Comunicare le comunità. La forza dell’esilio degli Armeni di Trieste (Triesteallnews 14.03.24)

14.03.2024 – 07.30 – La comunità armena di Trieste si formò, nel tardo settecento, dalla felice congiunzione dell’elemento religioso costituito dai padri mechitaristi armeni e dell’elemento laico ‘delli negozianti esteri‘ ovvero dei mercanti stranieri attirati dalle possibilità del Porto Franco di Maria Teresa e Giuseppe II. Una storia, quella della comunità armena, intrecciata all’esilio; dall’Istanbul del Sultano, dalle terre flagellate dai pogrom, dalla Turchia del genocidio del 1915. La Trieste moderna pertanto quale luogo di rifugio, di accogliente nuova patria dove ricominciare. Una filiazione che trapela nascosta dai nomi delle vie e delle piazze: Giustinelli, Ciamician, Ananian, Zingirian… Una piccola Armenia il cui cuore, sul colle di san Vito, batte nella chiesa ottocentesca della Beata Vergine delle Grazie.
Adriana Hovhannessian, vicepresidente dell’associazione AraraTS, ha tratteggiato il quadro odierno della comunità armena triestina. Un’occasione per approfondire una comunità meno nota a confronto coi serbi o i greco-ortodossi, ma la cui eredità culturale permea la Trieste otto-novecentesca.

Come definirebbe, allo stadio attuale, la comunità armena di Trieste? Quali sono le sue principali caratteristiche? 

La comunità armena conta attualmente una decina di membri; a cui si aggregano cittadini armeni di passaggio, spesso di transito.
Nel 2001 facevamo parte quale frangia triestina dell’associazione Zizernak che ha sede in Friuli; il suo centro è a Pasian di Prato dove vi è l’amico Daniel Temresian.
Tuttavia, tanto per motivi organizzativi, quanto e soprattutto per la diversa origine, ci siamo poi separati, anche se i rapporti restano ottimi.
Noi di Trieste infatti siamo i figli, i nipoti, i pronipoti degli Armeni che fuggirono in Italia post genocidio, tra il 1916 e il 1920 circa. La nostra comunità, anche se affonda le sue radici nella presenza armena a Trieste tra settecento e ottocento, è una comunità di esuli.
I miei nonni, ad esempio, fuggirono da İzmit, l’antica Nicomedia, negli anni Venti del novecento; la sorella del nonno paterno, la zia Arousiak, aveva il marito che, quale commerciante di tabacco, viaggiava spesso per lavoro e aveva trovato impiego proprio nella Manifattura Tabacchi di Trieste situata nell’odierno Porto Vecchio.
Nel 1923 giunse mio nonno; nel 1924 la sua fidanzata, la mia futura nonna. Fu proprio a Trieste che si sposarono, nel 1926. Tutti noi, oggigiorno, abbiamo nonni o bisnonni che si conoscevano vicendevolmente; pertanto ci conosciamo e ci sentiamo come un’unica grande famiglia.
Quando eravamo parte di Zizernak, per quanto l’amicizia con l’associazione rimanga forte, ci sentivamo comunque diversi, sentivamo l’esigenza di avere una nostra comunità.
La minoranza friulana annovera armeni dall’Armenia, i quali giungono in Italia per motivi lavorativi; è una diversa provenienza; noi, (anzi i nostri nonni e genitori) invece proveniamo da Istanbul e in generale dalla Turchia post genocidio.

Se la comunità greca e serbo ortodossa vengono associate solitamente al quartiere Teresiano e al Ponterosso, qual è invece il ‘luogo’ della comunità armena?

Si può legittimamente parlare di ‘colle armeno’ per quanto concerne la zona di san Vito; la chiesa e i cinque edifici armeni di Aidinyan formano un insieme coeso che si rispecchia nella toponomastica locale. C’è infatti la zona dei Santi Martiri, zona di possedimenti armeni; via Giustinelli, italianizzazione di Artarian (Artar, significa “giusto”; ian invece è il patronimico per ‘figlio di’); Hermet, italianizzazione di Hermetian, la cui famiglia era originaria dalla Persia. E non dimentichiamo la via G. Ciamician che ricorda il grande chimico noto a livello europeo e primo Senatore del regno italiano nel 1922.

