Ministro dell’Economia armeno riceve l’ambasciatore Ferranti (Ansa.it 05.02.25)

(ANSA) – ROMA, 05 FEB – L’Ambasciatore Alessandro Ferranti è stato ricevuto dal Ministro dell’Economia della Repubblica di Armenia, Gevorg Papoyan.
Nel corso dell’incontro, facendo riferimento al grande potenziale di sviluppo esistente in ambito economico-commerciale tra i due Paesi, sono stati affrontati i diversi punti dell’agenda bilaterale.In particolare, è stato discusso come rafforzare la presenza del Sistema Italia in Armenia e l’interscambio commerciale, nonché gli investimenti, anche nell’ambito della politica di diversificazione economica intrapresa da Jerevan.
È stata infine sottolineata l’importanza dell’ampliamento della cooperazione nel settore turistico. (ANSA).

La libertà in cambio della pace? Il dilemma straziante degli Armeni. Come è dura accompagnare il nemico a disegnare i confini che esige per sé (Korazym 04.02.25)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 04.02.2025 – Renato Farina] – La prima notizia è che, mentre adesso vi scrivo, si stanno fissando i confini certi e riconosciuti dalle due parti tra Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbajgian, per poter passare a un vero e proprio trattato di pace. Insomma: oggi non moriremo, ma è tutto proprio giusto quel che si sta facendo? Non do giudizi, se questo sia bene o sia male. Il Premier Nikol Pashinyan ha scelto questa strada, rinunciare a un pezzo di noi, l’Artsakh (Nagorno-Karabakh) per salvare la nazione. O meglio: ha ceduto la sovranità di quella regione armena – promette – cercando di trattare per il ritorno su quella terra dei 120mila Armeni avendo lo statuto di regione autonoma tipo il Sud Tirolo.

Ci credete? Io poco. Contentarsi intanto che la temperatura sotto le ascelle non sia bruciante, ma appena appena sotto i 37°? In fondo questo consola persino me che sono ribelle ed eretico. Mi adagio sotto le stelle che scintillano tremolanti sul lago di Sevan, e vorrei tanto che la cometa mi accarezzasse come capitò ai magi partiti a un giorno di cammello più a sud del mio villaggio partirono per Betlemme. Pace, pace. Troppo sangue è stato versato qui e altrove, e la terra intera ne è satolla ed anche il cielo stilla gocce rosse. Per cui sia benedetta questa tregua. Ma è pace?

E la libertà? Un giorno, una settimana, un mese senza sangue, valgono la rinuncia a lottare per la libertà e l’autodeterminazione (per quel tanto che a un popolo sia possibile)? Come è difficile e stretto il sentiero sui crinali dirupati della patria che il nemico esige per sé. Com’è dura accompagnarlo a disegnare i confini…

Questo passo è considerato indispensabile per impedire che la legge della forza bruta consenta al dittatore Aliyev di deciderli unilateralmente, e – non essendo mai stati nel dettaglio ufficializzati – siano infine accettati dalla comunità internazionale. Insomma, con la pistola alla tempia, sognando Trump (illusione?), intanto si evita il peggio, cioè l’esplodere devastante di una guerra non solo strisciante ma frontale, dove i miei fratelli sarebbero portati via come batuffoli da un tornado (e io con loro, perché loro = io).

Una sveglia da Israele

Questa aleatorietà ha finora consentito al Paese ricco e prepotente di erodere in questi ultimi due anni, dopo essersi impossessato dell’Artsakh, il territorio abitato dagli Armeni. Per di più circondato dall’affetto e dalla protezione politica dei clienti del suo gas e a lui fornitori di armi ad alta tecnologia. Due Stati di popoli a me cari hanno accettato questo scambio: Israele e l’Italia.

È uscito nelle scorse settimane sul Jerusalem Post l’articolo del diplomatico Nadav Tamir, che servì come consigliere il Presidente defunto Simon Peres. Egli contesta un intervento dell’attuale Ambasciatore di Gerusalemme a Baku intitolato Perché gli Ebrei hanno bisogno dell’Azerbajgian (uscito su The Jerusalem Post, il 16 dicembre 2024). Scrive: “Il Dott. Mordechai Kedar ha esaltato l’Azerbajgian come un faro di amicizia per Israele e un modello di tolleranza in una regione ostile. Come ex diplomatico non ignoro mai le considerazioni di Realpolitik e riconosco che l’alleanza strategica tra Israele e Azerbajgian serve senza dubbio certi interessi geopolitici ed economici, in particolare per il petrolio e la vicinanza all’Iran. Tuttavia, l’inno all’Azerbajgian come modello di virtù richiede un esame più attento. La realtà è ben lontana dalla rappresentazione brillante di Kedar. Sotto il governo ferreo del Presidente Ilham Iliev, l’Azerbajgian è uno dei regimi più dispotici al mondo”. Cita il Nagorno-Karabakh.

