Cinquantasettesimo giorno del #ArtsakhBlockade. Gli Armeni dell’Artsakh sotto assedio sono resilienti. La vita continua, nonostante tutto (Korazym 06.02.23)

[Korazym.org/Blog dell’Editore, 06.02.2023 – Vik van Brantegem] – «Tutto il mondo è in guerra, in autodistruzione, fermiamoci!» (Papa Francesco di ritorno dal Sud Sudan). Nel bel mezzo di un futuro sconosciuto dobbiamo fare affidamento sui giovani per darci un senso di felicità e speranza per un giorno migliore. Il motivo per cui mi dedico da una vita a chi dovrà continuare dopo di noi. Molti dei miei compagni di viaggi se ne sono andati. Finché il Signore me lo permette continuerò con la forza che mi darà.

Intanto, oggi, nel 57° giorno del blocco del Corridoio di Berdzor (Lachin) da parte dell’Azerbajgian, mentre il mondo è preoccupato (e ha un altro motivo per “distrarsi”, come quando con il Covid, nel 2020 l’Azerbajgian scatenò la guerra dei 44 giorni contro l’Artsakh) per le vittime del terremoto in Turchia e Siria, ancora una volta gli Azeri hanno interrotto la fornitura di gas all’Artsakh/Nagorno-Karabakh) chiudendo l’unico gasdotto che viene dall’Armenia e passa in territori ora occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian. Mentre i Paesi della regione offrono la loro assistenza alla Siria e alla Turchia, quando i governi dell’Armenia, dell’Artsakh e della Grecia esprimono solidarietà con i popoli della Turchia e della Siria, il criminale Aliyev peggiora ancora una volta la vita degli Armeni dell’Artsakh. Il partner energetico “affidabile” dell’Unione Europa – il dittatore azero Ilham Aliyev – mostra il suo vero volto con l’uso del terrore energetico contro esseri umani innocenti in pieno inverno caucasico. Oggi, il mondo ha un nuovo motivo per guardare ad un’altra parte…

«Durante il #ArtsakhBlockade le scuole sono state aperte e poi chiuse più volte a causa della fornitura di gas. Terrore psicologico e limbo: questa è la vita di un bambino in Artsakh in questo momento» (Siranush Sargsyan). 120mila abitanti Armeni dell’Artsakh sono costretti a lottare ogni giorno per il diritto di vivere dignitosamente nella loro terra ancestrale. #StopArtsakhBlockade

«La valutazione di 1 dei 30 “turisti” stranieri in visita al blocco di Lachin del governo azero, che Azerbajgian definisce una “eco-protesta” [di cui abbiamo riferito ieri [QUI]]: “Qui nessuno si preoccupa dell’ambiente, ma così puoi controllare i media e l’opinione mondiale, perché, teoricamente, l’ambiente è importante”» (Lindsey Snell).

Zvart Manucharyan.

Nonostante le difficoltò, Zvart rimane allegra

I suoi occhi sono luminosi e pieni di speranza, ma allo stesso tempo tristi. Zvart Manucharyan è stata costretta a lasciare la sua casa ancestrale a causa della guerra dei 44 giorni del Nagorno-Karabakh nel 2020. Originaria del villaggio di Aknaghbyur, distretto di Askeran, dove ha trascorso la maggior parte della sua vita. Zvart è un’economista di professione e per più di 20 anni ha lavorato come contabile nel negozio ad Aknaghbyur. Era felice della sua vita lì. Quando scoppiò la guerra, Zvart insistette per restare ad Askeran. Provava un profondo affetto per il suo luogo di nascita e non voleva lasciare lì tutti i suoi ricordi. Tuttavia, è dovuta fuggire il 23 ottobre e stabilirsi a Yerevan, in Armenia.

