Gli occhi dell’Ue sul conflitto in Armenia (Ansa 23.08.23)

Far sentire vicina la presenza dell’Europa per rassicurare chi vive sotto la costante minaccia della guerra: questa la sfida di Euma, la missione civile di monitoraggio dell’Ue in Armenia partita a febbraio 2023 che ha offerto ad ANSA la possibilità di essere la prima agenzia di stampa internazionale a partecipare ad un’ispezione sulla linea di contatto tra Armenia e Azerbaigian a bordo dei suoi fuoristrada.

Il pattugliamento parte martedì mattina e si concentra nel sud della regione di Gegharkunik, sulla costa meridionale del lago di Sevan.

Il lavoro degli osservatori è interrotto però da diversi posti di blocco dell’esercito armeno. Spari provenienti dalle posizioni azere lunedì sera hanno causato la morte di un soldato nel villaggio di Akhpradzor, adiacente proprio al percorso dei monitor Ue, rialzando la tensione in tutta la zona.
Stando al capomissione Markus Ritter, “incidenti simili accadono con una frequenza quasi settimanale ma dall’arrivo della missione Ue stanno diminuendo, la presenza delle Jeep segnalate dalle bandiere Ue funge in genere da deterrente”. Al centro dello sforzo degli osservatori di Euma infatti c’è il tentativo di stabilire un rapporto con i residenti delle zone di frontiera, spesso gli unici, loro malgrado, ad essere al corrente dei movimenti militari e delle violazioni al cessate il fuoco. Superati i controlli i fuoristrada proseguono sulla strada che dal lago di Sevan attraversa la città di Sotk puntando a sud e che una volta portava direttamente in Nagorno Karabakh, attraverso la regione azera di Kalbajar che sino al conflitto del 2020 era sotto il controllo di Yerevan. Durante l’escalation del 2020, che ha visto l’Azerbaigian riprendere il controllo delle 7 regioni limitrofe al Nagorno Karabakh, la regione armena di Sotk infatti è stata sottoposta a costanti bombardamenti e diverse incursioni azere. Centro degli scontri la zona della miniera d’oro che sovrasta la città e che i due Paesi si contendono rendendone quasi impossibile lo sfruttamento, oggi minacciato dal tiro dei cannoni di entrambi i lati. Da ricca cittadina mineraria di transito, Sotk è oggi una villagio semideserto tenuto in vita dal custode dello spaccio della pompa di benzina e da due coraggiose fornaie che ininterrottamente alimentano il forno della città, noncuranti delle posizioni azere che sbucano dalla linea dell’orizzonte.
Anche se la paura della guerra non è passata le due donne spiegano “di aver trovato nelle presenza degli osservatori Ue quel minimo segnale di rassicurazione necessaria per non chiudere”, molti altri invece hanno scelto di trasferirsi nella capitale. Dai binocoli della missione è facile seguire i lavori dei bulldozer azeri mentre allargano le trincee attorno alle posizioni recentemente riconquistate, le postazioni armene a volte distano solo qualche centinaia di metri lasciando così i soldati di entrambi i lati facili preda dei cecchini. Tra gli scogli nel negoziato tra i due Paesi infatti c’è proprio la delimitazione della linea di confine oggi ancora ancorata a vecchie mappe sovietiche che non rispecchiano più la situazione sul terreno.
Nata da pochi mesi sullo stampo della vicina missione di monitoraggio in Georgia, Euma conta attualmente circa 100 impiegati europei tra cui un’italiana e 6 basi nelle regioni più esposte, tra cui il quartier generale nella cittadina di Yeghegnadzor. La missione rappresenta di fatto gli occhi dell’Ue sul campo e opera sulle basi di un accordo bilaterale con il governo armeno con il mandato di osservare e riportare a Bruxelles gli sviluppi su tutta la linea di contatto tra Armenia e Azerbaigian. Un mandato esteso a tutto il confine perché ciò che minaccia la fragile tregua tra i due Paesi non è solo più la questione del Nagorno Karabakh, che rimane fuori dal mandato della missione. Dal conflitto del 2020 le tensioni infatti si sono allargate a tutti i villaggi di confine con incursione azere in territorio armeno, allargando la tensione anche nelle regioni ad est o quelle ad ovest adiacenti all’exclave azera del Nakhichevan. Un mandato che inizialmente voleva garantire l’accesso a entrambi i fronti ma che ha incontrato il no secco di Baku, contraria alla presenza di qualsiasi missione internazionale sul suo territorio.
Gli osservatori Ue non sono però gli unici, i russi sono ancora presenti nella regione con oltre mille uomini armati, i cosiddetti ‘russian peacekeepers’, che è facile vedere sui loro camion verdi percorrere le stesse strade battute dagli europei.
Dopo aver facilitato la firma del cessate il fuoco del 2020, l’Ue ha però progressivamente sfilato a Mosca il ruolo di mediatore nel conflitto caucasico ospitando a Bruxelles i negoziati di pace. Le truppe russe fino al 2020 erano percepite come garanzia di sicurezza per gli armeni ma dopo l’escalation non sono più viste di buon occhio da chi vive a ridosso delle trincee. Una presenza su cui Euma si astiene prudentemente dal commentare, e sui cui Ritter si limita a tagliare corto: “Se gli armeni hanno chiesto una missione Ue, un motivo ci sarà…”.

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