Aggiunge: “L’enfasi di Kedar sulla tolleranza dell’Azerbajgian nei confronti della sua comunità ebraica, sebbene degna di nota, non assolve il regime. La tolleranza per una minoranza non scusa l’oppressione strategica degli altri Sì, l’Azerbajgian ha una popolazione ebraica piccola e relativamente ben trattata e i suoi rapporti con Israele sono cordiali. Ma la tolleranza tattica per una minoranza non scusa l’oppressione strategica degli altri. Acclamare l’Azerbajgian come modello di coesistenza ignorando la sua persecuzione degli Armeni e la sua repressione del dissenso interno significa impegnarsi in un pericoloso candeggio”. E conclude. “I patti faustiani” nel lugo periodo travolgono chi li sottoscrive per opportunismo.

Un dannato miracolo per il nemico

La Patria non è solo casa mia e tua, è quella di tutti, perché questo ho imparato dal Vangelo e dai miei fratelli Armeni: nulla ci è estraneo, qualsiasi dolore, ci appartiene. È la compassione di Gregorio l’Illuminatore per il Re Tiridate III che da undici anni lo teneva schiavo in una fossa, ma che ammalatosi, ormai morente, lo pregò di aiutarlo. E Gregorio per dare nuovi anni di vita e tirannide a Tiridate e di tortura per sé stesso ottenne da Dio la sua guarigione. Questo successe: la pietà del perseguitato per il persecutore commosse Dio al punto di aver riguardo del malvagio. Un dannato miracolo per il nemico! Ma questa gratuita compassione sciolse il cuore di pietra del re. Il quale – liberamente – si convertì, cambio direzione ai propri desideri e pensieri. Si inginocchiò e invocò il sigillo Cristiano sulla sua carne, mente, spirito: tutto. Era il 301 dopo Cristo, il popolo intero fu battezzato seguendo il re. Erano passati 260 anni dacché in quell’angolo di mondo dov’era approdata l’Arca di Noè era stato annunciato il Vangelo dai due apostoli Bartolomeo e Giuda Taddeo. Subirono il martirio (Bartolomeo esagerò, e versò non solo il sangue, ma dette letteralmente la pelle per Cristo, per gli Armeni e gli Albani, antichi abitatori del Caucaso meridionale, come documenta la statua nel Duomo di Milano, mentre Giuda consegnò la sua vita insieme a Simone in Persia). E finalmente il seme dei loro corpi marciti fiorì. L’ebbe vinta l’amore e la pietà di Gregorio (e di Dio) sull’empietà del tiranno.

La certezza morale mi fa dire che i responsabili degli Stati che adottano un doppio standard a seconda della convenienza contingente dannano sé stessi e soprattutto il loro popolo. E allora quali scelte mettere in atto? Fino a che punto sacrificare alcuni fratelli Armeni per la pace mia e tua? Mi limito a chiedere tutto, libertà e pace, che chiese e ottenne con la sua pietà Gregorio. Non ho la stessa sua carità. Tiridate appena mi avesse tirato su dalla fossa l’avrei strozzato. O no? Come pregate voi Cattolici così faccio io: Mater boni consilii, ora pro nobis.

Il Molokano

Questo articolo è stato pubblicato in forma leggermente ridotta sull’edizione cartacea di Tempi del 1° febbraio 2025.

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La bomba nell’enclave per ricchi, il «messaggio» di Zelensky: così è stato ucciso Armen Sarkisyan, il comandante armeno fedelissimo di Putin (Cds e altri 3.02.25)

L’attentato in cui è morto il fondatore del battaglione paramilitare ArBat è avvenuto in uno dei più prestigiosi complessi residenziali della capitale russa: e manda – ancora una volta – un segnale che lo Zar non potrà ignorare

Russian law enforcement officers patrol an area next to a residential building following a blast in Moscow on February 3, 2025. An east Ukrainian crime boss and separatist wanted by Kyiv died from wounds inflicted during an explosion at a luxury Moscow complex on February 3, 2025, Russian news agencies reported. (Photo by TATYANA MAKEYEVA / AFP)

 

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Il posto è l’elegante e marmoreo ingresso del gigantesco complesso residenziale Alye Parusa, che significa «Vele scarlatte», ed è un nome preso dal titolo di un celebre romanzo di Aleksandr Grin, padre del neoromanticismo russo-sovietico dei primi anni del Novecento. La palazzina è la dimora di molti cosiddetti «nuovi russi», cantanti, conduttori televisivi, imprenditori, avvocati, nella tranquilla via dell’Aviazione, vicino alla metropolitana Schukinskaya, nella prima e più ricca periferia nord-ovest di Mosca. Una serie di edifici altissimi di mattoni chiari sopra e rossi sotto con rivestimento verdastro, dove il prezzo degli appartamenti di lusso varia da trecentomila a tre milioni di euro, cifre folli per l’attuale Russia. Infatti, si tratta di quella che sbrigativamente viene definita come una enclave per ricchi, sorvegliata da una milizia privata, protetta senza badare a spese.

I luoghi, e la loro descrizione, sono importanti, per capire. Il bersaglio e la vittima dell’ennesimo attentato dinamitardo avvenuto nella capitale era un vecchio conto da regolare. Armen Sarkisyan, 46 anni, nativo di Armenia ma cresciuto a Gorlovka, Horlivka per gli ucraini, nella regione di Donetsk. A livello ufficiale era soltanto il presidente della Federazione di pugilato della Repubblica di Donetsk, ma doveva la sua fama e la sua rapida ascesa nella nomenclatura non solo sportiva alla sua reputazione di «strenuo combattente contro il regime di Kiev», parole tratte dalla sua ultima intervista, e fondatore del battaglione paramilitare Arbat, abbreviazione di Armyanskij Batalyon, Battaglione armeno, ed evidente richiamo al nome della principale strada della Mosca imperiale e non solo di quella.

