La nuova strategia dell’Azerbaigian: far morire di freddo gli armeni (Tempi 19.01.23)

Non solo l’Azerbaigian blocca dal 12 dicembre il Corridoio di Lachin, scatenando così una crisi umanitaria nel territorio dell’Artsakh, dove vivono 120 mila armeni. Ma il governo di Baku ha deciso di aggravare ulteriormente la situazione, tagliando per la seconda volta le forniture di gas al territorio.

«Ci restano solo le stufe a legna»

Gli azeri avevano interrotto le forniture di gas per la prima volta il 13 dicembre, sbloccandole solo tre giorni dopo. Il 17 gennaio hanno di nuovo fermato il flusso, ripristinandolo dopo qualche ora, per poi richiudere nuovamente i rubinetti.

Con le temperature che sulle alture del Nagorno-Karabakh scendono abbondantemente sotto lo zero, la situazione è critica. Soprattutto perché dal 10 gennaio l’Azerbaigian ha bloccato anche le forniture di energia elettrica dall’Armenia all’Artsakh, impendendo la manutenzione degli impianti e causando ripetuti black-out nei territori abitati dagli armeni e problemi a quelle famiglie che utilizzano l’energia elettrica per riscaldare le case.

«Non sappiamo che cosa pensare, ormai l’unico modo per riscaldarci è ricorrere alle stufe a legna», ha dichiarato a Rfe Nona Baghdasarian, residente di Stepanakert.

Armeni senza gas ed elettricità

L’assenza del riscaldamento è solo l’ennesimo supplizio inferto gratuitamente, e in spregio di tutte le convenzioni internazionali sul rispetto dei diritti umani, dall’Azerbaigian agli armeni del Nagorno-Karabakh. A un mese e mezzo dall’inizio del blocco dell’unica strada che collega l’Artsakh al mondo esterno, nelle città armene del Nagorno-Karabakh manca tutto: cibo, benzina, medicine.

Le autorità locali hanno iniziato a razionare il cibo: ogni residente riceve un litro di olio per cucinare, un chilo di riso, pasta, grano saraceno e zucchero al mese. Verdura e frutta sono introvabili e i negozi vendono quasi solamente pane, latte e altri beni di prima necessità prodotti in loco. «Ma il pane non si trova sempre», spiega Baghdasarian, «e altri prodotti essenziali si riescono ad acquistare solo se si fa la coda davanti ai negozi a partire dalle prime ore del mattino».

L’assalto dell’Azerbaigian ai bambini

Per sfuggire alle critiche del mondo intero – già arrivate da Nazioni Unite, Stati Uniti, Unione Europea, Russia e organizzazioni umanitarie internazionali – l’Azerbaigian sta affinando la sua tecnica. Ieri le centinaia di cosiddetti “ambientalisti” che bloccano il Corridoio di Lachin hanno permesso il passaggio di diversi veicoli della Croce rossa internazionale con a bordo 19 bambini che, bloccati in Armenia, da oltre un mese erano separati dai genitori rimasti in Artsakh.

Durante il passaggio di una delle auto, però, 10-15 azeri con il volto mascherato hanno bloccato il veicolo, entrando a forza nell’abitacolo, filmando i bambini e gridando contro i civili. Uno dei bambini è svenuto prima che i peacekeepers russi intervenissero e lasciassero passare l’auto.

Il difensore dei diritti umani dell’Artsakh, Gegham Stepanyan, ha denunciato le «azioni criminali» degli azeri che dimostrerebbero «l’odio etnico senza confini nei confronti degli armeni».

L’Italia non ha niente da dire?

L’Azerbaigian sta acconsentendo al passaggio di pochi veicoli al giorno attraverso il Corridoio di Lachin per vendere al mondo la menzogna secondo la quale non ci sarebbe alcun blocco né alcuna crisi umanitaria. Tesi insostenibile e ampiamente invalidata dal fatto stesso che sta intervenendo la Croce rossa internazionale, la quale opera soltanto in contesti di emergenza e crisi umanitaria.

L’obiettivo di Baku, oltre che mantenere gli armeni del Nagorno-Karabakh in un continuo stato di tensione e fare pressione perché abbandonino definitivamente la loro terra, è quello di controllare tutto ciò che passa dall’Armenia all’Artsakh, imponendo di fatto un embargo illegale.

Molti paesi si sono già espressi per invocare la fine di questa colossale violazione del diritto internazionale. Il 13 gennaio la presidente dell’Assemblea nazionale francese, Yael Braun-Pivet, si è recata a Erevan per denunciare la «crisi umanitaria». Viene da chiedersi quand’è che il Parlamento italiano, per non parlare del governo, disperderà questa coltre di omertà che impedisce la difesa del diritto degli armeni a vivere in pace nella loro terra.

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