Il possibile accordo di pace tra Azerbaigian e Armenia: fine delle ostilità? (Iari 13.04.25)

’accordo di pace Armenia-Azerbaigian resta fragile: Zangezur, Costituzione armena e pressioni regionali ne compromettono la firma. La stabilità futura appare di nuovo sotto minaccia.

Nel mese di marzo 2025, i governi di Azerbaigian e Armenia hanno concordato la firma di un accordo di pace per porre fine al sanguinoso conflitto che da decenni affligge il Nagorno-Karabakh.

Privo di uno sbocco sul mare e incastonato fra le montagne del Caucaso Meridionale, questo territorio è stato per molto tempo conteso dai due paesi limitrofi, in quanto abitato in maggioranza da armeni ma circoscritto all’interno dei confini azeri. Il toponimo in lingua russa (Нагорный Карабах) significa “giardino nero superiore” o “giardino nero montuoso”, mentre gli azeri utilizzano l’espressione “Dağlıq Qarabağ”, avente lo stesso significato. La popolazione locale armena chiama invece questa terra “Artsakh” (Արցախ), nome storico che evoca il carattere boscoso di questa regione.

Fonte immagine:  https://kingsthinktankspectrum.wordpress.com/2024/01/15/the-end-of-the-nagorno-karabakh-whats-next/

Durante il periodo sovietico, l’area, seppur abitata da armeni, era stata assegnata all’Azerbaigian, invece che all’Armenia, entrambe repubbliche socialiste sovietiche. I tentativi di azerificazione forzata della popolazione locale da parte di Baku innescarono un aumento delle tensioni etniche che esplosero definitivamente al momento del crollo dell’URSS nel 1991. I secessionisti proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica d’Artsakh con il supporto della neo-indipendente Armenia, scatenando la reazione militare azera. La prima devastante guerra si concluse nel 1994 con un accordo di cessate il fuoco. Le violenze, tuttavia, non cessarono e il conflitto militare riemerse a fasi alterne, intensificandosi soprattutto nel 2012 e nel 2020. In tale anno fu firmato un nuovo accordo di cessate il fuoco mediato da Mosca, formalmente alleata di Yerevan. Due anni dopo però, due fattori spinsero Baku ad attaccare nuovamente la repubblica separatista, con il supporto politico di Ankara: la posizione di forza, assunta grazie al ruolo di crocevia energetico, e la guerra russo-ucraina, che costringeva il Cremlino a concentrarsi su un altro fronte. Il blocco azero del corridoio di Lachin, unico collegamento esistente tra l’Artsakh e la Repubblica Armena, impedì il passaggio di mezzi e persone e indebolì significativamente i secessionisti. Inoltre, il mancato intervento di Mosca compromise le relazioni russo-armene incidendo negativamente sulla posizione di Yerevan nel conflitto. L’aggressione decisiva giunse nel settembre 2023 quando l’esercito azero abbatté la repubblica separatista ottenendone la resa definitiva. Più di 100.000 esuli si recarono in massa in Armenia nei mesi successivi per sfuggire alla repressione azera, mentre le istituzioni dell’Artsakh si sciolsero ufficialmente il 1° gennaio 2024. A nulla valsero le proteste di migliaia di manifestanti armeni che pretendevano dal governo di Yerevan la difesa ad oltranza dei propri connazionali.

Fonte immagine: https://www.climatechangenews.com/2024/05/15/in-nagorno-karabakh-azerbaijans-net-zero-vision-clashes-with-legacy-of-war/

Dopo mesi di negoziazioni i due governi hanno reso nota la propria disponibilità a sottoscrivere un trattato di pace per porre fine alla disputa territoriale e normalizzare le relazioni bilaterali. La bozza del nuovo accordo annunciata nel marzo 2025 è composta da 17 articoli e sancisce la sovranità – de iure de facto – dell’Azerbaigian sul Nagorno-Karabakh, riconfermata dalla Corte Internazionale di Giustizia attraverso la sentenza del 17 novembre 2023 e già riconosciuta dall’Armenia stessa. Il concordato prevede inoltre il ritiro delle cause legali che i due paesi hanno reciprocamente avviato l’uno contro l’altro, il ritiro delle missioni straniere sul confine, tra cui l’EUMA (Missione UE in Armenia), e lo scioglimento del Gruppo di Minsk dell’OSCE, format coordinato da Francia, Stati Uniti e Russia, incaricato dal 1992 di monitorare il conflitto nell’area al fine di trovarne una risoluzione.

Eppure, nonostante l’apparente intesa, sono emerse diverse criticità che rischiano di compromettere seriamente l’accordo di pace. Innanzitutto, Baku ha preteso l’emendamento delle disposizioni della Costituzione Armena che contengono esplicite rivendicazioni territoriali in contrasto con quelle azere. Nonostante l’Armenia abbia negato che la propria Carta fondamentale rappresenti una minaccia, il primo ministro Pashinyan aveva già annunciato mesi prima la volontà di adottarne una nuova. Tuttavia, la revisione costituzionale potrebbe richiedere molto tempo, rallentando il processo di pacificazione. Un’altra minaccia alla stipula dell’accordo è rappresentata dalla mancanza di fiducia reciproca: il presidente azero Əliyev ha espresso scetticismo sulla reale volontà di Yerevan di rispettare gli impegni; allo stesso tempo, l’opposizione interna all’Armenia ha criticato la bozza di accordo, definita una “capitolazione” e ha espresso l’intenzione di boicottarlo.

