Cosa succede ai confini? Mosca e la questione della Transcaucasia (Sputniknews 22.11.21)

I combattimenti su larga scala tra l’Armenia e l’Azerbaigian ricordano nuovamente gli eventi dell’anno scorso, ma questa volta l’escalation non si è verificata nel Karabakh, ma nella regione di Syunik. Erevan chiede l’aiuto di Mosca, mentre la Turchia promette “di non lasciare soli gli azeri”.
Sputnik ha appronfondito per voi le peculiarità di questa regione contesa e la missione di peacekeeping russa.

Un’esplosione seguito da uno sparo

I suoni di spari ed esplosioni sono stati sentiti nel villaggio di confine di Ishkhanasar, nella regione di Syunik, riporta il nostro corrispondente di Sputnik Armenia. Un drone era in volo. La popolazione non è stata evacuata, ma se i combattimenti continuano, dovranno essere portati via i bambini.

“Non potete immaginare cosa è successo qui. Il terreno si muoveva sotto i loro piedi. Loro (gli azeri) riescono a vedere tutto perfettamente, le loro posizioni sono a 5 chilometri di distanza”, dice una donna locale, Gohar. Non pensa di andarsene perché non ha un posto dove andare. Non ha nessuno a cui lasciare le sue proprietà e il bestiame. Gli abitanti del vicino villaggio di Angekhakot chiedono armi alle autorità. Non vogliono andarsene: “Credetemi, la nostra gente si farà valere; i nostri padri e i nostri figli hanno vissuto qui”.

Secondo i dati ufficiali, da parte armena un morto e tredici prigionieri, 24 militari hanno perso il contatto con il resto dell’esercito. Tra le fila azere sette sono stati uccisi e dieci feriti. Stando ai media locali, gli azeri hanno preso due roccaforti da cui è chiaramente visibile l’aeroporto militare nella città di Sisian utilizzato anche dalle forze russe di peacekeeping.
La situazione si è normalizzata dopo che il ministro della difesa russo Sergey Shoygu ha interloquito a turno con le sue controparti dei Paesi in guerra.

Regione sull’orlo del baratro

La regione di Syunik, nel sud dell’Armenia, è diventata una regione di confine dopo che un anno fa è stato firmato un accordo trilaterale sul cessate il fuoco. Sette distretti e quasi duecento insediamenti nel Nagorno Karabakh sono passati sotto il controllo azero.
Le due repubbliche si sono contese la regione già un secolo fa durante un brevissimo periodo di indipendenza. L’Armenia cercava l’accesso al confine iraniano, l’Azerbaigian un corridoio terrestre verso il Nakhichevan e la Turchia. I bolscevichi lasciarono Syunik all’Armenia sovietica, il che non impedì agli azeri di viverci pacificamente fino all’escalation del conflitto etnico alla fine degli anni ’80.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il popolo di Syunik confinava formalmente con la Repubblica autoproclamata del Nagorno-Karabakh (NKR) a est, l’Iran a sud e la Repubblica autonoma di Nakhichevan, un’enclave dell’Azerbaigian, a ovest. Alla fine della guerra nel 2020, il confine orientale era dunque esposto.
A dicembre, il sindaco di Kapan (il centro amministrativo della regione di Syunik), Gevorg Parsyan, ha annunciato che i militari stavano liberando roccaforti utili, “arrendendosi al nemico”. E la strada che porta da Kapan ai 4 villaggi entra nel territorio della repubblica vicina. Nikol Pashinyan è arrivato sul posto e ha spiegato alla popolazione del luogo che già nel 2010 la legge “Sulla divisione amministrativo-territoriale” definiva Kapan come un’area frontaliera dell’Azerbaigian.
“L’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva supporta questa demarcazione frontaliera e non può interferire con la situazione”, ha sottolineato il primo ministro armeno.
Ad aprile il presidente azero ha rilasciato dure dichiarazioni sul fatto che un’arteria di trasporto passerebbe in ogni caso attraverso il territorio della regione di Syunik (Baku la chiama Zangezur). Ilham Aliyev ha ribadito: “Realizzeremo il corridoio Zangezur. Se l’Armenia non lo vuole, risolveremo la questione con la forza”. Nello stesso intervento ha dichiarato: “In questo modo il nostro popolo tornerà a Zangezur che gli è stato tolto 101 anni fa”. E ha anche menzionato che Irevan (ora Erevan) era presumibilmente un territorio storico dell’Azerbaigian.
Baku ha poi spiegato le sue parole con il desiderio di prevenire un “possibile revanscismo” degli armeni. Si tratta di una questione di difesa nazionale, ha insistito Leyla Abdullayeva, portavoce del ministero degli Esteri azero.
Tuttavia, ufficialmente Erevan non ha avvertito i propri cittadini di nulla. In primavera come parte della sua campagna elettorale Pashinian ha visitato nuovamente la regione. Nella piccola città industriale di Agarak gli è stato gridato: “Nikol sei un traditore”, “Vattene!” ed è stato difeso dalle sue guardie. La visita è stata rapidamente interrotta. L’amministrazione presidenziale ha presentato la situazione come una chiara provocazione di alcune frange della popolazione. Il Comitato investigativo ha parlato di fattispecie riconducibili a illeciti di natura penale. Non si è fatta aspettare l’ennesima escalation. Infatti, il 12 maggio l’esercito azero è entrato senza ostacoli in quello che l’Armenia sostiene essere il suo territorio. Erevan ha esortato i suoi alleati, Russia e l’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva, a fare di più. E anche in quel caso si sono appellati al trattato bilaterale del 1997 che prevede l’assistenza militare da parte di Mosca.
In estate Aliyev ancora una volta, senza nascondere le sue intenzioni, ha ribadito le proprie rivendicazioni territoriali: “Lo Zangezur occidentale (regione di Syunik) è ora sotto il controllo armeno. Ma alla fine chiaramente restituiremo ai nostri cittadini le terre dei nostri antenati…Queste sono le nostre intenzioni”. Aliyev ha anche parlato del lago Sevan promettendo che la liberazione del bacino sarà il prossimo passo.

