Armenia: le critiche dell’OSCE sul referendum costituzionale (Osservatorio Balcani e Caucaso 11.02.16)

L’OSCE boccia il referendum costituzionale tenutosi lo scorso 6 dicembre in Armenia. Secondo il rapporto del team di esperti dell’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e i Diritti Umani (ODIHR) dell’organizzazione di sicurezza pan-europea, la modalità con cui si è tenuto il referendum “riflette l’assenza di azioni significative nei tre anni precedenti per affrontare le precedenti raccomandazioni fatte dall’OSCE/ODIHR per migliorare la fiducia della cittadinanza nel processo elettorale, tra cui assicurare l’accuratezza dei registri elettorali, prevenire l’abuso di risorse pubbliche nella campagna elettorale, e rafforzare le garanzie contro le irregolarità nel giorno del voto e l’efficacia dei meccanismi di ricorso e responsabilità”.

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La legislazione armena è stata addirittura modificata, a monte del referendum, per permettere ai funzionari pubblici armeni di partecipare alla campagna referendaria. Si è permesso così che le risorse dell’amministrazione pubblica venissero messe a disposizione dei comitati per il “sì”, opzione sostenuta dai partiti della maggioranza.

Il rapporto OSCE ha anche denunciato seri casi di intimidazioni e frode elettorale durante la conta dei voti in due seggi della capitale Yerevan, pur specificando come la limitata dimensione della missione internazionale non consenta all’OSCE di valutare se tali violazioni siano state sistematiche o meno. Tali rilievi sul processo elettorale sono stati fatti anche da cittadini, gruppi dell’opposizione e organi d’informazione nel paese.

Dal canto suo il governo armeno rigetta tutte le accuse.  Per il presidente della Commissione elettorale centrale dell’Armenia, Tigran Mukuchian, “il rapporto [OSCE] trae conclusioni basate su voci e articoli giornalistici che devono essere verificati”.

Secondo i dati ufficiali, il 50,5% degli armeni è andato alle urne, e il 63,3% di loro ha approvato le riforme, che trasformano l’Armenia da un sistema semi-presidenziale ad un sistema parlamentare. Ma per l’opposizione il governo ha falsificato i risultati e gonfiato i dati sulla partecipazione alle urne. Secondo l’analista di OSW Maciej Falkowski, “paradossalmente cambiare la Costituzione preserverà il sistema politici in Armenia.” Per Falkowski “il Partito Repubblicano d’Armenia, che ha monopolizzato il potere, è un’emanazione dell’élite oligarchico-burocratica che controlla la vita politica ed economica del paese.”

Secondo quanto riporta Azatutyun, il capo della Delegazione UE in Armenia, Piotr Switalski, ha affermato che l’élite politica armena dovrebbe “prendere in seria considerazione” le conclusioni del rapporto OSCE. “Il processo e la legislazione elettorale hanno bisogno di essere migliorati, e il rapporto ne è un’ulteriore prova.” Altrimenti, “ci sarà un’atmosfera di sospetto e di mancanza di fiducia, e l’immagine internazionale dell’Armenia ne soffrirà”.

Entro fine mese i parlamentari armeni inizieranno a discutere di una nuova legge elettorale. Per la delegazione UE sarà importante che essa venga approvata in maniera consensuale, con il contributo dell’opposizione. Secondo il deputato di maggioranza Hovannes Sahakian, le autorità armene “prenderanno in considerazione” le raccomandazioni dell’OSCE nel corso del dibattito.

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ASIA/TURCHIA – Perizia medica conferma: il Patriarca armeno di Costantinopoli ha bisogno di un “tutore” (Agenzia Fides 10.02.16)

