeseryan (200 metri femminili)
Amaliya Sharoyan (salto in lungo femminile)

BOXE
Artur Hovhannisyan (pesi mosca leggeri maschili)
Narek Abgaryan (pesi mosca maschili)
Aram Avagyan (pesi gallo maschili)
Hovhannes Bachkov (pesi superleggeri maschili)
Vladimir Margaryan (pesi welter maschili)

GINNASTICA ARTISTICA
Artur Davtyan (maschile)
Harutyun Merdinyan (maschile)
Houry Gebeshian (femminile)

JUDO
Hovhannes Davtyan (60 kg maschile)

TIRO
Hrachik Babayan (carabina 10 m, carabina 50 m tre posizioni maschile)

NUOTO
Vahan Mkhitaryan (50 m stile libero maschile)
Monika Vasilyan (50 m stile libero femminile)

SOLLEVAMENTO PESI
Andranik Karapetyan (77 kg maschile)
Arakel Mirzoyan (85 kg maschile)
Simon Martirosyan (105 kg maschile)
Ruben Aleksanyan (+105 kg maschile)
Gor Minasyan (+105 kg maschile)
Nazik Avdalyan (69 kg femminile)
Sona Poghosyan (75 kg femminile)

LOTTA
Garnik Mnatsakanyan (57 kg libera maschile)
David Safaryan (65 kg libera maschile)
Georgy Ketoyev (97 kg libera maschile)
Levan Berianidze (125 kg libera maschile)
Migran Arutyunyan (66 kg greco-romana maschile)
Arsen Julfalakyan (75 kg greco-romana maschile)
Maksim Manukyan (85 kg greco-romana maschile)
Artur Aleksanyan (98 kg greco-romana maschile)

Armenia: crisi degli ostaggi (Osservatorio Balcani e Caucaso 18.07.16)

La capitale armena Yerevan vive ancora momenti di tensione dopo che ieri un gruppo di uomini armati ha fatto irruzione in una stazione di polizia prendendo in ostaggio alcune persone

18/07/2016 –  Simone Zoppellaro Yerevan

Una notte è passata senza che la crisi degli ostaggi in corso a Yerevan si sia risolta. Uno stallo, tutti con il fiato sospeso. Gli ostaggi sono ancora in mano degli insorti nel quartiere di Erebuni, a più di 24 ore dall’attacco alla caserma. Alta è la tensione.

Ieri per la capitale armena è stata una giornata infinita, iniziata alla prime luci dell’alba, ma non è bastato. Oltre a un morto, confermato, ci sono stati alcuni feriti negli scontri fra la polizia e gli assalitori. Centinaia di fermi di polizia e arresti sono stati effettuati dalle forze dell’ordine nella capitale e in altre città. Una parte delle persone è già stata rilasciata. Ma gli insorti sono soli, isolati, e il loro appello di scendere in piazza e protestare contro il governo è caduto nel vuoto.

Ma procediamo con ordine. Ieri, verso le 5 del mattino ora di Yerevan, un gruppo di uomini armati ha preso d’assalto una stazione di polizia nel quartiere di Erebuni. Come riportato dalla versione armena di Radio Free Europe, una donna residente nei paraggi ha raccontato di aver sentito diverse esplosioni seguite da colpi di arma da fuoco.

Un poliziotto è morto negli scontri, Artur Vanoyan, padre di tre figli, e due suoi colleghi sono rimasti feriti. Due feriti ci sono stati anche dalla parte degli assalitori. Secondo quanto riportato dal parlamentare Pashinyan, sopraggiunto in seguito per tentare una mediazione, ci sarebbero almeno 26 insorti presenti nella stazione di polizia. Alcuni di loro, secondo quanto riferito dai media in queste ore, sarebbero veterani del conflitto in Nagorno-Karabakh. Il gruppo si fa chiamare “Sasna Tsrer”, dal nome di un antico poema epico armeno, e fra loro c’è anche il parlamentare Varuzhan Avetisyan.

