Armenia, silenzi, pace e contemplazione (Panorama 22 settembre 2024)

Armenia: silenzi, pace e contemplazione Paesaggi ritmati da vette, laghi, foreste e grandi distese di prati si alternano a città storiche e monumenti antichissimi. Cronaca di viaggio in questa «terra di mezzo» delle dimensioni del Belgio, tra spiritualità, tradizioni, buon cibo e vino di qualità (è nato qui il più antico vitigno). Il tutto a prezzi low cost. Trovare una destinazione di viaggio ricca di storia e di cultura, ospitale, sicura, conveniente e persino vicina sembra un’impresa impossibile. Invece esiste e si chiama Armenia, un Paese che in genere si è sentito nominare, ma è tutt’altro che conosciuto. Grande più o meno come il Belgio, anche collocarlo con sicurezza sul mappamondo non è impresa banale, eppure la sua posizione è già indicativa di alcuni suoi tratti distintivi. È circondata da vicini «cruciali», come la Turchia e l’Iran, la Georgia e l’Azerbaigian, con cui ha relazioni a dir poco complicate.

Dunque un Paese blindato e senza accesso al mare, che da sempre è costretto a difendersi, a proteggere la propria identità da invasioni militari e culturali, e per questo ancora più interessante. In questa «terra di mezzo» si notano tutti i segni dei lunghi periodi di dominazione, dai romani ai sasanidi, dagli arabi ai bizantini, passando per i selgiuchidi e arrivando al più recente legame con l’Unione Sovietica. Eppure l’Armenia ha mantenuto una sua solida e fiera autonomia che ben si evince da una lingua e un alfabeto molto diverso da quello dei vicini, ma anche dalla sua indipendenza religiosa. La Chiesa apostolica armena (è tra le più antiche comunità cristiane) non ha mai avuto bisogno di ottenere l’«autocefalia», ovvero un’indipendenza amministrativa da Roma, perché è stata praticamente autonoma fin dalla sua fondazione nel IV secolo. Questo frammentato e complesso legame con il passato è uno degli aspetti peculiari del piccolo Paese caucasico che, se da una parte teme chiaramente i nemici, è altrettanto aperto ed entusiasta di accogliere gli amici. Chi viaggia in Armenia viene colpito immediatamente dall’ospitalità e dalla curiosità della persone. Nella caotica e dinamica capitale Yerevan, come negli arroccati villaggi tra le alte vette del suo territorio, capita spesso di essere approcciati con domande davanti a un bicchiere di vino, senza pericolo di essere spennati con trappole e speculazioni. In effetti i costi di una vacanza qui sono moderati, persino a buon mercato. Si può mangiare bene con 15 euro a persona e dormire in strutture più che dignitose per 80 euro a notte in alta stagione. Chi sceglie questa meta poco inflazionata lo fa essenzialmente per una vacanza culturale, mancano quasi del tutto divertimenti di altra natura, compresi, per fortuna, gite in torpedone, attività outdoor tra improbabili carovane di «quad», avventati voli in mongolfiera, parchi acquatici o discoteche diurne. Vince invece un turismo di contemplazione, a bassa voce, coniugato con panorami ritmati da montagne, laghi, foreste e distese verdi. Evitando gli orari canonici, anche in alta stagione le principali attrazioni sono visitabili senza file, a volte persino in solitudine

Fatta eccezione per la capitale che concentra oltre un terzo dei 2,7 milioni di abitanti del Paese, la vita scorre lentamente. Una lentezza che predispone lo spirito ad accogliere al meglio le tante gemme incastonate in un territorio di montagna. L’altitudine media è di 1.800 metri, ma arriva a 5.137 metri il vero simbolo geografico del Paese, il monte Ararat, storicamente in territorio armeno fino al passaggio alla Turchia nel 1920. Un rilievo maestoso, quasi ipnotico, approdo dell’Arca di Noè secondo la Bibbia, che ruba lo sguardo in molti degli scorci più suggestivi, come quello che si ammira durante la visita del monastero di Khor-Virap