Istanbul (Agenzia Fides) – L’organismo sanitario incaricato dai magistrati turchi di verificare le condizioni di salute del Patriarca armeno di Costantinopoli, Mesrob II, ha confermato lo stato di demenza sofferto dal Patriarca e la necessità di nominare un tutore autorizzato a prendere decisioni in sua vece. Nel rapporto sanitario emesso in merito dall’ospedale armeno Yedikule Surp Pırgic – riferiscono fonti turche consultate dall’Agenzia Fides – si certifica che il Patriarca non è assolutamente in grado di esercitare la sua libera volontà, e che non servono ulteriori accertamenti di carattere sanitario o legale per confermare la diagnosi.
Il Patriarca Mesrob II, formalmente ancora titolare della sede patriarcale armena di Costantinopoli, è stato colpito nel 2008 da una forma virulenta di morbo di Alzheimer che lo ha reso in breve tempo totalmente inabile. Da allora, in seno alla comunità armena apostolica della Turchia si è aperto un dibattito – a tratti non privo di tensioni – sulla possibile successione del Patriarca, che sopravvive in una condizione vegetativa, in virtù degli strumenti che ne assicurano la respirazione e l’alimentazione artificiale.
Dal 2008 le funzioni di Vicario del Patriarca sono state assolte dal Vescovo Aram Ateshian. Negli ultimi anni, membri autorevoli della comunità armena presente in Turchia hanno ricominciato a sostenere l’opportunità di eleggere un Co-Patriarca con funzioni piene, che assuma la guida del Patriarcato. La proposta deve trovare l’appoggio dei vertici del Patriarcato e poi essere sottoposta, in forma di richiesta, al Ministero degli Interni. I regolamenti, risalenti all’epoca ottomana, consentono di eleggere un nuovo Patriarca armeno solo quando la sede è vacante per la morte del titolare. (GV) (Agenzia Fides 10/2/2016)

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«Nessuna sepoltura per mia madre armena» (Corriere della Sera 10.02.16)

C’è un «orrore nell’orrore» che merita di essere sottolineato, nel genocidio armeno (1915-16) di cui è appena ricorso il centenario: le immani sofferenze e la morte atroce che dovettero patire, negli infuocati deserti di pietra dell’Anatolia orientale, centinaia di migliaia di donne e ragazze armene.

Dopo avere incarcerato, torturato e trucidato tutta la popolazione maschile adulta, la violenza dei Turchi Ottomani si scatenò con inusitata ferocia contro la parte femminile della nazione armena, affinché a quel popolo non fosse concesso di ricostituirsi e riprodursi all’interno dei confini dell’impero. Esiste, anche sotto questo aspetto, un’ampia e ben documentata letteratura.

Nella società e nella famiglia armena la donna era rispettata, sulla base di tradizioni antichissime.

Le madri ricoprivano un ruolo preminente: guidavano con piglio e dolcezza la vita domestica e sovraintendevano all’educazione dei figli. Tutte le ragazze, al pari dei loro fratelli maschi, ricevevano una buona istruzione scolastica. Gli armeni occupavano una posizione economica e sociale di rilievo, poiché costituivano una minoranza colta, benestante e cristiana, in un impero a larga maggioranza musulmana, povera e non alfabetizzata, eccezion fatta per l’élite al potere nella burocrazia e nell’esercito.

Haigaz chiamava: «Mikael… Mikael…» (LibriLiberi, Firenze) la testimonianza di Michel Mikaelian che da bambino sopravvisse miracolosamente alle deportazioni, concorre a documentare questo genocidio, che vede unanimi le ricostruzioni degli storici, sulla base delle testimonianze di protagonisti e sopravvissuti – in contrasto ovviamente con la versione ufficiale della propaganda turca.

Ai vecchi, ai bambini, ma soprattutto alle donne armene toccò in sorte la fine peggiore. Le nonne, le madri e le figlie di Armenia furono deportate in lunghe carovane della morte, «destinazione il nulla», con marce forzate sotto un sole torrido, senza quasi poter mangiare né bere. Morirono dapprima le più anziane, impossibilitate a procedere per le gambe gonfie e i piedi feriti; le ragazze più giovani e attraenti furono rapite o vendute, per essere schiavizzate negli harem turchi o nei villaggi curdi. Durante le soste notturne, in accampamenti precari, le ragazzine si videro strappare brutalmente la verginità dalla soldataglia ottomana, che le violentava a turno, incurante delle grida di disperazione delle madri impotenti. Quasi tutte infine perirono di stenti, arse dalla sete e falciate dalle malattie. Alcune infelici si diedero spontaneamente la morte, gettandosi nelle acque torbide del Mourad o dell’Eufrate, per sfuggire agli abusi e porre fine a un tormento insopportabile.