Un’altra questione fondamentale concerne il Corridoio di Zangezur, la striscia di territorio armeno che separa l’exclave azera di Naxçıvan, confinante con la Turchia, e il resto dell’Azerbaigian. Il governo di Baku ne ha richiesto l’apertura al fine di creare un collegamento strategico tra i due spazi, necessario per l’integrazione economica regionale. Ciò favorirebbe anche la connessione territoriale diretta con l’alleato turco che potrebbe così cogliere l’occasione per consolidare la propria influenza nel Caucaso Meridionale a scapito di altri attori come l’Iran. La Repubblica Islamica si è infatti opposta al progetto di apertura per timore di veder ridotto il proprio peso strategico locale. La stessa Armenia, dal proprio punto di vista, teme un isolamento ulteriore se questo tentativo turco-azero andasse in porto, ma non possiede attualmente le capacità per opporvisi. D’altra parte, il governo di Yerevan ha richiesto la revoca del blocco delle ferrovie tra i due paesi per recuperare il controllo delle infrastrutture di confine.

Fonte immagine: https://scenarieconomici.it/corridoio-di-zangezur-la-pace-fra-armenia-e-azerbaigian-si-allontana/

Inoltre, il contesto geopolitico influisce significativamente. La regione del Caucaso Meridionale attira gli interessi di diverse potenze regionali e globali in competizione fra loro. La rilevanza strategica dell’area concerne principalmente due aspetti: la sua posizione geografica, che ne fa una cerniera tra Europa, Medio Oriente e Spazio post-Sovietico, e la presenza di ricchi giacimenti di petrolio e gas naturale. A seguito dell’invasione dell’Ucraina, l’Azerbaigian è diventato uno dei principali partners energetici degli Stati membri dell’Unione Europea: per tale motivo l’UE, nonostante abbia giocato un ruolo attivo nella mediazione del conflitto, possiede ridotte capacità di pressione su Baku al fine di garantirne l’implementazione degli impegni presi.

La Russia, invece, formalmente alleata dell’Armenia nell’ambito dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC), ha sfruttato sia lo strumento della mediazione che il dispiegamento di forze di pace al fine di mantenere la propria influenza regionale: eppure, negli ultimi anni, il suo atteggiamento sempre più ambiguo e il coinvolgimento nella guerra contro Kiev hanno significativamente indebolito il suo ruolo nell’area. Ciò ha spinto Yerevan ad allontanarsi dal Cremlino e a cercare l’appoggio degli attori occidentali. Parallelamente, gli Stati Uniti, seppur interessati ad arginare l’influenza russa nel Caucaso Meridionale, hanno assunto un ruolo meno diretto rispetto alle altre potenze.

Appare chiaro, dunque, che tale situazione avvantaggi la Turchia: grazie al legame con Baku, sarebbe in grado di affermare il proprio ruolo di leadership nell’area, indebolire l’avversario armeno, contenere la presenza russo-iraniana e, attraverso l’eventuale apertura del corridoio di Zangezur, connettersi direttamente al Mar Caspio, passando per il territorio azero. Appare meno chiaro, invece, il destino dell’accordo. Il trattato tra Armenia e Azerbaigian segnerà davvero la fine del conflitto nel Nagorno-Karabakh o le tensioni regionali permarranno?

È possibile che, nel migliore dei casi, il trattato venga stipulato e implementato con successo nei prossimi anni, facilitando sia la stabilità regionale che la normalizzazione delle relazioni tra Baku e Yerevan, che, a sua volta, potrebbe cedere sulla questione di Zangezur e sulla modifica della propria Costituzione: allo stesso tempo, verrebbero stipulati nuovi accordi per rafforzare la cooperazione regionale, mentre la Russia vedrebbe venir meno il proprio ruolo nell’area. In questo scenario, però, l’accondiscendenza dell’Armenia sancirebbe definitivamente la sua posizione subalterna nel contesto regionale.

Tuttavia, le condizioni attuali suggeriscono nel medio termine uno scenario opposto di instabilità: è probabile, infatti, che l’accordo non venga implementato a causa della mancata risoluzione delle dispute pendenti. L’instabilità permarrebbe e Baku, forte del supporto turco, potrebbe intensificare le pressioni e aumentare le pressioni su Yerevan, puntando sull’inerzia diplomatica della Russia e degli attori occidentali. Ciò potrebbe determinare una nuova escalation militare nella regione e una nuova crisi umanitaria, attirando probabilmente l’intervento delle Nazioni Unite. Anche in questo scenario, comunque, la posizione armena si indebolirebbe ancora di più.

In entrambi gli scenari Ankara resterebbe la vera vincitrice: con la (ri)conquista di Damasco, l’avvio del processo di pacificazione dei rapporti coi separatisti curdi e il consolidamento della propria influenza nel Caucaso, la Turchia si prepara a superare il proprio status di mera potenza regionale.

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