quello che si ammira durante la visita del monastero di Khor Virap. Risale al XVI secolo, è dedicato a San Gregorio Illuminatore, il fondatore della Chiesa armena, ed è un limpido esempio della suggestione di questi monumenti religiosi sempre costruiti in luoghi che rigenerano. Due elementi sono una costante: la roccia e i panorami. La roccia dove sorgono questi monasteri sembra simboleggiare una incrollabile solidità di spirito; mentre i paesaggi si aprono allo sguardo, quasi incoraggiano a guardare sempre al futuro, qualsiasi cosa accada. È una calzante metafora del popolo armeno: risoluto, fiero, tormentato ma mai rassegnato e sempre pronto al meglio. Imperdibili i monasteri di Noravank, Tatev, Sevanavank, Sanahin, Haghpat e l’elenco è davvero lungo visto che se contano quasi quattromila. Ma uscendo dagli itinerari tradizionali merita una visita anche quello di Ziarat, il più grande per il culto yazida al di fuori dei confini iracheni. Ma le storie si incrociano di continuo in Armenia e una, affascinante, è Areni che sancisce l’indissolubile legame di questo territorio con la storia del vino. In questo sito archeologico sono state trovate le più antiche tracce della viticultura, risalenti a 6.100 anni fa. Sono di quel tempo i karas, vasi di argilla interrati dove erano conservati i vinaccioli della varietà Areni noir, ancora oggi uno dei principali vitigni armeni. Da questi si ottengono ottimi vini, che aziende quali Hin Arenì, Van Ardi e Trinity Canyon, producono con passione per riportare a nuovi fasti questi territori. Si possono scoprire, per esempio, nell’accogliente «In vino», locale di Yerevan gestito con entusiasmo dalla giovane proprietaria Mariam Saghatelyan. Impossibile lasciare l’Armenia senza aver assaggiato un piatto di tolma, involtini di carne avvolti in foglie di cavolo o di vite, e il pane lavash, la cui antica tradizione di cottura in forni interrati si cerca di preservare in villaggi remoti come quello di Tsaghkunk. Dove, finalmente, il viaggio riacquista un suo vero senso

 

Vai al sito

Gurdjieff Ensemble, In alta quota connessi all’ Universo (Eventi news 22.09.24)

Gruppo armeno tra le cime di Fassa per i Suoni delle Dolomiti
12:24 – 22/09/2024

(di Luciano Fioramonti) (ANSA) – VIGO DI FASSA, 22 SET – Spiritualità sufi tra le cime maestose di Fassa, musica antica sacra e popolare intrisa di misticismo, il canto struggente intrecciato agli strumenti tradizionali in un’ oasi di silenzio al cospetto del gruppo del Catinaccio. Non ha tradito le aspettative il concerto del Gurdjieff Ensemble, tra gli appuntamenti più attesi del Festival I Suoni delle Dolomiti. I dieci musicisti armeni hanno incantato i 250 camminatori saliti a 2300 metri di quota poco oltre il rifugio Roda di Vael sfidando il tempo incerto per immergersi nell’atmosfera ipnotica condensata nel loro ultimo album ‘Zartir’ pubblicato da Ecm in cui spiccano le composizioni del filosofo, mistico e coreografo Georges Ivanovic Gurdjieff (1866-1949). Il contesto molto speciale ha colpito anche gli artisti diretti da Levon Eskenian. ”Nella natura avverti qualcosa di diverso. La musica ti mette in contatto con l’ universo – ha detto all’ ANSA il leader del gruppo -. Questo è un posto davvero molto speciale. Ci siamo sentiti come a casa, fratelli e sorelle, la sensazione di diventare una cosa sola con tutto ciò che ti circonda, il pubblico e l’ ambiente”. Che cosa vuole comunicare la vostra musica? ”Svegliati dal tuo sonno reale’, dice il brano del ‘700 che dà il titolo all’ album.
L’ autore Baghdasar Dbir invita a non pensare come un re. Si ricollega agli insegnamenti di Gurdjieff secondo cui viviamo nel torpore, ipnotizzati dalle influenze esterne. E’ un argomento molto attuale, siamo diventati degli automi. Guerre, distruzioni e cambiamenti climatici sono il risultato dell’ attività umana, del nostro modo di pensare e di vivere in modo meccanico”. Da dove traete ispirazione? ”Io sono un pianista segnato dalla musica occidentale. Quando nel 2006 ho incontrato la musica di Gurdjieff la mia percezione è cambiata, ho cominciato a sentirla in modo diverso. Mi ha aperto le porte verso la musica antica, la musica popolare e la musica sacra riportandomi alle radici, agli inizi”. Svegliarsi per vedere che cosa, e vivere in quale altro modo? ”Prima di tutto per vedersi dentro. Ci siamo dimenticati di noi stessi. Se vedi te stesso, conosci meglio anche chi ti sta accanto. Lo strumento è appunto l’ autosservazione. Un bambino vive molto concentrato nelle sue emozioni fisiche e mentali. Noi crescendo perdiamo queste capacità, cominciamo a comportarci senza pensare, oppure pensiamo senza comportarci di conseguenza. La musica è uno dei modi per restare concentrati e connessi”. In questo percorso religione, filosofia e tradizione folk sono legate a doppio filo.
”Il compositore armeno Komitas sosteneva che la musica sacra e popolare sono fratello e sorella. Nel repertorio di musica armena, secondo me, alcuni musicisti mantengono separate queste due sfere ma è un errore. il piano spirituale e filosofico sono un tutt’uno”. Eskenian, a cosa serve la musica? ”Me lo chiedo ogni giorno e non bisogna smettere mai. Oggi da una parte c’ è il pubblico, dall’ altra i musicisti. In passato non era così, la musica era dappertutto, nella vita quotidiana anche nelle cose più banali. Anche la danza in Armenia è molto importante, non è solo intrattenimento, ma un modo di connessione cosmica e planetaria legato alle stagioni e al momento particolare allegro o tragico. Ognuno è coinvolto completamente. La musica diventa un modo per unirti al tuo io interiore”. Il Gurdjieff Ensemble era stato per la prima volta in Italia 11 anni fa per esibirsi a Venezia e a Roma. I musicisti di Erevan anno subito accettato l’ invito per questo unico concerto molto particolare che ha arricchito la serie di appuntamenti gratuiti dell’ edizione numero 29 del Suoni delle Dolomiti. ”E’ stata una esperienza straordinaria, il suono era perfetto, anche il pubblico si è accorto che non c’ era bisogno di microfoni. Suonando tra queste vette l’ eco ci ha ricordano le nostre montagne”. Il Festival, organizzato da Trentino Marketing con la direzione artistica del violoncellista Mario Brunello, si concludera domenica 29 settembre in Val di Fassa al rifugio Micheluzzi con il concerto di Roberto Vecchioni. (ANSA).