Anche Fethiyè Cetin, la coraggiosa avvocatessa molto nota in Turchia per il suo attivismo in difesa dei diritti civili (che le è costato, fra l’altro, tre anni di carcere) ha raccontato in un libro del 2004 il doloroso passato familiare. Heranush – Mia nonna (Alet Edizioni) narra di Seher, la matriarca che ha sempre avuto un debole per quella nipote così intelligente e dotata, e che un giorno le rivela: «Io non mi chiamo Seher, mi chiamo Heranush. Io non sono turca, sono armena. Un giorno sono venuti i gendarmi, e hanno ucciso gli uomini, li hanno sgozzati e gettati nel fiume. Le donne e i bambini sono stati mandati in esilio…». Heranush, 9 anni, viene strappata alla mano di sua madre, della quale non saprà più nulla. Solo molti decenni più tardi sua nipote scoprirà che nelle vene della famiglia scorre il «sangue corrotto» del popolo armeno.

Heranush appartiene al «resto della spada», come Mikaelian, che per salvarsi abbandona il fratellino di neanche due anni, sordo ai suoi richiami, e si allontana senza voltarsi.

Il sopravvissuto dedica al calvario delle donne armene parole dolorose: «Alla fine, solo pochissime fra voi arriveranno sul luogo dell’ultima tappa, negli immensi deserti di Derzor roventi di sabbia. Dopo tutte quelle terribili prove, sopravvissute per miracolo, renderete l’ultimo respiro in quelle terre torride e inospitali».

L’adolescente rivive lo struggente ricordo di sua madre, che rifiuta la proposta di un turco amico di famiglia di trasferirsi da lui, per evitare la deportazione: «Figli miei, nessuno di noi, mai, sarà musulmano. Preferisco morire fra mille sofferenze nelle sabbie infuocate del deserto». E così sarà: qualche settimana dopo, il giovane Mikael abbandonerà ai piedi di un arbusto il corpo senza vita di Arussiag, che diverrà presto «il festino dei topi e dei corvi». Nessuna sepoltura per una madre armena.

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Teatro Spazio Bixio, in scena il genocidio degli Armeni (Vicenzareport 09.02.16)

Cento anni sono trascorsi dal Metz Yeghern, il “Grande Male”. Cento anni di storia, prima dimenticata, poi negata nonostante la mobilitazione internazionale. Tra massacri e deportazioni furono circa un milione e mezzo di persone a perdere la vita in uno dei più sanguinosi eccidi dei tempi moderni, che prese avvio nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915 quando furono eseguiti i primi arresti tra l’élite armena di Costantinopoli. Su questa drammatica, e troppo spesso dimenticata, pagina di storia contemporanea fa luce Theama Teatro con due eventi di commemorazione per il Centenario del genocidio degli Armeni, in programma rispettivamente il 12 e il 13 febbraio, alle 21, al Teatro Spazio Bixio di Vicenza.

Il primo è il concerto “In memoria di Padre Komitas”, curato dal musicista vicentino Giuseppe Dal Bianco, mentre il secondo è “Non colpevole… !”, una produzione di Nautilus Cantiere Teatrale con l’ideazione di Adriano Marcolini. Due appuntamenti per non dimenticare, inseriti all’interno della rassegna “Mai così vicini”, realizzata e promossa da Theama Teatro in collaborazione con il Comune di Vicenza. Per quanto riguarda il primo, è un concerto di musica armena, con Giuseppe Dal Bianco (dudùk armeno, shofar, flauto traverso, flauti etnici), Giuseppe Laudanna (tastiere), Mauro Lazzaretti (voce recitante). Compositore, etnomusicologo, paleografo musicale, Komitas fu uno dei primi intellettuali armeni ad essere arrestato quella notte di primavera del 1915, vivendo in prima persona la deportazione. Non venne ucciso, si salvò, ma dovette assistere alle peggiori atrocità verso il suo popolo. E’ considerato il padre della moderna musica armena ed il concerto è dedicato alla sua memoria.