Questa donna brillante non ha perso la speranza. Rimanendo fedele al significato del suo nome che significa allegro in armeno, Zvart ha trovato abbastanza forza per stare in piedi da sola e creare il suo futuro a Yerevan. Dopo aver sperimentato in diversi ambienti di lavoro, Zvart alla fine ha deciso di fare la pasticcera. Si è iscritta a un corso di pasticceria fornito per lo Studio Culinario di Sedrak Mamulyan nell’ambito del progetto “REACT: Relief and Early Recovery for People Affected by Conflict in Armenia” finanziato dagli aiuti umanitari dell’Unione Europea e implementato dalle persone bisognose․

“La pasticceria è il mio sogno d’infanzia. Ho sempre sognato di farlo”, osserva Zvart. Dopo aver completato il corso, Zvart ha ricevuto un’offerta di lavoro da un noto bar-ristorante di Yerevan. Ora lavora al caffè-ristorante Ground Zero come pasticcera. Zvart è molto contenta di quello che fa e progetta di aprire presto la sua pasticceria in propria. Crede che la determinazione e la diligenza porteranno alla realizzazione dei suoi sogni.

Finora, nell’ambito del progetto REACT, 73 beneficiari hanno ricevuto una formazione culinaria e 117 hanno ricevuto una formazione in pasticceria presso lo Studio Culinario di Sedrak Mamulyan, uno dei chef più conosciuti dell’Armenia. Osserva: “La cooperazione con People in Need è nel quadro di un interesse reciproco. La nostra organizzazione – ONG per lo sviluppo e la protezione delle tradizioni culinarie armene – ha lo scopo di preservare e promuovere le ideologie nazionali, la cucina nazionale e la cultura nazionale; quindi una tale iniziativa sociale è in sintonia con i nostri obiettivi. Questo programma è ben pensato e consente ai partecipanti di lavorare nelle aree ristorazione pubbliche e diventare imprenditori privati creandone uno proprio. Inoltre, utilizziamo la nostra rete per supportare i laureati a essere assunti in base al loro stile di lavoro e alle loro competenze. Dopo il completamento del corso, continuiamo a sostenere i nostri studenti. È interessante notare che le persone che padroneggiano alcune abilità hanno potuto arricchire le loro conoscenze e diventare più esperte, hanno affrontato nuove esperienze a cui non avevano mai pensato, acquisito nuove competenze e una conoscenza approfondita degli alimenti e dei prodotti dolciari”.

Questo progetto è un modo per aiutare gli sfollati a integrarsi pienamente nella società. La trainer del progetto Ruzanna Nahapetyan afferma: “Parlando con i beneficiari, ho scoperto che tutti volevano avere una propria piccola impresa. L’attrezzatura da cucina che hanno ricevuto dopo aver completato il corso ha contribuito a questa iniziativa. Seguo le loro pagine sui social media e vedo che molti cucinano in casa e vendono i loro prodotti. Questo mi rende felice. Tutti i partecipanti sono rimasti colpiti da People in Need, poiché tutti i dipendenti sono stati attenti. Grazie a questo atteggiamento, si sono sentiti incoraggiati”.

Non è difficile – per chi vuole – sapere cosa rappresenta l’Azerbajgian per il mondo libero. Cercate “Ramil Safarov” su internet e imparate all’istante tutto quello che c’è da sapere sull’Azerbajgian.

In una scuola di lingue della NATO a Budapest, un ufficiale dell’esercito dell’Azerbajgian, acquista un’ascia, decapitando un ufficiale armeno nel sonno. Quindi è stato estradato, graziato, promosso, premiato e celebrato dal governo e dal pubblico dell’Azerbajgian. Il 12 dicembre 2017 l’agenzia di stampa Minval dell’Azerbajgian riferiva che Ramil Safarov, l’ufficiale dell’esercito azero che ha assassinato il tenente armeno di 26 anni Gurgen Margaryan durante un corso di lingua inglese del Partenariato per la pace sponsorizzato dalla NATO nel 2004, era stato promosso al grado di tenente colonnello.