C’è un’Italia che si ribella alla pulizia etnica degli armeni (Tamoi 21.09.24)

All’inizio di settembre, Roma ha accolto calorosamente Ilham Aliyev, un dittatore sanguinario che un anno fa, il 19 settembre 2023, ordinò l’offensiva militare contro la popolazione indigena armena dell’Artsakh, noto anche come Nagorno-Karabakh. La ridenominazione dell’Artsakh in Nagorno-Karabakh, un termine ibrido russo-turco, riflette uno sforzo deliberato di oscurare la storica identità armena della regione, un atto simbolico di spartizione del territorio tra le sfere di influenza russa e turca. Gli ingenti danni causati dall’occupazione della Repubblica dell’Artsakh rappresentano non solo una perdita di proprietà, ma un attacco all’identità culturale armena e al retaggio storico della regione.

L’Artsakh è sempre stato armeno

L’Artsakh, regione abitata da secoli da armeni, aveva mantenuto a lungo la propria autonomia, ottenendo l’indipendenza di fatto dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Per chi non conosce bene la storia del Caucaso del Sud. il nome stesso Azerbaigian è entrato nell’uso politico solo all’inizio del XX secolo, copiato dal toponimo di una regione persiana, mentre la presenza armena nell’Artsakh risale a tempi antichissimi.

Alla fine degli anni ’30, nel contesto del deterioramento delle relazioni tra l’Urss e la Turchia, chiamare gli azeri “turchi” divenne indesiderabile e Stalin decise che era necessario inventare un nome nuovo e diverso per i tartari turchi del Caucaso. Così il dittatore creò il popolo più giovane del pianeta Terra, chiamandolo “azerbaigiano”. Oggi, l’influenza della Russia nella regione sta rapidamente svanendo, come dimostra il ritiro della cosiddetta “missione di pace”, una forza che ha svolto un ruolo diretto nell’orchestrare la deportazione degli armeni dalla loro patria ancestrale.

Russia e Turchia dalla parte di Aliyev

L’attacco terroristico contro la popolazione armena dell’Artsakh dopo nove mesi di blocco criminale del Corridoio di Lachin, che portò alla pulizia etnica della regione, veniva presentato dal regime di Baku come una “operazione antiterrorismo”. L’operazione era guidata dai militari turchi – un fatto finora negato dalle autorità dell’Azerbaigian. Il dittatore Recep Tayyip Erdogan, che il mese scorso ha ammesso spudoratamente ai media internazionali che la Turchia era attivamente coinvolta nella guerra contro il Nagorno-Karabakh, ora sta spingendo ossessivamente il suo progetto di “corridoio extraterritoriale”.

Questa nuova agenda maniacale non è altro che un aperto tentativo di smantellare la sovranità della Repubblica d’Armenia.
Nel frattempo, lo stesso dittatore schiaffeggia la Russia di Vladimir Putin, dichiarando la Crimea parte indivisibile dell’Ucraina – un gesto di “gratitudine” verso Putin per il suo ruolo nella deportazione di massa e nel genocidio degli armeni dell’Artsakh. Proprio come un secolo fa: la Turchia sfrutta la politica anti-armena della Russia, conquistando territori armeni, mentre il suo stato satellite, l’Azerbaigian, continua a vendere il gas russo all’Europa!

Giorgia Meloni, cosa fai?

