Il dramma degli armeni, tra canzoni e urla di morte (La Nazione 23.07.18)

San Miniato, 23 luglio 2018 – “Colonnello, lei vorrebbe che sua figlia sposasse un armeno? Sono tutti farmacisti, artisti, medici, intellettuali. Sono una elite che mette in pericolo la nostra nazione. Questo non è il tempo del dubbio è il tempo dell’azione”. E’ uno dei passaggi chiave de “La masseria delle allodole”, l’allestimento teatrale tratto dall’omonimo romanzo di Antonia Arslan, che ha caratterizzato l’edizione 2018 della festa del teatro di San Miniato (repliche fino al 25), realizzata dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare, e che racconta il genocidio armeno messo in atto dai turchi all’alba della prima guerra mondiale.

Il dialogo tra il politico e il militare fa da sfondo allo spettacolo. Una narrazione imperniata sul dialogo tra due protagonisti di una delle principali vicende storiche del Novecento, un secolo che gronda sangue e le cui ferite prodotte dai conflitti restano aperte ancora oggi in un tempo di rigurgiti xenofobi e nazionalisti. Il regista Michele Sinisi deve averla pensata così questa masseria dove una numerosa e chiassosa famiglia armena si raduna per il pranzo della domenica: un luogo fisico e metafisico, dentro il quale raccontare a più voci, e con frequenti richiami al tempo di oggi, la vita di ogni giorno che si interseca con i drammi di un’epoca.

Tentativo ambizioso, ma per la verità non sempre riuscito, di fare un teatro di riflessione: sulla scena si racconta di come la politica, completamente svincolata dalla morale, diventa indifferente ai valori della civiltà (ecco perché improvvisamente e per alcuni minuti il monologo di uno degli attori si fa serrato, urlato, disperato e racconta il dramma dei migranti di oggi). In questa piece si racconta dell’assenza di limiti umani e della morte di Dio, di ciò che fa diventare il genocidio “utile a qualcosa” e di cui diventa iconografia del dolore il Cristo mutilato con disprezzo che dalla quinta domina via via la scena sotto la luce sinistra di un dolore e una disperazione che contagia anche gli aguzzini e non solo le vittime e non basta il finale (un po’ grossolano per la verità) consolatorio dell’enorme e carnevalesca allodola, uccello messaggero dell’alba qui vestito della bandiera armena che vola in cielo nonostante tutto e tutti. Il contenuto che voleva mettere Sinisi c’è, la rappresentazione teatrale in sé è forse rivedibile.

Ma al Dramma contava portare in scena una riflessione, un pensiero. Forse un pizzico di spiritualità in più non avrebbe guastato, ma nel complesso l’affresco contemporaneo e disordinato rende piena l’idea di quella tragedia rimossa tropo in fretta (e dai turchi negata) che ha aperto il ventesimo secolo, probabilmente il più sanguinoso di tutti

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