Haut-Karabakh: un’eredità cristiana in pericolo (Culturacattolica 09.02.22)

La Mezzaluna turca cancella il patrimonio cristiano
Nel giorno in cui l’Europa regala due miliardi agli azeri questi annunciano la distruzione delle chiese armene. Intanto nessuno ha più visto i mosaici bizantini a Santa Sofia

Da diversi mesi la Regione Auvergne-Rhône-Alpes, in diverse occasioni, ha avuto l’opportunità di affermare il suo sostegno all’Armenia, e in particolare al Nagorno-Karabakh (Artsakh) e alle loro popolazioni nella guerra che li oppone all’Azerbaigian. Ha inoltre adottato e rinnovato un piano regionale a favore dei cristiani d’Oriente, al fine di aiutare le popolazioni perseguitate.
L’Œuvre d’Orient, un’associazione partner di questo progetto, è coinvolta da oltre 160 anni con i cristiani orientali in Armenia. Per presentarne l’inestimabile patrimonio è stata allestita una mostra fotografica itinerante, intitolata “Nagorno-Karabakh: un’eredità cristiana in pericolo”, al fine di sensibilizzare il grande pubblico sull’eredità cristiana armena e rendere omaggio all’Artsakh e alla sua popolazione.

La situazione politica
La guerra del Nagorno-Karabakh dell’autunno 2022 si è conclusa con un cessate il fuoco il 10 novembre 2020 a favore dell’Azerbaigian, privando il Nagorno-Karabakh di parte del suo territorio e della sua capitale storica, Shushi.
Artsakh è storicamente una regione della “Grande Armenia”, il primo regno cristiano. Il suo patrimonio religioso è una testimonianza inestimabile della civiltà cristiana armena. Gli edifici religiosi furono bombardati dalle truppe azere durante questa guerra. Questi monumenti, chiese e khachkar (croci di pietra), sono tuttavia testimoni della antica cultura cristiana del Caucaso.
Cancellare le tracce del cristianesimo armeno dal Nagorno-Karabakh è un modo per riscrivere la storia, per cancellare una secolare tradizione religiosa e da ultimo per giustificare le rivendicazioni politiche dell’Azerbaigian. Il cessate il fuoco concluso, sotto l’egida della Russia, è stato ben lontano dal risolvere i problemi della regione. Il patrimonio religioso e civile è così diventato campo di battaglia perché segno della lunga presenza culturale armena e cristiana. È forte la tentazione di cancellare le tracce di questa presenza per riscrivere il passato per controllare meglio il futuro.
La conservazione e il mantenimento del patrimonio storico sono a questo punto, non solo di natura conservativa storico-artistica, ma soprattutto politica. La storia è ricca di esempi in cui l’archeologia lascia la sfera strettamente scientifica per entrare nel regno della politica. È il caso dell’Artsakh (o Nagorno Karabakh) dove l’eredità armena si trova al centro delle tensioni con il nuovo occupante del territorio.

