IL PATRIMONIO CULTURALE ARMENO: IL SENSO DI UNA CANCELLAZIONE (Gariwo 15.04.22)

Samantha Power, diplomatica, accademica, rappresentante degli Usa presso l’ONU, consulente senior del governo Obama, membro del Consiglio di Sicurezza nazionale degli USA, ha vinto il Premio Pulitzer nel 2003 per il suo voluminoso testo di 850 pagine sui genocidi “Voci dall’inferno” (Baldini Castoldi Dalai, Milano 2004). Dalla analisi che l’autrice fa del lavoro di Raphael Lemkin, il giurista ebreo polacco che coniò il termine “genocidio”, si evince che già nel programmare un genocidio l’aspetto culturale è predominante. Avevo letto il libro molti anni fa ma oggi il nuovo libro di Gabriele Nissim, “Auschwitz non finisce mai” mi ha dato la possibilità di ascoltare la voce diretta di Lemkin raccolta dalla sua autobiografia; inoltre mi sono sentito coinvolto in un percorso che getta luce sulle grandi barbarie ideologiche del Novecento e sugli esiti conseguenti, a partire da una contemporaneità dove sono visibili nuove barbarie, armenofobia, antisemitismo, diffusione dell’odio e della violenza, prodromi di quei mali estremi che hanno visto nel passato lo sterminio di interi popoli. Gabriele Nissim ha una convinzione :”non ci può essere nessuna sopravvivenza se non in un destino comune dell’umanità “(p. 116). Il valore della figura di Raphael Lemkin, onorato quest’anno al Giardino dei Giusti di Monte Stella, un Giusto dell’Umanità, a cui dobbiamo l’elaborazione del concetto di genocidio, oltre che nell’individuazione del significato da attribuire ai crimini senza nome a lui contemporanei, crimini di una novità indicibile , sta nell’idea di fondo del concetto: la prevenzione dei genocidi per il futuro. Crimini ”che sconvolgono la coscienza” si sarebbero ripetuti ovunque.

All’inizio dei suoi studi Lemkin si era concentrato sul “crimine senza nome” subìto dagli armeni nel 1915, sconcertato dal fatto che uno Stato poteva eliminare impunemente i propri sudditi senza che nessuna potenza esterna avesse la forza giuridica di impedirlo. Il piano di sterminio degli ebrei messo a punto da Hitler lo aveva poi confermato nella sua intuizione: era necessario far rientrare nell’ambito della Giustizia Internazionale la punizione dei responsabili dello sterminio di gruppi nazionali, fare in modo che questo crimine efferato senza nome fosse perseguibile ovunque e non cadesse mai in prescrizione. La “Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio” da lui proposta e approvata dall’Onu nel 1948, vivrà l’iter tormentato delle ratifiche dei vari paesi, ma costituisce il lascito più grande di Lemkin all’umanità.

Va sottolineato nel percorso di Lemkin la parte che riguarda le riflessioni sul genocidio culturale e che voglio riprendere per accompagnare l’importanza della Risoluzione del Parlamento europeo del 22 marzo 2022 proposta in calce che condanna la distruzione del patrimonio culturale armeno nel Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian.

Lemkin, accanto al concetto di distruzione fisica del gruppo aveva anche proposto di includere il concetto di genocidio culturale per sottolineare che l’annientamento culturale distrugge l’identità di un popolo e un genocidio fisico inizia sempre con un genocidio culturale e continua anche dopo l’eliminazione totale o parziale del gruppo identificato quale bersaglio. Giornali, vignette, manifesti, graffiti, scritte sui muri, emittenti radio, come quella ruandese delle sette colline che incitava a schiacciare gli scarafaggi tutsi, ma specialmente i “chiacchericci” in famiglia, al bar sono i messaggi negativi più devastanti, come ci ricorda Daniel Goldhagen nel suo saggio “Peggio della guerra”(Mondadori 2010) quando il bersaglio veniva etichettato come “microbi”, “topi di fogna”, traditori, avari, usurai, ecc. Ed è in questo ambito specifico che è possibile la prevenzione, individuarne i prodromi prima che sia troppo tardi.

Dopo il genocidio realizzato o tentato subentra la proibizione dell’uso della lingua “nemica” come nel caso degli armeni o dei curdi, la soppressione dei nomi dei luoghi, della fauna e della flora originali connessi al nemico e la loro sostituzione, l’abbattimento dei luoghi di culto o la loro trasformazione. Lemkin aveva anche constatato che lo scopo principale di eliminare un proprio gruppo etnico considerato non leale da parte di un governo era finalizzato a sostituirlo con un altro gruppo ritenuto più affidabile. Così è stato con gli armeni, con gli ebrei, con gli slavi e con altre etnie. Per poter sradicare e far scomparire per sempre le tracce del gruppo eliminato la cosa più importante è quella di estirparne le sue radici culturali, prima e dopo l’avvenuto genocidio.

L’eliminazione fisica di un gruppo etnico non è sufficiente per la sua completa distruzione, in quanto la vita si riproduce continuamente, mentre la soppressione della cultura pone le basi per la sua distruzione totale e per poter instaurare una cultura diversa che dovrebbe durare indefinitamente.

La Risoluzione del Parlamento europeo fa riferimento alle decisioni prese il 7 dicembre 2021 dalla Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite e questo non fa che confermare il lascito inestimabile di Raphael Lemkin all’umanità.

In calce l’approfondimento sulla risoluzione del Parlamento europeo che condanna fermamente la distruzione sistematica del patrimonio culturale armeno nel Nagorno Karabakh da parte di Baku.

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