Cosa sta succedendo in Armenia (Bergamopost.it 03.08.18)

Un premier eletto dopo tre settimane di proteste e una schiera di trentenni pronti a scendere in piazza per assicurarsi un Paese e un futuro diverso. Questo è il volto nuovo dell’Armenia, che da maggio da deciso di voltare pagina, rimpiazzando una volta per tutte il vecchio premier Serž Sargsyan, che, dopo aver approfittato dei due mandati consecutivi consentiti dalla Costituzione, ha provato a trasformare la repubblica da presidenziale a parlamentare, facendosi nominare primo ministro e affidando la guida al suo partito.

La rivoluzione dei trentenni. Il passo, però, non ha tenuto conto dei cambiamenti sociali ormai in atto nella nazione, dove è cresciuta una generazione di trentenni con lavori ben pagati che, stanchi di essere obbligati ad emigrare per cercare un futuro migliore, stanno dimostrando di avere coraggio e abilità per mettere in discussione il sistema oligarchico di potere. In questo paese di tre milioni di persone è stata infatti decisiva l’azione di tanti ragazzi impiegati (principalmente del settore tech) che hanno appoggiato l’ascesa al potere del nuovo leader: Nikol Pashinyan, giornalista quarantaduenne e uomo politico di spicco del Congresso Nazionale Armeno, paragonato da tanti a Robin Hood per la sua lotta contro l’ingiustizia sociale del Paese.

Gli equillibri internazionali. Stretta tra l’Iran, la Turchia, la Georgia e l’Azerbaigian, l’Armenia potrebbe essere la miccia dalla quale far partire una rivoluzione. Gli equilibri nell’area sono, infatti, incredibilmente fragili. Della Russia, ex garante del Paese, dalla quale si è staccata nel 1911, l’Armenia – come lo stesso Pashinyan ripete – non può liberarsi, ma di sicuro Putin non sta apprezzando l’esempio di questo popolo che è sceso in piazza per protestare contro i dirigenti corrotti. Con la Turchia, invece, resta aperta la questione del genocidio degli Armeni avvenuto un secolo fa, mentre è all’Azerbaigian che gli armeni contendono dal 1988 l’enclave del Nagorno Karabakh.

La generazione dell’indipendenza. Cosa c’è, allora, di nuovo, nella situazione armena? Quello che colpisce è il modo in cui il Paese sta costruendo il proprio futuro: ovvero dal basso e con i propri giovani. Se le statistiche parlano di oltre 370mila persone emigrate nell’ultimo decennio, l’altra faccia della medaglia sono circa 10mila ragazzi che, forti di stipendi adeguati e di lavori in un settore (quello dell’high-tech) in forte crescita e privo di oligarchie, hanno finalmente capito di avere i diritti e l’influenza necessaria per far sentire la propria voce, dimostrando di essere una generazione che ha rinunciato alle prima agognate green card per rimboccarsi le maniche e costruirsi un futuro nella propria terra.

Forte di una rete capillare messa in piedi proprio da Pashinyan, la “generazione dell’Indipendenza” (ovvero gli armeni non ancora trentenni), coordinandosi con app come Telegram, hanno attuato una serie di proteste che hanno fermato il Paese. Se le sommosse nell’ex blocco sovietico non sono cosa nuova, la novità armena sta nel carattere pacifico delle proteste, che, diversamente da quanto avvenuto in Ucraina, non hanno fatto morti e promettono cambiamenti a lungo termine, a cominciare dalla ridefinizione dei rapporti con l’Europa, alla quale il precedente premier aveva sempre preferito l’alleanza con Mosca.

Una rivoluzione di velluto che sta anche dimostrando quanto poco sia aderente alla realtà il cliché che vede nei giovani legati alla tecnologia una generazione di persone staccate dalla realtà. La lezione dell’Armenia, infatti, insegna come i social media e le nuove tecnologie possano essere strumenti fondamentali per cambiare le sorti del proprio Paese.

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