Un antico regno e le sue contraddizioni
Albania caucasica è il nome dell’antica regione, così anticamente chiamata per il candore delle sue cime innevate (Albania da albis, bianco in latino) e non ha nulla a che vedere con l’Albania balcanica. L’Albania caucasica è un antico regno cristiano il cui territorio si sovrapponeva a quello di Armenia, Georgia e Azerbaigian, in particolare sulle pianure della sponda sinistra del fiume Kur e lungo la costa del Daghestan da sud. La sua popolazione era di origini eterogenee e parlava una varietà di lingue, principalmente caucasica nord-orientale e iraniana.
La storia dell’Armenia e dell’Albania caucasica è stata strettamente collegata dalla cristianizzazione dei due paesi avvenuta all’inizio del IV secolo e dall’invenzione delle loro scritture all’inizio del V secolo dallo studioso armeno Mesrop Mashtots. Tuttavia, a differenza dell’Armenia montuosa, l’Albania caucasica, che si estendeva sulle pianure a est dell’Artsakh, fu in gran parte islamizzata dagli arabi nell’VIII secolo. Successivamente, la lingua albanese svanì piano piano, poiché l’armeno divenne la lingua dominante per tutti i cristiani rimasti ancora nell’ex territorio dell’Albania, fossero di origine armena, albanese o di altre popolazioni di origini caucasiche e iraniane. Quando verso la fine del X secolo le prime tribù turkmene e turche iniziarono a penetrare nel Caucaso meridionale, con ogni probabilità non incontrarono più abitanti che parlassero ancora albanese. Gli scambi tra turchi e armeni furono invece intensi, come dimostrano i prestiti armeni in azerbaigiano e turco. La teoria secondo cui il popolo dell’Azerbaigian trae le sue origini dagli albanesi caucasici è stata sviluppata in epoca sovietica, in un contesto sociale e culturale a sé stante. Mentre alle nazioni che componevano l’Unione Sovietica era proibito dare una dimensione politica alle loro identità, queste nazioni potevano, a determinate condizioni, esplorare il loro passato, in particolare l’archeologia, l’architettura, le lingue e il folclore. A volte tali popoli erano persino incoraggiati a riscoprire il passato delle rispettive repubbliche. Il loro passato doveva tuttavia essere molto distinto: esisteva quindi un’archeologia armena, un’archeologia georgiana, un’archeologia azerbaigiana, un’archeologia turkmena… Mentre le storiografie dell’Armenia e della Georgia erano in competizione tra loro, confrontandosi con narrazioni contrastanti risalenti all’antichità e all’inizio del primo millennio prima della nostra era, l’Azerbaigian di lingua turca, un’entità politica recente, ha cercato di sviluppare una storiografia basata sul postulato che discendesse direttamente dall’antica Albania caucasica. La sfida qui era politica: si trattava di creare una storia iniziata prima del X secolo e dell’arrivo delle popolazioni turche per poter beneficiare di una profondità storica almeno pari a quella dei georgiani e degli armeni. Definirsi e considerarsi gli eredi del regno dell’Albania caucasica era un modo per giustificare un’esistenza politica. L’archeologia si poneva al servizio di una causa che non aveva più nulla a che vedere con la scienza.

Il patrimonio artistico
Le chiese più antiche che si trovano nell’Artsakh recano comunque iscrizioni e simboli armeni poiché la regione fu cristianizzata almeno quattro secoli prima dell’arrivo dell’Islam.
La comunità internazionale teme per la sopravvivenza di un ricco e antico patrimonio religioso e civile. Monasteri, chiese antiche, cimiteri, molti dei quali classificati patrimonio dell’UNESCO, potrebbero essere distrutti, cancellati o riqualificati. La recente trasformazione della cattedrale di Santa Sofia in moschea fa temere che nella regione siano in corso progetti simili. Quindici anni fa, le lapidi del cimitero armeno di Baku furono utilizzate per la costruzione di un’autostrada. Diverse personalità azere si sono rivolte ai media per dire che vogliono “verificare” l’autenticità storica dei monumenti armeni. C’è da temere che questa “verifica” porti alla distruzione o alla cancellazione per cancellare il passato.
L’Unesco ha annunciato la volontà di inviare una missione di esperti nella regione al fine di effettuare un inventario dei beni culturali e religiosi per garantirne la protezione. Il direttore generale dell’organizzazione, Audrey Azoulay, ha parlato del ruolo della missione in un comunicato stampa: Preparare un inventario preliminare dei beni culturali più significativi [al fine di garantire] un’efficace protezione del patrimonio della regione. La questione del patrimonio è estremamente delicata, perché legata a quella dell’identità con cui ogni nazione cerca di relazionarsi e cerca di costruire attorno al regno dell’Albania caucasica. La Francia si è detta favorevole all’apertura di questa missione, così come gli Stati Uniti e la Russia. Non resta che metterlo in atto rapidamente per evitare distruzioni che potrebbero essere irreparabili. Si può anche sperare: è questo un pio desiderio? — che il patrimonio storico può fungere da denominatore comune ed essere preservato per creare un terreno comune e, in definitiva, la pace nella regione. Ne siamo per il momento molto lontani e l’urgenza è preservare questi capolavori in pericolo.

L’Hôtel de Région de Lyon ospita la mostra fotografica dal 3 al 18 febbraio 2022.
Aperta dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 16.30, ingresso libero.

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