È in questo tetro contesto che gli armeni guardano Giorgia Meloni stringere la mano ad Aliyev, rimanendo in silenzio sul genocidio armeno in corso e sui 120.000 armeni dell’Artsakh, ai quali è stato negato il diritto di tornare alle loro case. Invece, il dittatore dell’Azerbaigian inventa nuove finzioni, sostenendo che i turchi azeri debbano “tornare” nel territorio dell’Armenia. Per aggiungere la beffa al danno, ribattezza cinicamente la Repubblica di Armenia come “Azerbaigian occidentale”.

Beh, si sa che non viviamo più in un mondo di onore e rispetto. Sono finiti i giorni di personaggi come Alain Delon e i fratelli Taviani, che visitavano l’Armenia per rendere omaggio alle vittime del genocidio armeno al Memoriale di Yerevan, di Charles Aznavour che chiedeva apertamente a Benjamin Netanyahu perché Israele non volesse riconoscere ufficialmente il genocidio armeno.

Oggi siamo intrappolati in un mondo freddo e pragmatico, guidato dal profitto e dall’interesse personale, dove tali valori stanno erodendo la democrazia stessa. Non stupisce il fatto che eventi internazionali come la Formula 1 e la Cop29 vengano ospitati nella capitale di un regime dittatoriale che continua a detenere illegalmente decine di prigionieri di guerra armeni.

Il legame tra Italia e Armenia

La vera democrazia è come una specie in via di estinzione. Tuttavia, rimane un barlume di speranza negli operatori umanitari che osano rompere il silenzio, non solo con le parole, ma con i fatti. Per me qualsiasi leader politico che stringe la mano e rafforza i legami con un regime antidemocratico e genocida non è altro che un opportunista che stringe accordi con i commercianti di petrolio. Per quanto mi riguarda, Meloni difficilmente rappresenta il vero spirito del popolo italiano.

Negli ultimi vent’anni mi sono dedicato a unire i popoli italiano e armeno attraverso l’insegnamento di lingue, la ricerca e le traduzioni, molte delle quali probabilmente rimarranno inascoltate, non lette e sconosciute. Tuttavia, credo che la più grande ricompensa per il mio lavoro siano state le persone che, attraverso questi sforzi letterari e accademici, hanno trovato un legame con me, con l’Armenia e con l’Artsakh.

Perché difendere la libertà dell’Artsakh

Pochi giorni fa un gruppo di italiani veneti ha visitato Arzakan, nella provincia armena di Kotayk. Sono persone attive, che hanno sostenuto per oltre quattro anni un progetto italo-armeno di assistenza ai rifugiati, indirizzato alle famiglie sfollate con la forza dall’Artsakh. Mentre piantavano alberelli su suolo armeno – dove le associazioni Sconfinamenti, Italia-Armenia di Padova e la ong Declipse Armenia hanno lanciato una nuova iniziativa per i bambini rifugiati – ho potuto sentire i loro cuori battere non solo per l’Armenia ma per i valori universali di pace e giustizia. In loro vedo non solo italiani, ma cittadini del mondo, il cui incrollabile senso di giustizia arde intensamente. Sanno, come me, che la pulizia etnica dell’Artsakh non è altro che un imperdonabile atto di genocidio contro il popolo armeno.

Coloro che hanno combattuto nel corso della storia per l’indipendenza dell’Artsakh sono degli eroi. Hanno combattuto non solo per difendere un fazzoletto di terra, ma per impedire la cancellazione di un popolo, del suo idioma unico e del suo patrimonio storico-culturale. E in questi tempi bui, non sono solo i combattenti ma anche coloro che onorano i sacrifici fatti per l’indipendenza e la democrazia a presentarsi come eroi.

Come disse una volta Albert Camus: «La libertà non è altro che un’opportunità per essere migliori». Coloro che difendono la libertà dell’Artsakh, in qualunque forma, mantengono viva questa possibilità per tutti noi.

Vai al sito

In Armenia la statua di Cristo più alta del mondo (AciStampa 20.09.24)

Non è certamente in linea con la tradizione del culto armeno, la statua del Cristo Redentore alta 33 metri che sta per essere inaugurata in Armenia. E, infatti, alla notizia della costruzione della statua, Etchmiadzin (il “Vaticano” della Chiesa Apostolica Armena) ha fatto sapere che davvero la statua non era in linea con la tradizione armena.

In fondo, la prima nazione cristiana del mondo ha costruito la sua fede intorno al libro, alle miniature e ai khachkar, le enormi croci di pietra che si trovano ovunque in Armenia. Questo Cristo Redentore, invece, è di foggia occidentale, moderno, quasi uno schiaffo nel panorama armeno. E proprio per questo destinato a fare notizia.

Sarà alto 33 metri, e dunque più alto del Cristo Redentore di Rio de Janeiro e più imponente del Cristo Re di Swiebodzin, in Polonia, che misura complessivamente 52,5 metri.