Ramil Safarov viene accolto a Baku come un eroi, dopo essere stato estradato dall’Ungheria.

Ramil Safarov è un militare azero, ufficiale dell’esercito, condannato per il brutale assassinio del pari grado armeno Gurgen Margaryan, avvenuto a Budapest nel 2004. La sua estradizione ad agosto 2012 e la grazia concessagli dal Presidente azero, Ilham Aliyev, hanno suscitato un’ondata di proteste in tutto il mondo e la ferma condanna di molte cancellerie.

Safarov è nato nella città di Şükürbəyli (Cəbrayıl) il 25 agosto 1977 dove ha seguito i suoi studi. Prima ancora che scoppiasse la guerra del Nagorno Karabakh, la famiglia nel 1991 decise di lasciare la città per rifugiarsi nella capitale Baku. Dal 1992 al 1996 frequentò il liceo militare “Jamshid Nakhchivanski” e l’Alta scuola militare di Smirne e poi l’Accademia militare turca. Si diplomò nel 2000 per poi fare ritorno in Azerbajgian.

Nel gennaio 2004 partì per Budapest per partecipare a un corso di tre mesi di lingua inglese organizzato dalla NATO nell’ambito del programma denominato “Partenariato per la pace”. Il 18 febbraio, alle sette di sera, Safarov si recò presso il magazzino “Tesco” e comprò un’ascia. Nella notte del 19 febbraio uccise con quell’attrezzo l’ufficiale armeno Gurgen Margaryan, che come lui frequentava il corso, mentre dormiva nel proprio alloggio. Il fatto avvenne intorno alle cinque di mattina. Il compagno di stanza di Margaryan, l’ungherese Balàzs Kuti, ricorda che la sera del 18 febbraio aveva preso un tè ed era andato a dormire in quanto febbricitante; Margaryan invece era rimasto a studiare e poi era andato a trovare un altro soldato armeno, Hayk Makuchyan, che frequentava egli pure il corso.

Kuti non ricorda quando l’Armeno ritornò nella stanza, ma alla mattina presto si accorse che qualcuno aveva acceso la luce. Pensò si trattasse dello stesso Margaryan, ma dopo aver udito dei rumori sordi, voltò la testa e vide Safarov davanti al compagno di stanza con una lunga ascia in mano. A quel punto comprese che qualcosa di terribile era accaduto giacché c’era sangue tutto intorno; cominciò a urlare all’Azero di fermarsi ma questi lo rassicurò che non ce l’aveva con lui. L’esame autoptico concluse che Safarov aveva inferto sedici colpi d’ascia sulla faccia di Margaryan, quasi staccandogli la testa dal collo. Dopo aver brutalmente assassinato il ventiseienne Armeno, Safarov si diresse verso la stanza dove dormiva Makuchyan ma trovò la porta chiusa; incontrò lungo il corridoio un ufficiale uzbeko che cercò di convincere a unirsi a lui per compiere il secondo delitto. L’uzbeko tentò inutilmente di calmarlo. Safarov, secondo le testimonianze raccolte nel processo, chiamò a gran voce l’Armeno che semi addormentato si diresse verso la porta per aprirla. Ma il suo compagno di stanza lituano intuendo che stava accadendo qualcosa di strano, allertò un suo connazionale della stanza attigua affinché verificasse la situazione nel corridoio. Fu quindi chiamata la polizia che arrestò l’Azero.

Il processo, svoltosi presso il tribunale di Budapest, condannò Safarov all’ergastolo inibendolo dal chiedere la revisione della sentenza prima che fossero passati trenta anni. La sentenza fu emessa il 16 aprile 2006. Il 22 febbraio 2007 il caso, su richiesta dei difensori di Safarov, fu esaminato da un’altra corte che non modificò il precedente verdetto emesso dal giudice Andras Vaskuti che nella motivazione si soffermò sulla natura premeditata, sulla brutalità del crimine e sul fatto che l’imputato non aveva mostrato alcun rimorso per quanto commesso; anzi, nel corso dell’interrogatorio si era addirittura rammaricato di non aver ucciso il secondo Armeno. La difesa di Safarov cercò invano di puntare sulla provocazione, sostenendo che gli Armeni avevano insultato la bandiera dell’Azerbajgian.

