Corridoi complicati. Il Difensore civico armeno analizza le violazioni dei diritti dei frontalieri armeni da parte dell’Azerbajgian. Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia (Korazym 17.12.21)

L’approccio “corridoio per corridoio” dell’Azerbajgian è carico di serie sfide per la Russia e l’Europa, ed è inaccettabile per la Repubblica di Artsakh. Lo ha affermato il Ministro degli Esteri dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh, David Babayan, in un’intervista commentando le dichiarazioni del Presidente dell’Azerbajgian Ilham Aliyev che il 14 dicembre 2021 in un incontro con il Segretario della NATO aveva affermato che lo stesso quadro giuridico che regola il “Corridoio di Lachin” tra l’Armenia e il Nagorno Karabakh dovrebbe essere applicato al “Corridoio di Zangezur” che collega l’Azerbajgian con la sua exclave autonoma di Nakhchivan.

Il Ministro Babayan ha dichiarato: «La posizione dell’Azerbajgian è prevedibile. Ci aspettavamo un simile approccio, come non ci si può aspettare nient’altro. Con tali azioni, l’Azerbajgian sta cercando di soffocare completamente Artsakh. Ma il problema non è solo in Artsakh; c’è un gioco più globale, naturalmente con la partecipazione della Turchia. Cosa significa comunicazione senza ostacoli tra la Turchia e l’Azerbajgian attraverso il territorio dell’Armenia riconosciuta a livello internazionale? È una perdita di sovranità su alcune linee di territorio. Ci sarà un “corridoio” oggi, un’altro domani. Dopotutto, non dicono nemmeno “Meghri”; dicono “Zangezur”. Potrebbero esserci diversi “corridoi” in Zangezur. Sono già comparsi almeno due riferimenti al “corridoio”: la ferrovia via Meghri [città], e l’autostrada via Sisian [città]. Allora, cosa sta cercando di fare l’Azerbajgian? Primo, dividere completamente l’Armenia.

«Si scopre che l’Armenia sta perdendo il controllo su circa un terzo del suo territorio, su Syunik [provincia], e non solo. Ciò significa che l’Armenia si sta “staccando” dall’Iran. Syunik è completamente circondata – in una posizione di piena enclave dall’Azerbajgian e dalla Turchia – poiché non avrà effettivamente un confine con l’Armenia perché se gli Azeri e i Turchi “attraversano liberamente“, domani verranno inviate truppe lì per garantire il “libero passaggio” – prima di tutto, di merci e merci, domani, di equipaggiamento militare, esercito, ecc.

«Cambierà completamente la situazione nella regione. Naturalmente, collegare [l’enclave dell’Azerbajgian] Nakhichevan con [la] [regione] Karvachar significherebbe la piena inclusione della Transcaucasia orientale, poiché l’Azerbajgian è già parte della Turchia de facto e un territorio altamente dipendente dalla Turchia, e nel senso attuale, l’Armenia non sarà tale perché anche Syunik sarà completamente assorbito. Non sto nemmeno parlando di Artsakh. Tutto ciò porterà a profonde trasformazioni: processi terribili e imprevedibili inizieranno nel Caucaso settentrionale, nella regione del Volga e nell’Asia centrale. Cioè, questa è in effetti la “tabella di marcia” [del presidente turco] Erdogan che ha espresso insieme al rappresentante dell’organizzazione [ultranazionalista turca] “Lupi grigi“».

C’è da dire che la frase di Aliyev rischia di essere un autogol per l’Azerbajgian. Equiparare i due corridoi vuol dire implicitamente che l’Artsakh appartierne all’Armenia così come il Nakhchivan appartiene all’Azerbajgian.

In realtà il dittatore di Baku cerca di barattare il fondamentale transito attraverso il Syunik (si noti che lo chiama sempre come Zangezur…) con la vita dei 120.000 armeni dell’Artsakh che senza supporto esterno sono destinati a morire.

Considerato che Aliyev ritiene già risolta la questione con la guerra e non vuole sentir parlare di status dell’Artsakh, siamo certi che una volta ottenuto lo sblocco delle vie di comunicazione nel sud dell’Armenia punterà i piedi sulla questione dell’Artsakh e bloccherà i transiti verso Stepanakert [Iniziativa italiana per il Karabakh].

Il Difensore dei diritti umani della Repubblica di Armenia ha inviato al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk un rapporto in cui ha analizzato la violazione dei diritti dei residenti frontalieri armeni

Il Difensore civico dell’Armenia Arman Tatoyan ha inviato un rapporto al Presidente dell’OSCE e ai Copresidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE sulle violazioni dei diritti (ad esempio il diritto alla vita, il diritto alla libera circolazione, i diritti dei bambini, ecc.) dei residenti di frontiera dell’Armenia da parte delle forze armate azerbajgiane. “Con fatti ed esempi concreti il documento dimostra che le azioni delle forze armate azere, deliberatamente organizzate dalle autorità dell’Azerbajgian, violano i diritti delle persone che vivono nelle regioni di Gegharkunik e Syunik, nelle aree di confine del nostro Paese, interrompono le condizioni di sicurezza e la vita normale (vengono forniti esempi dalla comunità di Yeraskh della regione di Ararat)”, afferma il Difensore civico armeno. Pertanto, afferma, ripristinare la vita normale delle persone, garantire i loro diritti e la loro sicurezza è una priorità.

