Come manovra la Russia tra Armenia e Azerbaigian (Startmag 18.12.20)

Che durante le guerre di ieri come quelle di oggi i crimini contro l’umanità siano una drammatica costante dovrebbe ormai essere una verità acclarata. Negli ultimi giorni sono stati messi online numerosi video che documenterebbero le atrocità che sarebbero state commesse durante il recente conflitto in Nagorno-Karabakh dai soldati azeri contro inermi civili armeni e contro i prigionieri di guerra.

Ora, indipendentemente dal fatto che questi video siano autentici o meno — sarebbe stata la Russia a diffonderli per screditare l’Azerbaigian — la reazione dell’opinione pubblica è stata immediata e durissima sia da parte dell’ufficio del procuratore di Stato di Baku — che ha annunciato l’avvio di un procedimento penale per fare luce sui crimini commessi nei confronti dei corpi dei militari armeni uccisi durante i combattimenti — sia da parte di Human Rights Watch che ha opportunamente ricordato come le esecuzioni extragiudiziali e lo spoglio dei morti siano crimini di guerra che devono essere oggetto di indagine penale.

Questi drammatici eventi — indipendentemente dall’autenticità che sarà verificata in un secondo momento dalle autorità locali e da quelle internazionali — costituisce un ottimo spunto per riflettere sul ruolo che la Russia ha avuto — e avrà — in Armenia e in Azerbaigian.

Sia per l’Armenia che per l’Azerbaigian, due ex repubbliche sovietiche, la Russia è la vecchia metropoli. Naturalmente, trent’anni dopo la caduta dell’Urss, il passato sovietico sta svanendo. Diventate indipendenti, queste ex repubbliche sovietiche si sono emancipate e hanno subito profonde trasformazioni.

L’Armenia ha mantenuto un rapporto molto privilegiato con la Russia: membro della CSTO, nel 2015 ha firmato un accordo che istituisce un sistema di difesa aerea congiunto con la Russia, rafforzato da un trattato bilaterale (2016, ratificato nel 2017) creando forze armate congiunte con comando congiunto. L’Armenia ospita anche truppe delle guardie di frontiera russe (4.500 uomini schierati ai confini turco-armeno e armeno-iraniano) e un’importante base a Gumri (in conformità con un accordo in scadenza nel 2044). L’Armenia mantiene anche strettissime relazioni economiche con la Russia.

L’Azerbaijan si è allontanato ulteriormente dalla Russia: non è membro della CSTO [ci sono però accordi una tantum con la Russia in campo militare] e si è chiaramente avvicinato alla Turchia che, in tutti i settori, è diventata il suo principale partner strategico.

Nonostante queste notevoli differenze, Mosca rimane, per questi due stati, assolutamente essenziale per il ruolo centrale svolto nella risoluzione del conflitto del Karabakh. Al di là di queste contingenze politico-strategiche, la Russia è semplicemente una realtà geopolitica e geoeconomica che si impone, in Armenia come in Azerbaijan, così come in Georgia. È anche un mercato di esportazione essenziale per i loro prodotti, nonché la sede delle diaspore transcaucasiche numericamente molto importanti.

Tuttavia, per comprendere chiaramente il ruolo della Russia in questo contesto, è necessario tenere presente che il Caucaso settentrionale è posto sotto la sovranità della Federazione Russa, mentre il Caucaso meridionale è composto da tre stati indipendenti riconosciuti (Armenia, Azerbaijan, Georgia) e altri tre non riconosciuti ma che sono comunque stati de facto: Abkhazia e Ossezia del Sud (ex entità autonome della Georgia) e Nagorno-Karabakh (ex entità autonoma dell’Azerbaigian, popolata da armeni).

Nel Caucaso settentrionale, Mosca difende la propria integrità territoriale, in particolare contro le minacce secessioniste e/o terroristiche islamiche. In Transcaucasia, la Russia agisce come una potenza post-imperiale. Ci sono molte continuità con il periodo sovietico, ma soprattutto con le strategie attuate dall’acquisizione di questa regione da parte dell’Impero russo nella prima metà del XIX secolo. Il quadro di queste strategie consiste nel svolgere il ruolo di potere tutelare e porsi come arbitro dei molteplici e inesauribili conflitti tra etnie, che San Pietroburgo e poi Mosca (dopo il 1917) hanno continuato a utilizzare al meglio per consolidare la loro posizione egemonica della regione.

Ora per quanto riguarda la guerra del Nagorno-Karabakh nel 2020 si tratta di un conflitto asimmetrico tra gli armeni del Karabakh — l’autoproclamata repubblica del Nagorno-Karabakh, un’enclave che, prima della guerra, copriva un’area di 11.430 km2 e popolata da meno di 149.000 abitanti (dati 2015), sostenuta dalla vicina Armenia (ufficialmente 3 milioni di abitanti), alleata della Russia, ma che quest’ultima non sostiene in questo conflitto — da un lato e l’Azerbaigian (86 6 00 km2, poco più di 10 milioni di abitanti nel 2015), sostenuto dalla sua alleata Turchia, il secondo esercito della Nato dall’altro.

Il potere economico e militare dei due contendenti è asimmetricamente proporzionale. Era quindi logico che la potenza azera, nella sua associazione con la potenza turca, dovesse vincere.

