Gerusalemme: sputi, conferenze negate, terreni svenduti. Ombre sul futuro dei cristiani (Asianews 16.06.23)

Dietro “pressioni” della municipalità, gli organizzatori hanno dovuto spostare un convegno previsto in origine al museo della Torre di Davide. L’iniziativa era incentrata su abusi e attacchi di parte del mondo ebraico ai cristiani. La Chiesa armena nella bufera sull’utilizzo di un terreno concesso a un imprenditore ebreo-australiano. I fedeli accusano: “svendute” terre ottenute “col sangue”.

Gerusalemme (AsiaNews) – Una conferenza incentrata sugli attacchi contro i cristiani in Terra Santa, in programma ieri presso il museo della Torre di Davide, si è svolta in un luogo diverso da quello previsto in origine in seguito a “pressioni” provenienti dai vertici della municipalità. Fonti locali puntano il dito contro alcuni stretti collaboratori del sindaco Moshe Leon, che avrebbero minacciato di “cacciare” il direttore della struttura Eilat Lieber in caso di mancato annullamento dell’incontro. Accuse negate dai funzionari, per i quali “niente di tutto questo è mai successo” anche se i promotori hanno dovuto riprogrammare l’evento altrove.

La conferenza, intitolata “Why Do (Some) Jews Spit on Gentiles”, era stata promossa e organizzata dal Center for the Study of Relations Between Jews, Christians and Muslims presso la Open University of Israel. Al centro della discussione vi era proprio l’escalation di attacchi contro i cristiani nella città santa dei mesi scorsi, che avevano sollevato più di una preoccupazione – e condanna – dei vertici della Chiesa locale. Nel mirino sacerdoti, suore, fedeli, luoghi di culto e pellegrini oggetto di sputi, bestemmie, violenze fisiche e morali, atti di vandalismo da parte di ebrei ultra-ortodossi e nazionalisti.

Pur avendo ricevuto l’invito, sia i funzionari della municipalità che esponenti del ministro israeliano degli Esteri non hanno voluto partecipare a un incontro attaccato frontalmente in una lettera anche dal rabbino capo di Gerusalemme Rabbi Shlomo Amar. Il leader religioso parla di evento promosso da quanti “cercano di confondere e convertire gli ebrei innocenti” e accusa il museo di essere operativo durante lo Shabbat, per questo va boicottato. Fra i primi a rilanciare l’attacco il vice-sindaco Arieh King, che parla apertamente di conferenza dai toni “anti-semiti”. Va qui peraltro precisato che il rabbino Amar è stato il più autorevole leader ebraico a condannare in modo esplicito le violenze anti-cristiane dei mesi scorsi. Immediata la replica dell’organizzazione per bocca di Yaska Harani, secondo cui l’incontro intendeva “costruire un cambiamento, non offendere o attaccare la società ultra-ortodossa. L’obiettivo è davvero quello di liberare la città dagli sputi”.

La controversia sorta attorno alla conferenza è solo l’ultimo capitolo di una lunga serie di episodi che hanno sollevato preoccupazione per la presenza attuale e il futuro dei cristiani in Terra Santa, che spesso devono affrontare nemici esterni e insidie interne alla comunità stessa. Prova ne è quanto successo fra gli armeni, al centro di una controversia per una vendita di beni e terreni nella città vecchia a Gerusalemme che rischia di creare una enorme frattura. All’origine dello scontro “l’affitto per 99 anni” (un esproprio di fatto) di proprietà immobiliari a un imprenditore ebreo australiano dall’impero economico opaco, che ama muovere da – e restare – dietro le quinte.

Uno scontro sanguinoso che ha portato il prete protagonista della vendita a fuggire negli Stati Uniti e lo stesso primate armeno a barricarsi dentro il patriarcato, mentre più di un fedele ne chiede le dimissioni e Giordania e Palestina che ne hanno “congelato” di fatto l’autorità. La vicenda è esplosa a maggio, ma il contratto è stato firmato in gran segreto nel luglio 2021 e prevede l’affitto per quasi un secolo del terreno denominato “Giardino delle Vacche” (Goveroun Bardez). Il prete “traditore” che ha mediato e sottoscritto l’atto è Baret Yeretzian, amministratore dei beni immobili del Patriarcato armeno di Gerusalemme, oggi in “esilio” nel sud della California. Con lui hanno manovrato il patriarca armeno ortodosso Nourhan Manougian, l’arcivescovo Sevan Gharibian e l’uomo d’affari Daniel Rubenstein, che nell’area intende costruire un hotel di lusso.

Situato nei pressi del quartiere armeno, in una zona strategica della città santa, il Giardino delle Vacche è gestito dal maggio 2021 dal comune come parcheggio per quanti si recano a pregare al muro del pianto. Il contratto risale al 2020 e vale per un periodo di 10 anni, ma il suo uso da parte degli ebrei ha provocato l’ira degli armeni che dal 2012 si battono per tornare a disporre a pieno titolo dell’area in cui, scavi archeologici, hanno portato alla luce mosaici di una chiesa bizantina. Inoltre l’accordo – criticato dai palestinesi che parlano di “svendita” di terre della città santa agli israeliani – non sarebbe valido, perché manca l’approvazione mediante voto del Sinodo armeno (8 ecclesiastici) e del via libera della Fraternità di San Giacomo del Patriarcato armeno. Nel contratto sarebbero poi incluse quattro case armene, il celebre ristorante Boulghourji, attività commerciali ed edifici Tourianashen in via Jaffa, fuori dalla città vecchia.

Una vicenda intricata, e spinosa, che rischia di alimentare la tensione in Terra Santa e sulla quale, almeno per il momento, i protagonisti scelgono la via del silenzio. Nessun commento giunge infatti dall’imprenditore ebreo-australiano, oggi di stanza a Londra dove ha sede la sua attività. “Non rilascio interviste – ha dichiarato Rubenstein all’Associated Press (Ap) -. Sono un privato cittadino”. Analoga posizione del ministero israeliano degli Esteri, del patriarca rinchiuso a palazzo e bocche cucite anche fra i vertici di One&Only, la compagnia di hotel con base a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti (Eau), che secondo il progetto dovrebbe gestire l’hotel di lusso ultimata la costruzione. E qui entrano in gioco gli “Accordi di Abramo” e gli interessi comuni – e sempre più stretti – fra lo Stato ebraico e una parte dei Paesi arabi del Golfo.

Di certo, al momento, vi è solo l’amarezza e la preoccupazione della comunità armena il cui quartiere occupa il 14% circa della città santa. “I nostri terreni – afferma il 26enne Setrag Balian, armeno di Gerusalemme – sono stati acquistati centimetro per centimetro, al prezzo del nostro sangue e del nostro sudore. Con una firma, li hanno svenduti”.

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