Venendo al secondo appuntamento, “Non colpevole… !” rievoca idealmente lo sviluppo del processo intentato a Berlino nel 1921 contro Soghomon Tehlirian, uno studente armeno riparato in Germania accusato di aver assassinato l’ex Ministro ottomano degli Interni, Talaat Pascià. L’omicida è stato arrestato subito dopo aver commesso il delitto ed è reo confesso, ma il processo, apparentemente semplice, assumerà via via caratteri inaspettati giungendo, alla fine, ad una sorprendente conclusione. Lo spettacolo è scritto e diretto da Adriano Marcolini, che va in scena con Mara Santacatterina e Manuel Bendoni di Nautilus Cantiere Teatrale, accompagnati dal caldo suono del dudùk di Aram Ipekdjian. I biglietti sono disponibili a partire da un’ora prima dell’inizio dello spettacolo, presso la biglietteria del Teatro Spazio Bixio, ma si consiglia sempre la prenotazione. Per informazioni e prenotazioni: www.spaziobixio.com.

A Settembre il viaggio di Bergoglio in Armenia (In Terris 09.02.16)

Ecumenismo e misericordia sono le parole che contraddistinguono il pontificato di Papa Bergoglio. A confermarlo sono anche le destinazioni dei viaggi apostolici. Da poco si è messa in moto la macchina organizzativa che porterà Francesco in Armenia. Il Santo Padre spera di volare presto nel paese che lo scorso anno ha commemorato il centenario del “Grande Male”, ovvero lo sterminio perpetrato dall’Impero Ottomano. Un viaggio che potrebbe fare tappa anche in altre due repubbliche ex sovietiche del Caucaso, la Georgia e l’Azerbaigian. Ipotizzato per fine giugno, è stato rimandato per la concomitanza con il Sinodo panortodosso, che lo ha reso difficile se non impossibile, poiché Francesco si recherebbe in un paese ortodosso, la Georgia, mentre il patriarca di quella Chiesa è impegnato nell’assise sinodale a Creta.

La visita pastorale in Armenia è delicata anche per quanto riguarda i rapporti con la Turchia. Le relazioni tra Vaticano e il governo di Ankara, infatti, sono ritornati nei giorni scorsi alla normalità, col ritorno a Roma dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede, dopo la crisi scoppiata un anno fa quando il Papa, durante una celebrazione in San Pietro, ripeté le parole di Giovanni Paolo II sul “primo genocidio del XX secolo” durante le celebrazioni del centenario dello sterminio degli armeni avvenuto nel 1915.

Nei giorni scorsi le autorità turche hanno notevolmente apprezzato il fatto che nei comunicati della Sede Apostolica quella parola non fosse più usata, ma si parlasse solo di “tragici eventi” del 1915. Visitare l’Armenia è da tempo un grande desiderio di Bergoglio, che ha atteso a realizzarlo dopo aver visitato prima la Turchia e dopo aver evitato di compiere la sua visita proprio nel centenario dei “tragici eventi del 1915”.

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L’odissea degli armeni dell’Ulisses (Corriere 09.02.16)

Sarà che da quelle parti, a Erevan, capitale dell’Armenia, i poemi omerici forse non sono inseriti nel programma della scuola dell’obbligo, e quindi magari non li conoscono benissimo, ma se è vero che il destino è nel nome allora la colpa è di chi nel 2006 ha avuto la pessima idea di cambiare quello vecchio, Dinamo-Zenith, che suonava forse un filo troppo sovietico, per passare al più pomposo Ulisses Football Club: è finita, ovviamente, con un’odissea. Oggi è la peggior squadra d’Europa, 2 punti in 15 partite nella Bardsragujn Chum, la A armena, media terrificante di 0,13 per gara, la miseria di 8 gol fatti e ben 37 subìti, quasi due e mezzo alla volta: dietro, fra tutte le massime serie di tutte e 54 le federazioni affiliate all’Uefa, non c’è nessuno.

