In Armenia, con i volontari di Solid Onlus al fronte – Reportage (Il primato nazionale 15.07.21)

In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Prima parte del nostro reportage

Erevan, 15 luglio – Nonostante l’interesse dei media internazionali sulla questione armena sembra si sia dissolto con la tregua di novembre, dopo 40 giorni di conflitto tra Armenia e Azerbaigian per l’eterna contesa del Nagorno Karabakh, in questi ultimi giorni è tornata la tensione lungo il confine dei due stati. Arrivando alcuni giorni fa nella capitale Erevan con i volontari della missione umanitaria franco-italiana guidata da Solid Onlus e Solidarité Arménie, parlando con la gente e seguendo i media locali, abbiamo potuto apprendere fin da subito che la situazione tra Armenia e Azerbaijan è tutt’altro che tranquilla. Mentre il Nagorno Karabakh è ormai una sempre più ridotta e isolata enclave armena, completamente circondata dalle milizie azere che ne stanno devastando siti sacri e archeologici e con i soldati russi a tutelare uno stretto corridoio umanitario per gli armeni, salendo il confine verso nord, il conflitto non sembra terminare.

In Armenia, nella regione del Tavush

Nella regione del Tavush, confinante a nord con la Georgia e a est con l’Azerbaijan, ospitati nella caserma dell’esercito armeno a Ijevan, i vertici militari ci hanno spiegato i continui torti subiti in questa guerra mai spenta e le grandi difficoltà nel difendere un confine sempre più debole. Come a ovest il leggendario monte Ararat divide Armenia e Turchia, con quest’ultima che lo ha occupato militarmente ormai per intero, tutto il confine ad est, verso nord, è una lunga muraglia naturale di monti che si stagliano imponenti a separare le due diverse culture caucasiche di armeni e azeri.

Qua e là sono ben visibili ovunque le rovine moderne dell’Unione Sovietica e le tracce di povertà di una zona altamente depressa che accusa una grande crisi economica e lavorativa. In questo scenario di fabbriche dismesse e ruggine, i volontari della missione internazionale di solidarietà al popolo armeno hanno consegnato diversi quintali di aiuti alla caserma di Ijevan tra la curiosità e i ringraziamenti dei soldati.

Incontrando il comandante e il vicecomandante del Battaglione Ijevan nel corso di un accogliente colloquio riservatoci dai militari, sono emerse le più gravi problematiche legate a questo conflitto mai del tutto cessato. Tra le domande che abbiamo posto agli ufficiali, due in particolare hanno scosso l’animo degli armeni. La prima riguarda l’impiego di droni israeliani da parte del fronte azero, in grado di infliggere migliaia di perdite umane tra le trincee cristiane. La seconda, invece, dipinge sui volti dei combattenti un velo di rabbia mista a rassegnazione… Dalle parole dei soldati percepiamo infatti la momentanea sconfitta armena nella contesa del Nagorno Karabakh. Per la regione armena dell’Artsakh, da anni intrappolata all’interno dei confini azeri, le speranze di riconquistare l’indipendenza politica e ricongiungersi alla propria patria perduta, sono ormai nelle mani delle grandi potenze politiche militari.

Quel tremendo senso di impotenza

Mentre Turchia e Israele sostengono militarmente l’Azerbaigianla Russia difende l’Armenia, ex colonia Urss. All’esercito di Putin si deve oggi, infatti, una tregua nella zona che, seppur operando di prepotenza con entrambi i fronti, tutela la popolazione armena consentendo il passaggio di viveri e rifugiati rimasti privi delle proprie case, confiscate e bombardate dall’esercito dell’Azerbaigian. I militari ci spiegano che per quanto ringrazino l’operato dei soldati di Mosca, riconoscendo loro l’importante ruolo di mediatori in questo continuo “gioco di forza” orientale, rimane però all’Armenia un tremendo senso di impotenza per essere stata mutilata del proprio territorio dell’Artsakh. 

Consegnando farmaci e diverso materiale utile alle zone del Tavush,  confinanti a nord con la Georgia e ad est con il pericoloso Azerbaijan, i volontari di Sol.Id hanno raccolto il ringraziamento dei soldati. “Per quanto i governi europei siano politicamente lontani dal sentimento nazionale armeno, predicando pace e umanità ma facendo morire migliaia di armeni nel più completo disinteresse – ci dice il comandante di Battaglione – riconosciamo la millenaria fratellanza che lega la nostra cultura al popolo francese e italiano. E voi, qui, oggi, ne siete la prova più incoraggiante”.