 

A Russian traffic police officer stands guard in the courtyard of a residential building following a blast in Moscow on February 3, 2025. An east Ukrainian crime boss and separatist wanted by Kyiv died from wounds inflicted during an explosion at a luxury Moscow complex on February 3, 2025, Russian news agencies reported. (Photo by TATYANA MAKEYEVA / AFP)

L’esplosione è avvenuta alle 9 e 50. Il tritolo sarebbe stato posizionato nell’atrio dietro ad un divano o una poltrona, lunedì mattina, poche ore prima dell’attentato. Pare sia opera di un fattorino, come accadde nella vicenda dell’assassinio, ultimo di una serie apparentemente riconducibili alla pista ucraina, del generale Igor Kirillov, ucciso lo scorso 17 dicembre. Nelle ultime ore si sta facendo strada una ipotesi anche peggiore, per i Servizi segreti di sicurezza russi: gli autori potrebbero avere usufruito di un appartamento affittato da un mese in quel palazzo, per avere accesso libero alla hall e spiare gli spostamenti di Armen senza attirare l’attenzione della sorveglianza.

A Russian Emergency Ministry helicopter takes off next to a residential building following a blast in Moscow on February 3, 2025. An east Ukrainian crime boss and separatist wanted by Kyiv died from wounds inflicted during an explosion at a luxury Moscow complex on February 3, 2025, Russian news agencies reported. (Photo by TATYANA MAKEYEVA / AFP)

Il padre di Sarkisyan era l’Anziano della diaspora armena a Gorlovka. Alla fine degli anni Novanta, suo figlio Armen, durante la seconda presidenza Eltsin e quindi nel pieno della moderna epoca dei torbidi, aderì alla locale comunità criminale, diventando presto il boss della mala cittadina con il soprannome Armen Gorlovskij. Le biografie non autorizzate sostengono che fosse un uomo di fiducia dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, a quel tempo legato, così si dice, a circoli criminali di Donetsk.

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Strenuo difensore dell’autonomia del Donbass, già nel 2014 Sarkisyan e i suoi uomini si scontrarono contro i manifestanti del Majdan europeista a Kiev. Una volta ottenuta la cittadinanza russa, divenne presidente della Federboxe della Repubblica separatista. Nel settembre del 2022, è stato uno dei fondatori del battaglione di volontari di origine armena ArBat, che tra i suoi 550 uomini comprende molti armeni profughi dall’Abkhazia. Oggi la milizia è comandata da Ajk Gasparyan, ex mercenario e transfuga della più celebre Brigata Wagner, decorato con un decreto di Putin per «il coraggio e l’eroismo» dimostrato durante i combattimenti dell’Operazione militare speciale.

 

Nel 2023, i militanti di ArBat hanno stipulato un contratto «ad personam» con il ministero della Difesa, e per mesi l’unità è stata adoperata per operazioni segrete in vari settori della linea di contatto con le truppe ucraine, e oltre. Nell’agosto 2024, il battaglione è stato inviato nella regione di Kursk per respingere l’attacco dell’esercito di Kiev. «Abbiamo sempre fatto il nostro dovere» spiegava il fondatore. «Abbiamo difeso Donetsk e Gorlovka, abbiamo partecipato all’Operazione militare speciale fin dai primi giorni. Ma i media hanno saputo dell’esistenza della nostra unità soltanto dopo che avevamo ricevuto la benedizione del capo della diocesi russa della Chiesa apostolica armena, l’arcivescovo Ezras».

Cittadino onorario di Gorlovka, a giudicare da quel che diceva e ripeteva spesso, Sarkisyan era convinto di quel che faceva. Così si raccontava, nelle ultime e più recenti interviste: «Dopo il golpe del 2014 in Ucraina e l’avvento al potere delle persone che devono tutto agli Usa e all’Ue, il nuovo potere ucraino ha cominciato a rivedere la posizione verso la Chiesa ortodossa russa, a imporre la lingua ucraina ai cittadini che per tutta la vita hanno parlato russo. Allora ho capito che lo scontro finale sarebbe stato inevitabile».

A suo parere, le truppe russe dovevano raggiungere il confine ucraino con Polonia, Ungheria e Romania. Era considerato molto vicino al presidente della Cecenia Kadyrov. Molte foto testimoniano della sua vicinanza con Apti Alaudinov, comandante delle truppe speciali cecene.
Aveva molti nemici, ma sui mandanti dell’attentato il coro è unico.

«La responsabilità per l’accaduto sarà presto rivendicata da strutture della cosiddetta Ucraina» sostiene il sito ultranazionalista Rybar.