E mica è finita qui. Perché alla profonda crisi tecnica si è aggiunta quella finanziaria, forse addirittura peggiore. Tanto che il proprietario del club, un certo Valeri Hovhannisyan fra l’altro dirigente pure dei russi di serie B del Torpedo Armavir, il 3 febbraio sul profilo Facebook ufficiale del club ha annunciato che la squadra non si ripresenterà in campo nel girone di ritorno: «Durante l’inverno le abbiamo provate tutte — ha scritto —. A un certo punto sembrava che avremmo risolto i problemi ma non c’è stato nulla da fare. Mi spiace molto, io vivo un doppio dolore». Già, perché oltre all’odissea di risultati e societaria, c’è pure quella giudiziaria: per non farsi mancare niente l’Ulisses è finito dentro a una brutta storie di partite truccate. Come riportato dall’agenzia di stampa Arka, il 12 gennaio l’allenatore Gagik Simonyan è stato arrestato dal Servizio di Sicurezza Nazionale assieme al terzino Hayk Hunanyan e a un altro paio di tesserati, tutti accusati di violazione dell’articolo 201 del codice penale armeno («corruzione di partecipanti di sport professionisti»).

Chissà come si dice «fiasco» in armeno. O «delusione». Perché gli esordi non erano stati neanche male: fondata nel 2000, a un certo punto la società biancorossa aveva creduto di poter far le cose in grande, e in realtà qualche buon risultato era anche arrivato, tipo la vittoria del campionato nel 2011, o le quattro partecipazioni ai primi turni di Europa League (l’estate scorsa è stata eliminata dal Birkirkara di Miccoli, 0-0 e 1-3). Poi, l’odissea. «Vi prego, ripensateci» scrive un tifoso su Facebook. Chissà, in fin dei conti anche Ulisse un giorno riuscì a tornare a casa.

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Stage a Grosseto per la nazionale armena (Il Tirreno di Grosseto 08.02.16)

GROSSETO. La nazionale armena di pugilato sarà a Grosseto per uno stage di allenamento in vista delle Olimpiadi di Rio de Janeiro in programma ad agosto.

La rappresentativa dello stato che ha fatto parte dell’ex Unione Sovietica ha scelto la maremma per una prima fase di preparazione atletica e tecnica che si svolgerà nella palestra della Fight Gym da giovedì 18 febbraio a lunedì 7 marzo.

In vista del più importante obiettivo stagionale, a cui molte rappresentative cercheranno di presentarsi nelle migliori condizioni e con consolidate ambizioni di medaglia, la nazionale armena porterà a Grosseto l’intero entourage formato da istruttori e pugili, undici in totale, dei quali dieci saliranno sul ring affiancati da un pugile accompagnatore. Le fatiche dentro la palestra grossetana per sei uomini e quattro donne (che si presenteranno con la maglia della nazionale rosso-arancio-blu) saranno legate anche alla disputa di un paio di dual match Italia-Armenia che si svolgeranno, durante le due settimane di permanenza degli atleti, uno a Grosseto e l’altro a Roma. Le attrezzature ed il ring di allenamento saranno messe a disposizione dalla società di viale della Repubblica che ha curato ogni minimo dettaglio per riservare alla comitiva armena la migliore accoglienza. Ad ospitarli infatti sarà lo storico Hotel Maremma che si trova in pieno centro cittadino e questo sarà un modo per far conoscere ai pugili stranieri il territorio che da oltre un secolo è fucina di boxeur. «Sono soddisfatto di questo evento – dice Amedeo Raffi, presidente della Fight GyM – che si aggiunge alla recente convocazione in nazionale italiana del nostro pugile Simone Giorgetti». Il portacolori maremmano, nonostante la sconfitta, ha comunque disputato un ottimo incontro.

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Si lavora al viaggio del Papa in Armenia, ipotesi settembre (Vatican Insider 08.02.16)

Si lavora a un viaggio del Papa in Armenia. Francesco spera di volare presto nel paese che l’anno scorso ha commemorato il centenario del «Grande Male», lo sterminio perpetrato dall’Impero ottomano, in un viaggio che potrebbe fare tappa anche in altre due repubbliche ex sovietiche del Caucaso, la Georgia e l’Azerbaigian. Il viaggio era ipotizzato per fine giugno, ma la concomitanza con il Sinodo panortodosso lo ha reso difficile se non impossibile: per il Pontefice avrebbe significato recarsi in un paese ortodosso, la Georgia, mentre il patriarca di quella Chiesa è impegnato nell’assise sinodale a Creta.