Un popolo in guerra

Arrivati al grande lago Sevan, nella regione orientale del Gegharkunik, costeggiandone le rive per oltre un’ora tra antichi monasteri e paesini rurali, saliamo notevolmente di altitudine raggiungendo i duemila metri della città di Vardenis. Qui, in periferia, incontriamo la famiglia di Vadim (nome di fantasia), il giovane soldato armeno che ci accompagna dall’inizio del nostro viaggio. Il padre e molti suoi amici fanno parte delle milizie volontarie armene. Cittadini, alcuni dei quali riservisti dell’esercito o militanti dei movimenti nazionalisti armeni, perennemente impegnati nella difesa del confine. Nonostante la località di frontiera disti solo pochi chilometri dal ricco e turistico lago Sevan, qui la vita scorre molto più lenta tra il lavoro nei campi e la pastorizia di mucche, capre e montoni che invadono le strade dissestate.

Una madre patria ferita 

Nella periferia di Vardenis incontriamo famiglie di rifugiati alle quali il governo armeno ha concesso una casa in seguito alla fuga dai territori dell’Artsakh occupati dagli azeri. Piccoli profughi che giocano spensierati lungo la strada insieme ai bambini locali, figli di una madre patria comune ferita da innumerevoli battaglie e genocidi. C’è chi indossa la maglietta da calcio della Roma, con il numero del giocatore armeno Mkhitaryan, e palleggia con un pallone insieme a un coetaneo che indossa i colori del Paris St. Germain. Tra la comitiva dei volontari italo-francesi si azzardano inevitabilmente pronostici e toto-scommesse sulla competizione degli ignari giovanissimi calciatori. Anche a Vardenis riscontriamo problematiche legate a una situazione di povertà lavorativa in cui vige l’antica arte dell’arrangiarsi con ciò che il territorio offre a questa altitudine. Se il riscaldamento qui è un bene non da poco, lo è ancora di più l’energia elettrica che, dalle case alle piazze, genera lunghi blackout durante i quali gli abitanti si arrangiano con generatori di corrente a gasolio.

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In Armenia, al confine con l’Azerbaigian. Seconda parte del nostro reportage

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Erevan, 16 lug – Salendo ancora sui monti dell’altipiano carsico, zigzagando lungo le strade serrate che si diramano tra i ruderi delle guerre degli anni Novanta, giungiamo in uno sperduto villaggio del comune di Ayrk. Distante solo una manciata di chilometri dal confine, anche questo villaggio, continuamente minacciato dall’invasione azera, vive unicamente di coltivazione ad alta quota e allevamenti di bestiame. Ad Ayrk oggi abitano sessanta famiglie in umilissime case e baracche improvvisate, sorte tra le rovine del vecchio abitato distrutto dalla guerra del 1990/1992. In passato il comune contava oltre 400 abitanti, ridotti oggi a meno della metà.

Armenia, studenti e soldati tra le rovine

Facciamo subito visita a un edificio scolastico diroccato e veniamo ospitati da un piccolo contingente di militari in riserva per il fronte. Ad accoglierci è Tharek (nome di fantasia), un giovane ufficiale che parla perfettamente l’inglese e che, con mia grande sorpresa, conosce la città di Bolzano in quanto alcuni suoi amici studiano nell’università internazionale altoatesina. Il militare ci spiega che in questa scuola elementare, attualmente chiusa per le festività estive, studiano 40 studenti con mezzi poverissimi. Oltre alle lavagne e ai banchi semi-nuovi, infatti, l’intero edificio versa in condizioni degradate con bagni e pavimentazione completamente da ristrutturare, e le vetrate e gli infissi da sostituire con nuove finestre. I volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie si appuntano quindi parte dell’occorrente per portare, nelle future missioni, il proprio contributo al rifacimento di questa unica e importantissima scuola di confine.

A pochi metri dalla scuola veniamo accolti nella fattoria di Vasilii (nome di fantasia), un contadino delle milizie popolari. Con estrema tranquillità l’uomo ci spiega che, su queste montagne, gli scontri a fuoco con gli azeri sono abbastanza frequenti e ci fa vedere alcune foto di cadaveri in uniforme, sia azeri che armeni, orribilmente gonfiati dalla morte e in cui può capitare di imbattersi tra le rocce di questo altipiano controllato dai cecchini dei due fronti. Oltre alle insidie belliche, Vasilii ci spiega le difficoltà tecniche con le quali i rurali del luogo si scontrano quotidianamente.

Guardandoci intorno e seguendo i discorsi del contadino tradotti in francese, comprendiamo immediatamente l’urgenza di implementare il numero di animali per il fabbisogno alimentare. Quassù, infatti, le temperature rigide dell’inverno caucasico impediscono la cova delle uova di galline, oche, tacchini e faraone. Seppur in forma minore, lo stesso vale anche per l’allevamento di bovini e ovini essenziali per la vita a queste quote. Anche in questo caso i volontari italiani e francesi programmano, direttamente sul campo, il sostegno che verrà portato nei prossimi giorni a questo villaggio.