Nonostante la brutalità del fatto commesso, Safarov divenne molto popolare in Azerbajgian; un partito azero (Partito Democratico dell’Azerbajgian) gli conferì il premio “Uomo dell’anno 2005” premiandolo per il fatto di aver ucciso un Armeno.

A fine agosto 2012, Ungheria e Azerbajgian hanno raggiunto un accordo per l’estradizione del condannato che, secondo quanto riferisce il governo ungherese, avrebbe dovuto continuare a espiare la condanna in patria. Ma il 31 agosto 2012, appena sceso dalla scaletta dell’aereo che lo riportava in Azerbajgian, Safarov è stato accolto come un eroe nazionale, ha ricevuto un mazzo di fiori, è stato graziato dal Presidente Ilham Aliyev, promosso di grado, dotato di una nuova casa e ricompensato con otto anni di stipendio arretrati.

Giunto a Baku, Safarov si è recato a deporre mazzi di fiori alla tomba del vecchio presidente Heydar Aliyev (padre dell’attuale presidente) e al monumento dedicato ai soldati turchi.

La grazia all’omicida ha provocato vaste e ferme proteste in tutto il mondo, mentre l’Armenia ha interrotto le relazioni diplomatiche con l’Ungheria. Budapest ha smentito le voci che erano circolate sugli stessi giornali ungheresi di un accordo economico con l’Azerbajgian che in cambio del rilascio del detenuto si sarebbe impegnato ad acquistare tre miliardi di dollari in bond ungheresi.

Critiche sono giunte, tra le altre, dall’Unione Europea, dalla Francia, dagli Stati Uniti, dalla Russia e dal Presidente del Parlamento Europeo. Il 13 settembre 2012 l’Assemblea plenaria del Parlamento Europeo ha votato una risoluzione di condanna dell’Azerbajgian sul caso Safarov.

Nel maggio 2020, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Azerbajgian per la gestione dell’estradizione di Safarov (Fonte: Wikipedia).

E tutto è continuato come prima. Il problema è che alle parole non seguono i fatti, perché l’Azerbajgian fornisce petrolio e gas a condizioni molto favorevoli.

“Vogliono cancellare l’Armenia dalla mappa e l’Europa tace”
L’assedio del Corridoio di Lachin impedisce a cibo e medicine di raggiungere i 120.000 Armeni che vivono nell’Artsakh
L’Azerbajgian cerca di eliminare la presenza armena nel Caucaso
di Ester Medina
Alfa y Omega, 5 febbraio 2023

(Nostra traduzione italiano dallo spagnolo)

Per San Giovanni Paolo II l’Armenia era il Paese della croce. Una nazione che ha subito secoli di massacri e occupazioni, in cui il primo genocidio del XX secolo per mano dei Turchi tra il 1915 e il 1923 uccise più di due milioni di Armeni. Un Paese della croce che per primo al mondo adottò il cristianesimo come religione ufficiale, nell’anno 301. E, a sua volta, un popolo sempre più invisibile. La pressione costante che l’Armenia riceve dall’Azerbajgian e dalla Turchia non fa che ricordare i secoli di genocidi e massacri che segnano l’identità di un Paese sull’orlo dell’estinzione.

