Nulla è impossibile a Dio. Il viaggio di pace e di perdono del corpo incorrotto di Agagianian (Korazym 07.12.24)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 07.12.2024 – Renato Farina] – Ho immaginato, preso per mano nella notte da un sogno in cui mi parlò San Giovanni Paolo II, un viaggio profetico e misericordioso, di pace e perdono, che abbia per protagonista un morto destinato a risorgere. Un’anticipazione della gloria dell’Apocalisse. Ricordate, fratelli miei? Avevo concluso l’ultima lettera dal lago di Sevan [Un messaggio di Dio agli Armeni e al mondo che li ha scaricati – 7 novembre 2024 [QUI]] raccontando la traslazione il 12 settembre da Roma a Beirut, nella cattedrale dei Santi Elia e Gregorio l’Illuminatore, del corpo incorrotto e incredibilmente tornato ragazzo del Patriarca dei Cattolici di Cilicia, Krikor Bedros XV Cardinale Agagianian.

 

Tomato ragazzo? Cos’è, magia? Allucinazione? Autoconvinzione fanciullesca da beghine e beghini? Quel corpo estratto dal sepolcro romano della chiesa di San Nicola da Tolentino giaceva (l’ho visto!) nella bara di cristallo, come dormiente, nella pienezza di energia, pace, fremito e serenità del giovane adulto, che sa chi è e che non morirà non a causa della sua forza o per merito di virtù, ma per grazia del Salvatore, Colui che regge il mondo e lo muove verso un destino buono e santo. Non mi credete? Sono un povero pirla credulone, che vuole trascinare nella sua creduloneria molokana come se tutti fossero ritardati mentali? Si confrontino le foto di Krikos Bedros, con sulle spalle quel numero XV, di gloria e di sofferenze infinite: era lui 76enne. Grinzoso, cadente, grigiastro, commovente: affaticato dopo aver condotto e vinto la buona battaglia. E ora, dopo 53 anni, è roseo, come se avesse funzionato una macchina del tempo.

Un segno dell’Incarnazione

Ma non è una macchina, con ingranaggi metallici, pulegge elettroniche, fissioni di uranio arricchito, bensì una mano divino-umana, tenera e coraggiosa che lo ha rifatto. Come le ossa aride di cui scrisse Ezechiele (capitolo 17), che rifioriscono anticipando la resurrezione. Nessuna stregoneria babilonese. Niente è impossibile a Dio. Non è una faccenda da prendere sottogamba. È un segno misterioso, enormemente piccolo rispetto all’Incarnazione, ma che da lì discende.

Sento delle voci nell’aria: della resurrezione ti ascolteremo la prossima volta, come i Greci colti a Paolo di Tarso all’Areopago (Atti 17). Va bene, accetto. È vero ciò che dico, è riscontrabile, ma accetto la vostra sentenza sbagliata. Mi soccorrono le parole del grande russo Varlam Galamov, che sapeva che le sue storie attinte dai suoi occhi e orecchi, e naso e dita dal Gulag della Kolyma sarebbero state male accolte: «E se non mi credete fate conto che sia una favola».

Agagianian fu inumato in San Nicola da Tolentino senza essere imbalsamato. Quest’uomo, nato in Georgia nel 1895, aveva avuto il suo transito dalla morte a un’altra vita (noi Armeni parliamo di dormizione) nel 1971. La sua fama di santità lo accompagnò sempre. Studiò a Roma, Pio XI lo stimò tanto e lo volle vescovo. Intelligenza straordinaria, poliglotta, genio universale, era ricercato per la sua saggezza e umiltà. Fu eletto dal Sinodo Armeno a Patriarca di Cilicia. Pio XII lo fece cardinale nel 1946. Secondo Silvio Negro, vaticanista del Corriere della Sera, era il favorito per il Conclave. Due Patriarchi, uno di Venezia, l’altro di Cilicia, primeggiarono nelle prime votazioni. Disse Giovanni XXIII visitando il Collegio Armeno di Roma: «Sapete che il vostro cardinale e io eravamo come appaiati nel Conclave dello scorso ottobre? I nostri nomi si avvicendavano or su, or giù, come i ceci nell’acqua bollente».

Le calunnie dei servizi, ieri e oggi

Si amarono molto Papa Giovanni e Patriarca Gregorio. Scrisse di lui Roncalli nel suo diario alla data 27 dicembre 1962: «Agagianian viene da me informato circa gli atteggiamenti di Krushev e del movimento generale a proposito di contatti col mondo russo. […] Con Agagianian che è Armeno autentico del Caucaso, multa exploranda sunt, et meditanda [molte cose vanno esplorate, e meditate] negli interessi dell’apostolato presso i Russi» (Cfr. Avvenire, 28 ottobre 2022). Finché il suo nome fu sporcato dalla calunnia: la sorella, secondo un gossip ben orchestrato dai servizi segreti italiani (Sifar) in vista del Conclave del 1963, era legata al KGB. Dunque Agagianian è un referente dei Sovietici. Storia che si ripete. Identiche cialtronaggini vengono diffuse ad arte dagli ambienti che si chiamavano un tempo Sifar e oggi Aise. Anche oggi infatti si fa passare la tensione al dialogo e la simpatia degli Armeni e specialmente di noi molokani per il popolo russo (cui apparteniamo etnicamente) come tradimento contro l’Occidente. Verrebbe da dire: Occidente come osi, dopo averci abbandonato per un bidone di gas?

E il viaggio? In sogno, anche se non sono San Giuseppe, e neppure il Viceré d’Egitto figlio di Giacobbe con quel nome, mi è apparso San Giovanni Paolo II mentre entrava in incognito a Loreto, vestito da prete. Lo riconobbi, mi prostrai, mentre il suo Segretario (ci sono anche nei sogni) cercava di proteggerlo dalle mie labbra che cercavano le sue dita calde e diafane. A me che nominai l’Armenia, dal pellegrinaggio nella quale ero tornato proprio quella notte, disse: «Renato ricorda: i suoi santi e martiri salveranno la Chiesa e il mondo per grazia di Cristo. Seguiteli». Ed ecco nella veglia sopita e gioiosa dell’alba vidi chiaro il viaggio che conduce i resti poco mortali di Krikor Bedros Agagianian dalla cattedrale dei Santi Elia e Gregorio l’Illuminatore a Beirut attraverso la Siria (Damasco e Aleppo) e la Turchia (Cilicia e Anatolia).

Non ci sono più nemici

Si, come sul carriaggio della regina di Saba l’eunuco felice nel deserto dopo il battesimo correva in patria, baldanzoso e allegro, così nella teca di cristallo il Patriarca della Cilicia riconosciuto beato e santo attraversa i luoghi spaventosi del genocidio del 1915, illuminandoli di perdono. Furono un milione e mezzo di uomini e donne, neonati e infanti, vecchi e adolescenti: gonfi per la fame e ischeletriti dal digiuno, condotti verso il niente nel deserto, colpevoli di essere Cristiani Armeni, ma anche Assiri e Caldei. La carrozza poco funebre procede con il suo corteo fluorescente fino alle pendici dell’Ararat. Non ci sono più nemici. Gli amici Turchi in ginocchio a chiedere perdono per i loro padri e a riceverlo da quel vecchio cardinale, che la morte ha ringiovanito, incoronato dal canto di bambini finalmente senza strazio.