Al telefono, Sergey Markov non sminuisce l’entità del colpo subito dai Servizi di sicurezza russi. «Questo ennesimo atto terroristico è un messaggio crudele di Zelensky all’intera élite russanon riuscite a sfuggire, prima o poi vi uccideremo, nonostante la vigilanza e le vostre scorte armate».

Secondo l’ex consigliere di Vladimir Putin e noto falco, poco dopo la nascita del suo ultimo figlio, Sarkisyan si era da poco trasferito alle Vele scarlatte proprio perché voleva sottarsi alle minacce di Kiev.

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Mosca, dietro la morte del mercenario Sarkysian un attentatore suicida (Affari Italiani)

Vakıflı: l’ultimo villaggio armeno della Turchia a rischio esproprio (Asianews 03.02.25)

Un progetto di ricostruzione post sisma rischia di provocare un radicale cambiamento demografico. L’area si trova nella provincia di Hatay ed la sola rimasta in seguito allo sfollamento forzato dei residenti dalla regione di Musa Dagh nel 1915. Previste nuove abitazioni e centri commerciali. Nuova stretta delle autorità di governo contro oppositori e critici, nel mirino anche İmamoğlu.

Istanbul (AsiaNews) – In Turchia l’ultimo villaggio di origine armena situato sulle pendici del Mussa Dagh, nel sud del Paese e nei pressi del confine con la Siria, deve fronteggiare la minaccia di esproprio da parte delle autorità di governo. A lanciare l’allarme è il sito di informazione Bianet che cita fonti locali, secondo cui un nuovo progetto abitativo legato a opere di ricostruzione post-terremoto di inizio febbraio 2023 potrebbe determinare un cambiamento demografico di Vakıflı, nel distretto di Samandağ, provincia di Hatay.

Il villaggio è incluso in un piano di sviluppo su larga scala promosso dall’Amministrazione per lo sviluppo abitativo (TOKİ) come parte dei progetti di ricostruzione avviati dopo il devastante sisma che ha colpito in particolare l’Anatolia poco meno di due anni fa. Il progetto, che prevede la realizzazione di 1.353 unità abitative, riguarda parti di Vakıflı, tra cui aree residenziali, terreni agricoli e proprietà del Tesoro.

Sul sito web dell’ente viene specificato il piano e le opere a esso collegate fra cui case, attività commerciali fra cui un centro con 14 negozi, infrastrutture e opere paesaggistiche. I residenti di Vakıflı sono allarmati dalla prospettiva dell’esproprio, temendo che il progetto danneggi il tessuto storico, culturale e sociale del villaggio. Molti temono che l’area possa perdere il suo status unico di ultimo villaggio armeno della Turchia.

Al riguardo, un residente ha dichiarato confermato che in questi giorni i capi dei villaggi di Vakıfköy, Hıdırbey e Mağaracık “si incontreranno con il governatore. Come abitanti, ci opponiamo – dichiara – alla decisione di esproprio. Siamo un villaggio che esiste da secoli” prosegue, e “temiamo non solo per il nostro patrimonio culturale e storico, ma anche per la composizione demografica della nostra comunità. Quasi metà dell’area – afferma – è a rischio di esproprio e siamo profondamente preoccupati di perdere la nostra identità”.

Cautela viene espressa dal mukhtar (capo) del villaggio, Berç Kartun, secondo cui il “destino” della zona “sarà più chiaro dopo l’incontro con il governatore di Hatay Mustafa Masatlı”. Kartun ha poi osservato che gli abitanti del villaggio sono “in ansia e preoccupati” per il potenziale impatto del progetto. Dopo lo sfollamento forzato della maggior parte degli armeni dalla regione di Musa Dagh nel 1915, solo un piccolo numero è rimasto a Vakıflı e nei villaggi vicini come Hıdırbey, Yoğunoluk e Kapısuyu. Dopo l’annessione del Sanjak di İskenderun, l’odierno Hatay, da parte della Turchia nel 1939, la popolazione armena rimasta si è stanziata in gran parte a Vakıflı.

Secondo il giornalista di Agos İşhan Erdinç, la Fondazione della Chiesa armena di Vakıflı ha avviato un procedimento legale per reclamare 36 proprietà identificate come appartenenti alla propria comunità. Queste proprietà erano state trasferite nel tempo all’erario o a privati e, nonostante una sentenza della Corte Costituzionale turca del 2022, che ha riscontrato una violazione dei diritti legittimi, le proprietà contestate non sono state restituite alla fondazione.

Intanto, nell’ultimo periodo in Turchia si registra – pur passando in gran parte sotto silenzio, una ulteriore stretta delle autorità governative e della sicurezza verso politici dell’opposizione, giornalisti e intellettuali oggetto di inchieste, perquisizioni e arresti. Nel mirino anche il sindaco di Istanbul – fra le personalità più in vista del fronte opposto al presidente Recep Tayyip Erdogan – Ekrem İmamoğlu, convocato per interrogatorio e oggetto di almeno due diverse indagini. A suo carico vi sarebbe fra gli altri l’accusa di “minacce” verso “individui coinvolti negli sforzi antiterrorismo” oltre al tentativo di “influenzare la magistratura”. Inoltre sarebbero almeno 45 le persone, fra cui diversi personaggi pubblici, rinchiusi in cella o che sono oggetto di provvedimenti di custodia dal 17 gennaio scorso, coinvolti in diverse inchieste penali perlopiù collegate a reati di “terrorismo”. Infine, almeno nove giornalisti sono sotto inchiesta per scritti e post sui social media.