Al momento dell’assalto sono stati presi in ostaggio otto poliziotti, uno dei quali è stato subito rilasciato. Fra gli ostaggi, anche il vice capo della polizia armena, Vartan Yeghiazaryan, e il numero due della polizia di Yerevan, Valeri Osipyan, tenuto in ostaggio – secondo quanto riportato dal portale di news Civilnet – dopo essere sopraggiunto per cercare una mediazione con gli assalitori.

Gli insorti hanno diffuso un video in cui chiedono l’immediato rilascio di Jirair Sefilyan, leader del loro movimento politico e popolare eroe della guerra in Nagorno-Karabakh, che era stato arrestato a fine giugno per possesso e trasporto di armi illegali. Un arresto che molti armeni ritengono politicamente motivato, data anche la posizione intransigente con la quale Sefilyan si oppone a qualsiasi possibile accordo con l’Azerbaijan per la questione del Karabakh.

Gli insorti hanno chiesto inoltre il rilascio di altri prigionieri e le dimissioni del presidente armeno Serzh Sargsyan, chiedendo all’esercito di ribellarsi e alla popolazione di scendere per strada a protestare. Né l’una né l’altra cosa sono però avvenute, a dimostrazione dell’isolamento del gruppo di assalitori, nonostante la popolarità di Sefilyan.

Sdegno è stato espresso invece da molti armeni, anche attraverso i social media, per l’ondata di arresti e fermi di polizia che sono seguiti all’assalto alla stazione di polizia. In molti casi, a essere presi di mira sono stati uomini ritenuti vicini a Sefilyan e agli insorti.

In seguito all’assalto, la polizia ha provveduto a chiudere alcune strade del quartiere, sono stati schierati cecchini e alcuni mezzi corazzati. È iniziata un’infinita mediazione che però non ha prodotto, a più di 24 ore dall’accaduto, alcuna soluzione. La crisi degli ostaggi di Yerevan prosegue, mentre sono in molti a temere che si giunga a un ulteriore spargimento di sangue.

Il Servizio di Sicurezza armeno ha rilasciato nella giornata di ieri due dichiarazioni ufficiali sull’accaduto, in cui si legge che le “autorità armene hanno il pieno controllo della situazione e hanno intrapreso tutte le misure necessarie per risolvere la questione”. Nei documenti, si conferma inoltre che sono in corso negoziazioni con gli insorti. Eppure lo stallo prosegue a Yerevan.

Molto spazio è stato dato in queste ore dai media internazionali alla crisi armena, ma si tratta in parte di un equivoco che parte dal presupposto che sia messa a rischio – come avvenuto in Turchia poco prima – la sicurezza dello stato. In realtà la situazione in Armenia è molto diversa, e dipende in larga parte da dinamiche locali, in parte personali, in parte determinate dai quattro giorni di feroci combattimenti che si sono avuti in Karabakh a inizio aprile.

Una svolta, nella politica della regione. Le autorità armene hanno a lungo esitato nel riconoscere la perdita di alcuni chilometri nella frontiera del Karabakh, e subito dopo l’accaduto è tornata all’attenzione del pubblico la necessità urgente di cercare un accordo di pace, mai raggiunto in questa guerra infinita.

Nel dibattito è intervento anche il veterano Jirair Sefilyan, uomo di riferimento degli insorti, che ha criticato in maniera molto ferma il presidente e il governo per il territorio perduto e ogni possibile concessione all’Azerbaijan. Duro, intransigente e ultra-nazionalista, Sefilyan è un sintomo di una politica, quella armena, in cui pesa ancora molto l’elemento militare. Diversi esponenti di spicco e parlamentari sono infatti veterani di quell’esperienza, e la componente del Karabakh è una fetta importante del potere armeno di oggi, a iniziare dallo stesso presidente Sargsyan – che è originario della regione contesa.

