Giacomo Ciamician: un armeno “triestino” profeta dell’energia solare (triesteallnews 05.09.20)

05.09.2020 – 09.45 – Nello scenario della convention di ESOF2020, accanto all'(obbligato) argomento del Covid-19, largo spazio è stato dedicato al cambiamento climatico e alla necessità di un Green New Deal ormai accettato negli Stati Uniti, ma raramente dibattuto in Europa.
In quest’ambito la tecnologia solare svolge un ruolo rilevante, continuando a essere attrattore di investimenti e progetti. Trieste giocò in quest’ambito un ruolo preciso, perchè fu proprio un triestino uno tra i primi scienziati a profetizzare l’uso dell’energia solare contrapponendosi all’abuso dei combustibili fossili.
Giacomo Luigi Ciamician (1857-1922) era infatti un triestino dalle origini armene, passato alla storia per essere stato il primo chimico italiano ad essere stato candidato al Premio Nobel. I suoi studi nel campo della chimica organica lo condussero a ideare la nuova disciplina della fotochimica, della quale è considerato il “padre”. Quando sintetizzò per la prima volta questa nuova disciplina, nel 1912, in un discorso a New York, profetizzò l’avvento dell’energia solare. Un insight notevole, specie considerando come Ciamician fosse cresciuto nell’era del vapore e del carbone; a quell’epoca l’industria del petrolio muoveva ancora i suoi primi passi (o meglio, le sue prime ruote gommate).
“E anche se in un futuro distante – disse Ciamician – le scorte di carbone verranno completamente esaurite, la civiltà non sarà messa in scacco, perché vita e civilizzazione continueranno finché il sole continuerà a splendere!”.

Ma chi era Giacomo Ciamician? E come giunse a queste conclusioni?
I conseguimenti degli armeni nel campo linguistico, scientifico e generalmente culturale si riverberano nella vita di Ciamician, il quale nacque ai tempi della Trieste asburgica il 27 agosto 1857. La famiglia era nota nell’ambiente armeno triestino a causa dello zio paterno che era stato un padre Mechitarista; e Giacomo stesso vantava quale antenato Padre Michele Ciamician, un esule di Costantinopoli trapiantato a Venezia, famosissimo nella “nazione” per aver scritto il monumentale “Storia degli armeni“. Oltre tremila pagine dove si narrava l’epopea e le sventure del popolo armeno conferendogli una chiara identità nazionale finora limitata all’eredità religiosa.

Dopo essere rimasto orfano del padre in tenera età, Giacomo frequentò l’Accademia di Commercio e Nautica di Trieste, vero “crocevia” di passaggio di tanti scienziati triestini a cavallo tra ottocento e novecento.
Giacomo nell’occasione rimase a tal punto impressionato dagli studi di chimica applicata di Augusto Vierthaler da sceglierla come materia di studio all’Università di Vienna, dove si trasferì nel 1874. Ciamician alternò nei suoi primi anni universitari l’impegno presso la sezione di chimica del Politecnico e gli studi presso la Stazione Zoologica di Trieste. Quello stesso istituto che vedeva partecipe, peraltro nello stesso decennio, un giovanissimo Sigmund Freud intento a studiare la vita sessuale delle anguille. Dopo aver conseguito il titolo al Politecnico di Vienna per l’insegnamento della chimica nelle Scuole Reali, passò a laurearsi in filosofia all’Università di Giessen (aprile 1880). Nello stesso anno Ciamician abbandonò gli ambienti austro-tedeschi a favore di Roma, dove continuò a studiare il “pirrolo“, proseguendo con l’Istituto di Chimica romano gli studi intrapresi già a Vienna nel 1879. Il pirrolo è una materia che si trova nel catrame e nei residui animali; lo studio di Ciamician, tra i primi su questa sostanza, rappresentò un passo fondamentale per la chimica organica, permettendo di scoprire che il gruppo del pirrolo componeva il nucleo centrale del verde delle foglie e “colorava” di rosso il sangue. Le ricerche di Ciamician in quest’ambito proseguirono per 25 anni, concretizzandosi in due gigantesche monografie, che gli fruttarono il Premio Reale dell’Accademia dei Lincei (1887).
Il riconoscimento gli permise di vincere il concorso per la cattedra di Chimica Generale all’Università di Padova a cui seguì, dopo solo due anni, quella di Bologna (1889), dove sarebbe rimasto a insegnare e a far ricerca fino alla morte (1922).