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L’UE estende la missione al confine dell’Armenia, Yerevan sogna l’adesione (Osservatorio Balcani e Caucaso 03.02.25)

L’Armenia è entrata nell’anno pre-elettorale con tutto da giocare. Nonostante il sostegno in costante calo, il primo ministro Nikol Pashinyan potrebbe beneficiare di un nuovo, involontario alleato: l’Unione europea

03/02/2025 –  Onnik James Krikorian

L’Unione europea ha confermato che estenderà la sua missione di monitoraggio civile della Politica di sicurezza e difesa comune (PSDC) al confine tra Armenia e Azerbaijan per altri due anni.

Sebbene non inaspettata, la Missione dell’Unione Europea in Armenia (EUMA), che ha iniziato a pattugliare il 20 febbraio 2023, è stata controversa fin dall’inizio: l’Azerbaijan chiede ora che venga ritirata se verrà firmato un accordo per normalizzare le relazioni tra i due paesi.
Non sono stati resi noti ulteriori dettagli sull’estensione, ma Rikard Jozwiak di Radio Free Europe riferisce che il mandato dell’EUMA rimane invariato. Se così fosse, pattuglierà l’intera lunghezza del confine con l’Azerbaijan sul lato armeno.

A novembre, Pashinyan aveva suggerito che avrebbe potuto essere ritirata dalle parti del confine ufficialmente demarcate. Attualmente, si tratta solo di 12,7 chilometri.

Non è ancora chiaro se l’estensione della missione influenzerà il processo di pace, come precedentemente minacciato da Baku, e forse ritardare il nascente processo di delimitazione e demarcazione del confine. A gennaio, tuttavia, entrambe le parti hanno annunciato che questo sarebbe invece continuato.

Dato che l’Azerbaijan insiste sul fatto che nessun accordo sarà firmato finché l’Armenia non cambierà un controverso preambolo alla costituzione del paese, pochi si aspettavano comunque una soluzione definitiva.
Modificare la costituzione è da tempo l’obiettivo di Pashinyan, anche prima della guerra del Karabakh del 2020 tra Armenia e Azerbaijan, inizialmente ritardato a causa della pandemia.

Da allora, il primo ministro ha dichiarato di volere una revisione totale della carta e all’inizio dell’anno scorso ha richiesto una bozza completa entro la fine del 2026. Ora la scadenza è stata anticipata all’inizio dello stesso anno, forse in concomitanza con il voto parlamentare.

Il futuro di Pashinyan dipende anche dall’esito di tale voto, che si terrà non più tardi della metà del 2026. In un sondaggio condotto a fine gennaio, solo l’11,3% degli intervistati ha affermato che avrebbe votato per il suo Contratto civile se le elezioni si fossero tenute quel fine settimana. Al secondo posto il controverso videoblogger ed ex poliziotto Vardan Ghukasyan, seguito dall’ex presidente Robert Kocharyan, rispettivamente al 6,8% e 6,5%.

Molti armeni rimangono indifferenti. Evidenziando un alto grado di apatia o disillusione nella società, il 13,3% degli intervistati ha affermato di essere contrario a qualsiasi opzione, mentre il 27,2% ha affermato che non avrebbe votato affatto. Il 15,4% ha affermato di trovare difficile rispondere alla domanda, mentre il 10,2% si è rifiutato di rispondere. Ciò lascia i giochi aperti per quest’anno.

Nel suo primo rapporto annuale, il nuovo Foreign Intelligence Service dell’Armenia ha avvertito che è probabile che forze esterne tenteranno di destabilizzare il paese in quello che è ormai un anno pre-elettorale, sfruttando anche la dipendenza economica dell’Armenia dalla Russia.

Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel febbraio 2022, il commercio di Yerevan con Mosca è aumentato, raggiungendo i 12 miliardi di dollari alla fine dell’anno scorso.
Nonostante l’impasse in Georgia, dove i manifestanti continuano a scendere in piazza dopo la sospensione dei colloqui con l’UE da parte del governo fino al 2028, Pashinyan afferma che ha intenzione di procedere con un referendum per entrare nel blocco politico ed economico, ma non ha fornito alcuna data.

A febbraio, il Parlamento dovrebbe discutere un disegno di legge che delinea il percorso da seguire. Mosca, tuttavia, ha avvertito che ciò significherebbe l’uscita di Yerevan dall’Unione economica eurasiatica (EAEU) guidata dalla Russia, da cui l’Armenia sta beneficiando finanziariamente in modo significativo.

Tuttavia, l’iniziativa potrebbe aiutare Pashinyan a mantenere il potere nel 2026. L’ultimo sondaggio d’opinione suggerisce che ci sono molti elettori potenzialmente ricettivi. Il 51% percento degli intervistati ha affermato di credere che l’Armenia diventerà un membro dell’UE entro i prossimi 10 anni.

