Madonna dei Debitori Speranza dell’Artsakh (La Voce del Parlamento 05.11.24)
La Madonna dei Debitori: Speranza per il Popolo Armeno dell’Artsakh



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MATER – «Sono contento di essere stato invitato a Matera e di aver potuto vedere questa città misteriosa e antica, scoperta guardando la pellicola di Pier Paolo Pasolini “Il Vangelo secondo Matteo”, visto che ero molto interessato ai film che parlavano di Gesù. Sto pensando di fare qui una rappresentazione teatrale di Salomè nella piazza centrale». Le parole sono di Atom Egoyan, 64 anni, regista, armeno naturalizzato canadese, di levatura internazionale, ospite d’eccezione della quinta edizione del Matera Film Festival, durante la quale venerdì presenterà in anteprima nazionale il suo ultimo lavoro Seven Veils con Amanda Seyfried, già diretta dal regista nel film Chloe – Tra seduzione e inganno del 2009.
Il maestro, sceneggiatore e produttore cinematografico nel corso della conferenza stampa di ieri ha raccontato il suo rapporto con la tecnologia, con il cinema che sta subendo una profonda trasformazione, sempre più aperto alla sperimentazione di nuovi linguaggi e prossimo all’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma anche con il cinema italiano del Dopoguerra, ricordando grandi registi come Pasolini, Fellini, Visconti e Antonioni che lo hanno in qualche modo influenzato e ispirato nel corso di una lunga carriera iniziata quarant’anni fa.
Il suo ultimo lavoro è Seven Veils, «dove – spiega il regista – ho cercato di raccontare nuovamente la storia di Salomè di Richard Strauss (riportata nel film diretto da Egoyan per la prima volta nel 1996, ndr), il cui libretto è basato sulla traduzione in tedesco dell’omonima tragedia di Oscar Wilde, dove tutti i livelli di interpretazione sono maschili, e dove tutti uomini guardano un personaggio femminile che, in quest’opera, si assume la responsabilità di chiedere la testa di Giovanni Battista, sulla base di qualcosa che non può avere, ossia l’amore carnale».
La storia però viene attualizzata, con la protagonista che è una regista teatrale, che deve riportare in scena la «Salomé», ma nel farlo è tormentata dai traumi non ancora risolti. «Uno dei momenti clou della storia – sottolinea il regista – è quando Salomé bacia Giovanni Battista, un gesto che crea una separazione tra testa e corpo. È un’immagine scioccante, ma il compito dell’arte proprio quello di risvegliare ciò che è dentro di noi. Da questo punto di vista, se pensiamo ai tanti conflitti che ci sono oggi nel mondo, l’arte ricopre un ruolo molto importante nel restituire un significato ai nostri sentimenti».
Quanto ai registi italiani che hanno influenzato la sua produzione. Egoyan non ha dubbi: «Oltre a Pier Paolo Pasolini, anche i film di Marco Bellocchio, Michelangelo Antonioni e Luchino Visconti che ha questa eccezionale capacità di unire il realismo di Rossellini con la tradizione barocca di altri registi. E naturalmente Federico Fellini». Sul futuro del cinema il regista parla di «un momento di transizione. Dobbiamo incominciare a realizzare che lavoreremo anche con l’intelligenza artificiale. Adesso dobbiamo vedere a cosa ci porterà».
Con lo slogan “Nessuna Cop29 in Azerbaigian senza rilascio degli ostaggi del Nagorno-Karabakh”, si svolgerà oggi pomeriggio a Parigi dalle 18.30 alle 20 una manifestazione dell’Œuvre d’Orient. L’appuntamento – fa sapere l’organizzazione – è in piazza dei Diritti Umani, Esplanade du Trocadéro. L’iniziativa è promossa insieme a Consiglio di coordinamento delle Associazioni armene di Francia e all’Associazione a sostegno dell’Artsakh. “La decisione di organizzare la COP29 in Azerbaigian – dichiara nella nota mons. Pascal Gollnisch, direttore generale dell’Œuvre d’Orient – è un affronto ai valori di giustizia, pace ed ecologia che questo vertice mondiale dovrebbe difendere”.
Erevan, 05 nov 11:20 – (Agenzia Nova) – Il presidente armeno Vahagn Khachaturyan ha firmato il decreto di nomina di Srbuhi Galyan come nuova ministra della Giustizia. Il decreto è stato pubblicato sul sito ufficiale del presidente dell’Armenia. Da settembre del 2020, Galyan ha ricoperto l’incarico di vice procuratrice capo con delega alle attività di confisca dei beni di origine illegale. Il primo ottobre Grigor Minasyan ha presentato le sue dimissioni da ministro della Giustizia, mentre lo scorso 29 ottobre i vertici del partito di governo Contratto civile hanno deciso di nominare Srbuhi Galyan per succedergli all’incarico. (Rum)
Vatican News
A pochi giorni dalla Conferenza Onu sui cambiamenti climatici, la cosiddetta Cop29, che si terrà a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre 2024, i leader spirituali della Chiesa armena apostolica, cattolica ed evangelista – rispettivamente Sua Santità Catholicos Aram I, Sua Beatitudine Catholicos-Patriarca Raphaël Bedros XXI, il reverendo Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente – firmano e diffondono un appello congiunto in cui esprimono “ancora una volta la nostra giusta protesta e preoccupazione per la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120 mila persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh”.