 

Il viaggio papale in Armenia è delicato anche per quanto riguarda i rapporti con la Turchia. Le relazioni tra Santa Sede e governo di Ankara sono ritornati nei giorni scorsi alla normalità, col ritorno a Roma dell’ambasciatore turco presso la Santa Sede, dopo la crisi scoppiata un anno fa quando il Papa, durante una celebrazione in San Pietro, ripeté le parole di Giovanni Paolo II sul «primo genocidio del XX secolo» durante le celebrazioni del centenario dello sterminio degli armeni avvenuto nel 1915.

 

Sempre nei giorni scorsi le autorità turche hanno notevolmente apprezzato il fatto che in un comunicato vaticano quella parola non fosse più usata ma si parlasse solo di «tragici eventi» del 1915. Visitare l’Armenia da tempo è un grande desiderio di papa Francesco che ha atteso a realizzarlo dopo aver visitato prima la Turchia e dopo aver evitato di compiere la sua visita proprio nel centenario del «Grande Male».

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Per non dispiacere Ankara, i diplomatici di Bergoglio minimizzano il genocidio armeno che diventa “i tragici fatti del 1915” (Il Messaggero 06.02.16)

Far rientrare la crisi diplomatica con la Turchia è costata parecchio al Vaticano: come per esempio rinnegare il genocidio armeno che, nella nuova versione convenuta, è diventato: “i tragici fatti del 1915”. E dire che Papa Bergoglio aveva parlato chiaro l’anno scorso, riferendosi al milione e mezzo di vittime armene sterminate dai turchi in due anni di atrocità inenarrabili. Francesco, con grande coraggio, non aveva esitato ad usare la parola che la Turchia non ammette. Genocidio. A distanza di qualche mese, pur di risolvere il contenzioso aperto con Ankara, i diplomatici del Vaticano si sono piegati alle regole realpolitik. E pazienza se quel buio capitolo storico è stato trasformato in: “i tragici fatti del 1915”, come se quegli eventi fossero frutto di un non ben precisato incidente, e non tanto un piano diabolico, preparato a tavolino nel 1915 per cancellare dalla faccia della terra un intero popolo, dal triumvirato Enver-Talat-Jemal (ministri considerati tuttora dei padri della Patria e non dei criminali per l’umanità). “I tragici fatti” sono menzionati, nero su bianco, nel comunicato diffuso mercoledì scorso dal Vaticano, al termine della udienza generale, per annunciare un libro scritto dal direttore della Caritas turca: “il signor Rinaldo Marmara ha presentato a Sua Santità Papa Francesco una copia del suo libro La Squadra Pontificia ai Dardanelli 1657 / İlk Çanakkale Zaferi 1657. Questo volume è una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo della Biblioteca Apostolica Vaticana, ed è un resoconto della flotta pontificia che partecipò nella seconda battaglia dei Dardanelli nel 1657”. Dietro questo apparentemente innocuo comunicato si nasconde una trattativa estenuante, fatta per sanare la frattura con Ankara e fare ritornare in Vaticano l’ambasciatore turco richiamato per protesta dopo che il Papa, il 13 marzo dell’anno scorso, osò pronunciare la fatidica parola: “genocidio”. La Turchia come condizione sine qua non aveva chiesto al Vaticano una dichiarazione riparatrice di Francesco che però si era rifiutato di fare una dichiarazione simile, probabilmente memore della scortesia usata nei suoi confronti durante il viaggio in Turchia, due anni fa, quando fu costretto a censurarsi e a non menzionare mai il genocidio del popolo armeno, per non dare dispiacere al presidente Erdogan. Alla fine è bastato il comunicato di mercoledì scorso. Dietro la realpolitik dei diplomatici in talare si staglia il prossimo viaggio in Armenia del Papa a maggio. La meta è Yerevan, anche se il Papa vorrebbe unire una tappa in Azerbaijan e in Georgia. Un programma un po’ ambizioso visto che un’altra grana sta per scoppiare perché gli armeni hanno già fatto sapere alla Santa Sede che se il Papa vuole andare in Armenia non potrà di certo andare in Azerbaijan