Sebbene Bruxelles non si sia espressa su un’ulteriore espansione, ciò potrebbe comunque rafforzare le possibilità elettorali di Pashinyan in cooperazione con quei partiti extraparlamentari che l’hanno proposta.
L’opposizione tradizionale o parlamentare, tuttavia, sostiene che è improbabile che l’Armenia entri mai nell’UE, il che fa prevedere accese discussioni politiche nei mesi a venire. In ogni caso, c’è ancora la possibilità che la regione rimanga nel suo attuale limbo geopolitico con il neo-nominato presidente Donald Trump.

La politica della nuova amministrazione nei confronti dell’Ucraina e della Russia potrebbe avere un’influenza significativa anche sugli affari interni del Caucaso meridionale.

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San Biagio, cosa si celebra oggi 3 febbraio 2025/ La gola, il tremendo martirio e la fede profonda (Il Sussidiario 03.02.15)

LA FESTA CRISTIANA PER SAN BIAGIO DI SEBASTE: COSA SI CELEBRA OGGI (E NON SOLO NELLA DIOCESI DI MILANO)

Va bene, a Milano si mangia l’ultimo panettone dell’anno ma nella festa di San Biagio che la Chiesa Cattolica celebra oggi 3 febbraio 2025 c’è molto di più di una bella ma semplice tradizione popolare. Il vescovo armeno e martirizzato in maniera truce dai Romani non ha lasciato molti elementi biografici ma tutti di grande pregnanza devozionale: questo si celebra oggi, l’indomani della Candelora che rappresenta per la cristianità la manifestazione di Gesù nel mondo come luce che si irradia nella storia.

Protettore della gola, di tutti i medici otorinolaringoiatri ma anche testimone di fede che nel pieno dell’epoca post-costantiniana, San Biagio è morto martire il 3 febbraio 316 per il suo assoluto rifiuto di abiurare la fede cristiana nonostante le persecuzioni dei Romani in Armenia nella città in cui serviva da vescovo. Vittima di un dissidio politico-religioso tra l’Occidente di Costantino e l’Oriente dell’imperatore Licinio, San Biagio venne catturato, “invitato” all’abiura e una volta constatato il rifiuto per la sua imperterrita fede in Cristo, venne picchiato e scorticato vivo con alcuni pettini di ferro che servivano a lavorare la lana. Era un personaggio molto particolare ma assai amato in città dato che secondo le pochissime informazioni giunte fino a noi (grazie alla storiografia di Camillo Tutini, responsabile di aver recuperato molte tradizioni orali di quel periodo storico della vita cristiana) già in vita San Biagio aveva operato diversi miracoli che lo avevano reso una figura molto rispettabile e venerata (da cui appunto la volontà dei Romani ti costringerlo all’abiura).

 

LA FEDE E IL MARTIRIO: CHI ERA SAN BIAGIO, IL VESCOVO ARMENO TRUCIDATO DAI ROMANI

In particolare, si narra che San Biagio a Benaste riuscì a recuperare una lisca di pesce rimasta conficcata nella trachea di un ragazzino: è per quello che oggi si venera in tutta la Chiesa Cattolica (e pure ortodossa) la figura del Santo Patrono della gola. È questo il motivo tra l’altro che oggi porterà in moltissime parrocchie di tutto il mondo la benedizione della gola durante la Santa Messa: per chi non lo sapesse poi, in una chiesa di Roma in Via Giulia, è conservata una piccola parte della gola del Santo come reliquia venerata da secoli.

Al netto della particolare ed evidente protezione della gola a livello fisico e medico, la figura di San Biagio è ricordata nella storia cristiana come un simbolo autentico di coraggio e perseveranza: davanti alla costrizione del potere che voleva in quegli anni annientare la presenza di Cristo nel mondo, il vescovo Biagio non solo si rifiuta ma è pronto a sacrificare la propria vita per la fedeltà a Gesù davanti ai suoi cittadini. Un esempio di fede che si tramanda per i secoli dei secoli, tanto nella Chiesa Cattolica quanto in quella Ortodossa e che oggi in tutto il mondo vede la festa del 3 febbraio ben oltre la “sola” benedizione della gola o la devozione nella Diocesi milanese per il miracolo avvenuto col panettone da Frate Desiderio (come racconta qui il sito ufficiale di Regione Lombardia).

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San Biagio, 3 febbraio 2025/ Oggi si ricorda il vescovo protettore della gola (Il Sussidiario)

San Biagio 2025, dalla tradizione del panettone agli eventi in Lombardia San Biagio 2025, dalla tradizione del panettone agli eventi in Lombardia (Il Giorno 01.02.25)

La ricorrenza è il 3 febbraio e in diverse città è molto sentita. Ci sono usanze che arrivano dal passato e che ancora oggi vengono rispettate. Ecco qualche curiosità tra la guglia sul Duomo di Milano, il reliquiario a Brescia e la Torta tipica della festa

Panettone di San Biagio

San Biagio si festeggia il 3 febbraio e, a Milano e in Lombardia, questa ricorrenza è molto sentita. Biagio di Sebaste, noto come san Biagio (III secolo – Sebaste, 316), è stato un vescovo cattolico e santo armeno, venerato come santo dalla Chiesa cattolica (vescovo e martire) e dalla Chiesa ortodossa. Il martire Biagio è ritenuto dalla tradizione vescovo della comunità di Sebaste in Armenia al tempo della “pax” costantiniana; il suo martirio, avvenuto intorno al 316, è spiegato dagli storici con una persecuzione locale dovuta ai contrasti tra l’occidentale Costantino e l’orientale Licinio. Nell’VIII secolo alcuni armeni portarono le reliquie in Italia.