Il Cristo Redentore armeno sarà alto 33 metri e sarà posto in cima a un piedistallo di 44 metri sul Monte Hatis in Armenia.

Il progetto, guidato dall’imprenditore Gagik Tsarukyan, è quasi completato dopo l’inizio dei lavori nel luglio 2022. Si dice che favorirà il turismo, ma l’Associazione delle Guide Armena ha inviato una lettera aperta, sottolineando che “a differenza che in nazioni cattoliche come il Brasile, la cristianità armena non ha una tradizione di statue”, e dunque questa presenza non favorirà il turismo, perché “alla fine i turisti vengono per vedere e sperimentare la vita reale”.

Nemmeno queste proteste hanno fatto fermare il progetto. Tsarukyan aveva comprato 146 ettari di terreno nel 2008, che includevano la cima della montagna dove è costruita la statua, e ha aperto il cantiere nel 2022.

 

Pordenonelegge, incontro con Antonia Arslan per i 20 anni de La Masseria delle Allodole (Il Popolo 20.09.24)

Incontro di storia e storie quello che ha visto al centro la scrittrice di origine armena Antonia Arslan intervistata dal direttore del Festival Gian Mario Villalta. Al lavoro per a ristampa con nuova sua prefazione della Masseria per l’inizio del 2025

Pordenonelegge, incontro con Antonia Arslan per i 20 anni de La Masseria delle Allodole

Pubblichiamo l’incipit della intervista presente su IL POPOLO di domenica 15 settembre

Professoressa Arslan, cosa ha prodotto “La masseria delle allodole” in questi venti anni?
Ha prodotto una specie di movimento che non mi aspettavo. Tanti che lo hanno letto – anche a scuola e questo mi fa immensamente piacere -, me lo dicono di continuo. Ho l’impressione che questo libro sia stato letto davvero e che ora tante persone sappiano della tragedia armena, cosa che prima era del tutto sconosciuta. E’ stato anche occasione per saperne di più dell’Armenia stessa: ne sono nati viaggi.
Si può ben sostenere che la sua “masseria” ha rotto il velo del silenzio sul genocidio armeno?
Crederei di sì e ringrazio il Signore per questo obiettivo raggiunto. La grande colpa era infatti questa: il silenzio calato subito su quegli orrendi atti di morte. Da parte mia, non avendo scelto di ricorrere ad una scrittura storica come un saggio, ma avendo optato per il romanzo, ho facilitato la conoscenza di quanto era accaduto. Un romanzo che ha camminato parecchio: in venti anni ha raggiunto 45 edizioni.

(continua la lettura sul numero cartaceo – se abbonato puoi scaricare il pdf dal sito/ archivio)

Vai al sito

Erevan tra Francia e Russia (Asianews 20.09.24)

La visita in Armenia di Stéphane Séjourné, ministro uscente del governo francese e candidato al ruolo di commissario europeo, è stata guardata con sospetto a Mosca, che cerca di mantenere saldi i suoi legami storici. Mentre a Erevan i “parner minori” della coalizione di Pašinyan raccolgono firme per un referendum sull’ingresso del Paese nell’Ue.

Erevan (AsiaNews) – Il ministro degli Esteri uscente della Francia Stéphane Séjourné, candidato al ruolo di commissario Ue, ha compiuto una visita a Erevan nei giorni scorsi, suscitando reazioni molto critiche da parte della Russia, che vede nel “nuovo idillio” tra Armenia e Francia il tentativo di sostituzione della storica partnership con il Cremlino. Il direttore scientifico dell’Istituto per le ricerche internazionali Mgimo, la scuola dei diplomatici di Mosca, Sergej Markedonov, ha commentato la situazione con un ampio articolo sul canale Telegram Bunin&Co.

Secondo l’esperto, “gli incontri tra armeni e francesi si sono talmente intensificati che ormai non stupiscono più nessuno, sono diventati una routine diplomatica”. D’altra parte, i francesi intrattengono rapporti frequenti anche con l’Azerbaigian, mantenendo “un tono costante di lotta retorica”, difendendo i diritti degli armeni riguardo alla situazione del Nagorno Karabakh, ma spaziando poi sugli argomenti più vari. Gli armeni cercano piuttosto di accreditare la tesi che Parigi stia diventando il più importante alleato di Erevan, e un protagonista decisivo in tutta l’area del Caucaso meridionale.

La visita di Séjourné ha però un carattere più specifico, secondo Markedonov, a cui bisogna prestare maggiore attenzione. Da un lato egli ritiene che il viaggio fosse un “tour di commiato” prima di trasferirsi a Bruxelles nel governo di Ursula von der Leyen, dove sostituirà il dimissionario Thierry Breton. Dopo l’Armenia, il ministro francese si è recato a Chişinău e ad Atene, e anche in Moldavia la sua presenza è stata molto frequente in questi anni, considerando anche l’imminenza delle elezioni presidenziali e del referendum per l’integrazione europea. La Grecia è poi un partner di lunga data della Francia, come contrappeso agli interessi della Turchia nella regione, e negli ultimi due anni si sono molto sviluppate le relazioni dei greci con l’Armenia.

