I vent’anni de “La masseria delle allodole”: racconto il genocidio armeno (MessaggeroVeneto 18.02.24)

Vent’anni fa, esattamente nell’aprile 2004, la casa editrice Rizzoli pubblicava un libro che sarebbe diventato un clamoroso caso editoriale: “La masseria delle allodole”, opera prima di Antonia Arslan.

Opera prima perché Arslan, docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova, a parte qualche saggio, fino ad allora non si era mai cimentata nella narrativa.

E alla prima prova fa bingo: il romanzo, che rivela al grande pubblico italiano la storia del genocidio del popolo armeno nel 1915 da parte del governo turco, supera largamente le aspettative sia dell’autrice sia dell’editore e inizia la sua strada che lo porta, anno dopo anno, alla 44esima edizione; a oltre 20 traduzioni nelle principali lingue del mondo, giapponese compreso; a una serie di riconoscimenti importanti come la Selezione Campiello e il premio Giuseppe Berto; a una trasposizione cinematografica d’autore firmata dai fratelli Taviani nel 2007.

Vent’anni dopo, e dopo altri dieci titoli – “La strada di Smirne” e “Il libro di Mush”, solo per citarne un paio – che raccontano ancora e ancora la tragica distruzione di un intero popolo, Antonia Arslan ripercorre con serena soddisfazione il cammino della “Masseria delle allodole”. Un romanzo che ha aspettato un lungo tempo per venire alla luce ma che, alla fine, ha voluto farsi scrivere a tutti i costi.

Fu il nonno paterno, Yerwant Arslanian (che nel 1923 fece italianizzare il cognome in Arslan), illustre otorino nella città del Santo, a riversare sulla piccola Antonia le vicende che gravavano nel suo cuore, i ricordi della natia Kharpert (oggi Harput) e della sua numerosa famiglia spazzata via dalla violenza turca.

Che ricordo le rimase della preziosa confessione di quel nonno così autorevole e amato?

«Avevo 9 anni e accettai il suo racconto come un segreto tra noi due. il nonno morì qualche mese dopo e le sue parole si sedimentarono nel profondo della mia coscienza, lavorando dentro di me come un basso continuo nel corso della mia gioventù. E trovando conferme e forza nelle frequentazioni con altri armeni, nei viaggi nei Paesi della sponda orientale del Mediterraneo, a riscoprire legami di parentela, storie, ma soprattutto la lingua armena. Una sorta di lento avvicinamento al cuore del Paese perduto, l’Armenia, che era un’inaccessibile Repubblica sovietica e che riuscii a visitare per la prima volta solo nel 1998. Ma io non pensavo ancora a scrivere».

La lingua armena, che lei non parla, è stato il grimaldello che ha aperto la strada per la scrittura della “Masseria”, non è così?

«La lingua mi stava evidentemente attraendo a sé fino a portarmi alla scoperta del poeta Daniel Varujan, uno dei primi martiri del genocidio del 1915. Grazie a due studenti di lingua madre riuscii a tradurre la sua raccolta “Il canto del pane”: fu un’impresa di cui ancora oggi non mi capacito».

La sua traduzione di Varujan le ottenne alcune, autorevoli recensioni, ma soprattutto la spinse sull’orlo della prima stesura del suo romanzo.

«Sì, era un pensiero fisso che proruppe poi in un fiume inarrestabile dopo che la mia amica americana Sharon mi fece capire che il libro io ce l’avevo già in testa: dovevo solo mettermi seduta a scrivere. E così ho fatto: dalla prima riga non mi sono più fermata. Non è un libro meditato, scrivevo di getto, a mano, e il giorno dopo rileggevo e correggevo quello che avevo scritto. In meno di due mesi il romanzo era finito».

Da qui alla pubblicazione passarono altri due anni.

«Inesperta com’ero di questioni editoriali, mi fidai dei consigli ricevuti e capitai con un agente letterario che si tenne il manoscritto, probabilmente senza leggerlo, per nove mesi. Ma io sono abbastanza passiva e non mi preoccupavo: aspettavo. Fu sempre la mia amica Sharon a prendere in mano la situazione e a scuotermi».

Come è cambiata la sua vita dopo il grande successo della “Masseria”?

«Diventare una scrittrice mi ha permesso di entrare in contatto con moltissime persone interessate alle storie che scrivo, desiderose di conoscere sempre di più del popolo armeno e del suo tragico destino».

Programmi per questo ventennale?

«Con l’editore stiamo pensando a un’edizione speciale della “Masseria”, ma intanto sarò a Sacile ai primi di giugno dove l’Ute territoriale mi vuole dedicare un’intera giornata. E io sono molto contenta che intorno a questo mio romanzo ci siano ancora tanto interesse e tanta partecipazione».

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