La Dichiarazione di Shusha e il futuro del Caucaso del sud (Osservatorio Balcani e Caucaso 05.07.21)

Oc Media ha intervistato una serie di analisti politici sulle implicazioni della “Dichiarazione di Shusha”, sottoscritta recentemente da Azerbaijan e Turchia

05/07/2021 –  Ismi Aghayev

(Pubblicato originariamente da Oc Media  il 24 giugno del 2021, tit. orig. “The ‘Shusha Declaration’: Strategic realignment or business as usual?”)

Ad una cerimonia a Shusha/Shushi, lo scorso 15 giugno, il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan hanno firmato la ‘Dichiarazione di Shusha’.

Il documento, tra le altre cose, riporta che un attacco a uno dei due paesi verrà considerato come un attacco a entrambi. La dichiarazione tratta anche aspetti come la cooperazione in ambito internazionale, così come politico, economico, commerciale, culturale, educativo, sportivo, rispetto ai giovani, alla sicurezza energetica e militare.

Inoltre, il presidente turco ha annunciato che la Turchia vorrebbe inaugurare un consolato a Shusha/Shushi.

“Il nome del nostro accordo è alleanza, e questo dice tutto”, ha dichiarato Aliyev.

Erdoğan e sua moglie sono stati accolti da Aliyev e la moglie Mehriban Aliyeva, nel distretto di Füzuli prima di spostarsi a Shusha/Shushi, tutte aree di cui l’Azerbaijan ha guadagnato il controllo dopo la seconda guerra del Nagorno Karabakh.

Il tutto è accaduto il giorno successivo ad un incontro del leader turco con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, in concomitanza con un vertice della NATO a Bruxelles.

L’ultima visita di Erdoğan in Azerbaijan risaliva al dicembre del 2020, quando aveva assistito alla parata vittoriosa promossa a seguito della guerra contro l’Armenia durata 44 giorni.

Azerbaijan, tra Turchia e Russia

Azer Gasimli, un analista politico, ha riportato ad OC Media che la Dichiarazione di Shusha mostra un cambio nelle priorità geopolitiche dell’Azerbaijan.

“Prima della guerra, l’Azerbaijan portava avanti – relativamente al sud del Caucaso – un rapporto politico bilanciato con la Russia e l’Occidente”.

“L’accordo firmato il 10 novembre 2020 tra Azerbaijan, Russia e Armenia, che include l’ingresso dei peacekeeper russi in Nagorno Karabakh, era una prova evidente di questa politica. L’altro lato della politica è indicato dalla Dichiarazione di Shusha. Quindi l’Azerbaijan non persegue più rapporti politici bilanciati con l’Occidente, ma con Turchia e Russia”.

Commentando riguardo all’apertura di un consolato turco a Shusha/Shushi e della possibile cooperazione economica espressa nella Dichiarazione, Gasimli ha detto che tutto questo è stato fatto senza consultare la Russia.

“La Turchia afferma di essere la garante di Shusha/Shushi. Aprendo un consolato lì pianterà la sua bandiera”.

Gasimli ha messo in dubbio il significato dell’aspetto economico della dichiarazione.

“In generale, nonostante vi siano clausole economiche previste nell’accordo, il governo dell’Azerbaijan non permetterà alla Turchia di avere voce in capitolo negli affari economici del paese. L’economia e i monopoli presenti rimarranno blindati. Anche se ad alcune aziende turche ben selezionate sarà permesso di operare”.

Gasimli ha pure detto che questi passi non porteranno a nessun processo di democratizzazione o miglioramento dei diritti umani nella regione.

“Penso che tutto questo sia un altro passo verso la continuazione di un regime autoritario nel sud del Caucaso. Se non fosse così, se avessero voluto veramente la pace, la Russia non avrebbe creato problemi nell’Ossezia del sud, in Abkhazia e Nagorno Karabakh. Il destino del conflitto sarebbe stato lasciato alla discrezione degli stati presenti nella regione”.

Zardusht Alizade, un analista politico ed ex politico dell’opposizione, afferma che la dichiarazione non è nient’altro che un rinnovo degli accordi del passato firmati da Turchia e Azerbaijan.

“La Dichiarazione di Shusha non significa niente di speciale per la regione”, ha affermato Alizade ad OC Media. “La Turchia, che ha l’Occidente dietro di sé, ha dichiarato apertamente che agirà in difesa della posizione dell’Azerbaijan. Non c’è niente di nuovo nella dichiarazione”.