D’altra parte, osserva il direttore della scienza diplomatica russa, “non bisogna scordare le iniziative politiche interne all’Armenia, che hanno un significato internazionale”. Da giugno si discute sulla possibilità di inserire il Paese nella Ue, per iniziativa della “Piattaforma delle forze democratiche” a cui si sono uniti “tutti gli occidentalisti armeni” come Aram Sarkisyan, leader del partito “Repubblica”, Arman Babadžanyan del movimento “In nome della repubblica”, Tigran Khzmalyan del “Partito europeo dell’Armenia”, i cosiddetti “partner minori” del premier Nikol Pašinyan.

Secondo gli oppositori del premier, questi gruppi sono manovrati da Pašinyan per testare l’opinione pubblica e propagandare idee che egli, per varie ragioni, non vuole attribuire a sé stesso e alla propria cerchia. Lo stesso Pašinyan ha in effetti espresso opinioni critiche in pubblico sul possibile ingresso dell’Armenia nella Ue, fa notare Markedonov, ma “il tempo scorre, e da settembre si raccolgono le firme per organizzare un referendum sulla questione”, una campagna che verrà condotta fino al 14 novembre allo scopo di portare la proposta in parlamento, per cui servono almeno 50mila sottoscrizioni, e “ovviamente Parigi appoggia in pieno questa iniziativa”.

Il politologo osserva che nelle condizioni attuali, in cui si riformano molti approcci tipici della “guerra fredda”, il tema dei rapporti dell’Armenia con l’Europa va visto nel contesto del conflitto globale, e per questo “Séjourné a Erevan ha ricordato la Russia, indicandola come il principale ostacolo sulla via della democratizzazione e dell’integrazione europea dell’Armenia, assicurando che la Francia sarà sempre accanto al popolo armeno”. Il sostegno francese appare per molti aspetti più retorico che concreto, come anche nelle dichiarazioni dello stesso Emmanuel Macron e di altri membri del governo di Parigi, mentre “Mosca sta a guardare, cercando di mantenere saldi tutti i suoi legami storici nel Caucaso”.

Vai al sito

Nizza, la Cinémathèque riapre con due giornate dedicate all’Armenia (Montecarlonews 20.09.24)

Dopo la stagione estiva e le proiezioni all’aperto sul Quai de la Douane, la Cinémathèque di Nice riapre le porte della sua sala mercoledì 18 settembre alle 17:45 con C.R.A.Z.Y di Jean-Marc Vallée, seguito alle 20 da Johnny got his gun di Dalton Trumbo, proposto in copia restaurata in uscita nazionale.

La nuova stagione della Cinémathèque sarà ricca ed eclettica con film di patrimonio e film più recenti, appuntamenti con personalità e retrospettive che permetteranno di arricchire la cultura cinematografica.

Il programma di apertura
Venerdì 20 settembre alle ore 19
Incontro proposto nell’ambito dell’anno dell’Armenia seguito dalla proiezione del film «L’esercito del crimine» dedicato al manifesto rosso e a Missak Manouchian.

Sabato 21 settembre alle 17
Robert Guédiguian visiterà nuovamente la cineteca di Nizza per presentare i suoi altri due film che evocano l’Armenia «Il viaggio in Armenia» e «Una storia di pazzi». Una retrospettiva più ampia sarà dedicata a Robert Guédiguian in sala e online della Cinémathèque di Nizza, su iniziativa di Magali Altounian.

Sabato 5 ottobre alle ore 16
Incontro proposto in occasione del Festival Europeo del Cortometraggio di Nizza “Un Festival C’est Trop Court!”, incentrato quest’anno sulla Grecia.  L’appuntamento sarà accompagnato da una retrospettiva dedicata a Costa Gavras.

Per completare la programmazione che riecheggia al Festival del cortometraggio, la Cinémathèque di Nizza proporrà un ciclo di lungometraggi «Made in Greece» tra cui Pauvres Créatures di Yórgos Lánthimos.

L’intera programmazione in programma fino al 18 ottobre 2024 è inserita al fondo di questo articolo.

La Cinémathèque di Nice si trova al Cinéma Megarama Nice Vauban in avenue François Mitterrand.