Le anime degli antenati

Dopo averci offerto un ricco pranzo a base di formaggi e verdure, di produzione orgogliosamente propria, e aver brindato diverse volte alle rispettive nazioni, Vasilii ci invita a seguirlo alla scoperta delle due antichissime chiesette che da secoli proteggono questo alpeggio. Con fierezza devota il contadino ci racconta come la gente del posto ha risistemato questi piccoli edifici al termine di ogni guerra. Fin da tempi immemori in cui l’iconoclastia profanava nel nome di Dio. Circondate dai meravigliosi khachkar, le pietre tombali finemente incise con croci e intrecci in stile celtico di cui l’intera Armenia è disseminata, queste chiesette hanno ancora oggi il pregio di raccogliere le preghiere dei fedeli e mantenere un forte contatto spirituale con i propri antenati. Sono proprio i khachkar infatti, a rievocare le anime degli antenati di questo popolo eternamente in lotta. Qui, dall’alba dei tempi in cui la tradizione narra che l’arca di Noè si incagliò sul Monte Ararat dando origine a una nuova civiltà. Qui, dove gli spiriti dei padri rimangono a guardia perpetua del confine patrio.

“Combattiamo per la patria, da soli”

Accompagnati al fronte dal nostro nuovo amico di Ayrk, incontriamo i soldati qui accampati che ci squadrano con aria incuriosita. Giovanissime reclute e graduati veterani ci ospitano in un presidio militare della seconda linea, offrendoci caffè e cognac quasi increduli che, dalla lontana e ricca Europa, ci sia qualcuno venuto qui a interessarsi di loro. I volontari di Sol.Id spiegano ai presenti la nostra vicinanza culturale e ideale in questo conflitto come anche nelle origini indoeuropee dei nostri popoli. I due ufficiali al comando, un colonnello e un maggiore, confermano sottolineando però, giustamente, il vergognoso disinteresse dei governi europei per le sorti dell’Armenia. “Tutti tacciono sui crimini turchi o azeri. Tutti temono la prepotente Turchia… Noi invece la combattiamo da soli. Come da soli combattiamo gli azeri e ogni nemico della patria. I vostri governi sono purtroppo schiavi dei grandi potenti della terra. Siamo felici di vedere italiani e francesi venuti a sostenere la causa armena. Per noi è un onore avere oggi qui la parte sana dell’Europa“. Parole indubbiamente forti. Parole che gratificano e lasciano il segno, rafforzando lo spirito dei volontari in questa missione.

Al fronte, tra cecchini azeri e droni israeliani

I soldati ci fanno vedere le postazioni azere distanti pochi chilometri e, sparsi qua e là tra le rocce e la steppa che arrampica sulle montagne, i cecchini azeri sono sempre pronti a mietere vittime, laddove fino a pochi mesi fa era ancora territorio armeno. Negli ultimi mesi le milizie azere sono avanzate infatti di 4/5 chilometri conquistando terreno nel silenzio internazionale e, lo stesso, si è verificato anche in altri settori di confine tra i due stati. Muovendoci con cautela tra le barricate, ci spiegano che qui, tra i cecchini azeri e i droni di Israele, il pericolo è sempre in agguato e il livello di sicurezza muta ogni giorno assieme alla situazione bellica.

Se gli azeri oggi hanno a disposizione droni israeliani, armi automatiche moderne e visori notturni, le milizie armene impugnano ancora i vecchi Kalashnikov e altre armi di fabbricazione sovietica, chiarissimo segno del poco sostegno internazionale di cui questi cristiani di oriente godono. In questa zona agli estremi margini della società armena, a oltre 2.000 m.s.l.m., una delle maggiori difficoltà è sicuramente quella legata alle risorse energetiche. Destinati alla prima e alla seconda linea del fronte, i volontari di Sol.Id Onlus e Solidarité Arménie scaricano cinque generatori di corrente, acquistati a Erevan con i soldi raccolti nelle campagne solidali effettuate in Italia e in Francia, in modo che i soldati riescano a ricaricare apparecchiature militari e smartphone personali per rimanere in contatto con le proprie famiglie.

Il giubilo dei soldati per l’importante donazione effettuata dai volontari delle associazioni umanitarie, viene però interrotto dall’ennesima triste notizia ricevuta via radio. Un soldato armeno è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i cecchini azeri nel Nakhchivan, al confine meridionale del paese. Con l’ultimo brindisi in onore ai caduti, stretti in un caloroso abbraccio di reciproco ringraziamento, salutiamo i patrioti armeni augurandogli, ancora una volta, di vedere presto la vittoria per la libertà di questa antica terra forgiata nel sangue dei suoi martiri.

Andrea Bonazza 

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