Fragile tregua fra Armenia e Azerbaigian (Treccani 19.11.1)

Dopo giorni di tensioni, si sono verificati nella giornata di martedì 16 novembre nuovi scontri armati al confine tra l’Armenia e l’Azerbaigian, con perdite da entrambe le parti e accuse reciproche, che dimostrano come gli equilibri stabiliti dagli accordi del novembre 2020 non assicurino stabilità alla regione. Nella serata del 16 novembre è stato raggiunto un cessate il fuoco patrocinato da Mosca, attraverso l’intervento del ministro della Difesa della Federazione Russa, Sergei Šojgu che ha avuto colloqui telefonici con il ministro armeno Suren Papikyan e con quello azero Zakir Hasanov. Anche Stati Uniti e Unione Europea avevano sollecitato la fine delle azioni armate e la ripresa della via diplomatica per la risoluzione dei contenziosi. L’Azerbaigian ha riferito di aver registrato, tra le forze militari impegnate negli scontri armati, 7 morti e 10 feriti. Il ministero della Difesa armeno ha annunciato la morte di 15 soldati: 12 militari sarebbero inoltre stati fatti prigionieri dalle forze azere. Le parti si scambiano accuse in merito all’apertura delle ostilità: Baku denuncia provocazioni armate dell’Armenia al confine, mentre Erevan parla di aggressione azera tesa a consolidare territori già acquisiti a maggio in violazione degli accordi di pace.

L’equilibrio stabilito nel 2020 rimane fragile per due ordini di motivi: la sproporzione delle forze in campo e la discontinuità territoriale attualmente stabilita. La forza militare degli azeri, che godono dell’appoggio aperto della Turchia, è schiacciante e induce Baku a sfruttare questo vantaggio sul campo. Inoltre, la situazione territoriale stabilita dagli accordi attualmente in vigore separa alcuni territori dalla propria appartenenza etnica, creando discontinuità territoriale; il Nahcivan è una regione che confina con l’Iran e la Turchia e pur facendo parte dell’Azerbaigian è del tutto separata dalla madrepatria dalla regione di Syunik (Zangezur), che appartiene all’Armenia. L’Azerbaigian non nasconde l’obiettivo di istituire il cosiddetto Corridoio di Zangezur, creando una continuità territoriale con il Nahcivan e di fatto anche con il suo alleato turco. D’altra parte l’Artsakh (Repubblica del Nagorno-Karabakh) fuoriuscito dagli accordi del 2020 con una perdita di due terzi del suo territorio, rimane separato dall’Armenia tranne che per un ristretto corridoio controllato dalle forze internazionali.

Secondo alcuni osservatori l’obiettivo dell’offensiva azera sarebbe appunto non l’annessione della parte ancora fuori controllo azero del Nagorno-Karabakh quanto la regione di Syunik, territorio armeno, che permetterebbe un collegamento con il Nahcivan. Obiettivo ambizioso, ma forse non impossibile, considerando le forze in campo e anche l’influenza delle potenze regionali.  Il legame tra Azerbaigian e Turchia è molto solido, come ha dimostrato il conflitto del 2020, quando l’appoggio turco è stato determinante; l’Armenia invece gode di un sostegno molto tiepido da parte della Russia, che cerca di mantenere buoni rapporti anche con Baku per non abbandonare l’Azerbaigian del tutto all’influenza di Ankara. La sfida tra Ankara e Mosca si articola su diversi scenari, nel Caucaso, in Libia, nel Corno d’Africa, ma le due potenze non vogliono arrivare a uno scontro diretto. L’Armenia cerca il coinvolgimento della Russia, a cui è legata dal 1997 da un patto di mutua difesa, e una mediazione basata sulle ‘mappe sovietiche’ che si trovano a Mosca e risalgono agli anni Venti del Novecento: potrebbero secondo Erevan essere la base di nuovi confini. Una mediazione difficile, anche perché Baku fa riferimento ad altre mappe ‘sovietiche’ diverse da quelle in possesso della Russia e poste come base della trattativa dall’Armenia.  La Russia si trova quindi a giocare nell’area una complessa partita, che ha lo scopo di contenere la crescente influenza della Turchia e di non perdere il suo prestigio, dimostrando di riuscire a sostenere i suoi alleati.