Vai al sito

Un anno dopo l’invasione del Nagorno-Karabakh, «l’Armenia è a rischio» (Tempi 19.09.24)

Il 19 settembre 2023 l’Azerbaigian occupava l’Artsakh cacciando dalla loro terra 120 mila armeni. I profughi, vittime di «pulizia etnica», sperano di tornare a casa ma hanno paura: «Come possiamo fidarci di Baku?»
Gli armeni festeggiano nel centro di Erevan il giorno dedicato alla repubblica dell'Artsakh
A un anno dall’invasione del Nagorno-Karabakh da parte degli azeri, gli armeni rivendicano la loro terra (Ansa)

La parola “casa”, per Lusine, non ha più senso. Ogni volta che lei, il marito o i quattro figli pronunciano questa parola pensano alla grande e comoda abitazione che dieci anni fa la famiglia della donna armena 35enne aveva costruito ad Askeran, nel Nagorno-Karabakh. Ma dal 19 settembre 2023, da quando cioè l’esercito dell’Azerbaigian ha invaso la Repubblica dell’Artsakh, costringendo 120 mila armeni alla fuga, Lusine non sa neanche se la sua casa esista ancora o se sia stata rasa al suolo dagli azeri dopo l’occupazione.

Da un anno Lusine vive in Armenia in uno scheletro di calcestruzzo finito soltanto per metà insieme a 20 persone. Il marito ha appena trovato lavoro, ma la famiglia dispone a malapena dei soldi per sopravvivere e il governo di Erevan non ha abbastanza fondi per coprire tutte le spese. «Siamo dovuti scappare in un giorno. Ora non abbiamo più nulla. Quale sarà il nostro futuro?».

Il dilemma degli armeni del Nagorno-Karabakh

L’angoscia e le domande di Lusine son…

Vai al sito

La rottura tra Mosca ed Erevan passa da un complotto sventato. Ecco cos’è successo (Formiche 19.09.24)

L’Armenia rivela di aver sventato un complotto armato ai danni del governo e organizzato in Russia. E rimarca il distanziamento dall’alleanza militare con Mosca

L’Armenia accusa Mosca di ingerire nei propri affari sovrani. Mercoledì 18 settembre il Comitato Investigativo della Repubblica d’Armenia ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma che sette persone saranno accusate di “prepararsi a usurpare il potere… usando la violenza e la minaccia di violenza per assumere i poteri del governo”. Cinque persone di nazionalità armena e due ex-residenti della regione del Nagorno Karabakh sarebbero state reclutate, per la cifra mensile di 220.000 rubli (equivalenti a circa 2.377 dollari) per seguire tre mesi di addestramento in Russia, dove avrebbero imparato ad utilizzare armi da fuoco di calibro pesante, e sarebbero stati sottoposti a una serie di controlli e di test eseguiti con la macchina della verità per determinare la loro fedeltà, prima di essere trasferiti alla “base militare di Arbat” sita a Rostov-on-Don, nella regione meridionale della Federazione. Alcune delle reclute si sarebbero rifiutate di partecipare all’addestramento e sarebbero tornate in Armenia, ha dichiarato il comitato, aggiungendo che l’intervento delle forze dell’ordine armene ha sventato il complotto.

Sebbene il comitato non abbia implicato le autorità russe nel presunto complotto, la notizia avrà certamente un impatto all’interno di un contesto di legami già tesi tra Mosca ed Erevan. Le relazioni tra l’Armenia e il suo alleato storico si sono infatti profondamente inasprite negli ultimi anni, soprattutto a partire dal dicembre del 2022, quando l’Azerbaigian ha messo in atto un blocco delle linee di rifornimento nella regione del Karabakh, causando una crisi umanitaria, e ancora di più dal settembre del 2023, quando le forze azere hanno messo in atto una campagna militare fulminea per ottenere il pieno controllo sulla regione contesa. L’inazione delle forze di pace russe, dispiegate nell’area in seguito al conflitto scoppiato nel 2020, è stata causa di veementi critiche rivolte da Erevan a Mosca, che però ha respinto le accuse sostenendo che le sue truppe non avevano il mandato per intervenire.

In tutta risposta, il Paese caucasico ha invertito la direzione della sua politica estera verso Occidente, iniziando con il congelamento della sua adesione all’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (l’alleanza militare guidata da Mosca), inoltre, inviando aiuti umanitari all’Ucraina in lotta contro la Russia e organizzando esercitazioni congiunte con le forze armate statunitensi.

Dal canto suo il Cremlino ha ritirato il suo contingente di peace-keeping, e ha intessuto relazioni più strette con l’Azerbaigian, storico rivale dell’Armenia: il mese scorso il presidente azero Ilham Aliyev ha avuto colloqui amichevoli con il presidente Vladimir Putin a Baku. Mosca ha anche accusato l’Unione europea di aver sconfinato nella sua autodichiarata sfera di influenza (il cosiddetto near abroad) firmando accordi di partenariato con il governo armeno.

