La Civiltà Cattolica e il genocidio degli armeni: 7 volumi di documenti Lastampa.it /Vaticainsider

Armeni in Turchia

Una tavola rotonda della rivista dei Gesuiti per non dimenticare, a un secolo di distanza, una strage ancora negata dal governo turco

Marco Tosatti
Roma

 

Sabato 17 gennaio nella sede della Civiltà Cattolica, alle 18, si svolgerà una tavola rotonda intitolata «1915-2015: a 100 anni dal genocidio armeno», moderata da padre Francesco Occhetta sj e a cui parteciperà anche Georges Ruyssens, docente al Pontificio Istituto biblico. Georges Ruyssens è probabilmente uno dei più grandi specialisti del genocidio armeno, compiuto dai «Giovani turchi», e ancora adesso oggetto di una tenace opera di negazionismo da parte del governo di Ankara, a dispetto dell’opinione sicuramente maggioritaria degli storici, alcuni dei quali anche turchi, sulla sua evidenza. Georges Ruyssens ha pubblicato i documenti sul genocidio armeno conservati in Vaticano. Scrive sul suo blog padre Occhetta: «Si tratta di un’opera che possiamo definire colossale. Anni di ricerca silenziosa negli archivi vaticani. La questione armena respira adesso con un polmone della storia rimasto inedito».

 

Lo scopo dei volumi che Georges Ruyssen sta pubblicando è quello di rendere accessibili le fonti di parte ecclesiastica per uno studio sereno degli eventi definiti dalla comunità armena il «Grande Male». La serie è intitolata «La questione armena», e raccoglie in sette volumi i documenti diplomatici conservati nell’Archivio segreto vaticano (Asv), nell’Archivio della Congregazione per le Chiese orientali (Aco) e nell’Archivio storico della Segreteria di Stato (Ss.Rr.Ss.).

 

È veramente un’opera di grandissima ampiezza. I volumi vanno infatti dall’epoca dei massacri hamidiani (1894-1896), così chiamati dal sultano Abdul Hamid, il «sultano rosso», alla ribellione e ai massacri di Van (1908), ai massacri di Adana (1909), e al genocidio armeno (1915); proseguono poi con la rioccupazione del Caucaso dai turchi dopo il ritiro delle truppe russe (1918), l’evacuazione della Cilicia dalla Francia (febbraio, marzo 1922) e la politica kemalista del panturchismo che ha portato all’esodo massivo dei cristiani della Turchia (anni 1920 in poi), per giungere agli eventi luttuosi di Smirne, con il massacro dei greci (settembre 1922). Infine si dà conto dei tentativi per risolvere la questione armena nel seno della Società delle Nazioni (1923-1925). Tutto questo vissuto, raccontato attraverso la lente degli informatori e della diplomazia della Santa Sede.

 

Citiamo per esempio quello che scriveva un cappuccino: «Di fatti in quella stessa notte [cioè il 23 giugno 1915] si procedette ad arresti in massa; il dì seguente si leggeva su tutti i muri, un ordine, che dava agli armeni cinque giorni di tempo, per regolare i loro affari e mettersi nelle mani del governo, uomini, donne, fanciulli ammalati, decrepiti, sacerdoti e suore cattoliche, senza eccezione, per essere internati, in luogo ignoto. Un cordone militare impediva ogni comunicazione col loro quartiere. L’indomani già cominciava la deportazione. Pochissimi poterono non regolare, ma disastrosamente liquidare il loro avere. Si sperò un momento qualche favore pei cattolici, come, (dicessi) a Trebizonda, vana speranza. Il 28 e 29 (ultimi giorni accordati) si spiegò una fortissima propaganda musulmana, cambiando così la base dell’azione. L’esempio di alcuni ricchi fu seguito, e al momento che scrivo, parecchie centinaia di armeni e cinque famiglie cattoliche fecero già la loro domanda d’essere ammessi all’islam. Voci di massacri, vere o sparse ad arte, accentuano questo movimento. Le donne sono quelle che resistono di più. S.E. capirà che non posso entrare in dettagli né emettere appreziazioni implorando il suo aiuto, quello della Santa Sede, delle potenze alleate alla Turchia». (Lettera del Cappuccino Michele Liebl [da Capodistria], missionario austriaco a Samsun, al delegato apostolico Dolci del 30 giugno 1915).

E quello che scriveva monsignor Scapinelli, nunzio apostolico a Vienna, al segretario di Stato, il cardinale Gasparri: «La parola “deportazione” significa: 1) la separazione assoluta dei mariti dalle loro mogli, e delle madri dai loro fanciulli; 2) minacce e lusinghe di emissari turchi, affine di costringere gli uni e gli altri ad apostatare. Gli apostati poi – e ve ne sono molti – sono immediatamente spediti in località esclusivamente musulmane, da dove non si dà più ritorno. 3) Ratto di donne, secondo che per le loro qualità fisiche convengono alla vendita nei harem, o a contentare le basse passioni dei notabili o dei custodi; 4) le piccole fanciulle di diverse località si destinano in qualità di piccole serve di case turche che hanno poi l’obbligo di dar loro la rispettiva educazione musulmana. Ve ne sono giunte perfino a Costantinopoli. Altrove si circondino tutti i fanciulli cristiani, per internarli poi in case turche. […] i superstiti sono costretti ad abbandonare tutto il loro avere, case, possessioni, denaro, e forzati a partire per l’interno, accompagnati per lo più da gendarmi brutali, migrano di villaggio in villaggio, di pianura in pianura, senza tregua, sempre verso destinazione ignota. Moralmente abbattuti pei dolori e le separazioni subiti, il loro organismo non è più atto a resistere alle intemperie e alle privazioni, cosicché ne muoiono molti per istrada. Altri vi sono addirittura massacrati. Così, su conferma, la notizia di un massacro generale di armeni a Van e Bitlis; poi quello di Mardin, dove fu massacrato il Vescovo cattolico insieme con 700 dei suoi fedeli. Di Angora riferisce il testimone protestante sopraccitato, che tutta la popolazione maschile armena, al di sopra di 10 anni, sia sterminata per via di un massacro. Così si potrebbero citare tanti altri esempi. Il fatto seguente, riferito da due testimoni turchi intervistati dal relatore, serva a rilevare le barbarie cui soggiacciono i poveri diportati. In una chiesa abbandonata, sulla via d’Angora, erano rinchiusi e custoditi alla baionetta da 150-200 armeni diportati, fra cui un prete cattolico e due suore».

 

È passato un secolo da quei fatti, che segnarono la fine di una delle comunità cristiane più numerose e attive, insieme agli assiri e a greci in quella regione. E vediamo che ancora, di nuovo, altri cristiani vivono una stagione di persecuzioni proprio in quegli stessi luoghi.