Si attraversano i confini, il filo spinato sostiene felice dei mazzi di rose e viole, ecco la Repubblica di Armenia, la carovana lucente è accolta nelle piazze e nelle cattedrali dagli Armeni Apostolici e da quelli Cattolici Latini e Mechitaristi, dal Supremo Patriarca e Catholicos di tutti gli Armeni Karekin II con al fianco Papa Francesco insieme a tutti i Patriarchi d’Oriente e d’Occidente. Lì proclamarlo insieme santo, e condurre questo corpo che presto (ossi, molto presto) risorgerà alla fine del mondo, lassù, tra i ruscelli scroscianti e i cieli profondi e trasparenti dell’Artsakh. Non lo credete? La ritenete una follia bislacca? Fate conto che sia una favola.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero cartaceo di Tempi di dicembre 2024.

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Come salvare il patrimonio cristiano in Nagorno Karabakh? (AciStampa 06.12.24)

Lo conoscono tutti come Nagorno Karabakh, ma il suo antico nome è Artsakh, a testimonianza della presenza armena in quel territorio sin dall’antichità. E gli armeni, membri della prima nazione cristiana, hanno forgiato quel territorio, lo hanno riempito di kachkar e chiese, vi hanno venerato reliquie come quelle di San Dadi, il discepolo di San Giuda Taddeo che fu l’iniziatore di quella che oggi è la Chiesa Apostolica Armena. Oggi, quel territorio è sotto gli occhi della comunità internazionale per il rischio che si perda quel patrimonio cristiano nella regione.

Non è un timore nuovo, per gli armeni, che a più riprese hanno parlato di “genocidio culturale”. Da quando, perlomeno, la regione fu messa da Stalin sotto il controllo dell’Azerbaijan, e si è registrata la scomparsa progressiva di varie vestigia cristiane nella regione.

Nel 1994, alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, la regione proclamò l’indipendenza, e si costituì in uno Stato con capitale Stepanakert. Da allora, i conflitti, caldi e freddi, si sono succeduti nella zona, fino all’ultimo del 2020, durato 40 giorni, che si è risolto in un accordo “doloroso” per l’Armenia, costretta a cedere territori e ad arrendersi di fronte al ben equipaggiato esercito azero, supportato dalla Turchia e, è stato denunciato, anche rimpolpato da mercenari Daesh.

E poi, ci sono stati i blocchi al corridoio di Lachin, denunciati anche da Papa Francesco. Gli azerbaijani lamentano che, in fondo, anche gli armeni, una volta preso il controllo del territorio, hanno distrutto le moschee. Hanno sottolineato che c’era una comunità cristiana di una presunta Chiesa albaniana nel territorio, precedente all’eredità armena, rivendicando la presenza di un cristianesimo autoctono nella regione. Hanno ribadito di applicare la tolleranza religiosa, e lo dimostra il fatto – sostengono – che le chiese distrutte dalla guerra sono state ricostruite, come la cattedrale di Shushi, che era stata colpita da razzi. Da parte armena, però, si avverte il senso di una pressione indebita e forte, e di un rischio ben presente e tutto da decifrare, tanto che anche la Santa Sede di Etchmiadzin (il “Vaticano” armeno) ha stabilito un dipartimento che si occupa solo del patrimonio cristiano in Artsakh.

Sono tutte premesse doverose per introdurre il tema della Conferenza internazionale che si è tenuta alla Pontificia Università Angelicum lo scorso 18 e 19 novembre, sul tema: “Terreni Sacri, visione condivisa: preservare i Luoghi Santi per un Ministero Cristiano Congiunto nei Siti Religiosi e Culturali dell’Artsakh”.

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La conferenza è stata organizzata dalla Rappresentanza della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede, in collaborazione con l’Istituto di Studi Ecumenici dell’Angelicum e sotto gli auspici del Catholicos della Chiesa Apostolica Armena Karekin II e dei dicasteri per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e per la Cultura e l’Educazione.

Padre Hyacinthe Destivelle, officiale del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e Direttore dell’Istituto di Studi Ecumenici all’Angelicum, ha rimarcato l’importanza degli sforzi collaborativi nel proteggere l’eredità religiosa e culturale, mentre l’arcivescovo Khajag Barsamian, rappresentante della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede, ha sottolineato il significato dell’incontro, che ha avuto messaggi di supporto dal Catholicos Karekin II, dai Cardinali Kurt Koch, Claudio Gugerotti, e Josè Tolentino de Mendonça.

Nella prima sezione della conferenza, si è parlato di come la preservazione dell’eredità culturale e dei siti religiosi è strettamente connessa con i diritti umani. Mark Vlasic, dall’Università Georgetown, lo ha messo in luce parlando del suo percorso da procuratore che portava alla giustizia criminali di guerra al lavoro di protezione dell’eredità culturale, e ha sottolineato che la conservazione culturale è intrinsecamente collegata alla dignità umana e ha sottolineato che c’è bisogno di salvaguardare questa eredità nelle zone di guerra.

Pierre D’Argent, dell’Università di Lovanio, ha invece descritto il ruolo della Corte Internazionale di Giustizia nell’affrontare casi riguardanti l’eredità culturale. L’attuale conflitto tra Armenia e Azerbaijan, ha notato, va incluso in una cornice legale più ampia.

Armine Aleksanyan, membro del Consiglio Diocesano dell’Artsakh, ha parlato invece dell’esperienza del popolo dell’Artsakh, di come si sente di fronte a quello che viene considerata una “pulizia etnica”, del significato dell’eredità religiosa della regione, e ha proposto strategie per prevenire ulteriori perdite e salvaguardare l’eredità culturale dell’Artaskh.

Si è poi affrontato il tema della relazione tra conflitto, eredità culturale e rappresentazione dei media. Come i media hanno risposto alla distruzione dell’eredità culturale e religiosa nel mondo? Il professor Vasco La Salvia, dell’Università di Chieti, ne ha parlato, mettendo in luce come i media sia stati sia testimoni che catalizzatori nella narrativa di preservazione culturale.

Arsen Saparov, dall’Accademia Randal, ha mostrato come alcuni che si auto-identificano come esperti creano spesso una illusione di neutralità nei loro racconti, nei quali si nascondono dei pregiudizi che possono cambiare la prospettiva del pubblico.

Si è parlato poi di come preservare i siti religiosi e culturali nelle zone del conflitto. Ne ha parlato l’arcivescovo Mikaheel Moussa Najeeb, domenicano, arcivescovo caldeo di Mosul, che fu colui che, quando l’ISIS arrivò alle porte di Mosul, caricò la sua auto di antichi manoscritti per salvarli dalla furia islamista. Ha parlato proprio di questo, sottolineando come il salvataggio di quei manoscritti anche anche il salvataggio di “una parte vitale dell’eredità culturale irachena”, e che ora servono come un testamento per la responsabilità ecumenica di tutti gli individui.

