Il Vaticano e la strage degli armeni ( Lastampa.it 03.03.17)

Esiste ormai, anche in italiano, un’ampia scelta di titoli su quello che papa Francesco ha definito «il primo genocidio del XX secolo». Una ricchezza quantitativa di studi e testimonianze, quella sulla persecuzione degli armeni, che corrisponde a una sempre più vasta gamma di apporti e prospettive. In questo senso, degno di nota è il recente volume «La Santa Sede e lo sterminio degli armeni nell’impero ottomano» (edizione Guerini e Associati, pagine 294, euro 25,50). Un libro, quello firmato da Valentina Vartui Karakhanian e Omar Viganò, che racconta la tragedia del 1915 da un’angolatura particolare: quella della diplomazia vaticana, ricostruita attraverso un’accurata selezione di documenti presenti nell’Archivio segreto vaticano e in quello storico della Segreteria di Stato.

Un percorso puntuale e avvincente che vede come protagonista indiscusso monsignor Angelo Maria Dolci, delegato apostolico della Santa Sede a Costantinopoli. Una figura abile e carismatica, calata in un contesto storico proibitivo come quello del primo conflitto mondiale. Un compito arduo, il suo, che sembra a tratti quasi impossibile. Non si deve dimenticare, infatti, come la persecuzione degli armeni e delle altre popolazioni cristiane avvenga in aree spesso difficili da monitorare, investendo soprattutto i territori anatolici, a centinaia di chilometri dalla capitale. Man mano che si delinea in modo sempre più netto il dramma in questione, il Dolci si prodiga in ogni modo con il governo ottomano – ma anche con i suoi alleati tedeschi e austriaci – per porre termine alle violenze e alle deportazioni, per fornire assistenza alle popolazioni stremate. Del Cardinale si apprezzano in queste pagine le agili tessiture diplomatiche, la penetrazione psicologica dei suoi interlocutori turchi, ma anche e soprattutto la penna, capace di renderci – grazie alle sue lettere e documenti ufficiali – un ritratto vivido di una delle più grandi tragedie del secolo scorso.

Un impegno morale, quello del Delegato apostolico a Costantinopoli, che si mantiene inalterato durante tutta la sua missione, nonostante le molte limitazioni – politiche e materiali – cui è sottoposta la sua azione. Determinante nel porre per quanto possibile freno alla violenza contro la minoranza armena è poi l’impegno del pontefice Benedetto XV, che non esita in tre occasioni a rivolgersi direttamente al sultano Mehmed V. Missive che il Dolci, nonostante l’opposizione decisa di funzionari e ministri, si ingegna a consegnare personalmente al Sultano, evitando una possibile censura. Il ritratto che affiora da queste pagine è quello di una Santa Sede all’altezza del dramma storico in corso, che comprende e si prodiga per le minoranze (cattoliche e non) scontrandosi spesso con l’indifferenza delle grandi potenze, assai più votate all’interesse strategico che al destino dei loro correligionari.

Dedicato alla «luminosa memoria di Sua Beatitudine Nerses Bedros XIX», patriarca degli armeni cattolici scomparso nel 2015, il volume accompagna il lettore dall’inizio della persecuzione fino alla effimera esperienza della prima Repubblica armena, presto stroncata dall’avanzata sovietica nel Caucaso. Gli autori preferiscono, con apprezzabile onestà intellettuale, mettere in primo piano con costanza e caparbietà le fonti primarie: lettere, dispacci, rapporti, note.

Questo nello spirito di informare e fornire al lettore strumenti di una valutazione autonoma, anziché imporre una determinata versione su un tema, ahimè, su cui pesano ancora veti e controversie. «Far parlare le fonti», anziché imporre interpretazioni e tesi storiografiche precostituite: questa la formula proposta da un volume che merita di essere letto da coloro che hanno a cuore la questione armena e la storia della Chiesa. Un piccolo ma importante passo nel senso del riconoscimento storico di una verità storica condivisa, che ha ispirato all’uso della parola «genocidio» tanto papa Francesco che già, prima di lui, Giovanni Paolo II.

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