La nuova proposta per un patto di non aggressione tra Armenia e Azerbaijan (e l’occasione dell’Ue) (L’Inkiesta 31.01.24)

Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan ha reso noto di aver proposto un patto di non aggressione all’Azerbaijan in attesa della firma di un trattato di pace che dovrebbe portare alla riconciliazione tra i due ex-nemici del Caucaso. Baku e Yerevan hanno combattuto due guerre, tra gli anni Novanta e i Duemila, per il controllo del Nagorno-Karabakh, una regione in territorio azero ma popolata da armeni – una condizione apparentemente assurda, creata ad arte dall’Unione Sovietica durante la dittatura di Joseph Stalin, che aveva deciso di dividere gli Stati vicini alla Russia in modo che avessero popolazioni non omogenee al loro interno per evitare rivendicazioni e rivolte nazionaliste.

Baku ha riconquistato il Nagorno-Karabakh nel 2023 grazie a un’offensiva lampo, un attacco deliberato che ha posto fine a una situazione che si trascinava da decenni e ha messo in grave difficoltà l’Armenia: la quasi totalità della popolazione ha abbandonato il Nagorno-Karabakh per riversarsi a Yerevan, un flusso consistente di persone che devono essere aiutate a ricostruire la propria vita.

Pashinyan e il capo di Stato azero Ilham Aliyev avevano già chiarito come la firma di un trattato di pace sarebbe potuta avvenire entro la fine del 2023 ma questa eventualità, nonostante i colloqui di pace, non si è verificata. Pashinyan e Aliyev si sono incontrati diverse volte, in presenza del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, ma il processo di riavvicinamento è entrato in una fase di stallo a partire da ottobre. Tra i pochi risultati c’è stato, nel mese di dicembre, lo scambio dei prigionieri di guerra. Lo sviluppo è stato definito, secondo quanto riportato da Euractiv, come «una svolta» da Unione europea, Stati Uniti, Russia e Turchia.

La vicenda del Nagorno-Karabakh ha prodotto un significativo mutamento nell’orientamento strategico dell’Armenia, storicamente vicina alla Russia e membro dell’Organizzazione per il Trattato della Sicurezza Collettiva (Csto), un’alleanza militare molto simile alla Nato, che però guarda a Mosca. A Yerevan molti si chiedono, come chiarito dal portale Eurasianet, che senso abbia continuare a far parte di un’alleanza che non ha fatto nulla per aiutare il Paese quando si è trovato sotto attacco.

La possibile uscita dalla Csto finora è sempre stata negata da Pashinyan ma è indubbio che qualcosa sia cambiato nella nazione caucasica. Quindici organizzazioni pubbliche hanno diffuso un comunicato in cui, tra le altre cose, criticano l’interferenza della Russia negli affari interni del Paese, chiedono l’espulsione delle truppe di Mosca presenti in Armenia e fanno richiesta di avviare il processo di uscita dalla Csto.

L’alleanza militare, di cui fanno parte anche Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Bielorussia, sarebbe dovuta intervenire in soccorso di Yerevan quando le truppe azere ne hanno invaso le aree di confine ma non ha agito e questa linea di condotta ha spinto l’Armenia a non partecipare più ai vertici della Csto e a intensificare la cooperazione con l’Unione europea. Il summit dei ministri degli Esteri dell’Unione europea, svoltosi lo scorso 11 dicembre, ha chiarito che Bruxelles valuterà la possibilità di inviare aiuti militari all’Armenia mediante lo European Peace Fund e che aumenteranno gli effettivi della missione di monitoraggio comunitaria a Yerevan. Areg Kochinyan, un analista a capo del Research Center on Security Policy sentito da Eurasianet, ha spiegato come l’Armenia potrebbe lasciare la Csto dopo aver approvato una strategia di sicurezza nazionale che assegna «uno status di appartenenza a nessun blocco» del Paese.

Il riavvicinamento tra Yerevan e l’Occidente è stato evidenziato da diversi sviluppi degli ultimi mesi. A settembre le forze armate armene hanno svolto esercitazioni congiunte con l’esercito americano e Yerevan ha reso noto di aver accettato di potenziare la cooperazione militare con la Francia. L’Armenia, in un evidente smacco a Mosca, ha inoltre ratificato lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale che, come noto, ha emesso un mandato di cattura nei confronti del capo di Stato russo Vladimir Putin. Queste azioni contribuiscono a sgretolare il predominio di Mosca nella nazione caucasica che, anche a causa della sua peculiare collocazione geopolitica, ha sempre dovuto fare riferimento al Cremlino per tutelare le proprie esigenze di sicurezza.

La storica inimicizia con l’Impero Ottomano, culminata nella tragica vicenda del genocidio armeno e poi con la Turchia hanno spinto Yerevan a cercare la protezione di Mosca per evitare l’ annientamento totale. Il territorio del Paese è , infatti, assai ridotto e schiacciato ad ovest da Ankara e ad est da Baku, alleato della Turchia. La regione caucasica è, inoltre, geograficamente isolata e molto distante dall’Europa continentale, un fattore che ha contribuito ad avvicinare ancora di più Mosca e Yerevan e ad impedire un intervento più incisivo da parte di Bruxelles. L’autonomia di manovra dell’Armenia è, dunque, contingentata dalla presenza di una situazione precaria e complessa e dalla volontà di Mosca di mantenere un saldo predominio su quella che considera la propria sfera d’influenza. L’Unione europea, in questo contesto, può puntare su una politica di piccoli passi che tenda ad un rafforzamento dei rapporti bilaterali nella speranza che il contesto regionale lo consenta.

Lo sviluppo di rapporti più stretti tra Bruxelles e Yerevan non può prescindere da un maggiore sviluppo democratico dell’Armenia e dal rafforzamento delle istituzioni locali, un processo che proprio Bruxelles potrà aiutare a coordinare e a rafforzare nel medio-lungo periodo.

Vai al sito