Tuttavia, va osservato che l’operazione Steel Fist, lanciata da Baku come Blitzkrieg, non ha avuto il successo previsto, in quanto ha portato a una guerra che è durata 45 giorni, che dimostra la capacità di combattere e la resistenza degli armeni, nonostante la loro evidente inferiorità tecnologica. C’è anche un’altra asimmetria, abbastanza fondamentale, il che significa che questo conflitto non è una semplice “rivalità”. Se si tratta di un conflitto di natura territoriale per l’Azerbaijan (riprendere il controllo regione secessionista persa di fatto dal 1991 e poi ripopolata), per gli armeni, è invece una vera guerra di gran lunga più rilevante, una Guerra volta a riappropriarsi di un territorio che storicamente gli appartiene, sullo sfondo della paura del verificarsi di un nuovo genocidio perpetrato dai “turchi” (siano essi dell’Azerbaigian o dell’Anatolia), dopo quello del 1915 o i pogrom anti-armeni commessi in Azerbaigian nel 1988. E su questo punto, le ultime dichiarazioni dei Presidenti Erdogan e soprattutto Aliev — che ha appena annunciato di voler conquistare gran parte del territorio dell’Armenia — alimenta e giustifica solo queste paure.

Per quanto riguarda l’accordo di cessate il fuoco firmato il 10 novembre sotto l’egida di Sergey Lavrov questo mette al comando la Russia, con il dispiegamento per almeno cinque anni di una grande forza di interposizione russa nella regione. Questa forza non solo dispiega mezzi militari, ma anche un soft power che rassicura e seduce la popolazione locale. Ma l’accordo del 10 novembre non fa nulla per regolare lo status del Nagorno-Karabakh.

L’ulteriore sviluppo dipenderà dai negoziati che saranno condotti tra Armenia e Azerbaigian, nonché dal quadro entro il quale tali negoziati saranno condotti. Sono possibili tre ipotesi: la riattivazione del Gruppo di Minsk nel quadro dell’Osce (con le co-presidenze francese, russa e americana), che è il quadro finora prevalente; l’apertura di un nuovo quadro negoziati russo-turchi (o anche russo-turco-iraniani), sul modello del “Processo di Astana” (avviato dall’accordo di Astana, firmato il 4 maggio 2017 da Russia, Iran e Turchia, stabilire quattro zone di cessate il fuoco in Siria) — un quadro che esclude completamente l’Occidente dal gioco, o anche una miscela dei due.

Un altro aspetto da sottolineare è il fatto che la guerra tra Armenia e Azerbaigian mette in luce la complessità del partenariato russo-turco a 360 gradi.

La Russia vede infatti il conflitto del Nagorno-Karabakh in un continuum geostrategico che si estende dal Caucaso settentrionale al Medio Oriente, compresi il Mar Nero e il Mediterraneo orientale. Da questo punto di vista, ciò che conta non è tanto la protezione a tutti i costi del suo alleato armeno, per quanto caro e prezioso sia, ma il mantenimento di un favorevole equilibrio di potere con Ankara. E questo equilibrio di potere si sta sviluppando contemporaneamente in più aree — Caucaso, Siria, Libia — che devono quindi essere analizzate come tali, ma anche nelle loro molteplici interazioni. La politica estera russa porta senza dubbio il sigillo della Realpolitik. È essenziale mantenere un rapporto di “partnership” (questo è il termine comunemente usato) con la Turchia.

In questa vasta area del Caucaso-Vicino Oriente-Mediterraneo orientale, la Russia è posizionata come la forza trainante dei “partenariati” tra le potenze regionali — Russia, Turchia e Iran, vale a dire i tre ex russi, persiani e Ottomano — che esclude, per quanto possibile, il blocco occidentale e il suo stretto alleato Israele. Senza esprimerlo in modo esplicito, questo è forse ciò a cui la Russia punta per l’intera regione del Caucaso maggiore-Mar Nero-Medio Oriente.

Nel lusingare le ambizioni strategiche di indipendenza della Turchia portate avanti da Erdogan, Vladimir Putin, nel suo ultimo discorso al “Forum Valdai” il 22 ottobre nascondeva a malapena il desiderio di vedere l’emergere di una Turchia veramente indipendente, libera dalla Nato e dal blocco occidentale, con cui la Russia poteva sinceramente “trattare” come meglio crede. Perché non dobbiamo perdere di vista il fatto che i conflitti nella grande regione Caucaso-Mar Nero-Medio Oriente sono sullo sfondo della “nuova guerra fredda” tra Russia e blocco occidentale, in pieno svolgimento dal 2008.

Ma anche l’Iran è un attore centrale nel conflitto del Nagorno-Karabakh. Tradizionalmente alleato con Yerevan, mantiene anche molte relazioni con Baku sia per le dimensioni della sua diaspora azera sia per il fatto che l’Azerbaigian rimane un paese sciita. Ebbene l’Iran è stato discreto in questa guerra nel Nagorno-Karabakh, che si stava svolgendo a 50 km dal suo confine settentrionale. In diverse occasioni Teheran ha ribadito il suo attaccamento al principio di integrità territoriale, mostrando in apparenza un sostegno indiretto per la parte azera. Eppure, in effetti, i rapporti dell’Iran con l’Armenia sono buoni, tanto che possono quasi essere definiti un’alleanza non detta.

Tuttavia, l’Iran teme molto l’Azerbaigian, la cui capacità di nuocere è, per Teheran, molto reale. Basta fare riferimento a tre elementi: primo, la guerra “sposta le linee” in termini di confini, poiché l’Armenia di fatto controllava — tramite l’occupazione dei territori situati sul fianco meridionale del Nagorno-Karabakh — vaste aree del confine con l’Iran che torna sotto il controllo azero; secondo esiste una forte minoranza azera in Iran (tra i 15 e i 18 milioni, ovvero quasi il 20% della popolazione iraniana); ultimo ma non meno importante, l’Azerbaigian è diventato uno stretto alleato di Israele, che fornisce a Baku armi avanzate e che ha stabilito una “base” dell’intelligence iraniana in Azerbaigian.

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