Pertanto, in quanto “leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo”, nonché “impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani”, Aram I, Bedros XXI, Haidostian scrivono di non poter “rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbaigian dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale”. Richiamano dunque l’attenzione dei propri rappresentanti spirituali e comunitari su alcune precise azioni.
Anzitutto, si legge nel comunicato, “alla vigilia e nel corso della Conferenza internazionale Cop29 a Baku, è di particolare importanza evidenziare la continua ingiustizia contro il popolo armeno dell’Artsakh. Richiedere il loro diritto al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale”. I tre leader spirituali chiedono poi di “mobilitare tutte le nostre risorse in difesa dei diritti degli armeni dell’Artsakh attraverso la sensibilizzazione degli ambienti politici, governativi e diplomatici, nonché attraverso le relazioni interreligiose e interecclesiastiche, con l’ampio utilizzo di mezzi pertinenti e informativi”. Infine, terza azione richiesta, quella che “durante le funzioni religiose, si tengano preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa”.
“La nostra nazione – afferma ancora il documento – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee”. Da qui, una preghiera a Dio di “proteggere la nostra nazione e la nostra Patria da tutti i mali e i pericoli del mondo”.
Intanto domenica prossima, 10 novembre, alle 17, si terrà una preghiera ecumenica “per gli armeni attualmente in prigione in Azerbaigian” presso la Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma. Il momento liturgico è promosso dal Pontificio Collegio Armeno e dal rappresentante della Chiesa Armeno Apostolica presso la Santa Sede; sarà presieduto dall’arcivescovo lan Ernest, rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury presso la Santa Sede. “Tutti gli uomini di buona volontà che credono nella verità e nella giustizia sono invitati ad unirsi”.
Alla vigilia della Conferenza Onu sui cambiamenti climatici COP29 che si terrà a Baku (Azerbaigian) dall’11 al 22 novembre 2024, i tre leader spirituali delle Chiese cristiane hanno lanciato un appello, per esprimere “ancora una volta la nostra giusta protesta e preoccupazione per la guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120.000 persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh”. L’appello è firmato da Sua Santità Catholicos Aram I (Chiesa Apostolica Armena, Sede di Cilicia), da Sua Beatitudine Catholicos-Patriarca Raphaël Bedros XXI (Chiesa Cattolica Armena), e dal Rev. Dr. Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene nel Vicino Oriente. “In quanto leader spirituali dediti al servizio di Dio Onnipotente e del nostro popolo, nonché impegnati nei principi di giustizia, pace e protezione dei diritti umani, non possiamo rimanere in silenzio di fronte alla violazione da parte dell’Azerbaigian dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale”. In particolare i leader cristiani chiedono di rispettare il diritto del popolo armeno dell’Artsakh a fare “ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale”.
Nell’appello le Chiese chiedono di dedicare nelle funzioni religiose “preghiere speciali per la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa”. “La nostra Nazione – scrivono i tre leader cristiani – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee”.
Domenica 10 novembre, alla vigilia dell’apertura dei negoziati sul clima (Cop29) in Azerbaigian, il Pontificio Collegio armeno e la Rappresentanza della Chiesa Apostolica Armena presso la Santa Sede organizzano anche a Roma una preghiera ecumenica che si terrà alle ore 17 presso la Chiesa armena di San Nicola Da Tolentino (Via S. Nicola da Tolentino 17), per “pregare il Signore per la liberazione di coloro dei nostri fratelli che sono stati fatti prigionieri”. “L’attacco militare contro la Repubblica dell’Artsakh (nel settembre-ottobre 2020) – scrivono i promotori dell’iniziativa in un comunicato diffuso oggi -, seguito dal blocco di dieci mesi del corridoio Lachin e dallo sfollamento forzato di circa 120.000 armeni dalle loro terre ancestrali nel settembre 2023, nonché la demolizione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la cattura illegale della leadership politica dell’Artsakh, continua a destare enorme preoccupazione”. La preghiera ecumenica è promossa alla vigilia della conferenza internazionale COP29 che si terrà a Baku (Azerbaigian) dall’11 al 22 novembre 2024,e su invito del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) che ha esortato “tutte le persone di buona volontà” a unirsi alla giornata di preghiera per l’Armenia, “giornata che sarà ricordata in tutto il mondo, dalle comunità armene e non, con una preghiera speciale dedicata ai prigionieri armeni attualmente detenuti illegalmente in Azerbaigian”.