Peter Petkoff, dell’Università di Oxford, ha invece guardato alla militarizzazione dell’eredità culturale, e ha sottolineato l’insufficienza di alcune cornici legali per proteggere l’eredità culturale nel mezzo dei conflitti.

Tasoula Hadjitofi , attivista culturale e imprenditrice, ha mostrato una strategia che gli è derivata dalle lezioni apprese in cinquanta anni di lavoro a Cipro.

C’è poi stata una sessione dedicata tutta ai monumenti armeni danneggiati, con particolare focus sull’Artsakh. Ne ha parlato il professor Hegnar Watenpaugh dall’Università della California, guardando alla distruzione dei monumenti armeni in Nakhichevan, mentre Jasmin Dum-Tragut, dall’Università di Salisburgo, ha guardato alla complessità delle eredità culturali che si trovano in zone di confine, in particolare nella regione di Tavush.

Alain Navvarra de Borgia ha, da parte sua, ha sottolineato che l’idea di “protezione” è soprattutto occidentale, eppure è diventata sempre più rilevante in contesti post-guerra, e in particolare nelle narrative azerbaijane.

Marco Bais, del Pontificio Istituto Orientale, ha invece guardato a come la propaganda utilizza i testi storici per eliminare (o diluire) l’eredità armena nella zona dell’Artsakh, mentre Jost Gippert è entrato più nel concreto, esaminando le iscrizioni albaniane trovate in Artsakh che l’Azerbaijan utilizza per affermare la presenza di una civiltà non armena. Si tratta – ha detto – di “due pagine a palinsesto e alcune concise istruzioni”, ma questo non giustifica il tentativo azerbaijan di classificare le chiese nella regione come albaniane.

Annegret Plontke-Lüning, dell’università di Jena, ha ripercorso le tracce dell’eredità culturale architettonica dell’Artsakh tra le epoche, e Hamlet Petrosyan, della Yerevan State University, ha portato attenzione sul significato archeologico dell’Artsakh alla luce delle attuali tensioni geopolitiche.

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COP29: gas e petrolio sul red carpet (Imperialecowatch 06.12.24)

Cop29: un vertice “dirottato”, come ha dichiarato l’associazione Christian Aid, “dai paesi ricchi che non sono riusciti a negoziare in buona fede.” Il capo delegazione di Greenpeace ha chiamato “mercanti di morte” i grandi esportatori di gas e petrolio che quest’anno hanno fatto scorta di cartellini d’accesso alla 29esima Conferenza delle Nazioni Unite sul Clima.

Cop29 | Cerimonia di apertura del Summit dei leader mondiali | Foto di UN Climate Change – Kiara Worth | Flickr

Dopo l’esperienza di due edizioni consecutive in Egitto ed Emirati Arabi Uniti, nel 2024 la Presidenza è stata nuovamente assegnata ad un regno del gas e del petrolio, l’Azerbaijan, assolutamente privo delle credenziali per ospitare un tavolo di negoziato sulla crisi climatica nel pieno rispetto di tutte le parti. E vengono sempre più trascurati i Paesi che meriterebbero di presiedere l’evento, quelli più colpiti dalla crisi climatica, che ai tavoli dei negoziati hanno avuto un ruolo marginale, ed hanno ricevuto un risarcimento vago e irrisorio.

Perché Baku

Doveva essere un Paese dell’Unione Europea ad ospitare il summit: nel 2023 accanto a quella di Armenia ed Azerbaijan si era profilata la candidatura della Bulgaria per la Cop29, una sede più consona, sia per gli interventi attuati finora dall’UE in materia di transazione energetica, sia per il principio di rotazione che assegna ogni volta la Presidenza ad uno stato di una macro-regione differente del pianeta. Il veto per l’organizzazione della Cop29 in Europa Orientale è arrivato dalla Russia, come risposta alle sanzioni economiche imposte dall’UE dopo l’aggressione all’Ucraina. Sono così rimasti in gioco Armenia e Azerbajgian, storici avversari militari che si sono opposti alle rispettive assegnazioni. Le truppe azere nel 2023 hanno invaso la regione separatista del Nagorno-Karabakh, causando l’esodo di migliaia di armeni e macchiandosi di atrocità su militari e civili, una vera e propria pulizia etnica. Il Lemkin Insitute for Genocide Prevention aveva invitato pertanto le Nazioni Unite a chiudere le porte della Cop29 all’Azerbajgian. Ma è stata l’Armenia stessa a cedere il passo, ritirando il suo veto in cambio del ritorno in patria di 32 fra i tanti prigionieri armeni detenuti tuttora a Baku insieme a molti giornalisti e attivisti dei diritti umani.

Cop29 | Foto di UN Climate Change – Habib Samadov | Flickr

E Paesi come Romania, Ungheria, Bulgaria e Slovacchia non hanno posto ostacoli alla nomina dell’Azerbajgian: d’altra parte hanno tutti stretto nuovi accordi per l’importazione di gas azero e sostengono la creazione di un titanico gasdotto che dal Caucaso arriverà in Europa. Inoltre, per organizzare un evento mondiale come la COP occorrono denaro, spazi adatti e attitudine alle pubbliche relazioni: e Baku è stata così promossa.

E non è tutto…

Prima della Conferenza è stato filmato un incontro a porte chiuse fra l’amministratore delegato della Cop29 Elnur Soltanov, già Vice-Ministro dell’Energia, ed un’attivista dell’organizzazione per i diritti umani Global Witness, che ha finto di essere il referente di una società di investimenti di Hong Kong interessata a sponsorizzare il summit. Sembra che durante il colloquio Soltanov, dopo aver dimostrato con grande diplomazia la sua apertura alla politica di phase out dai fossili, abbia invitato il potenziale sponsor a stringere un accordo finanziario con SOCAR, la società statale di gas e petrolio di cui fa parte, che sta progettando di sviluppare nuovi giacimenti ed è interessata a nuovi, corposi investimenti. Tutto questo proprio a ridosso della Cop29, violando così il codice di condotta stabilito dalle Nazioni Unite per i funzionari del summit sul clima, che” devono agire senza pregiudizi, faziosità, favoritismi o interessi personali…”.

Nel corso della Conferenza un’altra grave violazione, questa volta commessa dall’Arabia Saudita con il beneplacito della Presidenza azera: è stato diffuso un testo sui negoziati per la transizione energetica, di regola non modificabile da nessuno dei Paesi coinvolti, con aggiornamenti apportati dal delegato del Ministero dell’Energia saudita Basel Alsubaity. Dal documento è stata cancellata la sezione in cui si incoraggiano le Parti a promuovere piani di adattamento nazionali e strategie di sviluppo con basse emissioni a lungo termine. Un atto di favoritismo inaccettabile che l’Azerbaigian avrebbe concesso ad un Paese come l’Arabia Saudita, palesando la sua solidarietà con chi intende frenare il programma di decarbonizzazione mondiale.

Riassumendo: l’Azerbaijan è un Paese dove il 92%delle esportazioni attiene a gas e petrolio, e che progetta di aumentare la produzione di gas di un terzo entro dieci anni; da anni compie atti di genocidio nei confronti del popolo armeno; le sue carceri traboccano di prigionieri politici; ha violato il codice della COP stessa, con azioni di corruzione e clientelismo.