”Le clausole presenti nella dichiarazione sono riflesse negli accordi e nei trattati conclusi precedentemente tra Turchia e Azerbaijan. La Turchia sta semplicemente mandando un messaggio diretto, ossia ‘sto dalla parte dell’Azerbaijan”.

“Il sostegno diretto della Turchia indica anche che vi è simpatia occidentale per le questioni legate alla sicurezza dell’Azerbaijan. Non c’è niente nella Dichiarazione di Shusha che vada contro gli interessi della Russia, quindi non ha niente a che fare con la Russia”.

Commentando riguardo all’apertura di un consolato generale a Shusha/Shushi, Alizadeh ha dichiarato che questo servirebbe ai cittadini turchi presenti nell’area per motivi di affari, lavorativi e per questioni legate alla residenza.

“L’apertura di un consolato a Shusha/Shushi indica che cittadini e aziende turche sono coinvolte nell’operazione per ricostruire il Nagorno Karabakh e questo consolato è pensato per loro”.

“Aziende turche impegnate in campo edilizio, industriale e agricolo e anche in altri settori saranno trasferite nell’area per la ricostruzione. Sono stati loro affidati progetti fortemente sostenuti economicamente. Questo significa che migliaia di cittadini turchi lavoreranno lì e questo consolato verrebbe aperto per loro”.

Aliyev, la conferma della vittoria

La visita di Erdoğan a Shusha/Shushi è stata condannata dal ministro degli Esteri armeno come “definitiva provocazione contro la pace e la sicurezza nella regione”.

Leyla Abdullayeva, che è a capo dell’ufficio stampa del ministero degli Esteri dell’Azerbaijan, ha invece respinto le critiche: ”Prima di tutto, vorremmo far notare che non è compito del ministro degli Esteri armeno commentare le visite a paesi vicini”, ha dichiarato. ”L’Armenia dovrebbe agire considerando la situazione reale, non basandosi su illusioni. La dichiarazione congiunta tra i presidenti dell’Azerbaijan e della Turchia a Shusha/Shushi è diretta a promuovere la pace, la sicurezza e nuove opportunità per la cooperazione”.

Richard Giragosian, direttore del Centro di studi regionali, un think tank situato a Yerevan, ha affermato che la visita “è da interpretare come una dimostrazione di vittoria per il governo di Aliyev”. “La visita è apparsa come un trionfo dopo la presa della città nei giorni della guerra, durata 44 giorni, nel 2020 nel Nagorno Karabakh”, ha dichiarato Giragosian ad OC Media.

“Da questa prospettiva, la visita presidenziale è apparsa anche come una dimostrazione del ruolo decisivo che il supporto militare turco ha avuto nel sostenere l’Azerbaijan in quella guerra”. “La Dichiarazione di Shusha non è sorprendente tanto meno nuova. Dato il supporto militare turco e i suoi investimenti in Azerbaijan, l’accordo non fa che riaffermare il suo ruolo come primo partner militare del paese”, ha dichiarato.

Giragosian ha suggerito che la dichiarazione potrebbe essere rivolta alla Russia. Ha affermato che la Russia ha perso la sua posizione di primo fornitore di armi sia per l’Armenia che per l’Azerbaijan, con ”il ruolo post-conflitto della Turchia come partner militare”.

“La Dichiarazione di Shusha rappresenta anche un importante e potente messaggio: nonostante possa essere vista come diretta contro una più debole Armenia, il vero significato si trova nella determinazione della Turchia e dell’Azerbaijan nel resistere a un’ulteriore espansione e proiezione del potere della Russia nella regione”.

Giragosian ha affermato che la Dichiarazione di Shusha ha “un impatto diretto minimo sulla diplomazia post-conflitto o sulla ripresa del processo di pace”. “In primo luogo, così come per tutti gli accordi diplomatici e le dichiarazioni, la misura reale del suo impatto sta nella sua implementazione e non poggia semplicemente su ambiziose e vaghe promesse oppure radicali ma indefiniti impegni”, ha detto.

“In secondo luogo, dato che l’Armenia rimane senza una nuova strategia diplomatica e deve superare la sua paralisi politica, il primo impatto sul processo di pace è proprio conseguente della debolezza armena e della sua mancanza di preparazione”.

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