La tragedia degli armeni di Siria, cent’anni dopo il “genocidio” (Lastampa.it 19.04.16)

Quando papa Francesco arriverà in Armenia, il 24 giugno, non troverà solo la prima nazione al mondo ad avere abbracciato il Vangelo. Convertiti al cristianesimo già all’inizio del IV secolo grazie all’opera di san Gregorio Illuminatore, gli armeni hanno fatto di questa religione un fondamento della loro identità per tutto il corso della loro storia. Il Pontefice troverà anche una parte di quell’umanità sofferente a cui è andato incontro nel suo ultimo viaggio a Lesbo.

 

Questo piccolo paese di 3 milioni di abitanti ha un cuore grande. A cinque anni dallo scoppio del conflitto siriano, l’Armenia ha accolto oltre 20mila rifugiati: il terzo paese in assoluto in Europa, secondo i dati riportati dall’Economist alla fine dell’anno scorso. Assai più di tante nazioni più ricche e popolose, inclusa la nostra.

Un esempio di solidarietà fra correligionari, certo, dato che la larghissima parte di questi rifugiati sono cristiani e armeni. Ma non solo: fra loro si trovano anche musulmani e yazidi provenienti dall’Iraq, che hanno in costruzione un nuovo tempio nel villaggio di Analish, in Armenia. All’origine di questa grande solidarietà è il dramma di una comunità, quella armena di Siria, che a un secolo dal «Genocidio» sembra condannata a rivivere lo stesso orrore. Un esodo, il loro, che ripropone una pagina che investì i loro padri e i loro nonni. Proprio in Siria approdarono infatti i pochi sopravvissuti alle marce della morte del 1915, e la comunità siriana è composta in larga parte dei loro discendenti.

 

Si stima che, degli oltre 100mila armeni presenti in Siria prima dell’inizio del conflitto, solo 10mila si trovino ancora nel paese. Tantissimi gli armeni che hanno perso la vita a causa della guerra, combattendo o come vittime civili, mentre molti altri sarebbero rapiti o scomparsi. Un colpo durissimo per la comunità è stato – nel settembre del 2014 – la distruzione della chiesa armena di Deir al-Zor, che fungeva da memoriale per il «Genocidio». La città siriana di Deir al-Zor fu la destinazione a cui giunsero da occidente, stremati, i pochi sopravvissuti allo Metz Yeghern, il «Grande Crimine» perpetuato dai turchi ottomani. Oltre a questa, sono novanta le chiese armene in Siria danneggiate o distrutte dalla guerra in questi cinque anni, secondo i dati forniti dalla comunità.

 

Uno dei problemi maggiori legati all’attuale presenza armena in Siria è che più dell’80% di loro, prima della guerra, risiedeva ad Aleppo, che a partire dal luglio 2012 è stata al centro di una interminabile battaglia che ha ridotto la città a poco più di un cumulo di macerie. Larghissima parte degli armeni ha lasciato la città, cercando rifugio nella più sicura Damasco, insieme a molti altri cristiani provenienti dai centri minori del paese. Un’antica presenza armena si trovava anche a Raqqa, l’attuale «capitale» del califfato dell’Isis, dove la situazione è ancora più drammatica. Oltre che in Armenia, altri 15mila di loro si trovano in Libano, secondo le stime.

 

Ai rifugiati siriani viene offerta la cittadinanza armena in pochi mesi, e spesso anche un aiuto per ciò che riguarda l’alloggio. E così, nonostante la povertà e le scarse possibilità di trovare lavoro offerte dal paese, oltre l’80% dei profughi siriani ha preferito restare a vivere in Armenia, anziché cercare fortuna altrove. Un dramma, il loro, che è parte di quella tragedia siriana a cui il mondo sembra restare indifferente. Non il Santo Padre che – ne siamo certi – troverà anche molti di questi profughi ad accoglierlo al suo arrivo. Quella parola, «Genocidio», pronunciata da papa Francesco lo scorso aprile, ha significato molto per loro.

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