Tre ostacoli

Mosca ha sempre assistito alle procedure di dialogo, ma cerca di mantenere la sua neutralità. Il Cremlino ribadisce: le repubbliche devono prima onorare gli impegni presi un anno fa. Tuttavia, nessun progresso è stato fatto in tal senso. Una delle clausole dell’accordo prevede lo scambio integrale dei prigionieri. Baku ha restituito 114 militari alla parte armena (secondo altre stime 122). Erevan parla di almeno altri quaranta prigionieri. Ma la parte azera li considera “sabotatori”, ciò significa che non saranno restituiti, ma messi sotto processo.
L’altro tasto dolente è lo sblocco delle comunicazioni di trasporto. L’Azerbaigian sta dedicando la sua attenzione a Syunik perché desidera aprire la strada alla sua enclave Nakhichevan e quindi al suo più stretto alleato, la Turchia. Per Baku si tratta di un’arteria extraterritoriale. Ma non si capisce quale siano i vantaggi logistici e finanziari per gli armani.
Nemmeno Mosca ha commentato in maniera diretta questa situazione. A settembre il vice primo ministro Alexey Overchuk, membro della commissione trilaterale, si è recato a Erevan e ha dichiarato ai giornalisti armeni che la questione del corridoio non è nemmeno oggetto di discussione.

Il problema principale sono invece i confini. Mosca non sta solo offrendo una mediazione, ma potrebbe svolgere un ruolo chiave. Nel mese di ottobre Vladimir Putin ha dichiarato: “Probabilmente non abbiamo bisogno di nessuno qui, tranne le due parti coinvolte e la Russia. Infatti, le mappe si trovano presso lo Stato Maggiore dell’esercito russo. Sulla scorta di questi documenti bisognerà che entrambe le parti si siedano per trovare un compromesso reciproco”.

Infine, il Cremlino ha annunciato un incontro online tra Putin, Pashinyan e Aliyev per il mese di novembre. Si prevede che verranno prese molte decisioni sul tema dei confini. Ma le trattative sono state rinviate. I politici armeni dell’opposizione temono che il loro primo ministro firmi un accordo sfavorevole che metta ulteriormente in pericolo l’Artsakh (il nome armeno della repubblica non riconosciuta). Così il territorio potrebbe essere definitivamente tagliato fuori dall’Armenia.

Il difficile dilemma di Mosca

“L’assenza di una risposta coerente alle azioni aggressive di Baku ha fatto passare la voglia all’Azerbaigian instillando nei funzionari la convinzione che usando la forza possono costringere l’Armenia a rinunciare al Karabakh e a firmare un accordo di pace. E allo stesso tempo disegnare una linea di confine che sia conveniente per l’Azerbaigian”, sostiene l’osservatore politico armeno Hayk Khalatyan.
A suo parere, si potevano prevedere i bombardamenti: “Soprattutto dopo le elezioni anticipate vinte da Pashinyan in giugno e la sua annunciata disponibilità a fare serie concessioni. Baku credeva che questa vittoria lo avrebbe tolto dall’impasse consentendogli di firmare un nuovo accordo”.
Secondo l’esperto, anche la Russia è in una situazione difficile in quanto mediatore e alleato dell’Armenia. “Mosca è di fronte a un dilemma difficile: qualsiasi mossa faccia, infatti, potrebbe essere presentata in una luce per essa svantaggiosa. A quanto pare, è su questo che Baku scommette agendo fianco a fianco con Ankara (i funzionari turchi hanno già espresso il loro pieno sostegno in tal senso). Allo stesso tempo, però, solo la Russia è in grado di frenare le aspirazioni aggressive del duo Turchia-Azerbaigian che cerca di diventare un egemone nella regione”, osserva Khalatyan.
Secondo Nurlan Gasimov, ricercatore della regione del Caucaso, le parti hanno deliberatamente iniziato questa escalation: “Prima c’è stata la riparazione di un acquedotto armeno vicino a Shusha (gli azeri hanno ucciso un armeno). Poi un armeno ha lanciato una granata contro i militari azeri che sono penetrati in territorio armeno e spingendosi nell’entroterra per 2 chilometri. Non escludo che Baku non si aspettasse un tale sviluppo. Gli azeri volevano apparentemente spaventare gli armeni, ma hanno incontrato resistenza. In effetti, questo è un elemento di pressione. Baku non ha intenzione di occupare la regione di Syunik, ma sta forzando la situazione per accelerare il processo di delimitazione dei confini e costringere gli armeni ad avviare almeno una sorta di dialogo”.
L’analista politico è sicuro che Aliyev è ora molto interessato a presentare agli azeri dei cambiamenti positivi nella direzione del Karabakh. Dopotutto sostiene costantemente che il conflitto è ormai rimasto alla storia, ma la popolazione vede chiaramente che non è così.
Gli esperti concordano sul fatto che gli scontri continueranno. Nessuna delle questioni fondamentali è stata ancora risolta. E nessuna delle due parti è pronta per un compromesso.