Fallita investitura a Pashinyan, in Armenia è sciopero generale (Ilmanifesto 02.05.18)

La crisi politica in Armenia non trova soluzione e rischia di trascinare il paese verso il caos. Il primo maggio il parlamento si è finalmente riunito, ma non è riuscito ad eleggere il nuovo premier. Eppure per l’unico candidato Nikol Pashinyan (il leader dell’opposizione anti-corruzione che sta paralizzando il paese dal 13 aprile) le cose sembravano essersi messe bene.

IL 30 APRILE PASHINYAN infatti aveva dichiarato, ribaltando di 360 gradi le posizioni assunte in precedenza, che «non intende né adesso né nel futuro uscire dall’Alleanza militare guidata dalla Russia (presente con basi militari nel paese ndr) e neppure dall’Unione euroasiatica» la Ue in sedicesimi composta oltre che dalla Russia e dall’Armenia dal Kazakistan, dalla Bielorussia e dal Kirghizistan. Una presa di posizione che aveva fatto tirare un sospiro di sollievo al Cremlino.

Ma non solo. La Federazione rivoluzionaria armena (Dashnak), il più antico partito del paese fondato nel 1890 e di orientamento socialdemocratico, a questo punto decideva di uscire dalla coalizione con il partito repubblicano e di sostenere, con i suoi 7 deputati, Pashinyan. Tuttavia una volta in aula il partito repubblicano da 10 anni al potere e ancora in possesso della maggioranza assoluta dei mandati, ha dimostrato un’imprevedibile compattezza nel respingere la candidatura di Pashinyan. Le defezioni dal gruppo si sono limitate alla fine a soltanto tre. Risultato 45 voti a favore di Pashinyan e 55 contrari.

LA RITROSIA DEL PARTITO al potere a passare la mano è legata a motivazioni ben poco nobili. I deputati repubblicani a rischio di essere inquisiti per corruzione, hanno chiesto un salvacondotto-amnistia dopo elezioni anticipate da tenersi a breve. Pashinyan non avrebbe potuto accondiscendere, pena perdere credibilità tra i suoi sostenitori. «Boicotteremo le elezioni anticipate, torniamo subito in piazza!» è stato il suo appello dopo la bocciatura in aula. E così ieri le proteste si sono trasformate per la prima volta in sciopero generale. Il paese ieri era di fatto isolato dal resto del mondo: niente voli da e per Erevan, bloccate le linee ferroviarie, sit-in in tutte le arterie stradali del paese. Il capo dell’opposizione ha chiesto però «la massima calma» alla popolazione. «Nessuna violenza deve essere consentita, la nostra rivoluzione resta non violenta, «di velluto» ha fatto appello Pashinyan.

IL RISCHIO, come fa notare un deputato del Dashnak, è ora che la situazione si avviti su stessa. Da una parte la paralisi «potrebbe far rientrare in scena l’esercito come unico apparato capace di mettere fine alla confusione» afferma il parlamentare. Ma potrebbe condurre anche Pashinyan a rivedere nuovamente la sua posizione sulla delicata collocazione internazionale del paese. Facendo rientrare in gioco gli Usa. Non a caso proprio ieri il Dipartimento di Stato è tornato a dichiararsi «vicino agli amici armeni nella loro lotta per il cambiamento».

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