“Garò, una storia armena” è di scena al Teatro Sociale (Ciacomo 28.04.22)

In prima nazionale, debutta sabato 30 aprile alle ore 20.30, al Teatro Sociale di Como, il nuovo spettacolo di Giuseppe Di Bello intitolato Garò. Una storia armenacon la produzione di Anfiteatro – Progetto Piattaforma di UnoTeatro. Protagonista e solo sul palcoscenico sarà l’attore Stefano Panzeri. Lo spettacolo andrà in scena a pochi giorni di distanza dal 24 aprile, giornata dedicata alla commemorazione delle vittime del genocidio armeno del 1915, una serie di massacri da parte degli ottomani che causarono un milione e mezzo di morti. Garò racconta la storia del giovane Garabed Surmelian, della sua famiglia e della vita a Shevan, un piccolo villaggio di montagna dove tutto scorre ancora con i tempi dettati dalla natura e da riti antichi. Attraverso le parole di un Meddah, un narratore della tradizione, apparirà un affresco appassionato, curioso e rispettoso, che alterna momenti intimi emozionanti e profondi ad altri più leggeri e divertenti per raccontare la nascita, i riti di passaggio, i giochi e le feste, che porteranno gli spettatori ad entrare in contatto con alcuni dei “colori” di questa cultura straordinaria; ma pure con le ansie e le paure, perché sugli armeni di questo villaggio, come su quelli di tutti gli altri villaggi o città, incombe la folle minaccia di una giovane classe dirigente turca portatrice di un’ideologia nazionalista, che sfocerà nella pianificazione e nell’attuazione del più atroce e terribile dei crimini: il genocidio.

E quando il racconto volge al termine in senso tragico e tutto sembra ormai perduto, il Meddah toccherà ancora una volta i cuori con un’ultima storia che consentirà a tutti di tornare a sperare e a respirare.

«La mostruosità di quel genocidio non può e non deve essere solo sostanza della storia del popolo armeno, ma deve diventare parte della coscienza universale perché i morti non smetteranno mai di far sentire la loro voce. – ha raccontato il regista Pino Di Bello – Né dovremmo farlo noi, in loro ricordo, perché solo coltivando la memoria come antidoto, possiamo immaginare, per tutti coloro che verranno, un mondo senza fanatismi, intolleranze e razzismo».

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