Genocidio armeno e negazionismo, una questione aperta. parte nona ed ultima (Caratteri Liberi 22.06.15)

di Claudio Vercelli

I campi in cui affluivano i deportati non costituivano un sistema concentrazionario estremamente rigido e coeso. Ovvero, benché le gratuite brutalità fossero moneta quotidiana, la metodicità dell’assassinio era affidata all’arbitrio e alla discrezionalità delle autorità locali. Si trattava, infatti, di un circuito di aree di prigionia creato in pochi mesi, nelle difficili condizioni dettate dalla guerra in corso e dopo aver già sterminato buona parte della popolazione armena con altri metodi.
La totalità delle strutture, inoltre, erano improvvisate, composte con gli scarsi materiali a disposizione. Da un lato non si voleva offrire ai prigionieri qualcosa che garantisse loro un’accoglienza e una permanenza dignitose. Dall’altro lato, non si avevano comunque i beni necessari.

Nei fatti, tuttavia, i deportati vi rimanevano imprigionati per lunghi periodi, in genere almeno fino all’arrivo di nuovi contingenti di civili. Cosa che, generando un immediato sovraffollamento, causava ulteriori trasferimenti di massa verso le regioni desertiche meridionali, nel tentativo di diminuire la popolazione imprigionatavi. Solo in alcuni luoghi, quindi, si arrivò all’istituzione di campi di concentramento permanenti.

La costituzione di campi di transito, con l’inizio del 1915, non ebbe poi ulteriore seguito, soprattutto quando, nell’estate dell’anno successivo, fu invece portato a termine il progetto di eliminazione di tutti gli armeni della regione a nord di Aleppo. La parziale eccezione a questo sistema organizzativo riguardò perlopiù i campi della linea Hama-Homs-Damasco-Gerusalemme-Amman-Maan, considerati ufficialmente «zone di reinsediamento» degli armeni deportati. Qualcosa, per intenderci, che si sarebbe ripetuto con i ghetti nazisti in Polonia tra il 1940 e il 1944. A questi ultimi, infatti, non fu riservata l’eliminazione sistematica e neanche la morte per inedia bensì una qualche forma di sopravvivenza. Ma fatta salva questa benevola eccezione, con il 1916, dinanzi ancora alla presenza di circa settecentomila prigionieri suddivisi in una ventina di campi, le autorità ottomane si risolsero per trasformare il maggiore numero di essi in luoghi di sterminio. Continua