Nonostante questo biglietto da visita tutt’altro che green, ha ottenuto la presidenza di una Conferenza nata per favorire la transizione all’energia pulita e risarcire economicamente i popoli danneggiati dal riscaldamento globale provocato dai Paesi sviluppati.

Climate Action Network, il gruppo di circa 2000 organizzazioni ambientaliste, ha chiesto a gran voce di modificare la procedura di nomina della sede ospitante del summit, affinché a fare da padrone di casa sia un Paese che abbia già intrapreso azioni serie per decarbonizzare il pianeta.

Finanza climatica: mancano ancora molte pagine

Nel frattempo gli stati più colpiti dal disastro ambientale stanno perdendo terreno alla COP, che quest’anno si è chiusa con un accordo sulla finanza climatica che ha deluso le attese: erano stati chiesti 1300 miliardi all’anno, ne sono stati concessi 300, che i Paesi con i conti in attivo come Stati Uniti, Giappone, Regno Unito, Unione Europea, dovranno inviare entro il 2035 ai Paesi più fragili come quelli di Africa, Sudamerica e piccole isole. “Troppo pochi e troppo tardi”, hanno commentato i destinatari del finanziamento, per sanare i danni del riscaldamento globale che ha mietuto vittime, ha distrutto abitazioni e raccolti, ha accelerato la desertificazione e rischia di far scomparire intere isole come Tuvalu, provocando l’aumento dei migranti climatici. Inoltre, più della metà di questi soldi sarà erogata sotto forma di prestito, a Paesi già appesantiti da forti debiti. E alcuni destinatari come l’Alleanza dei Piccoli Stati Insulari, che realmente rischiano di finire sommersi con l’innalzamento del livello del mare, avrebbero voluto un finanziamento privilegiato specificatamente riservato a loro.

Cop29 | Foto di UN Climate Change – Habib Samadov | Flickr

Nel documento conclusivo della COP29 si esortano i Governi delle Parti a raccogliere altri fondi per raggiungere la cifra di 1300 miliardi richiesta in origine, attraverso sia attori privati (che finora hanno elargito cifre non adeguate) che le banche multilaterali di sviluppo, istituti a servizio dei paesi più poveri, che forniscono prestiti a tasso agevolato. Inoltre, è stato richiesto un contributo volontario anche a Cina, Singapore e Paesi del Golfo, che ancora rientrano nella categoria “in via di sviluppo” ma che di fatto sono in grado di elargire un finanziamento ai veri poveri.

La domanda ora è: chi dovrà erogare questi 300 miliardi annui, e come? Il documento finale di questa COP azera non risponde in modo puntuale, ma rimanda ad un altro file, “Baku to Belém Roadmap to 1.3T”, che dovrebbe essere pronto prima della COP30 brasiliana

Troppi falsi verdi in Sala Blu

Cosa aspettarsi da Belem nel 2025? Sarà anche questa una Conferenza inquinata dalla presenza di aziende che partecipano per lanciare falsi programmi a favore dell’ambiente e riciclare la propria reputazione?

Sono stati 1770 i lobbisti dei combustibili fossili presenti alla Cop29. Li ha conteggiati l’Organizzazione Kick the big polluters out, che sostiene che almeno 480 di loro utilizza ormai abitualmente la Cop per promuovere la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CUS), una soluzione giudicata inefficace dalla controparte ambientalista, perché non abbatterebbe in modo significativo le emissioni ma le ricicla, o semplicemente le nasconde nel sottosuolo e nel fondale marino. Dall’analisi di Kick the big polluters out sembra che il numero dei badge dei lobbisti di gas e petrolio superasse quello di tutti i delegati dei dieci paesi più colpiti dalla crisi climatica (come Somalia, Ciad, Eritrea, Sudan, Tonga, Micronesia, Isole Salomone), diminuendo così la possibilità di questi ultimi di ricevere attenzione e ascolto in un evento in cui si decide del futuro del pianeta.

Il marchio dei giganti di gas e petrolio ha tappezzato lo Stadio Olimpico, sede della Cop29, e i delegati di queste aziende sono stati ammessi come osservatori nella Zona Blu dei negoziati, riservata di regola a funzionari governativi, giornalisti ed organizzazioni. L’escamotage: molti dei lobbisti appartenevano ad associazioni di categoria ammantate di verde, come International Emissions Trading Association (che ha i suoi quartier generali in Svizzera, Stati Uniti, Belgio, Canada e Singapore), il cui motto è “raggiungere gli obiettivi climatici con il minor danno economico”. Dal Giappone il colosso del carbone Sumitomo, e poi 39 lobbisti di Chevron, ExxonMobil, BP, Shell ed Eni. Dall’Italia ambasciatori di Enel ed Eni. Persone che fino a due anni fa potevano accedere alla Cop senza doversi identificare. Le Nazioni Unite hanno infatti deliberato che dalla Cop28 in avanti chiunque desideri registrarsi al summit è tenuto a dichiarare la propria affiliazione. Sapere con esattezza chi sta partecipando e da che parte sta dovrebbe consentire almeno un’interpretazione più obiettiva di quello che viene dichiarato ai microfoni della Cop.

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Viaggio in Armenia, l’accogliente terra che racconta millenni (Askanews 03.12.24)

Milano, 3 dic. (askanews) – “L’Armenia è un piccolo Paese che dà l’impressione di essere grande” e dove l’ospite è considerato “un dono di Dio”. Sono parole della scrittrice Antonia Arslan, che descrivono la natura di un popolo e di una nazione divenuta da poco una nuova meta del turismo internazionale, indicata da Lonely Planet come Top Country nella lista dei 10 Paesi Best in Travel 2025.

Nonostante le sue dimensioni contenute, l’Armenia offre una grande varietà di paesaggi, dal maestoso Lago Sevan, il “mare d’Armenia” alle vallate viticole del Vayots Dzor, ai leggendari picchi dell’Ararat, simbolo dell’identità nazionale che unisce gli armeni in patria e quelli della diaspora.

In questo Paese incastonato nel Caucaso, ancora fuori dalle mete del turismo di massa, arrivano viaggiatori in cerca di percorsi autentici e lontani dalle folle. Dodicimila italiani l’hanno visitata nei primi otto mesi del 2024.

Qui ogni angolo è intriso di storia e archeologia. I monasteri – Patrimonio mondiale dell’umanità – punteggiano il paesaggio, come Khor Virap, con lo spettacolare sfondo del monte Ararat, e Noravank, incastonato tra rocce rosse.

Oggi l’Armenia – primo Paese al mondo ad aver adottato il Cristianesimo – sembra avviata alla normalizzazione dei tormentati rapporti con Turchia e Azerbaigian e punta ad attrarre turisti non solo per la sua storia millenaria ma per i suoi paesaggi, i percorsi di trekking, la sua cucina e una produzione di vini e cognac di qualità di livello internazionale.