Parlando mercoledì, il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha giurato che il reindirizzamento dell’Armenia verso l’Occidente continuerà. “Se vedremo una possibilità più o meno realistica di diventare un membro a pieno titolo dell’Unione Europea non perderemo quel momento”, ha affermato il leader caucasico. Che ha anche impiegato toni molto duri contro l’alleanza di cui ancora, anche se formalmente, il suo Paese fa parte: “Abbiamo congelato la nostra adesione alla Csto non solo perché la Csto non sta adempiendo ai suoi obblighi di garantire la sicurezza dell’Armenia, ma anche perché la Csto sta creando minacce alla sicurezza, all’esistenza e alla statualità dell’Armenia”, ha detto Pashinyan, asserendo come l’Armenia stia ancora aspettando risposte a domande sulla sua sicurezza. E più il silenzio continuerà, più l’Armenia si allontanerà dall’alleanza militare. Lasciando intendere che ci sono alte probabilità di una rottura permanente.

Vai al sito


Ma la Russia ha provato a rovesciare il governo armeno? (CDT)

L’Armenia sventa un colpo di stato organizzato da Mosca. Così Erevan si è avvicinata all’Ue (Il Foglio)

 

Chi è rimasto in Nagorno Karabakh? (RSI 19.09.24)

Un anno fa l’Azerbaigian prese il controllo sulla regione autonoma, costringendo alla fuga immediata oltre 100’000 armeni

 

La situazione sul campo

Telegiornale 13.09.2024, 20:00

Di: TG/OCartu

È passato esattamente un anno da quando l’Azerbaigian con una rapida operazione militare, in soli due giorni, ha invaso e conquistato ciò che restava della regione autonoma indipendente del Nagorno Karabakh, storicamente popolata da armeni. Una mossa che aveva costretto praticamente tutta la popolazione residente (circa 120’000 persone) a emigrare altrove, soprattutto in Armenia. Il tutto è avvenuto nel quasi totale silenzio della comunità internazionale, mentre molti osservatori hanno denunciato il rischio di una pulizia etnica.

Il Nagorno Karabakh, ufficialmente Repubblica dell’Artsakh dal 2017, era uno Stato autoproclamatosi indipendente e riconosciuto solo da tre Stati non appartenenti all’ONU. L’Azerbaigian ha sempre ribadito la sua sovranità sull’area, confermata dal diritto e dalla comunità internazionale (sin da una risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU).

Chi c’è nella regione un anno dopo?

Un anno fa l’esodo dal Nagorno-Karabakh

Telegiornale 13.09.2024, 20:00

Da mesi nella regione è ora in atto un ripopolamento di cittadini azeri, favoriti da un programma voluto dal Governo azero per permettere agli sfollati degli anni ‘90 di tornare a vivere nell’area, in nuove residenze messe a disposizione da Baku. “Restano invece vuote le case abitate fino allo scorso anno dagli armeni – spiega Luca Steinmann, collaboratore della RSI che ha visitato la regione – ci sono cittadine e villaggi completamente spopolati”.

“Attualmente – sottolinea Steinmann – sono circa 8’000 le persone installatesi e il numero è destinato ad aumentare molto. C’è molta attività nelle pianure, dove lavorano gli sminatori che stanno bonificando l’area”.

Dalla radio

La storia del Nagorno Karabakh

La regione autonoma del Nagorno-Karabakh è figlia dell’Unione Sovietica. Una terra semplice, promessa agli armeni cristiani all’interno di un Paese musulmano come l’Azerbaigian. Una volta crollata l’Unione Sovietica, nel 1991, il Nagorno Karabakh si è autoproclamato “indipendente” dall’Azerbaigian, che per questo è entrato in guerra contro l’Armenia, causando tra il 1994 e il 1995 30’000 morti e un milione di sfollati.

La vittoria armena ha congelato il conflitto per molti anni, con i due eserciti separati da una linea di contatto ben definita (anche se in realtà non sono mancati degli sporadici incidenti), fino a quando nel 2020 l’Azerbaigian si è preso la rivincita e in 44 giorni ha conquistato quasi tutta la regione, che Baku non aveva mai smesso di considerare abusivamente occupata.

Agli armeni è così rimasta solo una piccola porzione di terra, collegata all’Armenia da un’unica strada, il corridoio di Lacin, sul quale la Russia avrebbe dovuto vegliare, ma che in realtà l’Azerbaigian ha più volte occupato. La Russia temeva che da lì potessero transitare armi, ma di fatto a essere bloccato è stato il passaggio di cibo e beni essenziali, causando una terribile crisi umanitaria e accrescendo la rabbia degli armeni contro gli azeri.

In questo scenario si è arrivati al 19-20 settembre 2023, quando l’Azerbaigian ha sferrato l’attacco finale, la terza offensiva in 30 anni, e ha convinto il presidente del Nagorno Karabakh a sciogliere la regione indipendente da gennaio 2024.

Vai al sito