L’arresto di Sefilyan, avvenuto a fine giugno, ha fatto molto scalpore, e sono molte le voci che ho raccolto a Yerevan che lo ritenevano un atto politicamente motivato. Ancora una volta, purtroppo, la politica armena fa ricorso alla violenza. Se sono in molti in queste ore, nei social media armeni, a ritenere in parte fondate le critiche mosse dagli insorti alle autorità – anche e soprattutto in merito alla deriva autocratica che starebbe prendendo il partito di governo – è unanime la condanna al ricorso alla violenza come possibile soluzione.

Durante la notte è avvenuto il rilascio di alcuni ostaggi, e l’esitazione delle autorità armene a ricorrere alla forza per risolvere la crisi si spera sia un buon auspicio. Presto per dirlo, però. A Yerevan può ancora accadere di tutto.

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Fino al 17.VII.2016 Claudio Gobbi, Arménie Vill eFondazione Fotografia, Modena (Exibart 18.07.16)

È un percorso iniziato nel 2007 quello di Claudio Gobbi, classe 1971, che a Parigi nel corso di una residenza presso la Cité Internationale del Arts concepisce un progetto che raccolga e racconti l’architettura sacra armena, non a caso in quell’anno in Francia si celebra l’Anno dell’Armenia.
Sono tutte immagini di chiese armene che Gobbi scatta in vari angoli di mondo e non solo. L’indagine si compone di scatti ritrovati sul web, in archivi francesi, tedeschi, georgiani, armeni e lavori commissionati ad altri artisti, testimonianze visive raccolte in sette anni. Il materiale d’archivio e fotografico proviene da epoche differenti, il progetto di Gobbi non si cura della profondità temporale, anzi ne abbatte il limes al fine di voler rendere evidente come l’architettura armena sia rimasta fedele ad uno stesso stile per oltre 1500 anni. Gli edifici immortalati si compongono nella medesima e semplice maniera: una struttura compatta e lineare, sulla quale svetta centralmente una cupola (gmbet), simbolo della volta celeste.
Se non fosse per le didascalie le centoventi immagini scattate dall’artista parrebbero raccolte in anni e in luoghi geografici non troppo distanti tra loro. I paesi attraversati, invece, sono oltre venticinque, dall’Armenia al Caucaso, dall’Europa alla Russia e le immagini ricoprono un arco temporale che va dall’Alto Medioevo ad oggi. Paesaggi e tempo cambiano ma l’edificio sembra non rispondere alla caducità e ai cambiamenti della storia, rimanendo fedele a se stesso e temporalmente immobile.
Armenia: la storia di un popolo migrante ed in costante tensione, ostacolato da una sfavorevole posizione geografica ad alto rischio di isolamento politico ed economico ed incerti confini culturali, l’eterna divisione tra Oriente ed Occidente che trova un punto d’unione in un edificio di culto, divenendo una certezza fisica riscontrabile in più luoghi.
Armenie ville si presenta come il terzo capitolo di una trilogia, i cui primi due capitoli erano Persistence e Within, rispettivamente sui teatri e sui giardini alla giapponese, entrambi volti alla ricerca di identità culturali diffuse sul territorio europeo, anche se il progetto in mostra alla Fondazione Fotografia di Modena vuole anche essere una riflessione sullo stato attuale della fotografia.
Le fotografie di piccolo formato si combinano uniformemente sulla parete bianca come un mappamondo senza date o altri riferimenti, è un percorso attraverso spazio e tempo ma contemporaneamente è questa una ricerca sospesa nel tempo, che Gobbi racconta con foto e reperti archivistici e in uno splendido libro d’artista.

Armenia, gruppo armato per strade della capitale – Presa d’ostaggi (Rassegna 17.07.16)

(ANSA) – ROMA, 17 LUG – Uomini armati che fanno capo al leader dell’opposizione armena, Jirair Sefilian, hanno fatto irruzione in una stazione di polizia a Yerevean, ucciso un ufficiale e tengono sette poliziotti in ostaggio. Lo riferisce la Bbc. Il gruppo chiede la liberazione del leader e di altri prigionieri politici e invita la popolazione a scendere nelle piazze per protesta. Sefilian ha fortemente criticato il presidente Serge Sarkisian per come ha gestito il conflitto sul Nagorno-Karabakh, l’enclave armena in Azerbaijan.