Solitamente viene il turista curioso – afferma Arpiné Nersisyan, guida turistica e fondatrice di EtnoArmeniaTours – l’italiano curioso che vuole scoprire una nuova nazione, vuole sentire le tradizioni, vuole stare un po’ a contatto con la gente locale, vuole fare un viaggio responsabile. L’Armenia non è una meta di turismo di massa, e questo è uno dei motivi più importanti per cui l’Armenia attira tantissimo l’attenzione del viaggiatore italiano”.

 

L’Armenia lascia spesso stupito il viaggiatore, a partire dalla capitale Yerevan, con la sua famosa “Cascata” di impronta sovietica divenuta centro d’arte contemporanea grazie al contributo di Gerard Cafesjian, un imprenditore nato negli Stati Uniti da genitori armeni emigrati, che ha dedicato gran parte della sua vita e delle sue risorse per sostenere la rinascita della sua terra d’origine. “Quello che non si aspetta – prosegue Nersisyan – è la ricchezza dei paesaggi. Essendo un Paese molto piccolo, stiamo parlando di trentamila chilometri quadrati, la natura si apre con tutti i suoi colori e la sua bellezza. Tutte le regioni sono diverse tra di loro dal punto di vista paesaggistico”. “Non sono solo monasteri ma tante esperienze belle. A contatto con la gente, con la natura, con la squisita cucina armena, con i piatti abbondanti, buonissimi, con l’ottimo vino, un settore che è in sviluppo assoluto. Quindi si mangia, si beve, si vede, si sente. Tutti i sensi sono da mettere in azione in un viaggio in Armenia, un viaggio con tantissime belle esperienze”.

Antonio Montalto è un medico italiano giunto in Armenia dopo il devastante terremoto del 1988, dove ha coordinato progetti socio-sanitari e fondato la Family Care Foundation, un’organizzazione che promuove la valorizzazione della cultura locale e lo sviluppo del turismo. Tra le sue iniziative, un laboratorio di ceramica a Gyumri, dove è stato anche console onorario.

L’Armenia è una meta turistica che si va sviluppando sempre di più, a ragione, perché ha tante attrattive Ma l’attrattiva è legata al posto ma è legata alla cultura e la cultura è incarnata dalle persone. Una persona che viene qui subisce un’iniezione endovenosa di umanità.

L’Armenia produce dal XIX secolo un cognac considerato tra i migliori al mondo. Ma il Paese – che punta molto sul turismo enogastronomico – è anche una delle culle della viticoltura: recipienti di terracotta per la fermentazione e conservazione del vino risalenti a oltre 6.100 anni fa sono state scoperte nel 2007 nella grotta Areni-1, nella regione di Vayots Dzor. Qui è stata rinvenuta anche la scarpa più antica del mondo, del 3.500 avanti Cristo.

“Fare un viaggio in Armenia – dice Mauro Sorrenti, imprenditore e guida turistica – è fare un viaggio alle radici della storia umana e anche delle tante nostre tradizioni. Quindi venire in Armenia è scoprire anche una parte di noi stessi”.

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Armenia, Antonio Montalto: qui un’iniezione endovenosa d’umanità

Armenia, Antonio Montalto: qui un’iniezione endovenosa d’umanità (Askanews 03.12.24)

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Milano, 3 dic. (askanews) – Antonio Montalto è un medico italiano giunto in Armenia dopo il terribile terremoto del 7 dicembre 1988 che uccise 25mila persone e distrusse la città di Spitak. Palermitano, all’epoca lavorava come medico e si occupava di logistica sanitario. Fu nominato coordinatore di un progetto socio-sanitario italiano e capo del progetto nella città epicentro del terremoto. Da allora non se ne è più andato. E’ stato console onorario ed è il fondatore e presidente della Fondazione Family Care, che con i suoi progetti dà lavoro a una cinquantina di persone tra la città di Gyumri e la capitale Yerevan. Ecco la sua testimonianza. “Sono venuto per un progetto di emergenza subito dopo il terremoto – spiega ad Askanews – che aveva come obiettivo la creazione di un piccolo ospedale pediatrico e di un centro sociale a Spitak, che è stato l’epicentro del terremoto e che è a circa 45 chilometri da qui. Gyumri, dove ci troviamo adesso, ha avuto 20.000 morti.

“Abbiamo fatto dei progetti sanitari nel settore materno e infantile, ristrutturando la maggior parte delle maternità regionali nel Karabach e il complesso di ambulatori collegati e le principali maternità dell’Armenia. Cioè è stato possibile – prosegue Montalto – per un supporto molto qualificato da parte da parte del presidente del Policlinico Gemelli di Roma e di alcune altre università ed è stato fattivo, perché ha significato di coinvolgimento delle persone totalmente, non tanto a livello di enunciati e diciamo così di cambiamenti ma di un lavoro fatto gomito a gomito”.

“Noi possiamo dare una mano, ma non possiamo sostituirci – osserva il medico palermitano – Quello che possiamo fare è cercare di dare un contributo di qualità, che significa un cambiamento anche delle nostre vite, un miglioramento delle nostre vite”.

“Noi abbiamo adesso due progetti grandi – prosegue Antonio Montalto – Abbiamo individuato nel turismo integrato un elemento di sviluppo e con quello abbiamo cominciato a sviluppare dei progetti finanziati da noi stessi. Vediamo che però c’è bisogno di andare un po’ più veloce quindi siamo cercando nei progetti che abbiamo in corso – uno nel centro di formazione dell’Artigianato artistico qui a Gyumri, e un altro è la promozione della qualità di vita nei villaggi – che utilizzano la stessa base, cioè l’artigianato e col tempo anche un’agricoltura di qualità, significa avere come obiettivo la qualità di vita delle persone. Quindi è un discorso assolutamente parallelo a quello che è la responsabilità delle istituzioni pubbliche locali ma ovviamente è un aiuto esterno, qualificato ma esterno. Noi ci troviamo qui nel museo della ceramica, abbiamo una scuola di ceramica l’idea è formazione: facilitare un discorso di carità formativa, che è un alto livello di carità, cioè dare la possibilità, alle persone che sanno, di partecipare le loro conoscenze ad altre persone. Nel caso specifico è molto molto bello perché l’Armenia sul piano dell’Artigianato credo che non abbia rivali al mondo”. “E’ un mondo – conclude – è una pepita d’oro fatta da varie componenti in cui noi cerchiamo di essere utili con questo centro e con l’altro centro che è ad Hartashen, vicino Goris”.

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Il libro: “Lo specchio armeno” di Paolo Codazzi | Recensione di Alberto Raffaelli per Segnalazioni Letterarie (Mobmagazine 03.12.24)

“Lo specchio armeno” è uno di quei libri che di fatto sfida il lettore. In un’epoca – iniziata prima dell’avvento dei social – in cui la semplificazione e in molti casi l’appiattimento paratattico hanno colonizzato la scrittura letteraria, il romanzo di Codazzi si pone come una sorta di oggetto alieno con il quale cimentarsi in un gioco fruitivo non privo di complessità ma anche fascinoso.