«Non possiamo restare in silenzio». Alla vigilia della COP29 sui cambiamenti climatici che si aprirà in Azerbaigian, dall’11 al 22 novembre, i leader religiosi della Chiesa armena, il Catholicos Aram I, il Patriarca Raphaël Bedros XXI, e il reverendo Paul Haidostian, presidente dell’Unione delle Chiese Evangeliche Armene hanno firmato un appello congiunto per «protestare» per le conseguenze della «guerra scatenata dall’Azerbaigian contro gli armeni dell’Artsakh (2020-2023) e di conseguenza, l’evacuazione forzata di 120 mila persone dalla loro patria storica, la distruzione pianificata di edifici e monumenti religiosi e culturali armeni e la detenzione illegale dei leader politici dell’Artsakh».
I religiosi scrivono di non poter «rimanere in silenzio di fronte alla violazione dei diritti degli armeni dell’Artsakh e all’indifferenza della comunità internazionale».
In pratica chiedono «il loro diritto della gente al ritorno nelle proprie terre ancestrali e a riaffermare la propria sovranità sotto la protezione della comunità internazionale». Infine chiedono « la rapida liberazione dei prigionieri dell’Artsakh detenuti dall’Azerbaigian: leader politici, funzionari governativi, personale militare, soldati e sostenitori della causa».
«La nostra nazione – si legge nel documento – si trova attualmente in una congiuntura critica e deve affrontare molte sfide. È quindi imperativo unire e riorganizzare le nostre risorse attorno a un’agenda pan-armena. Dobbiamo essere prudenti e lungimiranti. I valori nazionali dovrebbero avere la precedenza su tutte le altre considerazioni esterne e temporanee».
Intanto domenica 10 novembre, alle 17, si terrà una preghiera ecumenica per gli armeni attualmente in prigione in Azerbaigian, presso la Chiesa di San Nicola da Tolentino a Roma. Il momento liturgico è promosso dal Pontificio Collegio Armeno e dal Vaticano.


Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Il luogo di culto, del IV secolo, rinvenuto ad Artaxata. Una scoperta frutto del lavoro congiunto di archeologi dell’università di Münster e dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia. Per gli esperti è un evento «significativo» anche perché il regno è stato il primo nella storia «ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale».
Nei giorni in cui papa Francesco nomina nuovo membro del dicastero per le Chiese orientali il patriarca di Cilicia degli Armeni Raphaël Bedros XXI Minassian, un gruppo di studiosi annuncia la scoperta dei resti di una chiesa del quarto secolo ad Artaxata, l’antica capitale del regno d’Armenia. Per gli esperti l’edificio rappresenta uno dei più antichi luoghi di culto rinvenuti al mondo e la più antica dell’area in cui sorgeva il regno che è anche il primo nella storia ad aver abbracciato il cristianesimo come religione ufficiale.
I resti della chiesa, dalla forma ottagonale, sono stati riportati alla luce ad Artaxata, l’antica capitale del regno di Armenia, da una squadra congiunta di archeologi dell’università di Münster e dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Armenia, che hanno lavorato sul sito da settembre. La scoperta «consiste in una struttura con estensioni cruciformi» che «corrisponde a edifici commemorativi paleocristiani» come spiega l’ateneo tedesco in una nota. La costruzione era caratterizzata da “un diametro di circa 30 metri” e aveva “un semplice pavimento in malta e piastrelle di terracotta».
I ricercatori hanno anche trovato frammenti di marmo che indicano quanto fosse «riccamente decorata» con materiali di pregio da importazione. «Nelle estensioni a forma di croce, i ricercatori hanno scoperto i resti di piattaforme di legno che sono state datate al radiocarbonio» e risalirebbero «alla metà del IV secolo d.C.» prosegue la dichiarazione.
Questa datazione ha permesso ai ricercatori di stabilire che la struttura «è la più antica chiesa archeologicamente documentata del Paese e una prova sensazionale del primo cristianesimo in Armenia» come evidenzia Achim Lichtenberger, docente dell’università di Münster.
La città di Artaxata, ora in rovina, situata su una collina nel sud del Paese lungo il confine con la Turchia, è stata fondata nel 176 a.C. e si è sviluppata nel tempo sino a diventare «una importante metropoli», in particolare durante il periodo ellenistico.
Una crescita consistente, spiegano i ricercatori, tanto da farla diventare la «capitale del regno d’Armenia per quasi sei secoli». La stessa collina, che vanta una vista spettacolare sul monte Ararat, appena al di là del confine turco, ospita Khor Virap, un antico monastero ancora attivo che è anche un luogo di pellegrinaggio.
Interpellata dal Times of Israel l’archeologa classica, biblista e storica delle religioni Jodi Magness, docente all’università di Chapel Hill nella Carolina del Nord (Stati Uniti), parla anche lei di «scoperta significativa».
«La scoperta di questa chiesa – aggiunge – ha senso dal momento che il regno armeno è stato il primo Stato ad adottare il cristianesimo come religione ufficiale all’inizio del IV secolo». E nello stesso periodo, conclude, gli armeni hanno stabilito «una presenza a Gerusalemme, che hanno mantenuto attuale sino ad oggi».