Armenia, assalto alla stazione di polizia: «Tentato golpe» Corriere delle Sera 17.07.16

Armenia, gruppo armato per strade della capitale – Il Giornale 17.07.16

Presa d’ostaggi in Armenia RSI News 17.07.16

Un gruppo armato ha assaltato la sede della polizia in Armenia TPI-it 17.07.16

 

Papa Francesco in Armenia tra libertà negate e tensioni sociali (Il Primato Nazionale 14.07.16)

Roma, 14 lug – Il Papa sta visitando il Caucaso in questi mesi del 2016. Una prima visita ha toccato l’Armenia, dal 24 al 26 giugno, mentre si recherà in Georgia e Azerbaigian  dal 30 settembre al 2 ottobre. Ed è’ infatti proprio degli ultimi giorni la divulgazione del dettaglio del programma. Ma la visita del Sommo Pontefice nella cristiana Armenia potrebbe però da subito gettare una luce diversa sul viaggio ecumenico del papa che oltre a visitare le comunità cristiane locali, l’antica chiesa armena, dovrebbe forse esprimersi sulle spiacevoli vicende di escalation di tensioni interne al paese. Alla vigilia dello sbarco di Francesco in Armenia sono infatti iniziate delle proteste di attivisti per i diritti umani, che sono proseguite durante tutta la visita del papa. Al centro della vicenda l’appello del comitato per i prigionieri politici in Armenia, con sede in Francia, che si è rivolto a papa Francesco chiedendo di aderire alla petizione per la liberazione di Zhirayr Sefilyan, personaggio centrale delle tragiche vicende legate al conflitto del Nagorno Karabak. Zhirayr è considerato da molti, in Armenia, un eroe nazionale. Già decorato con la croce del combattimento di prima classe per meriti di guerra è oggi promotore del “new armenian front“, il gruppo politico che denuncia da tempo il presidente Serzh Sarkisian per i suoi modi definiti anti democratici e per la vasta corruzione che investe l’apparato politico armeno. Il comitato ha esortato il papa a non restare indifferente di fronte al problema degli arresti degli oppositori al presidente e di discuterne con la leadership armena per ottenere una mediazione nei confronti dei detenuti. Zhirayr Sefilyan era stato arrestato il 20 giugno con l’accusa di voler organizzare con altri un assalto ad alcuni palazzi di importanza statale nello scorso aprile e di detenere armi e munizionamento vario. Per questo Selifyan è stato trasferito in un penitenziario dopo che la corte ha stabilito l’arresto come misura restrittiva nei suoi confronti, che pero’ gli attivisti sostengono basato su una falsa accusa per eliminare una voce scomoda nel panorama politico armeno. Sefilyan non ha mai risparmiato critiche aspre alla giunta definendola autoritaria e criminale ed evidenziando le crepe del suo insuccesso politico che porterebbe all’impoverimento del popolo armeno, alla perdita di reputazione internazionale, al fallimento militare nello scontro con l’esercito dell’Azerbaigian nello scorso aprile, al collasso dell’economica e alla totale dipendenza dell’Armenia da un altro stato, la Russia, che ad oggi ne controlla e protegge i confini.