In esso si accostano piani temporali diversi,        che danno vita a un intreccio fatto di parallelismi e corrispondenze (persino familiari e onomastiche) il cui ricorrere a distanza di secoli sostanzia la trama e il senso di una vicenda condotta sotto un profilo complessivamente enigmatico, da intendersi come accettazione non traumatica da parte dei protagonisti di eventi fuori dall’ordine naturale. Ovviamente maggiore esitazione – per rispolverare le teorie di Todorov sul fantastico – vi sarà da parte del lettore nell’approcciarsi ad eventi che esulano dalla verosimiglianza: ma è proprio questo iato tra reazione dei personaggi e di chi sta dall’altra parte a costituire uno degli aspetti intriganti de “Lo specchio armeno”.

Meraviglioso e quotidianità si coniugano in un racconto che ha però il proprio collante nel tramite discorsivo, ovvero uno stile complesso e dall’ardimentosa orditura sintattica il quale costituisce il versante formale di una “quête”, vale a dire quella ricerca del sentimento assoluto – scopo che si rivela praticamente irraggiungibile – al centro della trama.

Cosimo, il pittore protagonista e gli altri si muovono secondo tratti trasognati, su un limite indefinito tra veglia e assopimento, termine quest’ultimo da intendersi come flusso di fatti e sensazioni che, a dispetto di una referenzialità immediata, appare vischioso nella sua logicità globale.

Ed è proprio una sorta di rara “terra di mezzo” stilistica a farsi in qualche modo garante della coerenza come pure dell’attendibilità della narrazione (infiorettata oltretutto da più forme di tessitura testuale).

Tale prosa sinuosa e ondeggiante, che a tutta prima appare difficoltosa, possiede a (molto) ben vedere un carattere rivelatorio: il mostrare, come poche oggigiorno, i movimenti cerebrali e fantasiosi attraverso cui la scrittura rispecchia la vita, configurando una sorta di flusso di coscienza “razionalizzato” e portato in superficie rispetto alle pieghe dell’interiorità, affiancandosi alla concretezza cronachistica.

Raffina il tutto un lessico spesso prezioso e sezionatore, attraverso cui si asseconda questo moto iperdescrittivo degli avvenimenti e dell’anima. Ipotassi estrema e parole desuete alimentano così un originalissimo ecosistema letterario, che richiede certo impegno e dedizione ma ripaga poi il lettore attento della fatica immersiva profusa.

Alberto Raffaelli

(albertoraf2@gmail.com)

Il libro:

Paolo Codazzi, “Lo specchio armeno”, Cagliari, Arkadia, 2023

https://amzn.eu/d/06koTTW

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Scoperta genetica: gli armeni e i Balcani senza legami ancestrali (Scienzenotizie 03.12.24)

Uno studio recente sul genoma ha svelato una scoperta sorprendente: non esistono legami genetici tra gli armeni e i Balcani, confutando così antiche teorie ancestrali che li collegavano. Gli armeni, popolazione dell’Asia occidentale originaria delle Alture armene, sono stati a lungo considerati discendenti dei coloni frigi dei Balcani, una teoria basata principalmente sugli scritti di Erodoto, storico greco, che notò somiglianze nell’armamento tra gli armeni e i Frigi al servizio dell’esercito persiano. Anche i linguisti avevano supportato questa teoria, evidenziando connessioni linguistiche tra l’armeno e il sottogruppo thraco-frigio delle lingue indoeuropee.

Tuttavia, il primo studio completo del genoma ha messo in discussione questa convinzione radicata nel tempo, rivelando l’assenza di un legame genetico significativo tra gli armeni e le popolazioni balcaniche. Il confronto è stato effettuato tra i genomi armeni moderni e i dati genetici di individui antichi delle Alture armene, sia moderni che antichi dei Balcani. Questa ricerca genetica sfida le assunzioni storiche che hanno plasmato la nostra comprensione del passato.

La dottoressa Anahit Hovhannisyan, borsista Marie Curie presso la Scuola di Genetica e Microbiologia del Trinity College di Dublino, autrice principale dello studio pubblicato sull’American Journal of Human Genetics, ha sottolineato come le nuove tecnologie di sequenziamento del genoma e la ricerca sul DNA antico permettano di ridefinire le idee radicate nel tempo, offrendo una visione più dettagliata e scientificamente fondata della storia delle popolazioni umane.

Il team di ricerca ha anche confutato l’ipotesi di un’ascendenza assira per i Sasun, popolazione armena del sud delle Alture armene. Contrariamente a quanto riportato in molte fonti storiche, inclusa la Bibbia e testi cuneiformi, è emerso che i Sasun avevano subito una significativa contrazione demografica nel passato, distinguendoli così dalle altre popolazioni.

Ulteriori analisi hanno rivelato un contributo genetico proveniente dai contadini neolitici levantini nella regione delle Alture armene, in un periodo successivo all’Età del Bronzo Antico, suggerendo un ampio movimento attraverso il Medio Oriente. Il professore Andrea Manica dell’Università di Cambridge, co-autore senior dello studio, ha sottolineato che le domande su quando e da dove sia avvenuto questo movimento migratorio su larga scala restano aperte e richiedono ulteriori approfondimenti.

Infine, i ricercatori hanno esaminato la struttura della popolazione e la variazione genetica dei diversi gruppi armeni, scoprendo che le popolazioni delle diverse regioni delle Alture armene mostrano un alto grado di somiglianza. Questo studio rappresenta il primo tentativo di tracciare l’atlante genetico delle Alture armene, come ha sottolineato il professore Levon Yepiskoposyan dell’Istituto di Biologia Molecolare, NAS RA, co-autore senior della pubblicazione.

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Lusine Gevorgyan nuova direttrice Armenia Tourism Committee (II Giornale del Turismo 02.12.24)

L’ente governativo per la promozione del turismo, Armenia Tourism Committee, è lieto di annunciare la nomina di Lusine Gevorgyan come nuova direttrice generale. Gevorgyan porta con sé un’esperienza significativa e una profonda passione per l’Armenia. Assumendo questo ruolo, si propone di elevare il profilo dell’Armenia come destinazione globale di primo piano, celebrata per il suo patrimonio culturale e la sua bellezza naturale.

In qualità di direttrice, Gevorgyan guiderà iniziative volte a rafforzare il settore turistico dell’Armenia, supportando le comunità locali, promuovendo partenariati sostenibili e mettendo in evidenza le attrazioni uniche del Paese a livello mondiale. Sotto la sua leadership, il Tourism Committee si impegna a posizionare l’Armenia come una delle destinazioni principali della regione, conosciuta per i suoi siti storici, tradizioni vitali, paesaggi naturali stupefacenti e ricca eredità culinaria.

“Siamo entusiasti di accogliere Lusine Gevorgyan come guida del Tourism Committee,” ha dichiarato Gevorg Papoyan, Ministro dell’Economia della Repubblica d’Armenia. “Con la sua esperienza e dedizione, non vediamo l’ora di favorire un settore turistico ancora più dinamico e resiliente, che metta in luce le attrazioni uniche dell’Armenia per i viaggiatori di tutto il mondo.”

“Sono onorata di assumere questo ruolo e di contribuire alla crescita dell’Armenia come destinazione capace di affascinare e ispirare viaggiatori da ogni parte del mondo,” ha affermato Lusine Gevorgyan. “Il nostro Paese offre una straordinaria varietà di attrazioni, che spaziano dall’avventura e la natura alla cultura e la gastronomia, senza dimenticare la nostra ricca tradizione vinicola. Dando priorità a una crescita sostenibile e inclusiva, puntiamo a creare esperienze indimenticabili per i visitatori e benefici economici duraturi per le nostre comunità.”