A questo proposito quali erano invece i negozi della comunità? 

Spostandosi nella zona di Viale XX Settembre vi è ancora il negozio di ottica Zingirian; quando la famiglia ha venduto il negozio ha posto la clausola che vi rimanesse il nome originale. Roberto Zingirian stesso è nostro socio, anche se pratica una differente professione. All’interno è possibile ammirare una mattonella con un pater noster scritto in lingua armena.
Molti degli esuli di un tempo erano commercianti, imprenditori, ottici… Ad esempio mio nonno aveva gestito la pasticceria armena di via Mazzini; a suo tempo mio padre mi aveva raccontato di come i greci e in generale i levantini si ritrovassero nella pasticceria, era un punto d’incontro, ci sentivamo ‘diversi’ rispetto alla città. Ognuno, all’epoca, parlava in armeno, in turco, in greco. Era, se vogliamo, uno specchio della multiculturalità di Trieste.

Qual è la storia e la situazione odierna della chiesa armena? 

La chiesa, costruita a metà ottocento, era visitata spesso la domenica dall’arciduca Massimiliano che risiedeva presso Villa Lazarovich, in via Tigor. Si compone di una navata centrale, una facciata rivolta verso il mare e due ali con degli appartamenti. Un tempo vi era accanto il reale Ginnasio, il primo in lingua italiana di Trieste. L’entrata non era da via Giustinelli, ma dal fronte mare; al di sotto vi erano dei pastini che delimitavano la zona.

Noi, come associazione, avevamo organizzato tante iniziative, fino a quando la chiesa era agibile; sicuramente fino al 2004.
La chiesa, di proprietà della Congregazione armena mechitarista di Venezia, era stata data in affitto alla comunità cattolica di lingua tedesca fino al 2008. In seguito, a causa di alcune ri-organizzazioni interne della comunità, i tedeschi si erano trasferiti altrove.
Occorre a questo proposito precisare che l’organo Rieger di Julius Jugy, tutt’oggi presente all’interno, è di nostra proprietà: fu lo stesso Kugy a donarlo ai padri Mechitaristi nell’ottocento, vi è un atto specifico al riguardo.
Vi erano stati rilevanti problemi strutturali già prima che la chiesa venisse abbandonata dai cattolici tedeschi; successivamente le problematiche relative al recupero si sono aggravate. Attualmente la chiesa, all’interno, è in stato di degrado; non avrebbe senso visitarla fino a quando non verrà restaurata integralmente.

Qual è la situazione a proposito del restauro della chiesa? 

Noi, quale comunità di Trieste, siamo attivi da anni nel recupero della struttura, lo sforzo continua tutt’oggi. Alcuni anni fa avevamo coinvolto la Regione FVG e la Soprintendenza; all’epoca vi era la Giunta Serracchiani, con l’assessore Torrenti.
Il primo stanziamento era stato utilizzato per la messa in sicurezza delle torre campanarie e di alcune parti del tetto. Successivamente un finanziamento della CRT era stato utilizzato per sanare l’accesso alla chiesa e al comprensorio da via Giustinelli.
Noi, come AraraTs, ci stiamo impegnando insieme alla Congregazione armena mechitarista, affinchè la chiesa venga restaurata e sia nuovamente agibile e visitabile per i triestini e visitatori in cerca delle origini degli Armeni a Trieste.

Permane ancora un senso del ‘religioso’ nella minoranza armena triestina? 

Per alcuni sì, per alcuni meno nella nostra comunità; così come ovunque oggigiorno. In generale il cristianesimo è sempre stato un elemento di aggregazione; siamo fieri di essere stati il primo stato a introdurre il cristianesimo, prima dell’editto di Costantino.
Noi abbiamo ancora i contatti coi padri mechitaristi a Vienna; il riferimento per Trieste rimane però Venezia.