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Armeni, disgelo Turchia-Vaticano grazie a un libro (Agi 05.02.16)

Ankara – Un libro sulle guerre tra veneziani e ottomani nel ‘600 ‘galeotto’ del disgelo tra Vaticano e Turchia. La presentazione a Papa Francesco del volume “La squadra pontificia ai Dardanelli, 1657” e’ stata l’occasione per una distensione nei rapporti tra Santa Sede e Ankara dopo la crisi sugli armeni. Il volume – una traslitterazione italiana e turca di un manoscritto dal fondo Chigi della Biblioteca Apostolica Vaticana – e’ curato dal portavoce della Conferenza Episcopale Turca, Rinaldo Marmara, e da Canan Parmaksizoglu Sami ed e’ stato presentato mercoledi’ al Pontefice al termine dell’udienza generale.
In un comunicato, la Santa Sede ha sottolineato “il rinnovato impegno della Turchia a rendere i propri archivi disponibili agli storici e ai ricercatori delle parti interessate, con l’intenzione di arrivare congiuntamente ad una migliore comprensione degli eventi storici, del dolore e delle sofferenze sostenute, indipendentemente dalla propria identita’ religiosa o etnica, da tutte le parti coinvolte in guerre e conflitti, inclusi i tragici eventi del 1915”. Ankara, da parte sua, annunciando il ritorno del proprio ambasciatore in Vaticano, ha accolto con favore che la Santa Sede avesse fatto riferimento ai “tragici eventi del 1915” senza definirli “genocidio”, come accaduto l’anno scorso.
E’ il 1657 e, dopo ripetute richieste, Papa Alessandro VII ha deciso di aiutare la Repubblica di Venezia, impegnata a fronteggiare gli ottomani nello Stretto dei Dardanelli nell’ambito della guerra di Creta. La flotta pontificia, cinque galere al comando del nipote del pontefice, il senese Giovanni Bichi, parte ad aprile da Civitavecchia per unirsi, in giugno, all’armata veneziana presso Scio, sotto gli ordini del capitano generale, l'”orbo” Lazzaro Mocenigo.
La relazione del viaggio delle galere pontificie in Levante e’ anonima, anche se si ritiene che l’autore possa essere Marco Antonio Meniconi da Perugia. Chi scrive, in ogni caso, critica apertamente la conduzione delle attivita’ militari e, in particolare, l’eccessiva avventatezza del comandante generale Mocenigo.

La seconda battaglia dei Dardanelli ha inizio il 17 luglio 1657; i veneziani – e i loro alleati maltesi e pontifici – dapprima riescono a respingere l’assalto dei turchi. Nei giorni successivi, Mocenigo decide di cercare di attaccare le navi ottomane rimaste sottocosta, strategia piuttosto rischiosa perche’ le imbarcazioni veneziane si devono cosi’ esporre al fuoco delle batterie di terra nemiche. Il 19 luglio un colpo d’artiglieria, sparato dalla costa, colpisce la santabarbara dell’ammiraglia veneziana, facendola saltare in aria e uccidendo lo stesso Mocenigo. L’armata cristiana e’ costretta a ripiegare su Tenedo, sconfitta; gli ottomani, dopo quasi un decennio, riprendono il controllo dei Dardanelli.
“La mattina delli 17 giorno non dedicato a marte, come il volgo si persuade, ma come i piu’ devoti sentono consacrato alla gloriosa Vergine di Costantinopoli, d’onde a punto parve ch’ella amasse, tramandone i trionfi, perche’ piu’ al vivo, riconosciuta la vittoria de suoi nemici per le sue mani, le ne rendessimo le dovute grazie”, scrive il relatore.
La morte di Mocenigo provoca gravi ripercussioni: i generali maltese e pontificio rifiutano di prestare obbedienza al nuovo comandante e decidono, con le loro squadre, di fare ritorno a ‘Ponente’.
Nei mesi successivi gli ottomani riusciranno cosi’ a riprendersi anche le isole di Lemno e Tenedo, conquistate dai veneziani nel 1656, quando avevano inflitto ai turchi la piu’ grande sconfitta dall’epoca di Lepanto. (AGI)

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