Il Corridoio di Lachin è l’unica via di accesso all’enclave armena del Nagorno-Karabakh (o Artsakh), in territorio azero. Un corridoio umanitario con una situazione critica derivata dal prolungato blocco che sta subendo. L’assedio impedisce a cibo, medicine e prodotti di base di raggiungere i quasi 120.000 Armeni che vivono nella Repubblica dell’Artsakh e l’accesso è consentito solo alla Croce Rossa. Attualmente la situazione umanitaria è molto grave. Le tessere annonarie sono già state introdotte e si prevede che le riserve statali si esauriranno nel giro di pochi giorni. «Sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni, che potrebbero peggiorare ancora di più durante la stagione invernale», ha detto domenica scorsa, 29 gennaio, Papa Francesco, dopo la preghiera dell’Angelus domenicale.

Gohar Vahanyan è un’Armena che vive in Spagna con la sua famiglia e assicura che “in questo momento la popolazione dell’Armenia sta pensando che stia arrivando una guerra”. Sanno che l’Azerbajgian, con il sostegno turco, sta diventando più forte e loro si stanno indebolendo.

Nel frattempo, la Russia agisce come sovrano e autorità. Alleato di lunga data e tradizionale dell’Armenia, alcuni dicono che ha tutte le sue forze impiegate nella guerra con l’Ucraina e non è interessato ad aprire un altro fronte tra Armenia e Azerbajgian. Secondo Tigran Yegavian, ricercatore e scrittore armeno, “la Russia a volte funge da protettore, ma anche da magnaccia quando sono in gioco i suoi interessi”.

Indubbiamente, l’obiettivo finale delle offensive azere è quello di eliminare la presenza armena nel Caucaso e ciò significa continuare la pulizia etnica che gli Armeni hanno subito per secoli, eliminando dalla carta geografica questa scomoda enclave cristiana. Non dimentichiamo che l’Armenia è il punto di congiunzione tra la cultura cristiana e quella musulmana nel Caucaso. Che si tratti di una guerra aperta o di un brutale assedio umanitario, “quello che vogliono con questo blocco è che gli Armeni che sono lì se ne vadano e alla fine prendano il controllo dell’Artsakh”, spiega Vahanyan.

In Occidente nessuno ne parla [diciamo, “quasi”]. Il silenzio mediatico e istituzionale è enorme, poiché non è interessante posizionarsi di fronte ai deboli. La scorsa estate la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, si è recata a Baku per firmare un accordo con l’Azerbajgian e raddoppiare così la fornitura di gas fino al 2027. Questa nuova alleanza consente all’Europa di non dipendere dalla Russia per le forniture di gas e, per questo, da parte delle istituzioni europee è conveniente tacere.

Il Consiglio Europeo ha recentemente deciso di creare una missione civile in Armenia dispiegando osservatori internazionali per “stabilizzare le zone di confine e garantire un ambiente favorevole agli sforzi di normalizzazione di entrambi i Paesi”. La Russia, tuttavia, ha fortemente criticato questa decisione e ha assicurato che questo passo non farà che “aggravare” la situazione nella regione. Dopotutto, la Russia non vuole perdere il controllo del territorio.

«Vogliono cancellare l’Armenia dalla mappa e l’Europa tace. Questo inizia distruggendo la nostra cultura”, continua Vahanyan. Ne sono testimonianza i fatti del Najichevan, ex territorio armeno ceduto dall’URSS all’Azerbajgian nel 1923, dove gli Azeri demolirono circa 89 chiese medievali, 5.480 khachkar (stele rettangolari con la croce armena molto caratteristica di quella cultura), e 2.700 tombe. La Turchia di Erdoğan alimenta un fervente desiderio di riprendere il pieno controllo del territorio caucasico, e ciò significa distruggere ogni traccia di cristianesimo.

Intanto la Chiesa Apostolica Armena continua a resistere. Sostenuti nella fede, sanno di essere accompagnati e trovano rifugio nella preghiera. «Noi Armeni abbiamo una nostra identità molto marcata. Di generazione in generazione si trasmette l’idea che ovunque tu sia, sei ancora un Armeno; devi conservare la lingua e la fede. È la nostra identità».

Indice – #ArtsakhBlockade [QUI]