“Ho detto che le strade alternative non sono una soluzione a Syunik, poiché la sicurezza delle persone non è garantita. Le forze armate azere continuano a monitorare queste strade, i civili e le loro case. Inoltre, i militari sono presenti in modo dimostrativo sulle strade, in aree visibili ai civili, e stanno commettendo atrocità che violano i diritti umani”, afferma il Difensore civico armeno. “Ho dimostrato che le violazioni dei diritti umani nelle aree di confine sono alimentate dalla politica di armenofobia e di ostilità nei confronti degli Armeni delle autorità azere, che si è ulteriormente aggravata dopo la guerra”, aggiunge Tatoyan. Pertanto, dice, la conclusione è chiara: “Non dovrebbero esserci militari armati azeri nei nostri villaggi, in molti casi vicino alle case e sulle strade. Inoltre, questo vale per tutti loro schieramenti e non solo per le incursioni di maggio».

In altre parole, ci deve essere una zona di sicurezza demilitarizzata, insiste il Difensore civico dell’Armenia. “Questo non significa che decidiamo così immediatamente di chi è il territorio. Si deciderà in seguito, almeno a seguito di delimitazione e demarcazione che inizi in parallelo”, afferma il Garante dei diritti umani dell’Armenia, aggiungendo che per ora è semplicemente necessario ripristinare con urgenza i diritti delle persone e la vita normale.

Nel rapporto il Difensore dei diritti umani armeno sottolinea che, sulla base della sua proposta, l’idea è già stata sancita in una risoluzione adottata dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il 27 settembre 2021.
“Questi miei approcci derivano direttamente dalle esigenze e dall’esperienza dell’OSCE, dell’ONU e di altre organizzazioni internazionali”, conclude il Mediatore.

Importanti indicazioni diplomatiche dalla Corte Internazionale di Giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia, il principale organo giudicante delle Nazioni Unite, ha pronunciato il 7 dicembre 2021 due ordinanze che afferiscono i rapporti tra Armenia e Azerbajgian riguardo anche al contenzioso sull’Artsakh/Nagorno Karabakh.

La prima Ordinanza concerne la richiesta da parte dell’Armenia di indicazione di misure provvisorie da adottare nel caso relativo all’applicazione della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale (Armenia c. Azerbaigian).

Nella sua ordinanza, che ha efficacia vincolante, la Corte obbliga la Repubblica di Azerbajgian a:

– Proteggere dalla violenza e dalle lesioni personali tutte le persone catturate in relazione al conflitto del 2020 che rimangono in stato di detenzione e garantiscono la loro sicurezza e uguaglianza davanti alla legge (14 voti a favore, 1 contrario).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale e discriminazione, anche da parte dei suoi funzionari e istituzioni pubbliche, nei confronti di persone di nazionalità o origine etnica armena (All’unanimità).

– Adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire atti di vandalismo e dissacrazione che colpiscono Il patrimonio culturale armeno, inclusi ma non limitati a chiese e altri luoghi di culto, monumenti, punti di riferimento, cimiteri e manufatti (13 voti a favore, 2 contrari).

Anche se la Corte non si è ancora pronunciata sul rilascio dei prigionieri armeni detenuti in Azerbajgian, è pleonastico sottolineare la valenza politica e giuridica del pronunciamento. Di fatto, vengono toccati tre temi di fondamentale importanza e al centro del dibattito post-bellico:
– il trattamento dei prigionieri;
– l’odio razziale (nelle sue varie esternazioni, dai discorsi della leadership azera al famigerato “Parco dei trofei” di Baku, alle campagne sui social);
– la tutela del patrimonio architettonico civile e religioso nei territori ora occupati dalle forze armate dell’Azerbajgian.

La condanna è ancor più netta se si pensa che in contemporanea l’Azerbajgian aveva notificato alla Corte di Den Haag una serie stringente di richieste (Azerbajgian c. Armenia), in molti casi a specchio rispetto a quelle armene su vari temi cari alla propaganda azera: dall’odio etnico al problema dello sminamento, dalla distruzione dei monumenti azeri agli ostacoli frapposti al godimento dei beni azeri (sic!), alla condanna anche pecuniaria per le violazioni dell’Armenia.

Complessivamente, undici iniziali “capi di imputazione” ridottisi poi a sei richieste ufficiali dell’Azerbajgian, tutte sviluppate entro la cornice della Convenzione sul Eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale del 21 dicembre 1965.

Ebbene, la Corte delle Nazioni Unite ha ritenuto di formalizzare solo un’ordinanza (La Repubblica di Armenia, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, prendere tutte le misure necessarie per prevenire l’incitamento e la promozione dell’odio razziale, anche da parte di organizzazioni e persone private nel suo territorio, mirate a persone di nazionalità o origine etnica azera) che nei fatti trova poca applicazione dal momento che i messaggi di odio etnico sono prevalentemente unidirezionali e provengono da est.

Per l’Azerbajgian si tratta di una cocente sconfitta anche sul piano diplomatico [Iniziativa italiana per il Karabakh].

INTERNATIONAL COURT OF JUSTICE, Comunicato del 7 dicembre 2021 [QUI].

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