Il Natale martoriato dei cristiani d’Armeni (Aleteia 23.12.22)

Tra gli attacchi dell’Azerbaijan sul territorio della Repubblica d’Armenia e il blocco di Haut-Karabagh, i cristiani sospirano per l’arrivo del Natale, che la Chiesa apostolica armena festeggia il 6 gennaio.

Ancora una volta, il Natale si annuncia difficile per il popolo armeno. Questo paese del Caucaso, la cui popolazione è cristiana per il 90%, è ancora nel mirino delle intimidazioni azere, manifestate da una nuova aggressione il 13 e 14 settembre 2022, stavolta direttamente sul territorio della Repubblica d’Armenia.

Se il clima generale sembra essersi un tantino disteso, dopo quegli attacchi, la verità è piuttosto che la Repubblica di Azerbaijan ha cambiato metodo: da una decina di giorni essa sta imponendo un blocco del corridoio di Lachin, in Haut-Karabagh. I suoi abitanti sono dunque tagliati via dal resto del mondo, poiché quel tratto di terra è l’unico modo per collegare l’enclave alla Repubblica di Armenia. Si tratta di 120mila persone in tutto – 30mila dei quali bambini e 20mila dei quali anziani – che si apprestano a passare un Natale doloroso (i cristiani d’Armenia festeggiano il Natale generalmente il 6 gennaio).

Maxime Yevadian, storico e membro del laboratorio del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS) di Lione, spiega:

Quel che accade oggi in Haut-Karabagh è l’applicazione in tutto il suo fulgore di una politica della pressione e del ricatto condotta dalla Repubblica di Azerbaijan, aiutata dalla Turchia e dal Pakistan, contro gli Armeni dello Haut-Karabagh.

L’Armenia è il catenaccio da far saltare, il sassolino nella scarpa della continuità turcomanna, vagheggiata dai vicini turchi e azeri.

Una crisi umanitaria innescata volontariamente

Giovedì 22 dicembre saranno 10 giorni dall’avvio del blocco (che ha chiuso tutte le strade). Gli stock di derrate alimentari vanno progressivamente verso l’esaurimento, e i malati gravi non potranno essere trasferiti ad Erevan, la capitale, restando bloccati nell’ospedale di Stepanakert. Un paziente è già morto e altri quattro sono in stato grave, secondo il quotidiano ArmeNews. 24 operazioni chirurgiche sono sospese, i parti sono esposti a maggiori rischi. Al di fuori dell’agricoltura, nessuna attività economica permette più all’Artsakh di vivere correttamente: «La popolazione è imprigionata, blindata – prosegue Maxime Yevadian – e l’Azerbaijan sta volontariamente creando una grave crisi umanitaria».

Il gas è stato ripristinato abbastanza rapidamente per via della pressione esercitata dalla Russia, ma la reazione internazionale non è sufficientemente forte da costringere gli Azeri a riaprire il corridoio e permettere l’approvvigionamento. Nessun tentativo di negoziato è stato avviato dalla comunità internazionale, e la situazione rischia di aggravarsi: «Se per Natale non si sarà fatto nulla in tal senso, il 6 gennaio sarà un giorno amaro per l’Artsakh».

«La congiuntura attuale è effettivamente angosciante», riconosce ai microfoni di Aleteia mons. Gollnisch, direttore dell’Œuvre d’Orient:

Rivolgiamo un appello alle autorità francesi perché prendano contatto con gli omologhi di Haut-Karabagh per trovare una soluzione. Quelli che circondano la regione sono gli stessi del genocidio del 1915. Bisogna reagire.

In Repubblica di Armenia Natale è un rifugio

La situazione è un po’ più sostenibile fuori dall’enclave, almeno a Erevan, stando alle testimonianze di volontari francesi dell’Œuvre d’Orient sul posto: «Ci prepariamo a festeggiare un Natale relativamente normale», dicono ad Aleteia Félix, volontario da settembre presso il seminario cattolico di Erevan. «L’atmosfera è piuttosto festosa, ci sono tante decorazioni nelle strade». Da parte sua Élisabeth, anch’ella volontaria da tre mesi, annota:

Il ricordo della guerra del 2020 è riaffiorato nello scorso settembre, quando l’Armenia è stata nuovamente attaccata, ma da allora l’aria è più tranquilla. Gli armeni hanno la fede abbarbicata al corpo, dànno prova di resilienza estrema. La gioia di Natale resta presente, qui a Erevan: la gente cerca ad ogni costo di mantenere in vita quel che può portare speranza e luce. Sono visceralmente attaccati a queste tradizioni, che costituiscono come un rifugio. Malgrado tutto, la guerra resta sullo sfondo, un po’ come un’ombra, soprattutto con quel che accade in Haut-Karabagh. Sono preoccupata per una famiglia di Lachin che avevo incontrato nell’ospedale di Erevan – si erano fatti 7 ore di strada per venire in ospedale. Mi chiedo come festeggeranno il Natale laggiù.

Gli abitanti continuano ad avvertire la pressione esercitata dall’Azerbaijan: martedì 20 dicembre c’è stata ad Erevan una manifestazione per chiedere la cessazione del blocco del corridoio e l’estinzione del corrispondente clima deleterio.

Paese minacciato di cancellazione, «scheggia di noi stessi in Oriente», secondo l’espressione di Sylvain Tesson, il martirio silenzioso dell’Armenia sembra non voler trovare fine. Svariate decine di migliaia di famiglie sfollate a partire dalla guerra del 2020 continuano a vivere in condizioni precarie:

Sono famiglie private di prospettive di vita – osserva mons. Gollnisch –: senza lavoro, vivono in abitazioni di fortuna. Si celebra il Natale, certo, ma il Natale non dissolverà la situazione di estrema difficoltà in cui si trovano i cristiani.

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