Quali sono le principali attività della comunità armena e dell’associazione AraraTS?

Il nome ‘gioca’ con il nome del monte sacro alla nazione armena, l’Ararat. Si tratta di un Comitato per la promozione e la diffusione della cultura armena attraverso molteplici attività.
Il nostro scopo è promuovere, mantenere, diffondere, ma soprattutto far conoscere il ruolo di Trieste come crocevia di passaggio. Il mantenimento del patrimonio culturale, questa è l’eredità che abbiamo.

Quali attività culturali avevate svolto negli ultimi anni? 

Nel 2015, nell’occasione dei cent’anni dal genocidio, avevamo organizzato diverse commemorazioni anche a Trieste; all’epoca, con Zizernak, avevamo allestito una mostra fotografica dedicata ad Armin Theophil Wegner, l’ufficiale tedesco di stanzia in Turchia che aveva trafugato di nascosto i rullini che testimoniavano il genocidio in corso.
Dopo questa prima esposizione, all’odierna biblioteca statale Stelio Crise, avevamo allestito una mostra dedicata al fotografo armeno Leon (Leovan) Boyadjian, in arte noto come “Van Leo” al castello di San Giusto.
Nell’ambito delle conferenze avevo trattato, al caffè Tommaseo, la vita di Giacomo Ciamician; non solo come grande chimico e teorizzatore dell’energia solare, ma anche quale triestino fiero della sua eredità armena, al di là del suo patriottismo verso la nazione italiana. Non a caso quando venne nominato il primo senatore triestino del regno d’Italia chiarì fin dall’inizio che si sarebbe occupato di cultura, di università, ma senza parteggiare per nessun partito. Nell’occasione vi era stato anche un amico armeno da Padova con il ‘duduk’, il tipico strumento musicale armeno.
Tra i grandi successi ricordo in particolare una serata con balli e musica tipiche grazie alla presenza dall’Armenia della giovane Piruza Nazaryan, esperta di danze armene.

A seguito della frattura del Covid-19, abbiamo davvero faticato a riprendere. Avevamo programmato un concerto a marzo 2020 nella Piccola Fenice, ma naturalmente tutto saltò a causa della pandemia.

L’ostacolo maggiore rimane la mancanza di una sede fissa, di una sala per gli eventi. Inoltre, a confronto con altre comunità triestine, degli Armeni si continua a sapere fin troppo poco. Vi sono ragioni per tutto ciò; storiche, culturali, sociali e così via.

Qual è, dalla prospettiva di un triestino, la situazione degli armeni nel mondo?

Guardando all’Italia la comunità più numerosa è a Roma; a Bari c’è il centro Hrand Nazariantz; a Milano la Casa Armena; a Padova l’associazione Italia-Armenia. Siamo un po’ sparsi per l’Italia, anche se naturalmente il cuore rimane Venezia con l’isola di San Lazzaro e il Collegio armeno.
Siamo invece 7 milioni nel mondo, con una grande comunità in Francia e in California; ad esempio parecchi anni fa il governatore dello stato della California era un armeno. Anche a qui a Trieste vi sono alla SISSA diversi scienziati armeni provenienti dall’Armenia.

Gli Armeni non sono mai stati endogamici, sono sempre stati aperti come comunità; naturalmente l’apertura introduce il rischio che si smarrisca la propria lingua e identità originaria.

[Adriana Hovhannessian è la vicepresidente del Comitato per la Promozione della cultura armena AraraTS di Trieste. Dopo una laurea in Lettere Classiche presso l’Università degli studi di Trieste (UniTS) e un diploma in Scienze religiose presso il Seminario Vescovile, ha approfondito la passione verso le proprie origini armene a Venezia. Nell’occasione ha sostenuto 7 esami di Lingua armena al termine dei Corsi intensivi di Lingua e Letteratura Armena in collaborazione con l’Università Cà Foscari.
Coloro che desiderassero collaborare o chiedere informazioni all’associazione armena AraraTS possono scrivere a comitato.ararats@gmail.com]

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