Sotto la guida di Gevorgyan, il Tourism Committee è impegnato a promuovere l’innovazione nel settore, espandere la presenza dell’Armenia come destinazione imperdibile e offrire esperienze indimenticabili ai viaggiatori. L’ente di promozione turisticha guarda con entusiasmo a una nuova era di crescita e sviluppo.

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Luca Di Bianca, da Guidonia all’Armenia per documentare la storia degli esuli di guerra armeni (Romatoday 01.12.24)

Luca Di Bianca e Nova Lectio si sono riuniti per la creazione di un documentario che approfondirà la questione del Nagorno Karabakh e del genocidio perpetrato dal governo dei Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale.

Lo scrittore viaggiatore residente di Guidonia insieme a Simone Guida (proprietario del canale YouTube Nova Lectio) sono partiti insieme al videomaker Giovanni Andrea Murgia per raccogliere il materiale per la realizzazione dell’elaborato (che vedrà la luce a febbraio 2025) in direzione Armenia dove la crisi degli sfollati della regione del Nagorno-Karabakh ha assunto proporzioni drammatiche con oltre 100.000 armeni costretti a lasciare la regione dopo l’offensiva azera del settembre 2023 dovuto dalla resa delle autorità locali e alla dissoluzione della Repubblica dell’Artsakh, segnando la fine di decenni di conflitto

Il viaggio in Armenia, ad oggi, è soltanto l’ultima di una lunga lista per Di Bianca che al ritorno dalle sue esperienze (dai campi profughi del Sahara Occidentale a quelli palestinesi di Shatila, passando per gli orfanotrofi africani) partecipa a degli incontri con le scuole elementari romane soprattutto con l’Istituto Sant’Anna di Settecamini. Obiettivo di questi incontri, in cui regala dei doni,  è quello di sensibilizzare i bambini verso temi e realtà più difficili.

Luca Di Bianca, da Guidonia all’Armenia per un documentario sugli esuli di guerra armeni
https://www.romatoday.it/zone/guidonia/luca-di-bianca-guidonia-armenia-documentario-esuli-di-guerra-armeni.html
© RomaToday

Erevan: cosa vedere e cosa fare nella capitale dell’Armenia (Viaggi. Corriere nov. 2024)

Erevan è il punto di partenza di un viaggio in Armenia, meta emergente che sta attirando sempre più turisti. Ecco cosa vedere e cosa fare nella capitale, una delle città più antiche del mondo

 

Lonely Planet ha incluso l’Armenia tra le migliori destinazioni del 2025. Un viaggio in questo piccolo Paese a cavallo tra Asia ed Europa non può che partire da Erevan, o Yeravan, la sua capitale dal 1921.

La città rosa, com’è chiamata per la tonalità del tufo con cui è stata costruita gran parte degli edifici del centro, ha alle spalle oltre 2800 anni di storia e dominazioni straniere ed è più antica di Roma. Ma è anche una città vitale, ricca di caffè, ristoranti, musei e spazi verdi, il tutto dominato dal profilo del leggendario monte Ararat, la “montagna santa” del popolo armeno, che si trova in territorio turco.

 

Erevan
Vista della città con il monte Ararat sullo sfondo. iStock

Dove si trova Erevan

Nel centro dell’Armenia, un po’ spostata verso il confine turco. La città sorge a circa 1000 metri di altitudine, su un altopiano circondato da colline e montagne, ed è attraversata dal fiume Razdan.

GUARDA ANCHE: Viaggio in Armenia tra città e monasteri 

Cosa vedere a Erevan

Piazza della Repubblica

Piazza della Repubblica è il cuore di Erevan e il fulcro del piano urbanistico progettato dall’architetto Alexander Tamanyan (1878-1936), tra il 1924-1936, durante il periodo della dominazione sovietica.

Caratterizzata da edifici neoclassici di diverse tonalità di rosa, colonnati e fontane musicali, ospita importanti edifici cittadini tra cui la sede del Governo, il Museo di storia dell’Armenia e la Galleria nazionale.

In passato Piazza della Repubblica ospitava anche una statua di Lenin, smantellata dopo il crollo dell’URSS.

Dalla piazza parte Abovyan Street, una delle strade principali della città.

Erevan
Una fontana in piazza della repubblica, cuore pulsante della città. iStock

Cascade

Una gigantesca scalinata, terrazze, giardini, sculture, opere d’arte all’aperto, e una vista magnifica su Erevan con il Monte Ararat sullo sfondo: tutto questo è Cascade, la cascata. Uno dei luoghi più famosi della città, un complesso monumentale che fonde arte e verde, originariamente concepito da Alexander Tamanyan per collegare la zona centrale e quella settentrionale.

Fa parte del complesso il Cafesjian Center for the Arts, centro dedicato all’arte contemporanea che offre un’ampia varietà di mostre ed eventi.

Da vedere anche il monumento di Alexander Tamanian, di fronte alla scalinata: una scultura in basalto alta 3 metri, con gigantesche braccia, che sembra guardare il suo piano regolatore appoggiato su pietre.

Cascade Erevan
L’enorme scalinata, terrazze, sculture e giardini del complesso monumentale Cascade. iStock

Cattedrale di Erevan

Principale luogo di culto della chiesa apostolica armena nel mondo, la cattedrale di San Gregorio Illuminatore è stata consacrata nel 2001 e costruita per celebrare il 1700° anniversario della proclamazione del Cristianesimo come religione di stato dell’Armenia.

Intitolata al santo patrono che convertì l’Armenia al Cristianesimo, è un’architettura monumentale, costituita da una chiesa principale e due cappelle.

Matenadaran

Tempio della conoscenza armena, il Matenadaran ospita una delle più ricche collezioni di manoscritti antichi al mondo. Oltre 20.000 opere, alcune salvate dalla distruzione come le Omelie di Mush, del XIII secolo: il più grande manoscritto miniato armeno ancora oggi esistente, appartenuto al monastero di Surp Arakelos, vicino alla città di Mush in Anatolia, e miracolosamente salvato da due donne in fuga dal genocidio del 1915.

Oggi questo libro che pesa circa 28 chili è un simbolo fortissimo della resistenza di un popolo minacciato e perseguitato.

Erevan
La torre dell’orologio in piazza della Repubblica costruita con tufo rosa. iStock

Museo Nazionale di Storia dell’Armenia

Tutta la storia del Paese, dalle origini ai giorni nostri, è rappresentata con reperti di enorme valore; c’è anche la scarpa in pelle più antica del mondo, risalente a oltre 5.000 anni fa, e un intero carro in legno di oltre 4.000 anni fa.

Karen Demirchyan Sports and Music Complex

Un gioiello architettonico moderno, un grande complesso per sport e concerti, che ricorda un po’ un’astronave, progettato da un gruppo di architetti armeni, celebrati per quest’opera con l’URSS State Prize nel 1987, il più alto premio del suo genere.

