La nascita della comunità armena di Trieste: un difficile inizio (1770-1810) (Triesteallnews 15.08.20)

15.08.2020 – 07.30 – La crescita di Trieste negli anni centrali del Settecento, dapprima attraverso il (fallito) tentativo di Carlo VI d’Asburgo e successivamente con le riforme progressiste di Maria Teresa d’Austria e il figlio Giuseppe II, permisero un afflusso continuo “delli negozianti esteri“.
Si trattava di commercianti, bottegai e piccoli imprenditori attirati dalle possibilità offerte dal porto franco: non solo per le esenzioni fiscali, ma per la protezione religiosa e giudiziaria. Il tracciato razionale del borgo teresiano in via di costruzione nascondeva così un sottobosco caotico e mutevole di avventurieri e mercanti in cerca di fortuna.
Onde regolamentare quest’informe caos di religioni e lingue, le autorità austriache incoraggiarono la naturalizzazione, nella forma della richiesta di cittadinanza austriaca.
Occorre notare, a questo proposito, come si preferisse acquisire la cittadinanza austriaca invece che quella comunale, perché meno rigida, meno vincolata dalle leggi locali.
Attraverso queste richieste di naturalizzazione è possibile così tracciare la storia delle prime comunità etnico-religiose di Trieste: da quella dei greci, degli inglesi, dei francesi, giungendo agli stessi armeni.

L’anno domini 1773 viene tradizionalmente considerato il primo anno della comunità armena triestina, quando un gruppo di padri mechitaristi, che si erano staccati dall’isola di San Lazzaro a Venezia, giunsero a Trieste. Sotto le accoglienti ali dell’Aquila Bicipite miravano ad aprire una stamperia: naturale sbocco per il motto ora et labora et studia dei monaci armeni mechitaristi, incarnato tutt’ora dall’attività editoriale di San Lazzaro.

La congregazione ebbe sempre vita difficile a Trieste a causa di continui litigi tra i monaci su questioni economiche: le risorse della comunità vennero mal gestite e sull’intera impresa pesò non poco l’ombra della comunità armena di Costantinopoli, interessata alle franchigie del porto franco triestino. Sebbene tutto ciò danneggiò anche gli armeni secolari, nei primi decenni la presenza di un nucleo religioso permise di attirare i primi migranti armeni, per lo più mercanti. Verso il 1774 un suddito turco di fede armena, Giovanni Battista di Sarum, chiede la cittadinanza per sé e i suoi due figli, motivando di essersi stabilito “in questo porto franco con animo morandi per intraprendere il solito mio carriere di Commercio“. Secondo l’Intendenza commerciale era un “Mercante di stima” che aveva commerciato nelle Indie e in Turchia. Si registrava nello stesso anno un altro mercante armeno, stavolta di origini veneziane; e nel 1773 sappiamo esserci a Trieste il padre Giovanni Ariman dei mechitaristi e il direttore della Compagnia di Egitto Giorgio Saraff.
Quest’ultimo, com’era caratteristica di molti armeni ben integrati, era un prodigioso poliglotta che sapeva la lingua “turchesca, araba, armena e persiana” e che lavorava come interprete ufficiale per il Litorale e per il Magistrato di Sanità.

Verso gli anni Settanta del settecento, dopo che Maria Teresa concedette uno Statuto alla nazione armena a Trieste (30 maggio 1775), la comunità crebbe notevolmente.
Inizialmente, verso il 1774soggiornavano a Trieste trenta armeni secolari e i monaci mechitaristi; verso il 1780/90 si giunse a un centinaio di armeni “triestini”.
Il Vescovo di Trieste, a questo proposito, utilizzò gli armeni per controbilanciare la presenza dei greco-ortodossi: “mi parrebbe potersene ricavare assai maggiori vantaggi, tanto più per reprimere la baldanza de’ Greci continuamente accrescendosi di gente misera, e pitocca, e mai cessano di ricercare maggiori Privileggi quali in poco tempo, li metteranno a livello con la Religione Dominante; ottimo sarebbe di controbilanciarli coll’introduzione di Religiosi, e famiglie, ricche, Armene“.

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