La marcia popolare che ha cambiato l’Armenia («ma il difficile arriva adesso») (Tempi.it 10.05.18)

Quando è partito con pochi seguaci con la sua marcia di protesta il 1o aprile dalla città di Gyumri, la seconda più grande dell’Armenia, Nikol Pashinyan era solo un ex giornalista di 42 anni noto per aver creato molti problemi al sistema politico che guida la Repubblica caucasica con tante ombre dal 2008. Nel giro di un mese, quello che era un marginale leader della coalizione di opposizione si è trasformato in un condottiero in grado di infiammare gli animi della popolazione e portare in piazza nella capitale Erevan 300 mila persone in quella che è stata ribattezzata “Rivoluzione di velluto”. Una rivolta pacifica, non violenta, che ha spinto alle dimissioni il contestato premier appena nominato Serzh Sargsyan e che ha “obbligato” il Parlamento a eleggere martedì primo ministro proprio Pashinyan.

«FENOMENO ORIGINALE». «Non credo sia necessario trovare un’etichetta o un colore per ogni stravolgimento e non so se userei il termine “rivoluzione”», dichiara a tempi.it Aldo Ferrari, docente di Lingua e letteratura armena, storia del Caucaso, e storia della cultura russa presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, appena tornato dall’Armenia. «Di sicuro si tratta di un fenomeno originale e non violento, che dimostra come il paese abbia non solo una grande storia ma anche una capacità di organizzazione democratica pacifica notevole. È un cambiamento di governo importante, anche perché nei paesi post-sovietici quasi mai chi è al potere riesce ad essere scalzato».

“IL MIO PASSO”. La marcia di Pashinyan di 120 chilometri, denominata “Il mio passo”, iniziata tra l’indifferenza dei media e sfociata nella più grande manifestazione di piazza di cui si abbia memoria nella Repubblica post-sovietica, parte però da lontano. Nel 2008 violente proteste seguirono all’elezione a presidente della Repubblica di Sargsyan, accusato di frodi e compravendita di voti. Le manifestazioni, nelle quali rimasero uccise dieci persone, furono sedate solo dall’intervento della polizia, che arrestò decine di cittadini. Rieletto di nuovo nel 2013, e non potendo più candidarsi a causa del limite di due mandati previsto dalla Costituzione, Sargsyan riuscì nel 2015 a far modificare la Costituzione per trasferire tutti i poteri che contano al primo ministro con un referendum. In seguito alle elezioni parlamentari del 2017, durante le quali il Partito Repubblicano ha ottenuto la maggioranza assoluta, il 17 aprile 2018 Sargsyan si è fatto nominato premier, dopo aver promesso che non l’avrebbe mai fatto, aggirando così di fatto i limiti previsti dalla Costituzione.

UN PAESE BLOCCATO. «La forzatura di Sargsyan è la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso», continua Ferrari, che è anche direttore dei programmi di ricerca su Russia, Caucaso e Asia Centrale dell’Ispi di Milano. «Sono 20 anni che chi occupa il potere occupa tutte le leve del controllo economico e politico del paese. Negli ultimi anni l’Armenia, uno Stato con poche risorse, si è trovata in una situazione di difficoltà economica. E nonostante l’aiuto della diaspora armena, 7-8 milioni di persone che hanno inviato importanti rimesse a casa, i fondi sono stati gestiti in modo oscuro. Gli armeni hanno avuto la sensazione che il paese fosse bloccato, senza possibilità di miglioramento. L’azione di Pashinyan è arrivata nel momento giusto».

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