I fedeli si rivolgono a san Biagio nella sua qualità di medico, anche per la cura dei mali fisici e in particolare per la guarigione dalle malattie della gola. È anche protettore dei  cardatori di lana, degli animali e delle attività agricole. In mancanza di un santo patrono a loro dedicato, a cavallo tra il 2013 e il 2014 alcune équipe d’animazione l’hanno eletto a protettore, indicandolo come patrono degli animatori.

Ecco qualce tradizione lombarda e qualche curiosità: dalle leggende alle antiche usanze, fino alla guglia sul Duomo di Milano e al reliquiario a Brescia. Senza dimenticare la Torta tipica di questa festa e gli eventi o le fiere organizzate per celebrare il santo.

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Armenia: Mirzoyan ribadisce apertura a semplificare i collegamenti di trasporto con l’Azerbaigian (AgenziaNova 30.01.25)

Il ministro degli Esteri armeno, Ararat Mirzoyan, ha dichiarato che l’Armenia è pronta a semplificare le procedure per quanto riguarda i collegamenti dei trasporti con l’Azerbaigian. Mirzoyan lo ha affermato a Erevan, nel corso di una conferenza stampa congiunta con la ministra degli Esteri georgiana, Maka Bojchorishvili, rispondendo a una domanda di “Armenpress” sulla recente dichiarazione del presidente azerbaigiano Ilham Aliyev in merito alla riapertura delle vie di comunicazione nel Caucaso meridionale. Mirzoyan ha sottolineato che la posizione di Erevan su questo tema è da tempo chiara: “Noi sosteniamo l’idea di sbloccare le comunicazioni nella regione e abbiamo presentato proposte costruttive all’Azerbaigian, in attesa di una risposta”. Secondo il ministro, la riapertura delle rotte commerciali porterebbe benefici economici all’intera regione, compresi Armenia, Azerbaigian e Georgia.

Il ministro ha ribadito che gli approcci di Erevan sono delineati nel progetto “Crocevia della pace”, basato sui principi di integrità territoriale e sovranità degli Stati sulle infrastrutture. “Nel XXI secolo, tutti i paesi cercano di semplificare la logistica. Se le strade con l’Azerbaigian verranno sbloccate, potranno essere applicate procedure semplificate a beneficio di entrambe le parti”, ha spiegato Mirzoyan. Il 28 gennaio, il presidente Aliyev aveva dichiarato che il progetto “Crocevia della pace” non ha valore senza la partecipazione dell’Azerbaigian e che l’Armenia dovrà garantire al suo Paese un passaggio senza ostacoli verso l’exclave del Nakhichevan.

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Amerikatsi, il film che racconta gli orrori dell’Armenia comunista (Panorama 31.01.25)

“Amerikatsi” significa “americano armeno” ma per Charlie, che nel 1948 rientra nella sua patria dopo essere sfuggito, da bambino, agli orrori del genocidio nell’impero Ottomano, la sua identità occidentale equivale a una condanna immediata per “cosmopolitismo” nell’Armenia sotto un nuovo “protettore”: l’Unione sovietica di Stalin. Questa, in estrema sintesi, è la trama del film Amerikatsi appena uscito nelle sale italiane e candidato dall’Armenia come miglior film internazionale ed entrato nella short list finale degli Oscar.

Le riprese sono partite a marzo 2020, in piena pandemia, e si sono prolungate per cinque mesi tra i suggestivi scenari della capitale Erevan e le città di Gyumri e Ashtarak, dove sono stati girati tutti gli esterni. La principale location del film, il carcere-fortezza dove viene imprigionato Charlie, è stata ricreata su una struttura di epoca sovietica ancora esistente, abbandonata dagli anni Novanta. “Il film non è basato su una storia in particolare ma su varie testimonianze di rimpatriati armeni (furono oltre mille dopo la Seconda Beatrice Nencha Powered by × 01/02/25, 21:30 Amerikatsi, il film che racconta gli orrori dell’Armenia comunista – Panorama https://www.panorama.it/lifestyle/amerikatsi-orrori-armenia-comunista-cinema 3/23 guerra mondiale) e dei loro discendenti ed è dedicato a mio nonno, rappresentato nel bimbo rinchiuso nel baule della sequenza iniziale. Mio nonno mi ha insegnato a rimanere sempre positivo, nonostante le terribili avversità a cui è stato sottoposto” racconta il regista Michael Goorjian, che del film è anche il protagonista e lo sceneggiatore. Nella ricorrenza, quest’anno, del centodecimo anniversario del genocidio armeno, “Metz Yeghern” (il “Grande Male”), il primo genocidio di massa del Novecento che provocò almeno un milione e mezzo di morti tra l’aprile 1915 e il luglio 1916, Goorjian ha preferito non concentrarsi sugli orrori e le persecuzioni subite dalla popolazione armena, deportata nelle zone interne della Turchia per essere eliminata, ma ha optato per uno sguardo narrativo poetico e nostalgico, che fa del protagonista un testimone “suo malgrado” dei tragici accadimenti storici che lo coinvolgeranno.