Yerevan
Karen Demirchyan Sports and Music Complex. Foto Visit Yerevan

Fortezza di Erebuni

Su un colle nella periferia della città, è uno dei più importanti siti archeologici dell’Armenia e una tappa imprescindibile per scoprire le origini di Erevan, sorta con la costruzione di questa roccaforte, che fu fondata dal re urartiano Argishtis I nel 782 a.C., come testimonia la celebre iscrizione cuneiforme trovata qui durante la prima campagna di scavi, considerata il “certificato di nascita” di Erevan.

Oltre all’area archeologica, visitate il museo inaugurato nel 1968, in occasione del 2750° anniversario della fondazione della città-fortezza di Erebuni-Erevan, che espone i reperti ritrovati durante gli scavi.

Tsitsernakaberd

Il memoriale del genocidio armeno si trova sulla collina di Tsitsernakaberd. Fu costruito nel 1965 -67 ed è dedicato alla memoria di oltre un milione e mezzo di armeni che caddero vittime del genocidio compiuto dal governo dei Giovani Turchi nell’Armenia occidentale e in altre aree della Turchia nel 1915-16.

Cuore del complesso sono 12 imponenti piloni posti intorno alla fiamma eterna, che arde in memoria delle vittime; completano il memoriale una stele, alta 44 metri, che rappresenta la rinascita degli armeni, e il muro commemorativo in basalto, che fiancheggia  il viale di accesso al memoriale con incisi i nomi delle località popolate da armeni dove furono effettuati massacri e deportazioni.

Ogni anno, il 24 aprile, migliaia di persone commemorano il genocidio con una visita al monumento.

Erevan
Il Memoriale del Genocidio armeno. iStock

Cosa fare a Erevan

Esplorate il centro a piedi

Partite da Piazza della Repubblica, percorrete Northern Avenue con i negozi e i locali alla moda, passate per piazza della Libertà con il Teatro dell’Opera e del Balletto, progettato da Alexander Tamanian e inaugurato nel 1933, e raggiungete l’area pedonale ai piedi della Cascade, animata da numerosi caffè, ristoranti e, nei mesi più caldi, concerti all’aperto.

Fa parte del distretto centrale, chiamato Kentron, anche il nucleo più antico della città, il Kond. Si estende in collina e conserva un’atmosfera da villaggio tra le sue strade strette, ripide e tortuose.

Erevan Vernissage Market.
Tappetti al Vernissage Market. Foto Tourism Committee of the Republic of Armenia

Fate shopping al Vernissage Market

Vicino a piazza della Repubblica, questo mercato all’aperto offre di tutto e di più: artigianato in legno, ceramica, argento, tappeti, kilim, tessuti, abbigliamento, strumenti musicali (come il duduk, strumento tradizionale simile all’oboe, ricavato dal legno di albicocco), scacchiere, backgammon…

Passeggiate al Victory Park

Il più grande tra i tanti parchi cittadini punteggiati di ciliegi e albicocchi. Si trova in cima alla monumentale scalinata, sulle alture della capitale, e offre una vista unica sul monte Ararat.

I turisti arrivano qui per rilassarsi, godersi una passeggiata e il panorama, ma anche per vedere l’iconica Madre Armenia, una statua in rame battuto alta 22 metri, che impugna una spada e sovrasta l’intera città.

Scoprite la casa museo di Martiros Saryan

Martiros Saryan (1880-1972) è considerato il fondatore della pittura armena moderna. Abitò in questa casa, oggi museo, dal 1932 fino alla fine della sua vita. Oltre allo studio dove dipinse i suoi capolavori, si scopre una notevole collezione di opere, tra paesaggi dell’Armenia -villaggi pastorali, vedute del Monte Ararat, cortili, chiese – ritratti e nature morte.

Partecipate al festival del vino

Si chiama Yerevan Wine Days il festival della capitale dedicato agli amanti del vino, che ogni estate anima per tre giorni diverse vie centrali con degustazioni, musica dal vivo e una vibrante atmosfera di festa.

 Yerevan Wine Days
La folla per le strade durante il festival Yerevan Wine Days. Foto Tourism Committee of the Republic of Armenia

Cosa mangiare a Erevan

La cucina armena è un intreccio di influenze mediterranee, mediorientali e caucasiche. Ed anche è uno dei motivi per cui vale la pena visitare questo Paese fuori dalle solite rotte, così come il vino (la viticoltura armena è una delle più antiche al mondo).

Il Lavash, un pane molto sottile incluso nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, non manca mai in tavola; tra i piatti tradizionali da assaggiare, gli involtini di foglie di vite chiamati Dolma, l’Harissa, a base di carne, il Ghapama, zucca ripiena.

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Dove mangiare a Erevan

The Club

In Saryan Street, un ristorante moderno e ricco d’atmosfera. Propone piatti della tradizione realizzati con materie prime a chilometro zero. È anche un luogo di ritrovo per artisti e musicisti che si esibiscono al pianoforte presente nella sala.

Mayrig Restaurant

In Amiryan Street, questo ristorante è rinomato per la favolosa cucina armeno-mediterranea e l’ambiente dalla raffinata atmosfera mediorientale.

Ristorante Vostan

In Abovyan Street, piatti tradizionali in un locale accogliente, con diversi ambienti e una balconata che dà sulla corte interna (facebook.com/vostan.mbg).

Ristorante 782 

Nel cuore della città, un ristorante moderno il cui nome rende omaggio alla millenaria storia di Erevan, fondata nel 782 a.C. La cucina mescola sapori tradizionali e tecniche contemporanee (info: 782.am/en).

Cattedrale di Erevan
La Cattedrale di Erevan. iStock

Dove dormire a Erevan

Tufenkian Historic Yerevan Hotel 

Un boutique hotel con spa e ristorante di cucina armena in un palazzo storico vicino a piazza della Repubblica. Le camere sono arredate con tappeti Tufenkian, tessuti e mobili di fattura artigianale (tufenkianheritage.com).

Courtyard by Marriot Yerevan

Il brand Courtyard by Marriott ha aperto di recente questo hotel con ristorante e terrazza progettati dallo Studio Shoo. Lusso e servizi impeccabili, a pochi passi dal Teatro Nazionale di Opera e Balletto (marriott.com)

Holiday Inn Republic Square

Nella piazza principale di Erevan, ideale per raggiungere a piedi tutte le attrazioni (ihg.com)

Erevan Teatro dell'Opera
Il Teatro dell’Opera. Foto Tourism Committee of the Republic of Armenia

Come arrivare a Erevan

Yerevan è collegata all’Italia con voli diretti WizzAir e FlyOne Armenia da Milano Malpensa; Wizzair da Roma Fiumicino o Venezia Marco Polo.

Quando andare a Erevan

L’estate è la stagione più vivace ricca di festival, concerti e vita notturna all’aria aperta. Evitate però  luglio e agosto se soffrite molto il caldo, perché le temperature possono superare i 30 °C.

Più piacevole il clima sia in primavera che in autunno. Ad aprile gli albicocchi iniziano a fiorire, creando una scena fantastica intorno alla città. Il lungo inverno (da novembre a marzo) non è l’ ideale, perché le temperature possono scendere sotto lo zero.

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