Gli affari in Svizzera che hanno finanziato la guerra del regime azero (Repubblica 09.12.20)

È una delle società petrolifere più visibili e meglio posizionate in Svizzera. Nelle sue 200 stazioni di servizio, decorate dal suo logo con i colori della bandiera azera, Socar vende benzina, cioccolata e croissant. Dalla sua filiale commerciale di Ginevra, la società petrolifera di proprietà dello Stato azero vende sui mercati mondiali il greggio dell’Azerbaijan. Si tratta di attività pacifiche – solo che da più di due di mesi Socar è in guerra.

Una stazione di servizio della Socar© Fornito da La Repubblica Una stazione di servizio della Socar

Dall’Azerbaijan, la pagina Facebook della società riversa un fiume di propaganda e di messaggi ostili contro l’Armenia al riguardo del territorio conteso del Nagorno Karabakh: “Basta con il fascismo armeno! Stop all’aggressione armena! Il Karabakh appartiene all’Azerbaijan!”. Il tutto è integrato da fotografie di militari e carri armati, e corredato dei discorsi bellici dell’autocrate al potere a Baku, il presidente Ilham Aliev.

Che una società commerciale si trasformi in modo così radicale in uno strumento bellico è raro, come è raro che un’azienda statale straniera allacci rapporti così stretti con la Svizzera. In territorio elvetico Socar guadagna i tre quarti delle sue entrate, più che nello stesso Azerbaijan.

 

Due filiali determinanti in territorio elvetico

Nel 2019, Socar ha realizzato il 76 per cento del suo giro d’affari annuo di 44,5 miliardi di euro in territorio elvetico. Nel 2018 si era superata, arrivando all’84 per cento, secondo il bilancio contabile di fine anno dell’azienda. Il grosso di tali entrate proviene da due filiali. La prima è Socar Energy Switzerland GmbH: si trova a Zurigo, ha rilevato le stazioni di servizio Esso e dà lavoro a circa 800 dipendenti. Con la cooperativa Migros fa lavorare a pieno regime anche 56 negozi Migrolino di generi alimentari.

Più defilata, la filiale commerciale Socar Trading ha sede a Ginevra dal 2007: dà lavoro a un centinaio di dipendenti e si definisce la più grande società di petrolio azero nel mondo. Il suo giro d’affari nel 2019 è stato di 33,3 miliardi di euro. Secondo gli addetti ai lavori, è Socar Trading a realizzare il 95 per cento delle entrate complessive di Socar in territorio elvetico.

Tutto questo denaro finisce nelle casse dello stato a Baku. Le due filiali appartengono a una società madre controllata interamente dal governo dell’Azerbaijan. Il presidente di Socar e di Socar Trading a Ginevra, Rovnag Adullayev, per altro è un parlamentare. Il suo posto alla testa della società è più che strategico, tenuto conto che lo Stato azero ricava il 57 per cento di tutte le sue entrate dal petrolio, una vera e propria manna che gli ha permesso di investire in un esercito moderno, equipaggiato di droni turchi e missili iraniani. Dopo 45 giorni di guerra, sono queste le armi che hanno permesso all’Azerbaijan di riportare la vittoria contro gli armeni e di riconquistare buona parte del Nagorno Karabakh e dei territori adiacenti.

In che misura Socar contribuisce allo sforzo bellico azero? Circa il sei per cento del budget dell’Azerbaijan arriva direttamente da Socar e dalle sue filiali in Svizzera. Oltre a ciò, il 47 per cento delle entrate dello Stato arriva dal fondo petrolifero pubblico Sofaz. Lo spiega l’economista Gubad Ibadoghlu, che a Baku anima un think tank critico nei confronti del regime e che insegna all’Università Rutgers negli Stati Uniti.

 

Una società poco trasparente

Dei rapporti che intercorrono tra Socar Trading e il fondo Sofaz si conosce davvero poco. La filiale ginevrina vende il petrolio a beneficio del fondo? La società si è rifiutata di rispondere. Questa mancanza di trasparenza è tipica del settore petrolifero azero: così ha scritto Gubad Ibadoghlu in suo recente articolo, e questa opacità si traduce in un rischio elevato di corruzione. L’Azerbaijan, del resto, si colloca al 126esimo posto nella graduatoria di 198 Paesi analizzati per la loro corruzione da Transparency International. Nel 2017, Baku si è ritirata da EITI (Iniziativa per la trasparenza delle industrie estrattive), un’iniziativa che obbliga a rendere noti i guadagni che i Paesi realizzano grazie alle materie prime come il petrolio.

Secondo Gubad Ibadoghlu, questa stessa mancanza di trasparenza caratterizza anche Socar. Nel 2019, il gruppo ha dichiarato entrate per soli 650 milioni di dollari – “davvero troppo poco” dice l’economista, rispetto a un giro d’affari di 48 miliardi di dollari. Tra le altre cose, si ignora per esempio a quale prezzo la società madre a Baku venda il suo petrolio alla sua filiale commerciale a Ginevra.

La Svizzera, un mercato sperimentale

In confronto, gli utili delle 200 stazioni di servizio svizzere che portano il logo Socar sono indubbiamente modesti, ma Socar Energy Switzerland non rende noti nemmeno quelli. La filiale di Zurigo è in ogni caso tutt’altro che poco importante, perché è in Svizzera che Socar ha aperto le sue prime stazioni di servizio nel 2012. Il Paese, in pratica, le è servito da mercato sperimentale e l’azienda continua a diversificare le sue attività: ora vi sta installando, per esempio, le sue prime colonnine di ricarica per le automobili elettriche.  Il suo amministratore delegato, Edgar Bachmann, la descrive come una “società tipicamente svizzera” che “non si interessa di politica”.

Presso Socar, a Baku, al contrario si festeggiano i dipendenti dell’azienda reclutati dalle forze armate alla stregua di “eroi”. Alcuni collaboratori arruolati sotto bandiera azera hanno perfino scritto il nome Socar con le bombolette spray lungo le strade delle località riconquistate agli armeni. Si tratta di un gesto di sfida bellica, che contrasta con l’immagine di “società tipicamente svizzera” che Socar continua a coltivare dalla sua roccaforte elvetica.

(Copyright Tribune de Genève/Lena-Leading Eurpean Newspaper Alliance. Traduzione di Anna Bissanti)

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