Altra ragione di protesta è il referendum “antidemocratico” del 2015 che ha permesso al presidente, Serzh Sarkisian, di mantenere il suo controllo del potere auto- attribuendosi tempi più lunghi per il suo secondo mandato presidenziale che ora andrà a concludersi nel 2018. Il referendum si è svolto con gravi brogli, così come è stato dichiarato dagli osservatori dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. La lista dei prigionieri politici in Armenia è composta da 14 nomi per i quali i comitati per i diritti umani si battono a gran voce. Si tratterebbe di Voloda Avetisyan, Shant Arutunyan, Alek Pogosyan, Avetis Avetisyan, Liparit Petrosyan, Vardan Vardanyan, Vage Mkrtichyan, Albert Margaryan, Sevak Mnachakanyan, Ayk Arutunyan, Mkrtich Ovannisyan, Ayk Kuregyan, Gevork Safaryan, e appunto Zhirayr Sefilyan. Per questi attivisti reclusi si era pensato, in occasione della visita del Papa, di organizzare un flash-mob di iniziativa civica ma secondo la dichiarazione rilasciata dal gruppo di opposizione radicale “armenia’s founding parliament“, la polizia ha massicciamente violato il diritto di libertà e movimento di centinaia di persone inficiando la protesta. “Le azioni della polizia sono apparentemente illegali e violano i fondamentali diritti umani e la libertà” si legge dalla dichiarazione del gruppo che dichiara che tra i nuovi arrestati vi sarebbero: Shahen Harutyunyan, Gagik Yeghiazartyan, Ramik Manukyan, Tigran Manukyan, Vahram Petrosyan, Paylak Tevanyan, il giornalista Tigran Mazmanyan , Tigran Kirishchyan, Elmon Yeghnukyan, Mikayel Nazaryan, Sergey Kyureghyan, Nerses Gevorgyan, Sevak Manukyan and Hovhannes Ghazaryan. Anche il famoso scrittore armeno Gaspari che aveva ricevuto udienza dal pontefice e che avrebbe dovuto consegnare una nota al papa è stato bloccato quando la polizia ha voluto ispezionare il testo.

Da sottolineare che, all’inizio di quest’anno, il Comitato Direttivo del Forum della Società Civile del Partenariato Orientale ha espresso la sua preoccupazione per il crescente numero di violazioni dei diritti umani di attivisti civili e politici da parte delle autorità armene. “Dall’inizio del 2016, le autorità armene hanno inasprito la repressione contro gli oppositori politici e arrestando un altro attivista hanno aumentato il numero dei prigionieri politici a 13. La situazione è aggravata attraverso l’uso da parte delle autorità di strumenti palesi di pressione contro i prigionieri politici che sono attualmente in carcere. Gli attacchi e le minacce contro i giovani oppositori, attivisti civili e difensori dei diritti umani sono diventati più frequenti “, dice un comunicato stampa del 1 febbraio scorso del Forum della Societa’ Civile del Partenariato Orientale.

In questo ambito di gravi restrizioni e violazioni di diritti umani, di cui i media raramente parlano, si colloca la notizia di questi giorni della chiusura dell’ultimo mezzo di comunicazione dell’opposizione in Armenia, che forniva informazioni trasparenti, il portale “Prima informazione”  (http://www.1in.am/). Esso era attivo dal 2010, e aveva cercato di rappresentare il primo e imparziale mezzo di informazione armeno. E’ stato il portale stesso, con un comunicato, a dichiarare la cessazione delle attività. D’altra parte questo episodio si colloca in un contesto di gravi problemi con la libertà di stampa in Armenia.  Ricordiamo che il 23 giugno 2015, giornalisti provenienti da vari media sarebbero stati aggrediti, maltrattati, verbalmente aggrediti e arrestati dalla polizia mentre seguivano una manifestazione pubblica a Yerevan. Inoltre ci sono stati una serie di casi di giornalisti ostacolati nello svolgimento delle loro funzioni mentre si occupavano, il 6 dicembre scorso, del referendum sulle riforme costituzionali in Armenia. In entrambi i casi la Rappresentante OSCE per la libertà dei media Dunja Mijatović ha espresso preoccupazione per i casi di ostruzione e di minacce nei confronti di giornalisti e ha evidenziato come la sicurezza dei giornalisti deve essere garantita in ogni momento.

Alberto Palladino

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