Per l’occhiuto regime comunista che controlla il paese, basta indossare in pubblico una cravatta per condannare un uomo, strappato alle sue radici e straniero alla lingua della sua terra, a dieci anni di prigione e di lavori forzati. Sbattuto in una squallida cella di isolamento, grazie a un piccolo pertugio l’uomo si trasformerà in un testimone privilegiato della vita famigliare di uno dei suoi carcerieri. Uno sguardo intimo e pieno di Pubblicità × 01/02/25, 21:30 Amerikatsi, il film che racconta gli orrori dell’Armenia comunista – Panorama https://www.panorama.it/lifestyle/amerikatsi-orrori-armenia-comunista-cinema 4/23 g g p compassione, che gli consentirà di immergersi nella vita delle persone che osserva, senza esserne inizialmente ricambiato, e di cogliere, attraverso la loro quotidianità, l’essenza stessa della sua patria. Le tradizioni e l’anima di un popolo, le usanze religiose e i riti che, come l’antica melodia di cui cerca disperatamente notizie, lo riporteranno alle sue perdute origini. Attraverso le sbarre della sua finestra, Charlie trarrà la forza – e l’ispirazione artistica – per sopravvivere alla cruda realtà del carcere e ai suoi abusi. Le mura grigie si riempieranno, poco a poco, dei colori del cielo e della natura. Così lo spaesato detenuto americano diventa per tutti gli altri prigionieri, e per le guardie che all’inizio lo deridono e lo tormentano, l’incarnazione dell’attore occidentale più noto al mondo. Simile anche nel fisico a quel Charlie Chaplin che, come sua nonna in punto di morte lo aveva esortato, ha fatto del sorriso l’arma di sopravvivenza più potente contro le avversità del mondo. “Lo sai chi ha inventato il vino e la birra? “ “Lo sai chi ha inventato le scarpe? E chi ha inventato i tappeti? Gli armeni, ma nessuno ci ha ringraziati” si sfoga con Charlie un detenuto più anziano, mentre ricostruiscono a mani nude le mura del penitenziario abbattute da un terremoto. Ma al di là dell’orgoglio per l’identità nazionale riconquistata – seppure soggiogata dalla ferocia dello stalinismo e, prima ancora, dalle pressioni islamiche ottomane e persiane – l’umanità dei prigionieri si riconosce attorno alla capacità di Charlie di scovare la bellezza nell’orrore, dipingendo il monte Ararat (la sacra montagna degli armeni, oggi in territorio turco), con i colori impastati dalle pietre, e nel riuscire a sconfiggere l’ottusa burocrazia del carcere grazie alla complicità del fato che, sotto le spoglie di una cicogna, ancora una volta cambierà il corso del destino del protagonista.

“Questo non è un film che deve provare che sia avvenuto un genocidio ma è un film su un fatto storico. Come armeni noi abbiamo talmente tante storie da raccontare e penso che questo sia il modo migliore per dimostrare al pubblico la bellezza della cultura armena, e non solo le cose negative che sono accadute a questa nazione – aggiunge il regista, che è di origini armene, anche se nato e cresciuto a San Francisco – Molti dettagli sono basati su racconti di persone che ho intervistato. La storia di Tigran, che interpreta la guardia, si ispira alla storia del nonno di uno dei produttori che fu spedito in Siberia perché disegnava le chiese. Un altro rimpatriato fu arrestato con l’accusa di “cosmopolitismo” e di voler promuovere l’occidente, solo perché indossava una cravatta. Anche la finestra è un dettaglio preso da una storia vera: un amico ucraino conosceva un uomo rinchiuso in una prigione di Kiev che per cinque anni ha osservato gli eventi nell’appartamento di fronte alla sua cella. Quando il proprietario di casa non si è più mostrato, il prigioniero è diventato così agitato che ha tentato di rompere le sbarre solo per sapere che fine avesse fatto il suo dirimpettaio. Penso che questa vicenda, nella vita come nel film, dimostri un aspetto fondamentale della natura umana: finché ignoriamo gli altri, è facile non dare loro alcuna importanza. Ma nel momento stesso in cui iniziamo a osservare le persone, e iniziamo a saperne di più della loro vita, non possiamo fare altro che prendercene cura. Questo è stato uno dei motivi che mi ha spinto a realizzare il film”.

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Prime indicazioni su Amerikatsi, nuovo interessante film in uscita (Cinetv)

Antonia Arslan racconta e si racconta a vent’anni dalla sua Masseria delle allodole (Tgpadova 31.01.25)

“L’unico modo per combattere il disinteresse dei giovani ai genocidi è raccontare loro delle storie”. A 87 anni d’età e a vent’anni dall’uscita della sua Masseria delle Allodole, l’autrice padovana di origine armena analizza l’attualità e sulla violenza di genere dice: sbagliato contrapporre gli uomini alle donne, ciascuno deve cercare la propria realizzazione personale.

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